Prospettive assistenziali, n. 35, luglio-settembre 1976

 

 

LIBRI

 

 

AA.VV., Sicurezza sociale, programmazione re­gionale, consorzi socio-sanitari, Atti dei seminari residenziali di Siena, Tirrenia e Firenze, a ci-ira della Giunta della Regione della Toscana, Firenze, 1975, pag. 513, Edizione fuori commercio.

 

L'anno 1975 può essere considerato un anno di «maturazione» per il discorso dei consorzi socio-sanitari in Toscana. L'attesa delle appro­vazioni statutarie ha permesso al Dipartimento della sicurezza sociale di approfondire alcuni pro­blemi, la cui soluzione è strettamente connessa alla riforma dei servizi socio-sanitari su tutto il territorio regionale.

Tali problemi si possono così riassumere: pro­blemi relativi alla fase giuridico istituzionale dei consorzi, problemi di prevenzione e riabilitazio­ne, di deistituzionalizzazione, di formazione del personale, di programmazione e sono tutti con­tenuti in una «cornice» che è il consorzio socio­sanitario come prefigurazione dell'Unità locale di sicurezza sociale.

Considerata la necessità indilazionabile di pro­cedere ad una informazione degli operatori socio­sanitari operanti negli enti locali, ospedalieri, mutualistici ed assistenziali, sono stati organiz­zati tre seminari residenziali che hanno avuto luogo a Siena per le province di Arezzo-Grosseto e Siena, a Tirrenia per le province di Pisa-Lucca­-Massa-Carrara e Livorno, a Firenze per le pro­vince di Pistoia e Firenze, con lo scopo preciso di promuovere un primo scambio di idee, una prima sensibilizzazione degli operatori di base in servizio nel campo sanitario ed assistenziale. I tre seminari sono stati realizzati con la collabo­razione delle Università di Siena, Pisa e Firenze, dell'A.A.I. e della Regione Toscana.

Il tema dei seminari «Il consorzio come stru­mento di base per una politica integrata dei ser­vizi sanitari e sociali» ha reso possibile un di­scorso globale intorno alle principali linee pro­grammatiche della Regione Toscana nel campo della sicurezza sociale: dalla delega delle funzio­ni assistenziali e sanitarie agli enti locali al con­sorzio socio-sanitario come istituzione giuridica autonoma, dai problemi della prevenzione prima­ria e secondaria al piano ospedaliero, dalla de­istituzionalizzazione alla formazione e riconver­sione del personale ed alla programmazione re­gionale e comprensoriale. Considerato l'interes­se vivissimo che questo discorso ha suscitato tra i partecipanti si può dedurre che esiste una sete di informazione e di approfondimento di questi argomenti molto diffusa e che, pertanto, tali iniziative vanno incrementate e completate in modo da non deludere tali aspettative.

I tre momenti fondamentali dei seminari: rela­zioni di esperti, lavoro di gruppo e successivo dibattito hanno consentito di raccogliere una quantità di materiale valido ed attuale che, se è stato inserito negli atti solo in parte è per evi­denti ragioni economiche e di tempo.

Premesso quanto sopra, così come viene rife­rito dagli atti stessi, occorre aggiungere che i seminari residenziali sono stati, a nostro avviso, un tentativo di recupero compiuto dalla Giun­ta della Regione Toscana per coprire la carenza degli enti locali nell'istituzione dei consorzi so­cio-sanitari. Ciò dimostra il limite delle leggi e dei programmi di realizzazione quando vengono calati dall'alto.

Non è quindi sufficiente sottolineare ed artico­lare problemi di fondo molto interessanti, né de­nunciare tutte le responsabilità per le mancate riforme della sanità e dell'assistenza al Parla­mento e al Governo (com'è nei fatti), senza che vi sia una presa di coscienza da parte degli enti locali della funzione trainante che avrebbero po­tuto e potrebbero esercitare per avviare un as­setto alternativo dei servizi sanitari e socio-assi­stenziali, dato l'attuale sviluppo delle forme par­tecipative di base, e l'espansione delle compe­tenze degli enti stessi. A questo proposito ci sembra doveroso rilevare che non ci risulta sia esatto quanto affermato da C. Caterino a pag. 140-141 e cioè che i Comuni sono privi di com­petenze specifiche in materia di assistenza. Il R.D. 3-3-1934, art. 91, stabilisce fra le spese ob­bligatorie per i Comuni quelle relative al man­tenimento degli inabili al lavoro e cioè dei minori (handicappati e non), degli handicappati adulti e degli anziani. Tale obbligo può già oggi essere interpretato in senso alternativo. (Si veda al ri­guardo, in questo numero, le delibere sugli affi­damenti e sugli inserimenti della Regione Piemonte e del Comune di Torino).

Né ci sembra esatto quanto affermato da A. Ceramelli (pag. 154) e cioè che spesso la spedalizzazione dell'anziano non ricade nell'ambito del meccanismo finanziario della legge 386 e quindi continua a gravare direttamente sull'ente locale sotto forma di contributi al pagamento delle ret­te. Infatti ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 692, del decreto del Ministro del lavoro del 21­-12-1956 e della legge 12-1-1968 n. 132 (che fra l'altro prevede all'art. 41 «l'obbligatorietà del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la ne­cessità» e non solo lo stato morboso come sta­bilito dalla legislazione precedente) e della legge 18-8-1974 n. 386, gli ospedali sono obbligati a ricoverare senza limiti di durata tutte le persone (ovviamente compresi i cosiddetti cronici) che necessitano di cure sanitarie non praticabili a domicilio o presso ambulatori.

 

 

ANTHONY M. PLATT, L'invenzione della delin­quenza, Guaraldi, Rimini-Firenze, 1975, pagg. 286, L. 5.000.

 

«Il fatto specifico che ha portato alla traduzio­del libro di A. Platt è l'indubbia analogia tra la nascita del tribunale per i minorenni e il manife­starsi della delinquenza minorile negli Stati Uniti alla fine dell'800, e l'espandersi della giurisdizio­ne del tribunale dei minori e il disadattamento minorile in Italia negli ultimi 20 anni». Questa opera di sociologia storica, attraverso ad una analisi delle teorie scientifiche dell'800 - il de­linquente per natura del Lombroso - o - il na­turale processo di evoluzione della specie di Darwin - (che ritardarono le riforme sociali e la legislazione assistenziale), l'emergere della nuo­va ideologia medico-umanistica posteriore e del movimento delle donne progressiste del child­-savers che si prefiggeva il rafforzamento e la ri­costruzione de,l tessuto morale della società, mostra come interessi ideologici e pratici contri­buirono alla definizione sociale della delinquenza minorile, alla codificazione dei reati, alla reifica­zione dei minori disadattati.

Che cos'è il disadattamento minorile?: «una qualità che si rileva da certi comportamenti ed azioni concrete che vengono considerati come sintomi di una condizione giovanile che va ade­guatamente seguita».

L'introduzione del libro di G. Senzani sottolinea le cause storico-economiche della devianza, la struttura ed evoluzione di una data formazione sociale, i rapporti con la produzione e la funzio­nalità nello stato borghese di questi devianti che vengono a costituire lo «strato dei lazzaroni», un esercito industriale di riserva.

Gli odierni programmi di controllo della delin­quenza si possono far risalire alle «intrapren­denti riforme delle child-savers che in America, alla fine del se-colo scorso, contribuirono- a crea­re speciali istituzioni giudiziarie per classificare, processare e trattare i minori disadattati».

I programmi di questo gruppo di «disinteressa­ti riformisti» animati da problemi di coscienza e di moralità, diedero vita, per sottrarli ai tribunali e alle carceri comuni, a un tribunale speciale per «punire l'indipendenza prematura e il disadatta­mento dei giovani».

Non furono questi programmi una rottura col passato, ma una affermazione dei concetti mora­li borghesi correnti e, attraverso la loro azione, comportamenti in precedenza non presi in consi­derazione e quindi «normali» diventarono com­portamenti devianti, delinquenza da reprimere.

Così «la marginalizzazione continua delle mas­se proletarie, costrette a vivere in condizioni di precarietà e di sfruttamento è stata normalizza­ta e gestita all'interno del sistema». «La devian­za - dice Senzani - è la risposta individuale e collettiva degli strati più diseredati a condizioni di vita insostenibili». E chi sono i minori da as­sistere? Appartengono pressoché esclusivamen­te al proletariato, in gran parte immigrati dalla campagna, di culture diverse, che si scontrano con l'affollamento delle città, la spersonalizzazione, la confusione etnica, le difficoltà di inseri­mento.

Ma le donne-salvatrici di Chicago, nel loro im­pegno di crociata morale, non vanno a fondo del problema, non mettono in discussione le cause reali della devianza minorile, ma cercano soltan­to modalità risolutive che possano controllare gli effetti prodotti da quelle cause. Attraverso il sistema educativo le child-savers sperano di di­mostrare che i giovani delinquenti possono es­sere convertiti (ed era un passo avanti rispetto alle teorie del Lombroso!). Anche quando in America (il paese più pronto ad accogliere le nuove idee) si fa strada l'idea che il giovane de­linquente è «soprattutto il prodotto di avverse condizioni individuali e sociali», le child-savers e riformisti penali «derivarono il principio che lo scopo principale della pedagogia era quello di indottrinare i minori con i valori della classe bor­ghese e del mondo adulto». Le child-savers pen­sarono utile di operare in armonia con la legge naturale, cercarono di spostare l'istituto corre­zionale dalla città alle picco,le comunità agricole in campagna, e si resero conto che l'istituto la­scia uno stigma permanente sugli ospiti. Orga­nizzarono quindi dei cottages a conduzione fa­miliare presieduti da una coppia cristiana nelle vesti di padre e madre in una casa ben ordinata. Il loro orientamento non fu però mai rivoluziona­rio: esse difesero le istituzioni fondamentali: il nucleo familiare, la comunità agricola, il nativi­smo protestante, il ruolo domestico della donna. «Molte delle riforme mirarono ad imporre san­zioni sulla condotta sconveniente dei giovani e a privarli del beneficio dei privilegi propri degli adulti». Il consolidamento dello status subalter­no dei giovani irregolari fu completo.

Per proteggere i minori li custodirono in luo­ghi separati dagli adulti; idealmente le child-sa­vers volevano intervenire nella vita dei minori pre-delinquenti e mantenere il controllo su di es­si finché non fossero immunizzati contro la de­linquenza. Così li rinchiusero per salvarli da am­bienti pericolosi, per preservarli da degradazioni ancora più gravi.

Il movimento per l'istituzione del tribunale per i minorenni andò molto al di là di un interesse umanitario. Portò dentro l'ambito del controllo governativo una serie di attività minorili che in precedenza erano state ignorate o trattate infor­malmente. Si oscurò la distinzione tra minori di­sadattati e minori delinquenti. Una delle cause della delinquenza minorile fu «marinare la scuo­la» quindi l'abitudine all'ozio.

Declinando, al principio del nostro secolo, i movimenti volontari, salvare i minori divenne un lavoro da professionisti. I moralisti legali, preoc­cupati solo della difesa della società, trovarono il tribunale per i minori inefficace e moralmente scorretto, i costituzionalisti lo avversarono per­ché arbitrario, violante i principi del giudizio im­parziale e della salvaguardia dei diritti individua­li. È certo che finora la giustizia non assicura as­sistenza e protezione adeguate ai minori. I mi­nori delinquenti sono cattivi clienti per gli avvo­cati difensori. Spesso abbandonati dai parenti e senza alcun mezzo economico, veramente minori in tutto, informano del loro caso i difensori in po­chi minuti prima del processo e l'avvocato deci­derà, nel rivolgersi al giudice, che cosa crede me­glio per loro, magari una lunga detenzione, so­stituendosi in modo arbitrario alla potestà pater­na con la scusa che vengono imprigionati per il loro bene.

L'invenzione della delinquenza minorile conso­lidò la condizione subalterna dei giovani di ori­gine proletaria. Più che aiutarli, volle controllare la violenza e la ribellione dei giovani.

In America, scrive Platt (e certamente anche in Italia), c'è urgente bisogno che studiosi e po­litici capiscano che la «delinquenza, a parte le motivazioni psicologiche subculturali, è anche il prodotto di un giudizio sociale e di definizione procedurale da parte dei funzionari pubblici».

MYRIAM MONTALENTI

 

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