Prospettive assistenziali, n. 35, luglio-settembre 1976
ATTUALITÀ
DECENTRAMENTO
AMMINISTRATIVO E PARTECIPAZIONE: LEGGE NAZIONALE E PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL
COMUNE DI TORINO
ALBERTO DRAGONE
L'ampio dibattito
politico e tecnico che ha portato l'approvazione della legge nazionale n. 278
dell'8 aprile 1976
«Norme sul decentramento e la partecipazione dei cittadini nella amministrazione del comune» (1), trova origine fin dalle
prime esperienze di organizzazione autonoma a livello di quartiere dei
cittadini degli anni '65 e '66, ma soprattutto dalle istanze che il movimento
di classe espresse durante le lotte del '68 e '69.
È stato infatti
allora che si è messo per la prima volta in discussione, nella sua globalità,
l'assetto dello Stato in Italia, e si sono poste le basi per una ipotesi di
struttura statuale diversa, in cui il rapporto tra cittadino e istituzione
fosse modificato radicalmente, ridando al cittadino un ruolo di protagonista.
Decentramento e
riforma dello Stato
A dire il vero la necessità di
eliminare la struttura «borbonica» dello Stato italiano era
emersa ancor prima, quando negli anni '60 si
era affermata la necessità di giungere alla programmazione economica, con la
conseguente volontà di dare allo Stato un nuovo ruolo, non più di semplice
spettatore di eventi esterni.
Ma sappiamo bene che l'unanimità quasi
totale che accolse la proposta di programmazione, nascondeva in realtà
interessi ed obiettivi profondamente diversi e talvolta opposti.
Per la borghesia
la programmazione era solo uno strumento per controllare meglio la
classe operaia (politica dei redditi) e per superare le resistenze degli
ambienti capitalistici più arretrati, favorendo così lo sviluppo dei gruppi economici
più avanzati, sia di capitale privato che misto, collocati ormai saldamente nel
mercato internazionale e quindi con precise esigenze.
Per essi la
trasformazione dello Stato era necessaria soprattutto in un'ottica di razionalizzazione,
di maggiore efficientismo, con l'inserimento di tecnici preparati e fedeli,
che eliminassero per quanto possibile la pesantezza di uno Stato troppo
burocratico, non in grado ormai di seguire con agilità le richieste sempre
nuove dovute ai repentini mutamenti del libero mercato internazionale.
Per le forze riformiste
il discorso era evidentemente diverso: per i socialisti dei primi centro
sinistra ed anche per le forze politiche dell'opposizione, come il PCI, e per i
sindacati, la programmazione aveva senso come tentativo di avviare un processo
di riequilibrio delle risorse del paese, soprattutto nella prospettiva di colmare
il divario sempre pesantissimo tra Nord e Sud e di limitare lo spazio di
manovra del capitale privato a vantaggio del complesso dell'economia
nazionale e del benessere sociale e politico del paese.
Per queste forze la trasformazione
della struttura dello Stato assumeva un preciso connotato politico di
rinnovamento: diventava prioritaria la regionalizzazione
dell'amministrazione pubblica, si incominciava a fare
riferimento al territorio come punto di partenza per la riorganizzazione
complessiva delle istituzioni, si affermava il principio della partecipazione
dei cittadini alle scelte politiche, affiancando nuovi momenti e nuove forme di
attività politica al tradizionale processo di delega elettorale. Ma almeno in quella fase non si andò oltre le enunciazioni
di principio.
Le esperienze di
lotta del 1968-69 arricchiscono il quadro politico del paese con nuove realtà
non istituzionali, che sperimentano forme diverse di vita politica, senza
attendere che il Parlamento ne riconosca l'esistenza. Gli anni successivi, accanto alle
prime trasformazioni istituzionali (la creazione delle Regioni del '72), vedono così crescere e consolidarsi esperienze di
organizzazione spontanea e autonoma dei cittadini, sia su singoli problemi
(vari comitati di lotta per la casa, i servizi ecc.) sia a livello complessivo
(comitati di quartiere spontanei ecc.).
Prima proposta di
legge sul decentramento (1971)
Un primo tentativo di risposta a
queste nuove esigenze da parte del Parlamento, viene
dato con la proposta di legge n. 3143, presentata alla Camera dei deputati il
26 febbraio 1971 «Decentramento amministrativo dei comuni in
circoscrizioni», d'iniziativa dei capi-gruppo di tutti i partiti dell'arco
costituzionale (Andreotti,
Bertoldi, Bozzi, Ceravolo
Domenico, Ingrao, Orilia, Orlandi).
Questa proposta di legge riguarda
però solo il problema del decentramento amministrativo, e rispecchia
l'impostazione tradizionale di riforme istituzionali calate dall'alto, che non
tengono conto delle diverse realtà già esistenti sul territorio.
È sintomatico, a questo proposito,
che nella relazione introduttiva si faccia
riferimento al decentramento realizzato a Roma e Bologna ed in parte a Milano
(dove fu promosso dall'amministrazione comunale e rappresentò di fatto una
semplice articolazione in scala della composizione politica dell'amministrazione
comunale, senza reali poteri decisionali e di autonomia) e non si accenni
assolutamente alle esperienze in atto a Torino ed in molte altre città, di
comitati di quartiere spontanei, momenti di vera alternativa politica, di
partecipazione costruita dal basso, auto-organizzata e non canalizzata al
consenso di questo o quel partito politico o gruppo di potere.
Ma nonostante la presentazione
unitaria del progetto, anche in questo caso diverse sono le logiche portate
avanti dalle varie forze politiche promotrici.
Per
Le forze di sinistra invece
collocano correttamente la realizzazione del decentramento all'interno
della battaglia più generale per la rifondazione delle autonomie locali, sulla
base di un articolato programma politico, che va dalla riforma della finanza
pubblica, alla revisione della legge comunale e provinciale, all'effettiva realizzazione
delle deleghe dallo Stato alle Regioni e da queste agli Enti Locali ecc.
Non un semplice
problema di razionalizzazione e moralizzazione dunque, ma l'affermazione di un
preciso impegno di rinnovamento politico.
Anche l'impostazione data dalle
forze parlamentari di sinistra è però insufficiente
rispetto alle richieste che emergono a livello di base.
In primo luogo possiamo notare che
in questa fase non si fa praticamente cenno alla
partecipazione, se non come una conseguenza meccanica del decentramento
amministrativo. Ma sappiamo bene che la partecipazione
ha un significato ben più complesso, e che per un suo realizzarsi reale è
necessario mettere profondamente in discussione il metodo di lavoro delle
istituzioni e soprattutto fornire alla popolazione gli strumenti perché essa
possa dare contributi validi alle scelte politiche. E proprio l'esperienza di
quegli anni aveva fatto verificare che anche in città «decentrate» come Roma,
Milano e Bologna, con il semplice decentramento amministrativo, non si erano innestati processi di reale partecipazione. In questa
prospettiva i movimenti di base già allora, e poi con sempre maggiore chiarezza,
avevano rivendicato che accanto all'istituzione dei Consigli di quartiere tramite
il decentramento, venissero garantiti reali spazi politici
alle organizzazioni di base, non con la loro istituzionalizzazione, ma
rispettandone l'autonomia e riconoscendone un preciso ruolo come momento
partecipativo della popolazione.
Un altro aspetto che la posizione
delle forze di sinistra non sottolineava a sufficienza
era quello dello stretto collegamento esistente tra rifondazione delle
autonomie locali, trasformazione dello Stato e realizzazione delle riforme.
Infatti le ipotesi di riforma che il
movimento di classe stava portando avanti in campo sanitario,
socio-assistenziale, urbanistico, ecc., si basavano su una ricomposizione a
livello di territorio di tutte le esigenze e delle relative risposte, e non su
riforme settoriali. Di qui l'esigenza di individuare i nuovi ambiti
territoriali di intervento e i nuovi livelli di
gestione.
Partendo da questi presupposti i
movimenti di base impegnati nel settore dei servizi hanno elaborato una ipotesi di riforma che ha come obiettivo la creazione
delle Unità locali di tutti i servizi, con un unico organo di governo
responsabile della gestione dei servizi stessi, nella prospettiva della
riduzione dei comuni.
Come abbiamo più volte scritto su Prospettive Assistenziali
per arrivare all'UL è necessario eliminare tutti gli enti nazionali esistenti,
delegare tutte le competenze in materia alle Regioni e attribuire la gestione
diretta dei servizi alle costituende UL, cioè ai Comuni, Consorzi di Comuni e
Comunità montane (2). Di qui l'esigenza di suddividere il territorio regionale
in aree di intervento aggregando i Comuni piccoli e
disaggregando quelli troppo grossi in modo da avere una certa quale uniformità
tra le diverse zone (3).
Per mantenere il principio della individuazione di un unico ambito territoriale per i
diversi interventi, i movimenti di base hanno sempre identificato il
decentramento amministrativo dei grossi comuni con la suddivisione del
territorio in UL e la creazione del nuovo livello di gestione, e la
partecipazione con il nuovo metodo di gestione dei servizi.
Purtroppo all'interno della sinistra
parlamentare e tra le stesse amministrazioni «rosse», non c'è un medesimo
obiettivo di fondo, come è testimoniato, per esempio,
dalla differente impostazione realizzata in Emilia Romagna ed in Toscana, rispetto
all'Umbria e recentemente al Piemonte.
Questo ha certamente pesato
negativamente al momento dell'elaborazione della proposta di decentramento, che
presenta notevoli scollegamenti da tutte queste tematiche,
quando il legame strettissimo esistente tra lotta per la creazione delle UL e
realizzazione del decentramento è confermato anche, se occorresse ancora, dal
fatto che proprio attorno alla tematica della riforma dei servizi si è
consolidato il movimento spontaneo dei quartieri e che su di essa ha visto,
almeno a Torino, le battaglie più significative.
Legge nazionale sul
decentramento n. 278
Questa differenziazione di posizioni
tra partiti della borghesia, partiti della sinistra e
movimenti di base si è conservata anche negli anni successivi alla proposta
di legge 3143 del 1971, fino all'approvazione da parte di quasi tutti i gruppi
parlamentari della recente legge nazionale n. 278.
Certamente il mutato quadro politico
e l'esperienza acquisita negli ultimi anni hanno
permesso di approvare una legge molto diversa dalla proposta del 1971, ma
ancora insufficiente a rispondere alle esigenze di una reale partecipazione e
inadeguata rispetto ai poteri attribuiti ai Consigli di quartiere.
In questo senso condividiamo la
posizione espressa dal Coordinamento dei Comitati di quartiere di Torino che in
un documento del luglio 76 sinteticamente sottolinea:
1) la legge rappresenta un
compromesso tra le forze di maggioranza e di minoranza (è stata approvata da
tutti i partiti, con voto contrario del MSI-DN e l'astensione del PRI);
2) si tratta di una legge-quadro,
che noi riteniamo una legge di transizione, strettamente legata
alla logica centrale del potere burocratico; per la sua impostazione non può
rispondere che in minima misura alle esigenze dei Comitati di quartiere e dei
movimenti di base;
3) è una legge che, come primo
obiettivo, si preoccupa di attuare alcune urgenti norme di decentramento
comunale: le grandi città sono oggi praticamente
ingovernabili dal centro;
4) la legge privilegia
le forze partitiche e l'attuale sistema di conquista e di gestione del potere;
di conseguenza tende nella sostanza a trascurare i movimenti di aggregazione e
di socializzazione sorti negli scorsi anni sia nella fabbrica che sul territorio;
5) un decentramento pilotato dal
centro, che migliori anche solo parzialmente la funzionalità
e l'efficienza dei servizi, viene di fatto a soffocare o a condizionare la
volontà di partecipazione dei movimenti di base liberamente sorti tra i cittadini.
Un decentramento non partecipato è una ulteriore forma
di controllo dall'alto;
6) la legge favorisce il
decentramento nelle grandi città, soprattutto in quelle
superiori ai 40.000 abitanti, mentre è inadeguata per i piccoli comuni
dove è necessario prevedere e facilitare processi di riaccorpamento
del territorio e dei servizi relativi e di ricomposizione della comunità nella
prospettiva dell'Unità locale e di una effettiva «rifondazione» del Comune e
dell'Ente locale.
7) è opportuno che, superato un
certo periodo di sperimentazione (non superiore alla attuale
legislatura), i parlamentari democratici si facciano promotori di una nuova
legge che sostituisca in modo organico l'attuale Testo unico sulla legge
provinciale e Comunale, e, almeno, riveda la legge 278, per modificarne alcuni
articoli che riteniamo in contrasto con i principi della partecipazione,
quali quelli che si riferiscono a: parallelismo delle elezioni dei Consigli di
quartiere con quelle di altri organismi, sistema elettorale, presentazione
delle liste, tempi e scadenze, accentramento di tutti i poteri nella figura
del presidente, esagerata percentuale per la presentazione delle petizioni,
norme superate per la eleggibilità dei consiglieri, ecc.
Attuazione a livello
locale della legge nazionale n. 278
Nello stesso tempo esiste il
problema di come utilizzare la legge 278, di quali contenuti è possibile
recuperare a livello dei regolamenti comunali per cercare di farne uno
strumento di cui si può servire il movimento di classe per aumentare
la sua forza.
Per rendere più chiaro il nostro
discorso, è opportuno analizzare, a titolo esemplificativo,
la proposta di regolamento sul decentramento e sulla partecipazione dei
cittadini dell'amministrazione del Comune di Torino, presentata dalla
Giunta municipale nel giugno di quest'anno.
Non esamineremo l'intero articolato, ma soltanto i punti più significativi,
sottolineandone alcuni limiti e cercando di definire le possibili alternative,
rispettando le norme ristrette imposte dalla legge nazionale.
Per quanto concerne il decentramento
amministrativo è previsto:
a)
organi del decentramento:
Consiglio di quartiere (è prevista la possibilità di associazione
tra più quartieri), Presidente del Consiglio di quartiere, Commissioni istituite
dal Consiglio di quartiere, Commissione consiliare al decentramento;
b) composizione del Consiglio di quartiere: 21 membri nei quartieri fino a
40.000 abitanti e 27 membri nei quartieri non oltre 40.000 abitanti;
c)
funzioni deliberative:
gestione dei servizi socio-sanitari e di igiene
urbana, asili nido e scuole materne comunali,attività parascolastiche, biblioteche
ed attrezzature culturali, centri sportivi e ricreativi, funzionamento del
centro civico, gestione del patrimonio comunale per quanto attiene al
quartiere, gestione dei fondi economali per il proprio funzionamento, altre
materie che il Consiglio comunale riterrà di delegare;
d)
consultazioni e pareri riguardanti:
a) i piani economici pluriennali di investimento e le spese vincolanti il bilancio per oltre
cinque anni;
b) i criteri generali di
realizzazione e gestione dei servizi nonché le
deliberazioni programmatiche per materie e per settori di attività;
c) gli strumenti di pianificazione
urbanistica e altri provvedimenti relativi all'assetto
del territorio;
d) i regolamenti comunali e le
delibere quadro;
e) i provvedimenti in tema di
trasporti, traffico e viabilità quando non siano di ordinaria
amministrazione;
f) i piani relativi
all'organizzazione della rete di distribuzione commerciale.
Il parere inoltre è richiesto:
g) sulle domande di
autorizzazioni edilizie;
h) sull'assegnazione di alloggi comunali di risulta;
i) sulle concessioni di suolo
pubblico;
l) sulle
autorizzazioni per l'apertura, trasferimento e ampliamento degli esercizi
commerciali;
m) sui progetti relativi ad opere
pubbliche di rilievo cittadino da realizzare nel quartiere e su quelli relativi alle nuove opere previste nei piani di lavoro del
quartiere;
n) sui provvedimenti in tema di
trasporti, traffico e viabilità quando siano di ordinaria
amministrazione.
e)
Il presidente del Consiglio di quartiere ha inoltre le seguenti attribuzioni
a) ordinarie:
Il Presidente del Consiglio di
quartiere quale rappresentante del Consiglio di quartiere
1) convoca e presiede il Consiglio
di quartiere, assicurando il buon andamento delle sedute;
2) tutela le prerogative dei
consiglieri e assicura l'esercizio effettivo delle loro funzioni;
3) collabora nel far osservare le deliberazioni del Consiglio comunale e della Giunta, nonché
nell'applicazione dei regolamenti;
4) cura, secondo le deliberazioni e
con le modalità stabilite dai Consigli di quartiere, ogni rapporto con
l'amministrazione comunale e dirige le funzioni amministrative attribuite al
quartiere;
5) cura l'attività dei centri civici
esistenti nel quartiere secondo le deliberazioni assunte al riguardo del
Consiglio di quartiere;
6) riferisce, anche in nome del
Consiglio di quartiere al Sindaco, agli Assessori competenti sui problemi del
quartiere e sul funzionamento delle Commissioni di quartiere e di ogni servizio, istituto o ufficio di quartiere;
7) dà esecuzione alle deliberazioni del Consiglio di quartiere;
8) vigila sulla corretta, ordinata e
democratica gestione degli uffici, servizi ed istituzioni comunali esistenti
nel quartiere nonché delle altre attività e funzioni
demandate al quartiere e ne riferisce al Consiglio di quartiere. Può, a tal
fine, effettuare visite e sopralluoghi ed indire
riunioni di lavoro dei dipendenti dei predetti uffici, servizi ed istituzioni,
dandone preventiva comunicazione agli Assessorati interessati per materia;
9) riferisce semestralmente sull'operato di tutti gli organi di quartiere al Sindaco che ne
riferisce alla Commissione consigliare per il decentramento in riunione
congiunta con l'Assemblea dei Presidenti del Consiglio di quartiere;
10) adempie le altre funzioni
commessegli ed esercita le altre facoltà consentitegli
dalla legge;
11) partecipa alle riunioni delle
Commissioni consigliari comunali anche a mezzo di un consigliere delegato secondo le modalità
stabilite nel regolamento delle adunanze del Consiglio comunale... Tale
regolamento dovrà prevedere la possibilità di riunioni congiunte delle Commissioni
comunali e del quartiere.
b) Ufficiale di Governo:
svolge le funzioni di ufficiale di governo
che il sindaco, in tale qualità gli abbia delegato. La delega
non priva il sindaco delle sue originarie facoltà e dei suoi poteri.
f)
Infine la Commissione consiliare al decentramento ha i seguenti compiti:
a) esprimere pareri previsti dal
presente Regolamento;
b) definire i tempi e le modalità delle consultazioni, individuare tra gli atti sui quali non
sia obbligatoria la consultazione, quelli per i quali appare opportuna;
c) provvedere, di concerto con gli
Assessori di competenza, alla prima attuazione e quindi all'aggiornamento
dell'ordinamento degli uffici comunali in relazione alla
ripartizione in quartieri;
d) svolgere, in
genere, ogni altra funzione inerente al rapporto tra Comune e quartiere.
Su questa parte, relativa al
decentramento, le nostre osservazioni, presentate anche in sede di
consultazione, sono le seguenti:
1) è opportuno elevare al massimo il
numero dei consiglieri, e cioè 32, per garantire la
maggiore rappresentatività possibile;
2) non è opportuno prevedere l'associazione
tra più quartieri, per evitare che il riferimento all'Unità locale possa
cadere, qualora alcuni quartieri non vogliano gestire alcuni
servizi e li deleghino così ad altri.
Per le materie che interessano più
quartieri (es. i servizi di secondo livello) è preferibile prevedere un
accordo tra il Comune ed i Consigli di quartiere interessati, previa
consultazione con le forze democratiche, nel quale definire il problema ed
eventualmente affidare la gestione del servizio in oggetto ad un solo
Consiglia di quartiere, anche per conto degli altri;
3) è necessario ridimensionare la
figura del presidente. Il Consiglio di quartiere prefigurato nella proposta è
un consiglio «presidenziale», con esautorazione del consiglio
stesso, concentrando in una sola persona la maggior parte delle funzioni.
È stato quindi proposto di
affiancare al presidente un esecutivo che assolva ai
compiti attualmente demandati al solo presidente. A questo scopo è anche
opportuno prevedere i rimborsi spesa non solo per il
presidente, ma per tutti í consiglieri che verranno via via
incaricati a svolgere determinate mansioni;
4) un altro punto di disaccordo è quello riguardante il ruolo della Commissione consiliare al
decentramento, che, stando alla proposta della giunta, è un pericoloso filtro
nei rapporti tra Consigli di quartiere e Comune poiché verrebbe ad avere un
grosso potere.
La nostra posizione è quella di
affidare alla Commissione consiliare al decentramento solo
compiti di coordinamento e di controllo delle questioni strettamente
legate al decentramento (funzionamento dei centri civici ecc.), mentre per le
altre materie delegate ai Consigli di quartiere devono essere resi possibili
rapporti diretti tra i Consigli di quartiere e gli assessorati interessati,
meglio ancora se a livello di dipartimento, per evitare lungaggini inutili.
Crediamo infatti
logico che, per un problema inerente la gestione delle scuole materne, per
esempio il Consiglio di quartiere possa avere immediati e diretti rapporti con
l'assessorato all'istruzione, (o preferibilmente con il dipartimento
istruzione, servizi sanitari, socio-assistenziali, culturali e di tempo
libero), invece di essere obbligato a rivolgersi alla Commissione consiliare
al decentramento.
Più in generale ci sembra che la
dettagliata descrizione della modalità di lavoro dei
Consigli di quartiere, presente nella proposta della Giunta municipale di
Torino, possa portare ad una loro nefasta burocratizzazione. Al contrario è
stato richiesto di indicare alcune linee operative generali, per snellire la
conduzione dei Consigli di quartiere e per dare ad essi
una autonomia anche sotto il profilo organizzativo.
Problemi riguardanti
la partecipazione
(4)
Per quanto riguarda la
partecipazione, oltre a quanto già previsto dalla legge nazionale (cioè assemblee dei cittadini e possibilità di petizioni),
gli unici nuovi strumenti previsti dalla proposta della giunta sono:
- Le commissioni
di lavoro, nel cui interno i Consigli di quartiere potranno, se sarà una loro
scelta, inserire cittadini non eletti e chiunque riterranno più opportuno
(quindi commissioni «aperte»);
- un invito generico, all'art. 16 ad
istituire «rapporti di consultazione e di collaborazione con i rappresentanti
dei sindacati dei lavoratori, delle organizzazioni di categoria, di associazioni e di altri organismi sociali».
Ci sembra quindi che sostanzialmente
venga riconfermata, anche dalla proposta della Giunta
comunale di Torino, un'impostazione del decentramento che privilegia l'aspetto
amministrativo, e che quindi non rappresenta di fatto uno strumento che possa
allargare la partecipazione dei cittadini, ed anzi modifica il movimento di
base esistente.
La nostra richiesta è stata quella
di prevedere un paragrafo apposito nel regolamento che
sottolinei come, innanzi tutto, la partecipazione deve essere un metodo di
lavoro della Giunta, del Consiglio comunale, degli assessorati, dei dipartimenti
(quando saranno istituiti) e dei Consigli di quartiere, prevedendo quindi un
confronto costante con tutti i momenti partecipativi presenti sul territorio,
comprese quindi le Organizzazioni sindacali, le associazioni, i gruppi
spontanei e tutti gli altri movimenti di base.
Questo metodo implica poi la messa a
disposizione degli strumenti necessari alla realizzazione
della partecipazione e cioè:
- informazione completa e
tempestiva;
- accessibilità ai
dati e alla documentazione in possesso del Consiglio di quartiere e delle
commissioni di lavoro;
- possibilità di utilizzare i centri
civici per incontri, riunioni ed altre iniziative promosse autonomamente dalle
organizzazioni di base presenti sul territorio.
Si potrebbe anche prevedere la
costituzione di Comitati di partecipazione, come d'altra
parte previsto dal recente disegno di legge della Giunta regionale
piemontese «Riorganizzazione dei servizi
socio-sanitari», che all'art. 6 prevede tra l'altro: «Gli statuti (dei consorzi
relativi alle Unità locali) devono inoltre prevedere
la presenza di un Comitato di partecipazione composto da rappresentanti delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle altre forze sociali presenti
sul territorio. Il Comitato di partecipazione, costituito su iniziativa delle
organizzazioni di cui sopra, definisce i criteri di rappresentanza, partecipazione
e funzionamento».
Le osservazioni di cui sopra sono
state fatte da diverse organizzazioni di base operanti a Torino, nel corso
della consultazione in atto sulla proposta della Giunta municipale di Torino.
Anche dalla verifica del loro
accoglimento potremo valutare se l'applicazione della
legge n. 278, fatta da una Giunta di sinistra, operando un'interpretazione il
più possibile estensiva, vorrà essere realmente un primo passo teso al riconoscimento
delle realtà politiche di partecipazione esistenti e l'acquisizione di un
metodo di lavoro più democratico, oppure se la linea portata avanti sarà quella
della creazione di strumenti che favoriscano la semplice organizzazione del
consenso.
(1) Testo della legge
nazionale n. 278 dell'8 aprile 1976:
Art. 1 - Fino all'entrata
in vigore di un nuovo ordinamento delle autonomie locali, allo scopo di
promuovere la partecipazione popolare alla gestione
amministrativa della comunità locale e in attuazione del principio di
autonomia sancito dall'articolo 128 della Costituzione, i comuni possono
deliberare di ripartire il territorio in circoscrizioni comprendenti uno o più
quartieri o frazioni contigui, esercitando il potere di organizzazione secondo
principi di ampio decentramento.
Art. 2 - Sono organi della
circoscrizione:
a) il consiglio circoscrizionale;
b) il presidente del consiglio circoscrizionale.
Il consiglio
circoscrizionale rappresenta le esigenze della popolazione della
circoscrizione nell'ambito della unità del comune.
Le sedute dei
consigli circoscrizionali sono pubbliche. Il presidente del consiglio
circoscrizionale rappresenta il consiglio e svolge le funzioni che gli vengono delegate dal sindaco, anche nella sua qualità di
ufficiale di Governo.
Art. 3 - I consigli
circoscrizionali sono eletti a suffragio diretto nei comuni che abbiano
conferito ai consigli stessi i poteri consultivi e deliberativi previsti dai
successivi articoli 12 e 13 e che abbiano una popolazione non inferiore a
40.000 abitanti.
A prescindere dal
numero degli abitanti del comune, nelle frazioni i consigli di circoscrizione
sono eletti a suffragio diretto, ove il regolamento comunale lo preveda e
siano conferiti i poteri di cui al primo comma.
I consigli
circoscrizionali ai quali i comuni abbiano conferito
soltanto poteri consultivi previsti dal successivo articolo 12, sono eletti
dal consiglio comunale secondo le norme e le procedure stabilite con il
regolamento previsto dal successivo art. 4.
Art. 4 - Le attribuzioni e
il funzionamento dei consigli di circoscrizione sono regolati per quanto non
disposto nella presente legge da apposito regolamento
deliberato dal consiglio comunale.
Il regolamento deve
in ogni caso contenere le norme riguardanti:
1) le attribuzioni
ed il funzionamento degli organi della circoscrizione;
2) le modalità per la elezione del presidente del consiglio circoscrizionale;
3) il numero dei componenti dei consigli circoscrizionali, che non può
essere superiore ai due quinti dei consiglieri assegnati al comune;
4) le modalità per la elezione dei consigli circoscrizionali di cui al terzo
comma del precedente articolo 3. Al riguardo il
regolamento deve stabilire che i consigli di circoscrizione sono eletti dal
consiglio comunale in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna circoscrizione
dalle singole liste nelle ultime elezioni comunali e può prevedere forme per
la designazione dei candidati a consigliere circoscrizionale da parte degli
elettori della circoscrizione;
5) le modalità
attraverso le quali i consigli di circoscrizione possono ottenere dalla amministrazione comunale e dagli enti e aziende del
comune le informazioni necessarie per lo svolgimento dei loro compiti.
Art. 5 - Tutti i consigli
circoscrizionali durano in carica per un periodo corrispondente a quello del
consiglio comunale ed esercitano le loro funzioni fino al
giorno precedente l'affissione del manifesto di convocazione dei comizi
elettorali per la rinnovazione del consiglio stesso.
Nel caso di
scioglimento o cessazione anticipata del consiglio comunale, per le cause
previste dalla legge, i consigli circoscrizionali comunque
eletti esercitano le loro funzioni fino al giorno precedente la affissione del
manifesto di convocazione dei comizi elettorali per la rinnovazione del
consiglio comunale.
I consigli
circoscrizionali di cui al primo e al secondo comma
dell'articolo 3 sono eletti contemporaneamente al consiglio comunale.
Per la indicazione delle elezioni si applica il disposto di cui
all'articolo 18 del testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 16 maggio 1960, n. 570.
Art. 6 - L'elezione
diretta dei consigli circoscrizionali si effettua a
scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale e, per quanto non previsto
nella presente legge, con l'osservanza delle norme stabilite dal testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570,
e successive modificazioni, per la elezione dei consigli comunali con
popolazione con oltre 5000 abitanti.
Art. 7 - Sono elettori
della circoscrizione gli iscritti nelle liste
elettorali delle sezioni comprese nel rispettivo territorio.
Sono eleggibili gli
iscritti nelle liste elettorali del comune anche se
non residenti nella circoscrizione in cui sono candidati.
Le norme relative alla ineleggibilità ed incompatibilità dei
consiglieri comunali sono estese, in quanto applicabili, ai consiglieri della
circoscrizione.
La carica di
consigliere circoscrizionale è in ogni casa incompatibile con la carica di
consigliere comunale.
Art. 8 - Le liste dei
candidati per l'elezione dei consigli circoscrizionali devono essere
sottoscritte da elettori della circoscrizione.
Il numero dei
sottoscrittori è determinato secondo le disposizioni dell'articolo 10 della
legge 24 aprile 1975, n. 130, intendendosi sostituita alla parola «comune» la
parola «circoscrizione».
Non è necessaria la
sottoscrizione da parte dei presentatori di lista quando
la lista stessa viene presentata insieme a quella per le elezioni del
consiglio comunale e con lo stesso contrassegno.
Art. 9 - L'elettore può
esprimere una preferenza nelle circoscrizioni nelle quali il numero dei
consiglieri circoscrizionali da eleggere è fino a 15; due preferenze nelle
altre circoscrizioni.
Le schede per la
votazione devono avere le caratteristiche essenziali
del modello descritto nelle tabelle A
e B allegate alla presente legge.
Art. 10 - L'ufficio della
sezione della circoscrizione contrassegnata col numero più basso si
costituisce in ufficio centrale, sotto la presidenza di un magistrato designato
dal presidente del tribunale.
L'ufficio così costituito
provvede alle operazioni per il riparto dei seggi e la proclamazione degli
eletti.
Ai fini del riparto
dei seggi l'ufficio divide il totale dei voti validi riportati da tutte le
liste per il numero dei consiglieri da eleggere
ottenendo così il quoziente elettorale. Attribuisce ad ogni lista tanti seggi
quante volte il quoziente elettorale risulta contenuto
nella cifra elettorale di ciascuna lista.
I seggi
eventualmente restanti verranno successivamente attribuiti alle liste per le
quali le divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in
caso di parità di resti, alla lista che abbia ottenuto la più alta cifra
elettorale. Sono considerati resti anche i voti che non abbiano
ottenuto alcun quoziente.
Se ad una lista
spettano più seggi di quanti sono i suoi componenti,
restano eletti tutti i candidati della lista e si procede ad un nuovo riparto
dei seggi nei riguardi di tutte le altre liste, sulla base di un secondo
quoziente, ottenuto dividendo il totale dei voti validi attribuiti alle liste
medesime per il numero dei seggi che sono rimasti da assegnare.
Si effettua poi la attribuzione dei seggi tra le varie liste,
seguendo le norme dei commi precedenti.
Art. 11 - Le operazioni di
scrutinio relative alla elezione del consiglio
circoscrizionale sono eseguite, senza interruzione, dopo quelle per la
elezione del consiglio comunale e in conformità alle leggi elettorali vigenti
in quanto applicabili.
Art. 12 - Il consiglio
circoscrizionale:
a) esprime pareri e proposte in ordine
al funzionamento degli uffici decentrati e alla gestione dei beni, dei
servizi e delle istituzioni comunali sanitarie, assistenziali, culturali,
scolastiche, sportive e ricreative e di ogni altro ordine, esistenti nella
circoscrizione;
b) può convocare, secondo le norme del regolamento,
assemblee per la pubblica discussione dei problemi inerenti alla
circoscrizione;
c) formula proposte per la soluzione di
problemi amministrativi interessanti la circoscrizione;
d) esprime pareri, su propria iniziativa o su richiesta della amministrazione comunale, sulle materie
di competenza del consiglio comunale.
Il regolamento
comunale stabilisce le materie sulle quali il parere
è obbligatorio: questo in particolare va reso:
1)
sullo schema di bilancio preventivo approvato dalla giunta comunale e sui piani
economici pluriennali d'investimento e spese vincolanti il bilancio per
oltre 5 anni;
2) sui criteri
generali di realizzazione e gestione dei servizi nonché
sulle delibere programmatiche per materia e settore di attività;
3) sul piano regolatore
generale e sul programma di fabbricazione; sui piani particolareggiati e di
zone e sulle convenzioni urbanistiche e in particolare sulle opere di urbanizzazione e localizzazione di edifici destinati a
servizi sociali, riguardanti la circoscrizione;
4) sui regolamenti
comunali.
Il consiglio
comunale può prescindere dal parere, dandone atto nel deliberato, ove il
consiglio di circoscrizione non si sia pronunziato entro il termine fissato dal regolamento.
Al consiglio
circoscrizionale può inoltre essere affidata la gestione contabile di fondi economali per il proprio funzionamento. La gestione sarà
esercitata secondo le norme stabilite dal regolamento comunale.
Art. 13 - Nei comuni e
nelle frazioni di cui al primo e secondo comma dell'articolo 3, oltre a quanto
stabilito nel precedente articolo il regolamento può delegare funzioni
deliberative ai consigli circoscrizionali, nelle materie attinenti i lavori
pubblici e servizi comunali che si svolgono nelle rispettive circoscrizioni,
con particolare riguardo alle opere di urbanizzazione
primaria s secondaria, all'uso di istituto e alla gestione dei beni e dei
servizi destinati ad attività sanitarie, assistenziali, scolastiche, culturali,
sportive, ricreative e di ogni altro ordine.
La gestione dei beni
relativi a detti servizi può essere affidata
direttamente al consiglio della circoscrizione, che vi provvede mediante gli
uffici di cui al successivo articolo 16.
La delega nelle
materie di cui al primo comma è conferita in base a
programmi di massima nei quali siano fissati i criteri direttivi e previsti i
fondi disponibili stanziati nel bilancio.
Art. 14 - Le deliberazioni
dei consigli circoscrizionali sono rimesse agli organi comunali, secondo 4e
modalità stabilite dal] regolamento, e divengono, a tutti gli effetti, atti
del comune se, entro termini fissati dal regolamento stesso, non sono rinviate
con osservazioni al consiglio di circoscrizione.
Sulle deduzioni del
consiglio circoscrizionale, il consiglio comunale adotta definitiva
deliberazione, soggetta ai normali criteri.
Art. 15 - Gli elettori del
comune hanno il diritto di rivolgere petizioni al consiglio comunale per
promuovere il decentramento comunale ai sensi della
presente legge.
Gli elettori del
consiglio circoscrizionale possono rivolgere petizioni e proposte di
deliberazioni al consiglio circoscrizionale, per quanto riguarda gli affari di
sua competenza.
Le petizioni debbono essere sottoscritte da non meno di un decimo degli
elettori della circoscrizione, con le modalità previste nel regolamento di cui
all'articolo 4.
Il consiglio
comunale e il consiglio circoscrizionale devono, entro sessanta giorni,
esprimere proprie determinazioni in ordine al
contenuto della petizione, secondo le modalità previste dal regolamento
approvato dal consiglio comunale.
Art. 16 - In ogni
circoscrizione, in rapporto alle funzioni attribuite, può essere costituito un
ufficio per l'espletamento delle funzioni di
istituto.
Il personale addetto
agli uffici di cui al precedente comma deve essere tratto da quello già in
servizio presso il comune.
Le spese relative al personale, alla sede ed ai mezzi per lo
svolgimento delle funzioni degli organi circoscrizionali, sono a carico del
bilancio comunale.
Art. 17 - La funzione dei
consiglieri circoscrizionali è gratuita.
Art. 18 - Per i dipendenti
dello Stato e degli enti pubblici eletti consiglieri
circoscrizionali si applicano le disposizioni degli articoli 2, 4, e 5 della
legge 12 dicembre 1966, n. 1078, e degli articoli 31 e 32, primo comma, della
legge 20 maggio 1970, n. 300.
Per i lavoratori
dipendenti da privati datori di lavoro, eletti consiglieri circoscrizionali, si
applicano le disposizioni degli articoli 31 e 32,
primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 19 - Le spese inerenti
all'attuazione delle elezioni dei consigli circoscrizionali, ivi comprese le
competenze spettanti ai membri degli uffici elettorali, sono
a carico dei rispettivi comuni.
Nel caso di
contemporaneità della elezione dei consigli comunali
e dei consigli circoscrizionali con la elezione dei consigli regionali e
provinciali tutte le spese derivanti da adempimenti comuni alle elezioni che
non fanno carico allo Stato, sono ripartite tra gli enti interessati alla
consultazione ponendo a carico del comune metà della spesa totale.
Nel caso di
contemporaneità della elezione dei consigli comunali
e dei consigli circoscrizionali con la elezione del solo consiglio regionale o
del solo consiglio provinciale, le spese di cui al precedente comma sono poste
a carica del comune in ragione dei due terzi dei totale.
Il riparto,
predisposto dai comuni interessati, è reso esecutivo dal prefetto, a, quando vi
sia interessata la regione, dal commissario del
Governo, sulla base della documentazione che i comuni stessi devono rendere
entro il termine perentorio di tre mesi dalla data della consultazione.
Art. 20 - Nei comuni in cui
sono istituiti i consigli circoscrizionali non sono
applicabili gli articoli 154, 155 e 156 del regio decreto 4 febbraio 1915, n.
148, e l'articolo 57 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, nonché ogni altra
disposizione incompatibile con la presente legge.
NORME TRANSITORIE E
FINALI
Art. 21 - In sede di prima
applicazione della presente legge, nei comuni in cui l'elezione dei consigli
circoscrizionali avviene a suffragio diretto, le elezioni hanno
luogo entro un anno dall'approvazione del regolamento di cui all'articolo 4 della presente legge, sempre che manchi più
di un anno alla scadenza ordinaria del consiglio comunale.
Alla successiva
rinnovazione dei consigli circoscrizionali eletti a norma del comma
precedente, si procede contemporaneamente all'elezione per la rinnovazione del consiglio comunale in carica al momento dell'elezione
dei consigli medesimi.
Nei comuni in cui
non si fa ricorso al suffragio diretto, il consiglio
comunale provvede alla elezione dei consigli di circoscrizione entro novanta
giorni dall'approvazione del relativo regolamento, secondo le modalità previste
dal regolamento stesso.
(2) Vedi Prospettive assistenziali, n. 29 bis, speciale,
dedicato alla proposta di legge di iniziativa popolare «Competenze regionali
in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali».
(3) Vedi gli atti del
convegno «Unità locale dei servizi,
esperienze, problemi aperti e prospettive dei servizi sociali e sanitari», Torino,
6-7 marzo 1976, Scheda sulla Unità locale dei servizi.
(4) Sul problema della
partecipazione si vedano su Prospettive
assistenziali gli articoli: No delle
ACLI alla cogestione, n. 19; F. FOSCHI, Cogestione e controllo democratico, n.
21; C. CIANCIO, La partecipazione come
controllo democratico, n. 29; SCARCELLA e SGROI, Partecipazione atipica e conflitto nei rapporti tra cittadini utenti e
istituzioni assistenziali, n. 32.
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