Prospettive assistenziali, n. 34, aprile-giugno 1976

 

 

LIBRI

 

 

MAUD MANNONI, L'educazione impossibile, Fel­trinelli, Milano, 1974, L. 2.500.

 

Maud Mannoni, psicanalista francese legata all'Ecole Freudienne di Jacques Lacan, presenta nel suo ultimo libro tradotto in Italia una riflessio­ne di carattere generale sui problemi della cura, delle istituzioni, del ruolo dei pazienti e degli operatori.

Come già nei libri precedenti della Mannoni (Il bambino ritardato e la madre, 1971, Boringhie­ri; Il bambino, la sua «malattia» e gli altri, 1972, Angeli; Lo psichiatra il suo «pazzo» e la psicanalisi, Jaca Book, 1972) tale riflessione mai si di­scosta dall'aggancio rigoroso all'esperienza cli­nica. Si tratta quindi di un discorso politico ma insieme clinico.

Nella sequenza dei libri pubblicati si coglie inoltre l'itinerario che porta l'autrice a rivedere ed arricchire in modo progressivo, quasi «ne­cessario», l'ottica entro la quale l'esperienza cli­nica deve essere collocata, itinerario che va dall'individuale, seppure accompagnato da una ideo­logia «di sinistra», al «sociale» e al «politico» diventati ora categorie anche operative nell'im­postazione e attuazione della cura.

Per «L'educazione impossibile» l'esperienza clinica sottostante è quella di una istituzione educativa e terapeutica sorta per iniziativa della Mannoni in un sobborgo di Parigi, Bonneuil-sur­Marne. Ma Bonneuil-sur-Marne non vuole essere una «clinica per handicappati», una «scuola dif­ferenziale» o il luogo di un semplice accosta­mento ai problemi della cura come «antipsichia­tria» e «antipedagogia»; questa esperienza si propone piuttosto come «luogo di vita» nel qua­le vengono contemporaneamente messi in di­scussione i pregiudizi e i concetti su cui si fonda l'ideologia medica ed educativa tradizionale, an­che nel suo versante di efficiente tecnicismo, co­me pure lo «spontaneismo» che ha caratteriz­zato un preciso momento della contestazione al­la psichiatria e alla pedagogia tradizionale.

In quanto «luogo di vita» non è la persona, l'operatore che viene individuato come agente terapeutico, ma l'istituzione stessa: una «casa» nella quale sono rimessi in funzione gli elementi di base sui quali si fondano delle autentiche re­lazioni interpersonali e sociali le cui regole sono di fatto prese in carico e anche «inventate» da tutti i protagonisti della vita nella casa.

A questo fatto viene data la massima impor­tanza, essendo la condizione necessaria perché tutte le persone che vivono nella casa possano comunicare tra loro.

Quindi gli operatori invece di fornire un sup­porto all'istituzione devono lavorare a «farla esplodere», inventando di continuo i loro ruoli al di là delle teorie e delle «previsioni di ruolo» che dalle teorie discendano.

Bonneuil, pertanto, come «luogo di vita» ten­de ad essere assimilabile a una «istituzione esplosa»: invece di offrire la protezione isolan­te della permanenza «in» cerca di presentare, sullo sfondo della permanenza, delle aperture verso l'esterno, delle «brecce» così che l'es­senziale della vita degli ospiti tenda a svolgersi in un progetto o in un lavoro all'esterno. Questa oscillazione fra un luogo e l'altro è la condizione per l'emergere di un soggetto che si «interroga su ciò che vuole» (Mannoni). Ad ogni persona che è in rapporto con l'istituzione (anzitutto i «pazienti», ma anche gli operatori) è proposta una «condizione per oscillare sul vuoto» su cui si fonda o si rifonda la soggettività, cioè la pos­sibilità di effettuare senza paura il tragitto illu­sione-disillusione. In altre parole si creano nell'istituzione condizioni sufficientemente protetti­ve a livello del desiderio, cioè di accettazione del discorso che lo vincola, perché il soggetto possa ricevere un'illusione; nello stesso tempo la veri­tà del discorso creato e condiviso che circola nell'istituzione unitamente alle «brecce» da «esplosione dell'istituzione» rilanciano il sog­getto sul «vuoto», sull'accettazione della disil­lusione, fattore strutturale accanto all'altro per l'emergere di una soggettività.

Questa impostazione è estremamente interes­sante, sembra infatti che lasci realmente alle sue spalle l'altra impostazione, riformistica e tecnicistica, che postula delle istituzioni neces­sariamente chiuse o comunque rigidamente sbar­rate per ciò che concerne il rapporto tecnico­-paziente.

Nell'istituzione tradizionale seppure ad alto contenuto tecnico il paziente è infatti sottoposto ad una comunicazione di «amore» secondo la quale «lo si vuol guarire», ma alla condizione che accetti l'isolamento e l'emarginazione nell’istituzione nella quale dovrà essere amato.

Così il paziente per il fatto stesso che è costi­tuito come «oggetto» sia pure di una volontà orientata all'aiuto, perde una fondamentale pos­sibilità di accesso alla soggettività.

Questo rilievo può essere mosso anche a quel­le istituzioni educative che frequentemente oggi si sono messe a denunciare il «disordine del mondo», ma non sanno rendersi conto di esserne esse stesse compartecipi o addirittura protago­niste.

«Istituzione esplosa» è un concetto comunque assai più complesso di quanto questi brevi note possano dare idea, vi è tuttavia un aspetto che può ancora essere nesso in rilievo: è come se l'esperienza di Bonneuil si muovesse sulla stessa intuizione che caratterizza altre esperienze tera­peutiche recenti, tutte attente a rigarantire ai soggetti le condizioni di spazio e di relazione in­terpersonale nelle quali sia possibile compiere quelle operazioni fondamentali della vita di cia­scuna persona in cui forse sono i fondamenti stessi dell'acquisizione del proprio schema cor­poreo, della comunicazione, del linguaggio.

E i genitori dei soggetti ospiti? costituiscono la novità forse più importante, anche se non rile­vata, dell'esperienza: i loro figli infatti, proprio perché l'istituzione è «esplosa», cioè ha brecce e aperture sono in condizioni oggettive di rischio per la loro incolumità fisica e sociale superiori a quelle che caratterizzano i soggetti in altre isti­tuzioni: eppure la collaborazione dei genitori è pressoché senza riserve e quindi senza interfe­renze; in molti casi attiva e intelligente. Osserva­tori attenti hanno anche rilevato che ciò succede più per un «fatto di fiducia» che essi hanno spe­cificamente verso la Mannoni che per motivi strutturali. Comunque sia, vi è un lavoro di al­leanza con i genitori che permette all'istituzione di non essere «contro di loro» (cioè impedendo o controllando rigidamente il ritorno a casa dei soggetti) pur non avendo, realmente previsto, la terza alternativa, il controllo dei genitori sull'o­perato della istituzione.

Parlare di Bonneuil porta infine ad una inevita­bile domanda: è esportabile questa esperienza? potrebbe essere riprodotta da noi? Vi è forse una doppia risposta: da un lato vi sono degli aspetti che la rendono «unica»; infatti se Bonneuil vuol dire largamente Mannoni, Mannoni vuol dire l'E­cole Freudienne di Parigi, cioè un gruppo, che fa capo a Lacan; che ha un grosso potere scienti­fico (basti pensare che i «volontari» di Bonneuil sono operatori che si contendono fra molti altri il privilegio di accedere ad una formazione laco­niana per diventare operatori ad alta qualifica­zione). Dall'altro lato è però pur vero che la frontiera di discorso tecnico-politico raggiunta quasi individualmente dalla Mannoni e dal suo gruppo in Francia trova delle condizioni, da noi, particolarmente favorevoli per essere ricevuto, grazie, soprattutto ad una maggiore e più larga­mente diffusa maturazione politica frutto delle lotte sindacali e dell'impostazione che è succes­sivamente stata data al discorso dei servizi so­ciali.

BEPPE ANDREIS

 

www.fondazionepromozionesociale.it