Prospettive assistenziali, n. 35, luglio-settembre 1976
ATTUALITÀ
CONSULTORI,
FAMIGLIA E ORGANI GIUDIZIARI
GIORGIO BATTISTACCI
Se può concordarsi con la impostazione e con le indicazioni di fondo contenute
nella nota di Maria Chiara Bassanini contenuta sul n.
31 di Prospettive Assistenziali
relative alla istituzione dei consultori familiari, devesi osservare che nella
nota non mancano valutazioni non approfondite e parziali ispirate forse da
pregiudizi, sia pure di segno contrario di coloro che desiderano mantenere un
controllo sociale sulle situazioni familiari e che vengono giustamente
stigmatizzati dalla Bassanini. Mi sembra che il
discorso sui consultori vada approfondito onde evitare
impostazioni errate: purtroppo l'esperienza dimostra che nel proporre ed
impiantare i Consultori ci si è troppo spesso unicamente attardati nel disquisire
sul carattere pubblico o privato da dare ad essi e sulle concezioni ideologiche
della famiglia, senza voler affrontare in maniera seria le problematiche
concrete che stanno al di sotto della vita del nucleo familiare e dei bisogni
dei suoi componenti, in particolare dei minori.
È innegabile che l'istituzione dei
Consultori è stata vista da alcune forze politiche, in
particolare da una certa parte della Democrazia Cristiana, come uno strumento
per riprendere un controllo sulla vita della famiglia e delle persone che la
compongono, come sono innegabili i pericoli rappresentati da un certo modo di intendere il Tribunale per la famiglia.
Così pure è innegabile, come afferma
Va però di fatto osservato che
ancora i componenti il nucleo familiare sono ben
lontani dall'avere acquistato una tale capacità di organizzarsi in maniera
autonoma e responsabile; l'esperienza di ogni giorno dimostra come in materia
di minori, per non accennare ad altri problemi, gli adulti non solo pretendono
di determinare e di condizionare in maniera totale la vita dei loro figli ma
anche li strumentalizzino nelle loro reciproche polemiche e contrasti e da qui
sorge la necessità di qualcuno che tuteli i diritti e la personalità dei
minori stessi.
Inoltre la istituzione
dei Consultori va vista come l'inizio di una politica, che è sempre mancata
nel nostro paese, di attenzione ai problemi familiari per cui si continuava a
considerare la famiglia in termini puramente privatistici
cioè come un'isola, una città franca della quale la società non doveva e non
poteva interessarsi.
La famiglia va vista potenziata come
comunità di soggetti liberi e responsabili che devono trovare nella loro
autonomia consapevole la soluzione ai loro problemi. Inoltre non può ritenersi
che i problemi che creano difficoltà per instaurare
validi rapporti interpersonali tra i componenti di una famiglia, siano dei
problemi puramente interni alla famiglia: il più delle volte sono esterni e
sono la mancanza di lavoro o i ritmi del lavoro, la mancanza di una abitazione
idonea o quella di alcuni servizi ecc. Tali problemi non possono essere risolti
che a livello della società più vasta per cui può apparire addirittura inutile
o deviante l'opera di un consultorio inteso come servizio che intervenga per
sanare o ricostruire i rapporti intrafamiliari in
crisi.
Va evitato però anche di ignorare la
famiglia come gruppo e istituzione sociale e di abbandonarla al suo destino
per vedere solo i problemi delle singole persone staccati dal contesto in cui esse vivono. Ciò significherebbe cedere ad
una concezione individualistica della vita ed accentuare la privatizzazione
della famiglia, caratteristica della società borghese, che presenta una
famiglia come ambiente chiuso o come momento della soddisfazione dei bisogni e
degli interessi personali, in antitesi con una
società vista come l'ambiente che minaccia tali interessi, della quale è più
conveniente non occuparsi e dalla quale anche è necessario difendersi.
Qualunque sia la concezione di
famiglia da cui si muova, anche quella della morte della famiglia,
non può negarsi che molti problemi delle persone si manifestano o si scaricano
nel contesto familiare per cui tale contesto non può essere ignorato.
La tutela della personalità e la
risposta ai bisogni delle persone che vivono in una
famiglia, come i figli e gli stessi coniugi (ad es. per realizzare tra loro
una completa parità) non può essere data esclusivamente dal Giudice, secondo
le indicazioni del nuovo diritto di famiglia, ma occorre trovare e far
funzionare altri strumenti espressi da tutta
Su questo piano va anche evitato di
vedere il Consultorio come struttura che si ponga in
termini esclusivamente sanitari e che sia solo capace di dare alla donna
indicazioni o di fornirle strumenti per la contraccezione e il controllo delle
nascite. Vi è insomma una realtà di rapporto interpersonale di coppia e tra
genitori e figli che non può essere ignorata.
Va ancora evitato il pericolo molto
accentuato, in considerazione delle leggi approvate o delle proposte
legislative già presentate da alcune regioni, di istituire i Consultori come un
nuovo servizio autonomo che si aggiunga ad altri servizi
esistenti o da istituire a livello locale. Questo discorso
pone in discussione tutta la logica dei servizi socio-assistenziali da
creare sul territorio. Non basterà infatti abolire
gli enti assistenziali di carattere nazionale per evitare la burocratizzazione,
la settorializzazione, e la diversità degli
interventi socio-assistenziali, se, a livello della regione e degli enti
locali, si ricreeranno servizi numerosi, autonomi, settorializzati,
con la pretesa di rispondere in maniera separata e diversificata ai diversi
bisogni dei cittadini.
Ogni servizio nuovo che si instaura in questa logica, e quindi anche quello dei
consultori, verrà a creare nuovi bisogni, senza neppure porsi il problema
delle effettive cause dei bisogni stessi, contribuirà a deresponsabilizzare i
portatori del bisogno e la comunità tutta, verrà a dare origine a nuovi,
anche se diversi centri di potere.
Una nuova politica dei servizi deve
preoccuparsi invece di creare i servizi là dove
emergono realmente i bisogni e quindi con una ottica rivolta ad affrontare le
cause del bisogno, cioè ponendosi i problemi di tutta la comunità e sollecitando
questa a risolverli.
Rimanendo nel campo delle tematiche familiari e minorili, i bisogni potranno essere
la conseguenza della mancanza del lavoro o della qualità del lavoro svolto, della
mancanza o della insufficienza di una abitazione, della mancanza o del
fallimento di una istituzione scolastica, della carenza di strutture di tempo
libero, oppure di uno stato di malattia o di disturbi della personalità cui
non rispondono i servizi sanitari o di igiene mentale e simili.
Le risposte allora vanno date
innanzi tutto come attuazione a livello generale e locale di una politica
diversa della occupazione, della casa, dell'assetto
del territorio, del funzionamento delle strutture scolastiche, sanitarie ecc.
Vanno ancora date attraverso il
coinvolgimento comune dei servizi esistenti sul territorio come scuole
materne, iniziative scolastiche a tempo pieno,
servizi di medicina scolastica, ambulatori, centri di igiene mentale,
consultori, servizi sociali, gruppi appartamento, comunità autogestite,
centri culturali, ricreativi sportivi ecc., che dovrebbero strutturarsi a
livello di quartiere, di distretto, di comprensorio e unificarsi nella unità
locale dei servizi, democraticamente gestita e capace di sollecitare la
collaborazione di tutti i cittadini del territorio interessato. In questo
quadro potrà situarsi anche il consultorio familiare inteso come punto di
riferimento e momento di approccio dei componenti di
una famiglia, ai cui problemi dovrà essere poi interessato l'ente locale e
ogni tipo di servizio esistente sul territorio. Se infatti
il bisogno è l'abitazione dovrà essere la comunità locale a soddisfarlo, se il
bisogno è un problema sanitario o di contraccezione dovranno essere i servizi
sanitari a rispondere, se il bisogno è di natura psicologica o psichiatrica
sarà richiesto l'intervento di un centro di igiene mentale, se ancora il
problema è scolastico sarà la scuola e i servizi relativi a intervenire e
così via. Questo non esclude che vi possa essere un momento in cui gli
operatori e anche gli eventuali specialisti dei diversi servizi possano
ritrovarsi insieme, come una équipe, per esaminare il
problema della famiglia o di un minore, ma non vi è la necessità che esistano operatori o specialisti propri e stabili dei consultori.
Impostati i servizi in tale quadro
unitario, nel cui seno possono trovare collocazione
anche le funzioni caratterizzanti un consultorio, potranno aversi anche le
risposte alle problematiche minorili di cui parla l'art. 1 lettera A della
legge n. 405.
Tutti i vari servizi potranno
svolgere anche un'opera di collaborazione con la giustizia minorile,
con riferimento pure alle nuove competenze attribuite a questa dal nuovo
diritto di famiglia (ad es. fornire elementi per la valutazione della maturità
psico-fisica del minore che chiede di essere ammesso a contrarre matrimonio).
Naturalmente va sottolineato
che la risposta ai bisogni va data il più possibilmente a livello dei servizi e
che solo nei casi limite di contrasti e di possibili pregiudizi dei diritti dei
singoli dovrà intervenire il giudice.
Un'ultima osservazione va fatta per quanto attiene al giudice della famiglia.
È evidente che tale giudice non deve
avere lo scopo di porre la famiglia sotto tutela né di ledere
quella autonomia della famiglia che
www.fondazionepromozionesociale.it