Prospettive assistenziali, n. 34, aprile-giugno 1976
DOCUMENTI
PROBLEMI APERTI E PROPOSTE CIRCA
Nel predisporre il documento
relativo ad una valutazione della prima legislatura regionale, il gruppo di
studio sull'Unità locale (nel suo 4° incontro di Merano del settembre 1975) si
è reso conto che solo su alcuni elementi di massima della politica locale dei servizi la produzione legislativa delle Regioni negli
ultimi anni offriva spunto alla riflessione ed alla valutazione. Su di essi ha infatti soffermato la sua attenzione nel citato
documento, riservandosi di prendere successivamente in esame i problemi relativi
alla «crescita sul campo» del «modello» di Unità locale, che non trovavano
nella attività legislativa 1972-75 delle Regioni sufficiente o veruno spazio.
Si tratta perciò di problemi aperti, di proposte operative, di
ipotesi da verificare più che con disposizioni legislative, con la
verifica sperimentale e con l'impegno attento e critico degli enti locali
interessati.
È nel proporsi tale obiettivo che il
gruppo ha predisposto la seguente sintesi del suo dibattito (realizzatosi a
Milano dall'11 al 12 dicembre 1975, nel suo 5° incontro), volto a favorire sia
la coerenza tra obiettivi proclamati e soluzioni operative, sia lo scambio di orientamenti e di esperienze tra le Regioni interessate
alla crescita «dal basso» dell'impegno sulle Unità locali.
Tale impegno, nel passaggio alla
seconda legislatura regionale, si è allargato a Regioni precedentemente attendiste o refrattarie
a tale scelta. Ne ha risentito pertanto anche la composizione del gruppo, che
nel '76 si arricchirà di qualche ulteriore componente,
pur rimanendo nella sua specifica funzione di informale «gruppo di studio».
I - Poteri locali e
zonizzazione
A.1. - Va ribadita l'importanza di considerare nella sua globalità il
problema dei «contenitori territoriali ed istituzionali» per la politica dello
sviluppo e dei servizi a livello sub-regionale.
A.2. -
Accanto alle difficoltà intrinseche, ha infatti nuociuto
in varie Regioni ad un corretto sviluppo del discorso il grosso limite organizzativo-politico per cui di ogni singolo tipo di
zonizzazione si è dibattuto in sedi diverse (per le comunità montane, per le
zone sanitarie, e talora per quelle socio-sanitarie, per i distretti scolastici,
per i comprensori urbanistici, e talora anche economici, per i bacini di
traffico del trasporto pubblico, ecc.).
A.3. -
Occorre che il discorso della zonizzazione sub-regionale sia riportato in sede
«globale e unificante» (Giunta e Consiglio regionale), assumendo,
verificando, confrontando, ristrutturando in quella
sede le esigenze e le elaborazioni settoriali (Assessorati, Commissioni,
addetti ai lavori). In un certo senso si deve arrivare in ogni Regione ad una «legge
quadro» del «contenitore multifunzionale» di cui si è detto.
A.4. -
L'obiettivo plausibile di un unico «contenitore» sub-regionale per lo sviluppo
economico, territoriale e dei servizi va verificato
con le specifiche situazioni ambientali e con le prospettive delle singole
Regioni, in ciò esaltando il significato dell'istituto regionale nel Paese,
che talora può permettere il perseguimento degli stessi obiettivi (nazionali)
con soluzioni operative diverse (regionali). L'essenziale è che il problema
non venga visto con paraocchi settoriali e
corporativi, dato che si deve invece essere preoccupati delle inter-relazioni
tra i settori, degli obiettivi politici unitari per lo sviluppo delle comunità,
del riportare decisioni e controlli alla partecipazione costante delle forze
sociali e della popolazione.
A.5. -
Qualora non si ritenga perseguibile in date Regioni (come è
ben noto la situazione è diversa tra le venti Regioni italiane sia per le dimensioni
demografiche e per le caratteristiche territoriali, sia per la situazione e le
suscettività di sviluppo economico) l'obiettivo di un'unica zonizzazione
sub-regionale, si dovrà studiare oculatamente l'alternativa di due livelli -
uno più ampio (il comprensorio) per lo sviluppo economico e la macro-urbanistica,
l'altro più ristretto (l'unità locale) per la politica dei servizi sul
territorio e per la partecipazione popolare - con l'essenziale condizione che
i livelli più ristretti siano sottomultipli del livello più ampio, così da rendere
possibili le interconnessioni in un quadro comprensoriale di sviluppo.
A.6. - In
ogni caso occorre che il «contenitore» sub-regionale sia concepito come «contenitore
aperto alla globalità», anche quando si parta o si
sia partiti dai problemi della sanità e dei servizi sociali, tale da recepire
progressivamente le deleghe di provenienza regionale e gli impegni per gli
enti locali conseguenti alla legislazione nazionale e regionale, anche quando
essa fosse di carattere settoriale o molecolare.
B.1. - Un
altro problema essenziale sinora aperto, e per il quale occorre uscire
dall'equivoco, magari sperimentando soluzioni alternative, è quello del ruolo
del Comune qualora il «contenitore» si fondi sul consorzio intercomunale (nel casa dei grandi Comuni da disarticolare in più Unità
locali occorre vedere invece il problema come aspetto delle soluzioni da
adottare per il decentramento dell'area metropolitana, cioè come configurazione
politico-amministrativa del «quartiere») .
B.2. - Una ipotesi vuol salvaguardare la massima competenza -
anche di servizi, personale, attrezzature - dei Comuni, circoscrivendo il ruolo
consortile ad un non ben definito ruolo programmatorio;
l'altra ipotesi tende a valorizzare sempre più, pur con gradualità (ove
necessario), il Consorzio trasferendogli anche tutte, o gran parte, delle
competenze operative dei Comuni, oltre che della Provincia. Nel primo caso ci
si fa forti della salvaguardia e della valorizzazione
dell'impegno di partecipazione e di valutazione politica (non sottovalutando il
limite insito nel fatto che il Consorzio è organo elettivo di 2° grado); nel
secondo caso si rifiuta l'idea (astratta) di una programmazione non
strettamente interagente con la gestione critica dei servizi, e si paventa il
permanere di una pluralità di enti gestori e la difficoltà di
inter-connessioni operative tra servizi in parte dipendenti dai Comuni ed in
parte dai Consorzi.
B.3. -
Avendo presenti gli obiettivi ed i punti di riferimento adottati nel portare
avanti il discorso sull'Unità locale e per la valutazione della prima
legislatura regionale (cfr. la
parte iniziale del 4° documento del gruppo), si può proporre alla
sperimentazione regionale la seguente ipotesi:
- al Comune
- ciò comporta che i Comuni
esprimano un voto politico sia sui programmi pluriennali di
legislatura del Consorzio; sia sul piano annuale ed il relativo
bilancio;
- che la composizione degli organi politicoamministrativi del Consorzio sia tale
da configurare l'Assemblea come un insieme di amministratori comunali
(escludendo la commistione con membri non consiglieri comunali o peggio la
concezione da «municipalizzata» dell'incompatibilità) ed il Consiglio direttivo
sia costituito dai più qualificati ed impegnati Assessori comunali (se non Sindaci),
dimodocché gli organi del Consorzio siano la
quintessenza delle Amministrazioni comunali consorziate e non si realizzi una
divaricazione con esse, bensì una esaltazione delle potenzialità di ciascuna
in una dimensione (quella consortile) adeguata oggi ad una effettiva politica
locale di sviluppo;
- che lo Statuto dei Consorzi, anche
quando sia inizialmente nato per il settore socio-sanitario, sia aperto ad una
molteplicità di interventi, riconducendo così ad unità
anche provvedimenti legislativi nazionali o regionali di natura settoriale (si
pensi, recentemente, ai consultori familiari, alla droga, allo scioglimento
dell'ONMI, ecc.);
- che si sviluppi nella cultura
politica e nella prassi locale il concetto che il Consorzio (o Unità locale, o
quartiere, che sia) è un «modo diverso di gestire assieme le attività», e non
un altro ente che si affianca ai preesistenti, peggio ancora se in una logica di accentramento (che, allora sì, frenerebbe il processo di
maggiore partecipazione, di cui sono espressione spesso i consigli di
quartiere, di frazione, i comitati vari tra cui quelli sindacali di zona);
- che nell'organizzazione interna
dell'Unità locale, denominata in alcune leggi regionali come «distretti
socio-sanitari», si tengano presenti non solo gli ambiti territoriali dei
piccoli Comuni consorziati, ma se opportuno i quartieri e le frazioni,
permettendone così e valorizzandone il ruolo partecipativo di dibattito,
proposta, controllo democratico dal basso.
II - Pianificazione e
partecipazione
C.1. - Si
rileva che nella prima legislatura regionale il «processo» di programmazione
non è stato in nessun caso messo in atto compiutamente; in rari casi lo si è solo avviato; nel mentre è ben noto che gli Statuti
regionali e le dichiarazioni programmatiche delle Giunte lo hanno ampiamente
esaltato. Se una sperimentazione di tale processo programmatorio
non avvenisse largamente e criticamente nella seconda legislatura regionale,
tutti i presupposti politici affermati nella fase
costituente delle Regioni verrebbero disattesi (decentramento, partecipazione,
globalità). Certamente nel passato ci sono state obiettive difficoltà di assestamento e di chiarificazione, ma nel prossimo
futuro esse non possono più giustificare l'inazione legislativa e promozionale
delle Regioni (anche per i nuovi stimoli che presumibilmente offrirà
l'attuazione della legge 382).
C.2. - Va
affermato preliminarmente che il processo di programmazione fa costantemente inter-reagire il livello regionale ed il livello locale (per il momento, si prende in considerazione solo la
situazione delle Regioni con un unico livello sub-regionale di «contenitore»
per lo sviluppo). Esso pertanto non coincide, né si esalta con la
predisposizione di un piano regionale (come avvenuto a livello nazionale,
nella ben nota esperienza e crisi della programmazione nazionale), anche se
quest'ultimo ne costituisce uno dei momenti operativi.
C. 3. - Occorre aver presente che
non si tratta neppure di fasi cronologicamente successive: prima la
pianificazione locale, poi quella regionale, o
viceversa. Il processo programmatorio (ed
opportunamente si usa questo sostantivo) è un insieme costante di interazione, che vede sempre attivi i due livelli (quello
regionale e quello locale), senza di che uno dei due scade a soggetto passivo,
notarile, formale della programmazione.
C.4. - In
linea di principio il processo programmatorio parte
dalla ricognizione e valutazione critica delle esigenze e delle proposte della
realtà sociale (i cittadini ed i loro gruppi), perviene alla formulazione di ipotesi operative nello spazio (quello locale - quello
regionale), si precisa con una valutazione critica, globale e di fattibilità
nello spazio (come detto) e nel tempo (a breve termine: annuale; a medio
termine: quinquennale) che si sostanzia nel «piano», inteso come deliberazione
politica. Ne conseguono le fasi di attuazione ed i
momenti (in itinere e finali) di verifica.
C.5. -
Ogni Regione potrà definire in accordo con gli Enti locali la
procedura ritenuta più opportuna in proposito: alcune Regioni lo hanno già
enunciato con apposita legge, l'Umbria lo ha già avviato partendo da una bozza
di piano predisposta dalla Regione e offerta alla discussione dei dodici suoi
comprensori. Un confronto di esperienze sarà in proposito
molto utile al momento opportuno.
D.1. -
Mentre è correntemente dato per scontato a livello regionale, è da ritenersi
indispensabile un apposito staff - che per comodità denomineremo «ufficio di
piano» - anche a livello sub-regionale, con il ruolo non solo di raccogliere ed
elaborare i dati, ma anche di seguire e stimolare la partecipazione.
D.2. -
Nella concretezza il problema dello o degli strumenti per l'esercizio del ruolo
tecnico-politico regionale pur essendo più evidente non è risolto, ed in
alcune Regioni ci si trova ancora in assenza di efficienti soluzioni per
l'ufficio di piano regionale (in particolare per quanto riguarda la politica
sociale). A livello locale alcune prime sperimentazioni si sono avviate, ed
anch'esse sarà interessante confrontare e valutare al momento opportuno.
D.3. - Nel
riferirsi ad un «ufficio di piano», è bene sgombrare il campo da una visione
tradizionale e statica di un tale strumento, ed occorre ritrovare l'impegno
per una invenzione di nuovi metodi e di nuovi mezzi
per una reale svolta impressa dall'avvento delle Regioni. Si tratta di uno
staff di persone con capacità tecniche, ma non con mentalità burocratica ed
alcune di esse debbono essere collocate anche nei
punti nevralgici dell'operatività locale; inoltre si deve trattare, come si è
detto, di uno strumento anche di forte sollecitazione verso le realtà locali
(che, oltretutto, non sempre sono innovative, per la situazione di
emarginazione e di disinformazione che talora le ha sinora caratterizzate).
D.4. - I
modi infine per evitare la tecnocrazia, oltre a quanto si dirà sulla
partecipazione, hanno attinenza al rapporto tra i cosiddetti tecnici ed i
politici. Una soluzione organizzativa vede direttamente
inseriti nell'Ufficio di piano (o sinonimi gruppi di lavoro) anche una
rappresentanza qualificata dei politici eletti (o di primo, o di secondo
grado, a seconda delle situazioni). Ciò si dimostra
più fattibile laddove assessori o membri del direttivo (o analoghi
amministratori) siano a tempo pieno o comunque in condizioni di seguire
realmente un lavoro di gruppo. L'altra soluzione implica la identificazione
ed il rispetto di occasioni non accidentali o discontinue di incontro tra gli
amministratori ed i membri dell'ufficio di piano. Anche
su questo punto sperimentazioni, scambio di documentazione, incontri di
verifica sono un modo corretto per individuare una o più modalità auspicabili
di soluzione del problema.
E.1. - Uno
dei limiti ad una efficace programmazione locale (di
livello sub-regionale) è costituito dalla politica finanziaria verso gli enti
locali. Se infatti si continuerà a procedere - oltre
al più generale nodo di una soluzione del problema della finanza locale - con
finanziamenti a destinazione prestabilita, gli enti locali non saranno messi
in condizione di programmare, se con tale termine si intende anche scegliere le
esigenze valutate storicamente e localmente prioritarie ed individuare i modi
(ed i servizi) ritenuti più adatti per soddisfarle. Pertanto al livello locale
subregionale, per effetto dei piani e dei bilanci regionali, debbono pervenire «fondi globali» per la politica di
sviluppo, vincolati solo alle priorità del piano locale approvato dalla Regione
(e che pertanto dovrà aver recepito priorità regionali ed indicazioni
correttive).
E.2. - Va affermata pertanto la stretta correlazione tra piani
(sia pluriennali di legislatura, sia nella loro conseguente precisazione
annuale) e bilanci, anche per evitare l'affiancamento
di spese effettivamente conseguenti alla politica di sviluppo decisa dal piano
e di spese stancamente ripetitive e non vagliate criticamente.
F.1. -
Dall'enunciazione unanime di accettazione della
«partecipazione» occorre passare nella seconda legislatura regionale ad una
reale e faticosa sperimentazione della stessa nel processo di programmazione,
con un'azione anche promozionale, quando necessario.
F.2. - Innanzitutto occorre lasciare aperte molteplici strade di
partecipazione, senza pretendere di istituzionalizzarla in tutte le sue forme.
Per evitare la programmazione tecnocratica (come si è già accennato) o la
programmazione occulta (largamente diffusa nella scorsa legislatura) occorre
individuare e rispettare vari modi di consultazione «efficace». Si coglierà
così il collegamento tra sistema di informazione tempestiva
e completa, ruolo delle forze sociali, processo di programmazione. Perché sia
efficace la consultazione deve essere: tempestiva (e non «a capestro», fatta
all'ultimo momento), non generica e con la formulazione anche di ipotesi alternative, in documenti «effettivamente» non
definitivi (si tratta di un atteggiamento psicologico di chi consulta, più che
della formalità di definirli «bozze»). Infine la consultazione deve essere
permanente, soprattutto in un processo di programmazione «scorrevole» ed
elastico: nel concepimento, nel nascere, nel realizzarsi del piano. Importante
è infatti la partecipazione sia nella individuazione
degli obiettivi, come nel controllo costante degli effetti del piano.
G.1. -
Infine restano da evidenziare alcuni problemi aggiuntivi che si porranno alla
sperimentazione delle Regioni e degli Enti locali, laddove non si sia risolta
in modo semplificato la questione dei livelli sub-regionali. In tal caso, ed é
questa una delle maggiori preoccupazioni per chi paventa i due livelli, occorre
definire chiaramente le funzioni degli organi politici sia del comprensorio,
sia dell'Unità locale (per usare le denominazioni utilizzate nel precedente
paragrafo A/5), per non ritrovarsi di fatto
nell'attuale situazione della giustapposizione di ruoli analoghi di enti
diversi, con le duplicazioni ed i rallentamenti inevitabili.
G.2. -
Anche se è evidente che in questi casi il livello comprensoriale, più ampio,
nasce per esigenze essenzialmente legate allo sviluppo economico e alle grandi
infrastrutture del territorio, sembra semplicistica e pericolosa una distinzione
rigida di materie tra il livello comprensoriale ed il livello dell'Unità
locale. Infatti è evidente che ogni livello di
governo ha da esercitare il suo ruolo su tutte le materie, con un rilievo più o
meno decisivo, ma certo esistente; e ciò anche per le inter-relazioni ormai da
tutti riconosciute fra i vari settori. Comunque al
livello più ampio, il comprensoriale, spetta soprattutto il ruolo programmatorio di interazione tra i settori economico,
territoriale, sociale, recependo e dibattendo le esigenze di piano delle Unità
locali che lo compongono. Appare proponibile che il livello di
Unità locale abbia un ruolo pianificatorio e gestionale globale per la
politica dei servizi, mentre resta da precisare, e verificare nelle sperimentazioni
che si fanno, il suo ruolo per la politica del territorio e per la politica
economica e del lavoro.
H.1. - È
da riprendere a questo punto la problematica delle inter-relazioni tra
programmazione regionale e programmazione locale (3).
Da un lato si avverte l'esigenza di valorizzare il momento ascendente del
processo programmatorio che deve far emergere dal
basso un bilancio sociale dei bisogni e delle
esigenze, che non si fermi però solo alla denuncia e alla petizione ma prenda
corpo in proposte di intervento con il progetto di piano locale (comunale,
consortile, di quartiere, a seconda delle situazioni). Dall'altro si avverte
l'esigenza di concretizzare il momento discendente con la emanazione
di leggi regionali di delega agli enti locali, con la individuazione di standards minimi di servizi, quando ritenuto necessario,
con adeguati finanziamenti per la concretizzazione dei piani locali di
sviluppo.
H.2. - Il
momento di incontro definitivo (pur nella
transitorietà temporale del quinquennio e dell'annualità) di queste due spinte
- ascendente e discendente - dovrebbe realizzarsi in sede di Consiglio
regionale, con la discussione ed approvazione dei vari piani locali. Ma a questo punto la sperimentazione si dimostra ancora una
volta importante, anche e soprattutto nelle situazioni regionali in cui si
siano realizzati due livelli sub-regionali (esiste ancora un canale diretto:
Regione - Unità locale, od esso è sempre mediato dal Comprensorio?).
III - Orientamenti per
i servizi
I.1. -
Invero il dibattito e la sperimentazione su quali contenuti e quali prestazioni
in senso innovativo immettere nei «contenitori» multifunzionali di livello sub-regionale
non sono andati molto avanti in questi ultimi anni. Ciò è
dovuto anche al fatto che da un lato si paventano modelli organizzativi
studiati teoricamente e calati dall'alto, dall'altro esiste il problema della
ricognizione dell'esistente e della sua riconversione. Questi due problemi si
possono affrontare adeguatamente operando sul campo ed è ciò che si dimostra
fattibile, almeno per una parte delle Regioni, nella
seconda legislatura regionale, una volta impostati e risolti i problemi di
fondo istituzionali ed organizzativi dell'Unità locale.
I.2. - I
servizi infatti non vanno concepiti a sé, come un elenco definitivo, univoco,
completo di strutture da realizzare, ma vanno visti come strumenti da adottare
e da modificare in funzione delle «prestazioni» di cui i cittadini possono servirsi,
prestazioni corrispondenti alle esigenze evidenziatesi prioritarie e agli
obiettivi fatti propri dai piani locali e regionali.
L.1. - Risulta prioritario comunque garantire su base territoriale
adeguata (i quartieri, i distretti socio-sanitari) i servizi essenziali. Per
certi versi gli inventari regionali possono anche evidenziare che le attuali
strutture non sono quantitativamente distanti da standards ottimali: ma il
problema diffuso è quello di equilibrarne la distribuzione su tutto il
territorio, e spesso di modificarne la metodologia operativa.
L.2. - Il
riequilibrio territoriale in fatto di prestazioni ai cittadini, la creazione
di condizioni obiettive per la deistituzionalizzazione
(sia sanitaria che socio-assistenziale), la conseguente riduzione delle
degenze (sia in numero assoluto, sia nella loro durata media) soprattutto nelle
istituzioni ospedaliere: questi tre sembrano obiettivi diffusamente proponibili
per i piani regionali e locali soprattutto in questa fase di transizione da
un assetto arcaico (centrato sulle diseguaglianze e sulla istituzionalizzazione) ad un tentativo dal basso di
precorrere le riforme.
L.3. - In
tal senso una oculata analisi critica degli attuali
bilanci degli enti locali, per il comparto almeno dei servizi e dello sviluppo
sociale, costituisce un momento operativo ineliminabile. Da tali analisi
dovranno scaturire modifiche - spesso sostanziali ed ampie, anche se talora
condizionate da gradualità - da concretizzare nei nuovi bilanci di previsione.
L.4. -
L'esigenza di nuovi quadri per il nuovo assetto locale
dei servizi va considerata prioritariamente, valutando oculatamente tutte le
possibilità e le modalità di riconversione del personale esistente. Ciò per esigenze di contenimento della spesa finanziaria per
l'innovazione e soprattutto per la scelta politica di non affiancare ad un vecchio
sistema di servizi alcuni servizi innovativi.
M.1. -
Anche per concretizzare la partecipazione popolare su temi non generici ma di vitale importanza, sembra largamente proponibile
il dibattito locale sul «diverso uso dell'ospedale e della scuola nella realtà
locale». Da tale analisi dovrebbero scaturire proposte concrete e concretizzabili
(per effetto dell'avvio della riforma sanitaria con la legge 386 e della
concretizzazione dei decreti delegati per la scuola).
In particolare dovrebbe conseguirne la priorità di dare: ai
servizi socio-sanitari di base (talora concretizzati come Centri
socio-sanitari) visti in funzione di prevenzione e di filtro alle strutture più
complesse; ad una metodologia di lavoro degli operatori (sanitari, sociali,
educativi) più proiettata sul territorio, sulle residenze, sulle famiglie, sugli
ambienti di lavoro; ad un effettivo condizionamento ed imbrigliamento del
ruolo dell'ospedale e della scuola da parte della politica sociale del
territorio.
M.2. -
Tenuto conto della riconversione d'uso di attuali
edifici o locali destinati ai servizi (per cui si impone un oculato censimento
di tali risorse a livello locale) e dell'esigenza di non pietrificare la
composizione e la consistenza del sistema locale di servizi, è auspicabile un
serio impegno per favorire la polivalenza - nei limiti del possibile e del
serio, ovviamente - dei centri di servizio, intesi come «spazi pubblici», evitando
sia sprechi di monumentalità, sia il senso di
appartenenza degli spazi da parte dei singoli servizi e relativi operatori.
M.3. - Pur
affermando che la prevenzione è una strategia generale, di cui dovrebbero
essere partecipi anche altri settori del piano locale e regionale (politica
del territorio, del lavoro, della casa), occorre però concretizzare - assieme
alle organizzazioni dei lavoratori - anche interventi di prevenzione «mirata»,
che incidano concretamente nella realtà locale (per i lavoratori di dati
settori, per la natalità e per, i minori, per certe categorie di emarginati). L'impegno alla prevenzione va poi
concretizzato sia nell'adozione di strumenti adeguati, ma anche nel largo impegno
di massa (in cui educatori non sono solo gli operatori socio-sanitari
patentati) basato sulla responsabilizzazione e sulla
corretta informazione.
M.4. - In
concreto, circa i servizi di base, si ritengono prioritari i servizi sanitari
ed assistenziali domiciliari, l'assistenza economica (come garanzia del minimo
vitale, anche al fine di evitare
istituzionalizzazione per bisogno economico), soluzioni comunitarie alternative
all'istituzionalizzazione (comunità alloggio, affidamenti, ecc.). Inoltre
vanno sperimentati servizi intermedi ed in tal senso va attentamente seguita la
sperimentazione di Centri socio-sanitari, che partono dalle esperienze dei poliambulatori e dei centri sociali,
ma che dovrebbero largamente innovarle sia nell'estensione del campo di
intervento (anche preventivo), sia nella metodologia operativa (anche per
effetto di quanto detto sulla partecipazione).
M.5. - Gli
operatori costituiranno nell'immediato un nodo essenziale
nel passaggio dal «vecchio» al «nuovo», sia per la loro disponibilità
istituzionale a lavorare ora nei servizi del territorio (per effetto dello
scioglimento degli enti già in atto), sia per le varie difficoltà di una
diversa e pianificata loro utilizzazione (talora personale anziano e non
facilmente riconvertibile a nuove prestazioni, sua attuale dislocazione in sedi
di lavoro in genere accentrate nelle zone urbane, ecc.). Le Unità locali,
almeno in questa fase, dovrebbero dedicare particolare impegno ed iniziativa
in tal campo (anche come scelta di persone a ciò impegnate nello staff centrale dell'Unità locale, di cui si è detto).
M.6. - In
particolare la nuova configurazione dell'«operatore dei servizi pubblici»
dovrebbe comportare per le organizzazioni sindacali (a livello
nazionale, regionale, locale) sia una visione non più per settori
(parastato, enti locali, statali, scuola, ecc.) e per comparti dei problemi dei
lavoratori dei servizi, sia la considerazione delle particolari condizioni di
lavoro di tali lavoratori non più visti come «burocrati» (con orario d'ufficio
e di sportello), ma come «operatori sul campo» (flessibilità orari, recuperi,
ferie, ecc.). Il tutto inquadrato in una valutazione ed in un
impegno sindacale circa i piani locali di sviluppo.
(1) A cura del gruppo
di studio sull'unità locale. I precedenti documenti sono stati pubblicati sui
numeri 27, 30 e 32 di Prospettive assistenziali.
(2) La coincidenza tra
contenitore e singolo comune si verifica in tutta Italia in un numero
estremamente limitato di situazioni.
(3) In questo
documento, per semplificazione, i termini di programmazione e pianificazione
vengono assunti come sinonimi.
www.fondazionepromozionesociale.it