Prospettive assistenziali, n. 34, aprile-giugno 1976
EDITORIALE
OBIETTIVI INTERMEDI
PER IL SUPERAMENTO DELL'ASSISTENZA, PRECONCETTI E INIZIATIVE
CLIENTELARI
Da
anni sosteniamo che l'assistenza e quindi l'emarginazione verrà
superata solo se passo dopo passo e con atti concreti verrà riconosciuto ad
ogni persona un ruolo individuale e sociale, indipendentemente dalla propria
condizione fisica e psichica.
Se
l'obiettivo di fondo è quello di una società a misura
dell'uomo che non si basi solo sul profitto o sul potere del singolo o di
gruppi, gli obiettivi intermedi consistono nell'assicurare e conquistare
riconoscimenti magari parziali, ma in linea con l'obiettivo di fondo.
Obiettivo
intermedio è pertanto in campo sociale (1) l'onnicomprensività
e cioè l'apertura a tutti i cittadini dei servizi
fondamentali non assistenziali: scuola, casa, sanità, cultura, ecc. (2). L'apertura a tutti i cittadini dei servizi fondamentali non assistenziali comporta una
riduzione del numero delle persone che oggi devono ricorrere all'assistenza
perché sono emarginate.
L'esperienza
ha dimostrato che l'inserimento di handicappati nella scuola normale e la
conquistata minore selettività della scuola dell'obbligo, pur nei limiti
notevoli delle iniziative, hanno portato ad una
significativa riduzione di bambini assistiti; uguali risultati sono stati
raggiunti con l'assegnazione nel normale contesto
abitativo di alloggi individuali o familiari per anziani e handicappati e di
comunità alloggio. Se questa linea è risultata valida,
è chiaro che la priorità assoluta degli interventi in campo sociale per ridurre
l'emarginazione va dunque individuata nella messa a disposizione di servizi
che non siano assistenziali.
Priorità nel campo assistenziale
Il
settore assistenziale quindi non deve essere esteso a
tutti, ma deve essere limitato alle sole persone che ne hanno effettive
necessità. Siamo pertanto nettamente contrari a qualsiasi estensione del
settore assistenziale alle persone abbienti, anche
qualora l'ente pubblico possa pretendere da queste il rimborso delle spese sostenute.
I
principi direttivi per ogni servizio assistenziale alternativo dovranno essere la non settorialità
e la massima autonomia possibile per gli utenti, il riferimento al territorio e
la gestione diretta da parte del Comune con la partecipazione delle forze
sindacali e sociali e della popolazione.
Premesso
quanto sopra, le priorità degli interventi possono essere così stabilite:
-
messa a disposizione dei servizi fondamentali non assistenziali;
-
contributi economici diretti a garantire il minimo vitale;
-
assistenza domiciliare;
-
adozione dei minori in situazione di completo abbandono;
-
affidamenti, inserimenti e comunità alloggio. Con questi interventi il ricovero
in istituto viene ad essere superato salvo per i casi
gravissimi, dove si dovrà prevedere l'istituzionalizzazione (3).
Contributi economici
Da
qualche anno, alcuni comuni hanno deliberato l'assegnazione di contributi
economici a coloro il cui reddito non raggiunge il minimo vitale.
Nell'attesa
di una revisione di tutto il settore pensionistico (4), riteniamo che le iniziative suddette vadano generalizzate, assumendo
però criteri chiari e parametri prefissati al fine di evitare ogni
degenerazione clientelare. Deve essere cioè
evidenziato che contributo economico vuol dire assegnazione del minimo vitale
evitando di monetizzare quanto è possibile risolvere mediante la messa a
disposizione di servizi. Ad esempio la creazione di mense popolari è un
intervento non assistenziale che riduce l'ammontare
del minimo vitale; uguale considerazione va fatta per la gratuità dei
trasporti pubblici (5).
Stabiliti
i criteri ed i parametri per la determinazione del minimo vitale (dal cui
calcolo dovrebbero essere esclusi, perché erogati a parte, l'affitto e il
riscaldamento), il Comune potrebbe, anzi dovrebbe avviare un'azione nei
confronti dell'ECA (il cui consiglio di amministrazione
è nominato dal Comune) per una convenzione in base alla quale l'ECA accetti i
criteri ed i parametri stabiliti dal Comune, demandi al Comune stesso le attività
di accertamento, l'erogazione dei contributi e metta a disposizione i fondi
relativi e il proprio personale.
In
tal modo l'ECA sarebbe svuotata di ogni potere in
materia che di fatto verrebbe assunto dal Comune e si eviterebbe agli assistiti
di subire le negative conseguenze derivanti dai conflitti di competenza fra i
due enti.
Analoghe
convenzioni potrebbero essere stipulate dai Comuni con le Province e gli enti
assistenziali esistenti (ENAOLI, ONPI, ecc.).
Assistenza domiciliare
Per
assistenza domiciliare intendiamo le attività di
aiuto domestico, rivolte solo a coloro che ne hanno necessità, quali potrebbero
essere la pulizia dell'alloggio, il disbrigo di faccende domestiche e di
commissioni, la fornitura di pasti caldi a domicilio, il servizio di
lavanderia, l'accompagnamento, ecc.
Come
già detto sopra, questo servizio a nostro avviso non deve essere esteso alle
persone abbienti, anche se queste rimborsassero al Comune
le spese sostenute per il servizio stesso. Potrebbe essere assunto come parametro
di riferimento il minimo vitale aumentato di una cifra forfettaria
corrispondente all'importo massimo delle spese sostenute dal Comune per
l'aiuto domestico. In ogni caso sarà necessario che
gli operatori, prima di decidere l'assunzione delle prestazioni da parte del
servizio comunale e naturalmente previo consenso dell'interessato, accertino
l'impossibilità che vicini o volontari siano in grado
di assicurare in tutto o in parte le prestazioni richieste.
Da
collegare ai servizi di aiuto domiciliare sono quelli
che devono invece essere aperti e gratuiti per tutti di assistenza domiciliare
infermieristica, riabilitativa, medica, compresa, là dove sia possibile, la spedalizzazione a domicilio.
Adozione speciale (6)
Quando
venne approvata la legge sull'adozione speciale, ci
si rese ben conto che la sua applicazione avrebbe suscitato non pochi
problemi, in merito alla interpretazione che la magistratura ne avrebbe dato
(anche se è doveroso riconoscere che il testo della legge 5-6-1967 n. 431 contiene
precise indicazioni). Va ricordato che già durante la discussione parlamentare
emerse in modo evidente che l'adozione speciale era solo
una delle risposte di una problematica ben più vasta (7) e che il nuovo istituto giuridico postulava una riforma dell'intero
settore dell'assistenza (8).
Già
si era posto allora il problema, ancora oggi attuale, se era giusto varare una
legge settoriale in mancanza di una riforma globale
dell'assistenza. A noi parve bene decidere in modo affermativo
e ancor oggi riteniamo giusto che i Tribunali per i minorenni dichiarino in
stato di adottabilità i bambini privi di assistenza materiale e morale da parte
dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
Rispondiamo
in questo modo anche a quel lettore che, a seguito dell'articolo di F. Occhiogrosso «Esclusione,
magistratura e lotte sociali» apparso sul n. 32 di Prospettive assistenziali,
contestava le affermazioni del giudice
del Tribunale per i minorenni di Bari sull'adozione speciale, trovandole non in
linea con quanto sostenuto da noi su questo argomento.
Se
è vero che molti abbandoni sono dovuti a cause
economico-sociali, se è anche vero che le cause economiche-sociali incidendo
sulla personalità degli individui li rendono passivi, è altrettanto vero che
i bisogni dei bambini sono prioritari e indifferibili.
Mentre
sul piano politico quindi è necessario lottare per il raggiungimento di obiettivi intermedi che portino ad una società a misura
d'uomo, riteniamo che sia altrettanto necessario sul piano operativo
intervenire in modo che siano soddisfatte il più adeguatamente possibile le
esigenze dei bambini, e in particolare quelle indifferibili. Viviamo in una
società dilaniata da contraddizioni sempre più marcate, ed è inutile fingere
che non esistano e violentare le esigenze immediate delle persone, in base ad
analisi corrette, ma senza sbocchi operativi immediatamente risolutivi. Pensiamo,
tanto per fare un esempio, ai danni provocati proprio da alcune
amministrazioni anche di sinistra che, partendo dall'assunto che l'abbandono fosse determinato esclusivamente da cause economiche e
sociali, hanno indotto madri nubili a riconoscere i loro nati, anche quando
queste non ne volevano sapere (9).
In
questi casi gli aiuti economici e la messa a disposizione di servizi non hanno
modificato il disinteresse delle madri per i loro figli e questi invece di
essere lasciati alla nascita e di essere subito adottati, hanno continuato a
vivere in situazione di abbandono; con la conseguenza
che arrivati ai 12-15 anni, i danni erano ormai irreparabili per la loro
personalità, e gli interventi difficili e spesso inutili.
In
quanto all'affermazione di F. Occhiogrosso
secondo cui «non c'è dubbio che i minori adottabili sono tutti figli di poveri
e non si conosce un solo caso di figli di "ricchi" pur con famiglie
disgregate, per il quale questa legge sia stata applicata», avanziamo, come il
lettore che ci ha scritto, alcune riserve.
Per
conoscenza diretta sappiamo che vi sono, anche se in numero
molto limitato, minori non riconosciuti, abbandonati al momento della nascita
da madri non povere e ciò può essere confermato dai direttori degli istituti
provinciali per l'assistenza all'infanzia.
Sappiamo
pure che i bambini riconosciuti e legittimi, dichiarati adottabili, appartengono
tutti, esclusi gli orfani, al sottoproletariato, ed è
vero che, salvo i figli di ignoti e diversi casi di orfani, è giusta
l'affermazione di F. Occhiogrosso
che non sono mai state pronunciate dichiarazioni di adottabilità di minori
legittimi o riconosciuti, figli di «ricchi».
È
da sottolineare soprattutto che in una società che
privilegia concezioni «economiche» e che su di esse dimensiona prevalentemente i
«valori», è indubbio che gli aspetti economici hanno una incidenza forse
prevalente tra le cause che determinano l'abbandono.
Tutto
ciò non è dovuto a impedimenti sanciti dalla legge
5-6-1967 n. 431, ma da un complesso di cause fra le quali ci sembra di poterne
individuare le principali:
a) nel non riconoscimento delle prevalenti esigenze
affettive e formative dei bambini da parte soprattutto dei magistrati e della
stessa opinione pubblica. (Che
cosa succederebbe se un bambino di famiglia «ricca», e cioè con possibilità di
succedere al consistente patrimonio di genitori completamente disinteressati
dal bambino, venisse adottato da una famiglia con possibilità economiche
inferiori?)
b)
nella composizione sociale degli operatori sociali e della magistratura,
magistrati togati e onorari, quasi tutti di estrazione
borghese o diventati tali.
Ci
sembra quindi inadeguato affermare che la legge 431 sia una legge classista (10), quando invece spesso, troppo spesso, classista è la sua interpretazione e
applicazione. Quante volte abbiamo dovuto constatare che la scelta delle famiglie
adottive non era stata fatta dagli operatori sociali e dai Tribunali per i
minorenni in base alle esigenze dei bambini, ma che i bambini venivano affidati a famiglie per le quali l'adozione era un
mezzo per compensare i loro problemi?
In riferimento poi alla condizione sociale
delle famiglie che adottano, ci sembra indicativa la statistica contenuta nella
comunicazione presentata da Luigi Fadiga (Giudice
del Tribunale per i minorenni di Bologna) al convegno «Per una politica integrata dei servizi sociali e sanitari sul territorio
del Comprensorio», Ravenna 28-29 maggio 1974 (11) nella quale
si riferiva che le famiglie adottive di operai o di contadini, erano il 30%
del totale, quelle di piccoli artigiani erano il 10%, quelle di impiegati
dipendenti con mansioni d'ordine raggiungevano il 28%, mentre solamente
intorno al 7% era la percentuale rappresentata da liberi professionisti,
industriali, dirigenti (5% liberi professionisti, 2% industriali e dirigenti).
Ci
pare quindi di poter affermare che 1'adozione, in quanto tale, non è
certamente un provvedimento «classista di espropriazione
dei figli dei poveri in favore delle famiglie abbienti», ma è un intervento che
può rispondere efficacemente alle esigenze immediate dei bambini, cui sia necessario
offrire soluzioni indifferibili. Concludendo, l'importante é che questi
interventi vadano nella direzione non del semplice tamponamento, ma che siano inseriti in un più vasto quadro di interventi di deistituzionalizzazione e di prevenzione, e questo chiama
direttamente in causa l'applicazione che la magistratura fa della legge 431 e
non i suoi contenuti.
Affidamenti,
inserimenti e comunità alloggio
I
Comuni, ai sensi del R.D. 3 marzo 1934 n. 383, art. 91, lettera H, punto G,
hanno competenza obbligatoria per l'assistenza agli inabili al lavoro: anziani,
adulti handicappati, minorenni compresi quelli con handicaps
fisici e psichici. (V. anche il R.D. 19-11-1889 n.
6535). Sono esclusi dall'assistenza dei Comuni solo
le persone per cui l'intervento della legge è affidato ad altri enti pubblici.
Per
la messa in atto di servizi alternativi (affidamenti e inserimenti e comunità
alloggio) nell'ambito delle priorità di intervento
sopra specificate, il Comune e
-
riferimento a volontari (persone e non enti) per gli affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di anziani e di
handicappati adulti presso famiglie, persone singole, nuclei parafamiliari
composti da due o più volontari. Riconoscimento ai volontari
di una loro autonomia operativa nell'ambito delle esigenze di un servizio
pubblico;
- riferimento al Comune per l'istituzione dei servizi
tecnici necessari per gli affidamenti e gli inserimenti di cui sopra e per la
costituzione e la gestione diretta di
comunità alloggio;
-
convenzione con
- entrata in funzione dei servizi comunali per gli
affidamenti, inserimenti e comunità alloggio quartiere per quartiere
(corrispondenti alle unità locali) in base alle
possibilità operative delle équipes socio-sanitarie
del territorio;
-
gli interventi relativi agli affidamenti ed agli
inserimenti devono essere uno dei compiti delle équipes
socio-sanitarie del territorio, per il quale si fa riferimento alle 23 zone di
cui alla delibera del Consiglio Comunale di Torino del 9 febbraio 1976;
-
gli interventi relativi agli affidamenti ed agli
inserimenti devono essere attuati nelle zone di appartenenza dei soggetti,
salvo che il soggetto decida altrimenti e, per i minori, salvo il caso in cui
sia necessario per ragioni oggettive allontanarli dal loro originario contesto
sociale;
-
nel caso in cui i minori siano o siano stati segnalati
ai fini della legge 5 giugno 1967 n. 431 relativa all'adozione speciale, è
necessaria l'autorizzazione del Tribunale per i minorenni prima di procedere
all'affidamento. Dovranno inoltre essere presi
accordi con il Tribunale per i minorenni prima di procedere ad affidamenti
finalizzati all'adozione ordinaria.
In
sostanza con gli interventi di cui sopra i Comuni, pur nei limiti della
legislazione vigente, possono avviare servizi alternativi e incominciare a
costruire concretamente l'unità locale di tutti i servizi.
Programmazione
partecipata
Nel
prossimo numero completeremo la materia trattata in questo editoriale
affrontando il tema della programmazione partecipata a livello locale e
regionale.
Confidiamo
inoltre di poter pubblicare le conclusioni del gruppo di lavoro del Comune e della Provincia di Torino sugli affidamenti,
inserimenti e comunità alloggio.
Iniziative clientelari
Mentre
si avvia con fatica una politica di superamento dell'assistenza, purtroppo e
ancora in questi ultimi anni molte amministrazioni hanno dato avvio e impulso a
nuovi servizi che ampliano il campo di intervento
dell'assistenza. Fra questi interventi ricordiamo i centri di
incontro, destinati «specialmente» agli anziani, e soprattutto l'invio
di anziani al mare o in altre località di soggiorno. Quest'ultima iniziativa,
contrabbandata per innovativa, è invece una nuova e più moderna modalità di attuazione di criteri assistenziali ormai superati.
Mandare gli anziani al mare è solo un aggiornamento della distribuzione dei
pacchi dono natalizi alle case di riposo ed ai pranzi di fine anno ai poveri: è
un intervento non risolutivo ed avente spesso fini molto diversi da quelli
propagandati.
Agli
anziani sono destinati i mesi più inidonei sotto il profilo climatico, proprio
quando si afferma che l'iniziativa ha finalità
terapeutica, donde il sospetto che lo scopo sia quello di garantire «un pieno»
agli albergatori senza clienti. Si manda un numero
estremamente limitato di anziani lasciando gli altri (quasi tutti) in
condizioni di vita spesso disumane. Viene pertanto il sospetto che, come per i
pacchi dono e per i pranzi natalizi, si tratti di
dimostrare, solo a scopo clientelare o elettorale, che l'amministrazione è
sensibile nei confronti degli anziani. Quando essi invece sono lasciati vivere
in ricoveri segreganti, in abitazioni fatiscenti, quando vengono
poi espulsi dagli ospedali i poveri definiti cronici violando le leggi vigenti (12).
Né
vale rispondere nel modo che spesso si sente ripetere quando
si tratta degli assistiti, che gli anziani «sono contentissimi». Ma gli assistiti, proprio perché tali, sono sempre contenti
delle elargizioni loro fatte. Gli utenti di servizi «non assistenziali»
invece non sono mai «contentissimi», ma protestano per i disservizi e lottano
per una loro maggiore e migliore funzionalità.
Ovviamente
non siamo contrari all'invio di persone (e non solo
di anziani) al mare o in altre zone per scopi terapeutici. Al riguardo ci
sembra tuttavia necessario che i Comuni non istituiscano
un servizio «doppione» rispetto a quelli esistenti e non si sostituiscano
pertanto agli enti mutualistici e previdenziali ai quali le leggi vigenti
attribuiscono competenze in materia.
In
alternativa all'invio degli anziani al mare proponiamo
l'organizzazione da parte dei Comuni, loro Consorzi e Comunità montane di
viaggi, soggiorni e incontri culturali (evidentemente con spazi di tempo
libero) finalizzati ad una crescita individuale e collettiva.
A
queste attività dovrebbero poter prendere parte le persone
interessate, senza discriminazioni verso i giovani, gli adulti e gli
anziani.
Tale
iniziativa, se organizzata a livello di unità locale,
favorirebbe inoltre la riaggregazione della
popolazione e la reale partecipazione.
(1) Rimane aperto
evidentemente il problema dello stretto collegamento fra sviluppo economico e
sviluppo sociale.
(2) Integrando quanto
avevano scritto nell'editoriale del n. 20, ottobre-dicembre 1972, di Prospettive assistenziali con le
esperienze acquisite, si possono formulare le seguenti indicazioni per i
servizi onnicomprensivi:
a) la scuola onnicomprensiva. Per quanto
concerne le strutture formative di base (asili nido, scuole materne e
dell'obbligo) occorre giungere al più presto alla eliminazione
delle attuali discriminazioni, per cui invece di una scuola aperta a tutti, ne
sono state costituite molte divise per «categorie» prefissate di cittadini:
scuole comuni, scuole speciali, classi speciali presso le scuole normali,
centri educativi comunali o provinciali, classi presso istituti di assistenza,
convitti, scuole per spastici, ciechi, ambliopici,
sordi, sordastri, ecc. Dovrebbero solo essere ammesse nella fase transitoria,
per i casi effettivamente gravi, classi speciali presso le scuole normali.
All'interno delle scuole comuni dovrebbero essere fornite le prestazioni
specialistiche (fisioterapia, logopedia, ginnastica correttiva, insegnamento
del Braille, ecc.). È evidente che la scuola per diventare onnicomprensiva
deve modificare profondamente i nuovi contenuti: in sintesi da selettiva, e cioè per i più «dotati», deve diventare formativa nel senso
di fornire a tutti quanto necessario per il pieno sviluppo della propria personalità.
b) la casa onnicomprensiva. Lo stesso
discorso vale per la casa. Creare case onnicomprensive significa predisporre
nel normale contesto abitativo, e cioè in ogni
quartiere, abitazioni idonee alle varie necessità individuali, familiari e
sociali. Da un lato le case devono essere costruite in modo che le si possa abitare anche quando si diventa anziani o si
abbiano difficoltà motorie, d'altro lato esse devono essere dotate di quei
servizi necessari ad una effettiva vita di relazione (locali attrezzati per
incontri, per attività ricreative e culturali per minori e adulti). In
particolare dovranno essere previsti alloggi individuali e per piccole
comunità per minori, adulti, anziani e per le famiglie che intendono vivere comunitariamente.
c) i servizi sanitari onnicomprensivi. Lo
stesso discorso vale altresì per i servizi sanitari. Oltre all'effettivo
collegamento fra prevenzione, cura e riabilitazione, occorre anche unire
veramente il momento ospedaliero con quello extra-ospedaliero.
Ad esempio, in ogni
unità locale o gruppi (2 o 3) di unità locali devono
essere costruiti dei centri sanitari che comprendano la parte ospedaliera, con
ricovero 24 ore su 24, e per l'unità locale del territorio la parte
semi-ospedaliera per alcune ore al giorno e cioè í cosiddetti ospedali diurni
e notturni, e la parte ambulatoriale ed extrambulatoriale.
Fra le attività dei
centri sanitari di quartiere le principali dovrebbero
essere: quelle di prevenzione, cura e riabilitazione relative alla ginecologia,
pediatria, geriatria (compresi i cosiddetti cronici), medicina e chirurgia
generale che non richiedono interventi di alta specializzazione.
Solo in questo modo
sarà possibile evitare, fra l'altro, la costruzione dei nuovi ghetti quali gli
ospedali geriatrici, i gerontocomi, gli psicogerontocomi e si potrà consentire alle persone
ammalate di mantenere contatti con la comunità.
d) assetto del territorio e barriere
architettoniche. Tutte queste rivendicazioni, e quelle riguardanti gli
altri servizi, presuppongono un diverso riassetto ed uso del territorio, per cui il discorso urbanistico diventa prioritario. Sono infatti di primaria importanza l'organizzazione delle
città, la facilità delle comunicazioni, la possibilità effettiva delle
relazioni di ogni genere tra i membri della comunità.
Ciò deve avvenire
invertendo i rapporti:
- nel sistema
attuale anche la disposizione della città è condizionata dal modo di
produzione, distribuzione e consumo delle merci;
- l'interesse dei
cittadini è invece quello di avere una città a misura dell'uomo, in cui il
complesso delle attrezzature sociali abbia importanza
rispetto al contesto della residenza e delle attività produttive e non
viceversa. Ciò è possibile solo nella misura in cui si individui
un modello alternativo di sviluppo urbano fondato sul riequilibrio sostanziale
delle tipologie di insediamento, secondo una diversa logica dei rapporti
sociali e della distribuzione delle risorse.
Le persone giovani e
attive sentono ovviamente meno le conseguenze dell'organizzazione della città
che affatica, che presenta barriere anche edilizie, che impedisce o rende
difficili i rapporti sociali. Tuttavia ciò provoca in tutti
un logoramento, che naturalmente è più sentito dalle persone anziane,
dagli invalidi, dai cardiopatici o da tutti coloro che hanno difficoltà a
spostarsi.
Pertanto
l'abbattimento delle barriere architettoniche non viene
richiesto per costruire città a misura degli handicappati o degli anziani, ma
è un problema politico che investe tutti nella lotta per una diversa
organizzazione del territorio, e in definitiva dell'organizzazione della
società.
e) cultura. Una cultura che interessi ogni
cittadino deve rispecchiare le esigenze dei cittadini
stessi, basarsi sulla partecipazione di questi e delle forze sindacali e
sociali.
Dovrà pertanto
riguardare prioritariamente i temi del lavoro e della sua organizzazione, del
ruolo individuale e sociale, della scuola, della salute fisica e psichica,
della casa, dell'assetto del territorio, dell'emarginazione, ecc.
Il metodo dovrà
essere quello del confronto e non dell'organizzazione del consenso, favorendo
la crescita individuale e collettiva.
Per consentire reali
confronti, ampi spazi dovranno essere lasciati alle forze sindacali e sociali
per i dibattiti autogestiti, con la messa a
disposizione da parte delle amministrazioni degli strumenti necessari.
(3) Un gruppo di
lavoro della Provincia di Torino ha così definito la struttura per gravissimi:
Utenti
delle strutture
Sono considerate
utenti delle strutture di ricovero sanitario e assistenziale
le persone con danni cerebrali organici estesi e permanenti tali da determinare
carenze psico-neuro-biologiche di base immodificate da interventi specialistici ed educativi
condotti in tutto l'arco evolutivo (0 - 14 anni).
Con provvedimento
motivato, la decisione sulle ammissioni è presa congiuntamente, sulla base
della documentazione esistente sull'interessato, dall'équipe
di zona, dagli operatori del servizio educativo interessato e della struttura
di ricovero sanitario e assistenziale alla presenza
della famiglia interessata e/o di tecnici di sua fiducia.
La diagnosi di danni
cerebrali organici estesi e permanenti deve essere formulata da una équipe medica.
Caratteristiche
delle strutture di ricovero
Le strutture di
ricovero devono avere le seguenti caratteristiche:
a) essere inserite
nel vivo del contesto abitativo e sociale della zona
(ULS) ;
b) accogliere
persone abitanti nella zona o nelle zone vicine;
c) avere la capienza
massima di 30 posti;
d) avere locali
interni differenziati per le diverse esigenze degli
utenti;
e) assicurare ai
ricoverati l'assistenza e le attività fisiche e motorie necessarie, per le
quali deve essere previsto un numero adeguato di spazi tra coperti ed aperti;
f) essere collegate
o inserite a tutti i livelli con le strutture sanitarie delle zone interessate.
Possono essere anche inserite negli Ospedali purché la conduzione delle
strutture di ricovero sia autonoma rispetto a quella dell'Ospedale.
Controlli
Le strutture di
ricovero sanitario e assistenziale sono sottoposte al
controllo delle équipes di zona interessate, dei genitori
o degli esercenti la tutela e dei rappresentanti, in un numero da concordare,
degli organi di partecipazione popolare della zona interessata.
Minori
attualmente ricoverati al Mainero
Possono essere
ricoverati nelle strutture sanitarie e assistenziali i
minori di competenza della Provincia di Torino attualmente ricoverati al Mainero che rispondono ai criteri indicati in questo
documento, anche in deroga a quelli di zona.
Ente
gestore
Le strutture di
ricovero sanitario e assistenziale devono essere
gestite dai Comuni, Consorzi di Comuni e Comunità montane. Transitoriamente,
fino all'emanazione della legge regionale, la gestione può essere assicurata
dalla Provincia di Torino.
Interventi
della Regione
Personale
Devono essere
previste rotazioni di personale fra i diversi servizi, ed in particolare fra i servizi previsti in questo documento e gli altri in
rapporto alle necessità dei servizi stessi e con le modalità da definirsi di
volta in volta, sentiti i delegati di tutto il personale interessato.
Al personale deve
essere assicurata la necessaria formazione prima e durante l'attività
lavorativa, sia per l'aggiornamento dell'attività da svolgere nella struttura
che per il passaggio ad altri servizi.
Il responsabile
delle strutture è un sanitario del servizio di zona.
L'altro personale è di assistenza, con la presenza, di personale
infermieristico.
Il rapporto
personale/utenti verrà determinato dall'Ente gestore,
sentito il personale della struttura, le équipes di
zona interessate e le organizzazioni sindacali.
Il personale per i
trattamenti sanitari, fisici e motori fa parte del servizio della zona
interessata.
(4) Gli obiettivi non
assistenziali da raggiungere comprendono evidentemente anche quelli della piena
occupazione e di adeguati livelli salariali e pensionistici. Circa le pensioni
va detto che non è realizzabile, a nostro avviso, la richiesta di un
generalizzato aumento dei livelli minimi, tale da garantire il minimo vitale,
in quanto l'importo a carico dello Stato non è sopportabile dalla nostra
economia comunque essa venga impostata. Vi sono infatti centinaia di migliaia di « beneficiari » che non
dovrebbero avere diritto alla pensione (falsi invalidi, pensionamenti degli
enti pubblici dopo appena 14 anni 6 mesi e un giorno di lavoro, ecc.)
Occorrerebbe a nostro avviso che venisse rivista tutta la legislazione (e la
relativa applicazione) sulle pensioni, tenendo conto anche dei rapporti fra
popolazione totale, popolazione occupata e popolazione con diritto alla
pensione o a indennità economiche.
(5) Vedi «Tram gratis
ai pensionati di Torino» in Prospettive assistenziali, n. 25, pag. 68.
(6) Le stesse
considerazioni generali relative all'adozione speciale valgono per l'adozione
tradizionale dei minori di età superiore agli anni otto, purché in situazione
di completo abbandono materiale e morale.
(7) Camera dei
Deputati, seduta del 10-1-1967, Atti parlamentari, pag. 29788 - Intervento
dell'On. Maria Eletta Martini della DC.
(8) Ibidem, pag. 29796
- Intervento dell'On. Giuseppina Re del PCI.
(9) Vedi M. BOGG10, Ragazza madre: storia di donne e dei loro
bambini. Marsilio Ed.
(10) L'affermazione che
l'adozione speciale «concede al Tribunale per i minorenni il diritto di
"espropriare" i figli delle famiglie proletarie più disagiate e
indifese, per collocarli presso famiglie più agiate e degne di fiducia o
lasciarli ricoverati in istituti assistenziali» (come afferma G. Senzani nel l'introduzione al libro di A.M.
PLATT, L'invenzione della delinquenza,
Guaraldi, Rimini-Firenze,
1975) oltre che falsa per i motivi sopra indicati, riprende la demagogica
dichiarazione del giudice R. Degli Atti (con l'adozione speciale si tolgono i
figli ai poveri per darli ai ricchi) che sosteneva la necessità del ricovero
precoce, soprattutto dai 9 ai 12 anni e anche prima, in case di rieducazione
dei bambini definiti disadattati.
(11) Vedi Prospettive sociali e sanitarie, n. 15,
1° settembre 1974, pag. 3.
(12) Legge n. 383 del
3-3-1934: Sono considerati obbligatori per i Comuni i servizi concernenti gli
inabili al lavoro. Ai sensi dell'art. 2 del R.D. 19-11-1889
n. 6535 «Sono considerati inabili a qualsiasi lavoro le persone le quali per
infermità cronica non possono procacciarsi il modo di sussistenza». Legge n.
692 del 4-8-1955 e decreto del Ministero del Lavoro
del 21-12-1956 «Assistenza nei casi di malattia specifiche
della vecchiaia». Le competenze regionali per l'assistenza obbligatoria e
gratuita ai cronici si desumono dalle leggi 12-2-1968
n. 132 e 17-8-1974 n. 386.
www.fondazionepromozionesociale.it