Prospettive assistenziali, n. 36, ottobre-dicembre 1976

 

 

Notizie

 

 

MOZIONE DEL CONVEGNO DI VENEZIA DEL 13-11-1976 (1)

 

I partecipanti al convegno «Alternative con­crete al ricovero dei minori in istituto», nel ri­badire lo stato di abbandono e di isolamento dei minori che si trovano ricoverati nei circa 300 istituti del Veneto, individuano una delle cause principali di tale situazione nella mancanza di strumenti legislativi e finanziari a livello loca­le; per coordinare gli interventi nel settore au­spica una legge quadro nazionale sull'assistenza concomitante con la riforma sanitaria e la rifor­ma della finanza locale, nella prospettiva di una più equa politica economica e sociale che miri ad eliminare gli stati di bisogno.

Una azione deve essere indirizzata verso la Regione:

a) per ottenere la revisione delle leggi e­manate e dei disegni di legge in discussione nel campo dell'assistenza socio-sanitaria, per la promulgazione di un piano socio-sanitario regio­nale che risponda in maniera unitaria ai bisogni del territorio;

b) la necessità urgente che la Regione de­leghi ai comuni e/o alle ULSSS le proprie com­petenze assistenziali attribuitele con la legge delega (una volta esercitate dalle prefetture), definendo i contenuti nei termini alternativi, e che tale delega sia accompagnata dalla effet­tiva possibilità per gli EE.LL. di gestire tale at­tività anche e soprattutto dal punto di vista fi­nanziario, disponendo adeguati contributi e la riconversione dei fondi iscritti nei capitoli di spesa della attuale assistenza istituzionalizzata per minori ed anziani;

c) la garanzia di una partecipazione demo­cratica alla gestione di questi problemi attraver­so una informazione sul numero dei minori ri­coverati nella Regione, sulla loro condizione, sulla loro provenienza, che si basi sul censi­mento di tutti gli istituti in tutte le varie forme e sul coordinamento fra le ricerche che in que­sto campo vengono già fatte in maniera set­toriale.

Si invita inoltre la Regione ad attuare una politica diversa sulla formazione professionale degli handicappati abolendo gli attuali finanzia­menti ai corsi professionali speciali e laborato­ri protetti nella prospettiva del loro inserimen­to nelle normali strutture di formazione pro­fessionale.

Nel periodo di transizione è necessario avere chiaro il quadro di riferimento che resta sempre l'istituzione nell'ambito di un territorio preciso di una struttura gestionale con le competenze le più generali possibili.

Nonostante i limiti che esse presentano (ri­spetto alle materie sanità ed assistenza, ai di­versi livelli di governo: comprensori, consorzi e consigli di quartiere), in dette strutture deve essere attuato un processo partecipativo che permetta un uso corretto della delega.

Al Comune ed all'Amministrazione provincia­le, si chiede di mettere in atto da subito un processo di decentramento del personale, mez­zi e servizi a livello locale, sulla base di un preciso programma e di tempi definiti.

Tale programma deve essere preventivamente discusso con le forze sociali, sindacali ed isti­tuzionali (consigli di quartiere), con gli opera­tori sociali, con la popolazione.

Vista l'adesione data e l'impegno dimostrato in questo convegno da parte degli amministra­tori degli enti assistenziali pubblici si chiede che entro breve tempo (uno o due mesi al mas­simo), dopo averne discusso nei rispettivi Con­sigli di amministrazione, si riuniscano su invito del Comune e presentino delle proposte indi­cando chiaramente quali mezzi, quale personale, quali appartamenti o altri edifici di proprietà pubblica da loro gestiti metteranno a disposizio­ne per raggiungere questi obiettivi.

 

Mozione per gli operatori e le forze di base

Si propone la costituzione di un comitato di operatori e forze di base che facciano propria la mozione ed esercitino un'azione di pressione affinché gli amministratori degli Enti Locali av­viino concretamente quella politica di gestione pubblica indispensabile per garantire l'effettiva realizzazione di servizi alternativi.

 

 

DENUNCIA PENALE PER LE MASSICCE BOCCIATURE NELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO

 

Riceviamo dal Comitato d'Azione contro la se­lezione nella scuola questo sunto di denuncia che pubblichiamo. La denuncia penale è stata presen­tata dal Comitato che ha sede in Venezia ai pre­tori di Venezia e Mestre.

 

Il Comitato d'azione contro la selezione nella scuola ha presentato ai Pretori di Venezia e di Mestre una denuncia penale per il reato di abu­so di potere ex art. 323 del codice penale con­tro gli insegnanti che, seguendo criteri selettivi, bocciano un numero rilevante di alunni nella scuola dell'obbligo.

La denuncia, dopo aver rilevato che «i più colpiti dalle bocciature sono i figli delle classi sociali subalterne, cioè i cittadini più poveri, più deboli e indifesi, proprio coloro che più degli altri hanno bisogno del servizio scolastico come il principale mezzo di emancipazione dal loro stato di soggezione e di emarginazione socia­le», sostiene che non può essere accettata l'o­pinione secondo la quale l'unico rimedio consi­sterebbe in interventi politici idonei all'integra­zione sociale delle classi emarginate, perché in tal modo si dovrebbe assistere passivamente all'annuale «ecatombe» di ragazzi finché la pre­detta integrazione non sia raggiunta.

Secondo il denunciante, «la selezione non è effetto delle condizioni di emarginazione di al­cuni strati sociali, bensì è effetto di una deter­minata concezione della scuola, secondo la qua­le i ragazzi devono adeguarsi a ritmi di appren­dimento fissati a priori dall'istituzione e devono quindi raggiungere predeterminati livelli di ren­dimento, mentre non si deve tener conto delle situazioni psicologiche, familiari e sociali di ogni singolo ragazzo».

La denuncia prosegue mettendo in rilievo le incongruenze di una valutazione della «diligen­za» e del «grado di profitto» dell'alunno sia perché l'impegno nello studio dipende soprat­tutto dalla capacità dell'insegnante di suscitare negli allievi l'interesse per la materia insegnata sia perché il profitto è perlopiù il prodotto di doti intellettuali dell'allievo, doti carenti nei soggetti cosiddetti «subnormali» che tuttavia hanno diritto di frequentare assieme a tutti gli altri ragazzi la scuola dell'obbligo a norma dell'art. 28 della legge 30-3-71 n. 118.

Secondo l'art. 34 della Costituzione «la scuo­la è aperta a tutti», cioè adeguata alle esigenze e alle capacità culturali di ogni cittadino. Com­pito della scuola dell'obbligo è soltanto quello di promuovere il pieno sviluppo della persona­lità secondo le capacità di ciascuno. Il servi­zio scolastico è quindi un diritto-dovere del cit­tadino a frequentare in otto anni l'intero ciclo della scuola dell'obbligo senza sbarramenti nel passaggio da una classe all'altra, tranne in casi del tutto eccezionali e nell'esclusivo interesse dell'allievo.

I principii formativi e antiselettivi della scuola dell'obbligo si ricavano da numerose norme di legge, emanate dal 1955 al 1974, che fissano dei limiti alla discrezionalità dell'insegnante nella valutazione degli allievi. Il superamento di questi limiti, ed in particolare la violazione del canone dell'eccezionalità della bocciatura, costituisce il reato di abuso di potere previsto dall'art. 323 del codice penale.

Dall'esito degli scrutinii nella scuola dell'ob­bligo «si constata che in alcune scuole gli alunni sono tutti promossi, in altre le bocciature sono eccezionali o comunque limitate, in altre infine le bocciature sono elevate fino a raggiun­gere il 30%».

Tale contrasto appare ancora più evidente nel confronto tra classe e classe della stessa scuola e tra insegnante e insegnante della stessa scuola. Questa macroscopica disparità di comporta­mento tra insegnante e insegnante dimostra che quantomeno quelli che ogni anno bocciano o rimandano a settembre un buon numero di alunni violano i principii antiselettivi abusando dei propri poteri.

La denuncia al Pretore di Venezia espone quindi i casi più clamorosi di bocciature mas­sicce nelle scuole dell'obbligo veneziane. Le scuole interessate sono: per le elementari la «S. Giovanni Bosco», la «Gozzi», la «Gallina» e la «Goldoni»; per le medie inferiori la «Lo­redan», la «Vivarini», la «Tiepolo», la «Ca­boto», l'«Alighieri» e la «Morosini».

Nella denuncia al Pretore di Mestre vengono segnalate le seguenti scuole: per le elementari la «Radice», la «Visentini», la «Pascoli» e la scuola di Ca' Emiliani; per le medie inferiori la «Giulio Cesare», l'«Einaudi», la «Foscolo», la «Guardi» e la «Fermi».

Il denunciante chiede «che l'Autorità Giudi­ziaria proceda quantomeno per i casi più cla­morosi verificatesi negli ultimi due anni scola­stici per il reato di abuso di potere (art. 323 del codice penale), accertando anche - me­diante lettura dei verbali di scrutinio - se sus­sistano reati di omissione di atti d'ufficio ex art. 328 del codice penale quando le bocciature nella scuola media siano avvenuti senza la vo­tazione collegiale dei membri del consiglio di classe».

Oltre all'iniziativa della denuncia penale il Comitato si propone di preparare una proposta di legge che elimini nella scuola dell'obbligo qualsiasi valutazione degli allievi e la boccia­tura, ritenendo che la funzione giudicante è estranea ai fini della formazione della persona­lità dei ragazzi e con essa contrastante. Se­condo il Comitato agli insegnanti deve essere attribuita soltanto la funzione di suscitare negli allievi l'impegno alla ricerca e alla conoscenza.

 

 

RICERCA DEGLI STUDENTI DI AOSTA SULL'EMARGINAZIONE

 

Questa relazione, che pubblichiamo in parte, ci è giunta dal collettivo del «Monte ore» del liceo scientifico di Aosta, un collettivo di 16 per­sone «ridotto ad 11 quando il lavoro di monte ore è entrato nella fase più impegnativa», il qua­le è partito «dalla constatazione che le scelte di assistenza non devono essere lasciate solo ai burocrati ed ai politici ma richiedono la parteci­pazione della collettività» e «emarginazione è tutto quel complesso di svariati fenomeni di mes­sa al margine, di allontanamento dal contesto umano normale, in altre parole di diminuzione di capacità sociale, di un individuo o di un gruppo di individui».

 

Il lavoro si è svolto in due tempi:

 

Prima fase: ricerca di tutte le forme di emar­ginazione di cui avevamo conoscenza o notizia. Sono emersi i seguenti punti: immigrati, zin­gari, ex carcerati, anziani, handicappati, minori abbandonati, dimessi dagli ospedali psichiatrici.

Abbiamo constatato che nei confronti di tutte queste categorie di persone esiste l'emargina­zione di fatto, ma per alcune esiste l'emargina­zione di fatto e di diritto. Ci sono cioè delle strutture appositamente create in cui sono le­galmente relegate alcune di queste categorie di persone, per esempio gli ospizi di carità, i brefotrofi e in genere gli istituti di ricovero. Alla luce di questa analisi abbiamo rivisto le categorie di emarginati che erano emerse nella prima fase, e abbiamo concluso che:

1) dovevamo pertanto occuparci in primo luogo del problema degli anziani, dei minori e degli handicappati;

2) che non tutti gli anziani, i minori in con­dizione di abbandono e gli handicappati fini­scono negli istituti, e che la discriminante è di tipo economico. Sono cioè ricoverate in isti­tuto persone che, non avendo altri mezzi di sus­sistenza che il loro lavoro, non sono in grado di svolgere un'attività, o perché impossibilitati fisicamente, (handicappati) o perché esclusi dal mondo del lavoro a causa dell'età (anziani, mi­nori in condizione di abbandono).

Nota: a causa dei limiti di tempo non siamo riusciti ad analizzare il rapporto tra condizione di immigrato e condizione di assistito, che pure è emerso dai dati fornitici dagli esperti consul­tati. Altro aspetto che per mancanza di tempo non è stato esaminato è quello dei ricoverati e dei dimessi dagli ospedali psichiatrici, che pure è intervenuto nella nostra ricerca quando ci siamo occupati degli anziani ricoverati nell'ospizio di carità di Aosta;

3) per dare concretezza e rigore al nostro lavoro era opportuno che ci occupassimo delle forme di emarginazione istituzionalizzata pre­sente in Valle d'Aosta.

Pertanto il lavoro è stato suddiviso in tre parti, relativamente alle categorie degli anziani, degli handicappati e dei minori abbandonati.

 

Seconda fase: analisi delle strutture esistenti.

Gli interventi operati in favore delle catego­rie di persone in esame sono chiamati assi­stenza sociale. Questa viene concessa da ap­positi enti (si calcola che in Italia siano 60.000) che operano in settori diversi. È da notare la rigida divisione degli assistiti in categorie e l'accentramento burocratico dell'assistenza, affi­data ad enti che operano per lo più su scala nazionale.

La soluzione che viene data ai problemi di chi si trova in condizione di bisogno è in ge­nere il ricovero in istituto.

Questo tipo di assistenza comporta sovente il trasferimento dell'assistito dal luogo in cui abitualmente vive, al luogo in cui è disponibile un «posto» (talora in provincia o regione di­versa dalla sua); si può parlare di vera e pro­pria «deportazione assistenziale». E comunque sono ormai dimostrati i danni che il ricovero in istituto comporta per handicappati, anziani e minori. A questo proposito, per quanto ri­guarda l'informazione generale e la situazione italiana nel suo complesso abbiamo ricavato dati e notizie dai libri citati nella bibliografia, mentre, per quanto riguarda la Valle d'Aosta, ci riferiamo a situazioni di cui siamo venuti a diretta conoscenza.

a) Minori: nei bambini che vivono o hanno trascorso lunghi periodi in istituto si notano:

I) deficit intellettivi, dovuti alla mancanza di adeguata stimolazione, e in particolare ritardi nel linguaggio, dovuti all'insufficiente rapporto con l'adulto;

II) ritardi e disturbi motori, dovuti alla mono­tonia dell'ambiente e alla mancanza di espe­rienze all'esterno;

III) disturbi sociali e della personalità, dovuti alla grave mancanza (e talora ricerca esagerata) di affetto, che si rivela o nell'aggressività o nell'apatia, e comunque nell'incapacità di sta­bilire rapporti con gli altri.

(Da una ricerca di L.Y. YAROW)

 

Questi deficit sono stati da noi riscontrati in bambini dimessi dal Brefotrofio di Aosta e affi­dati a persone la cui testimonianza abbiamo raccolto dal vivo.

b) Anziani: analogamente avviene che il ricovero in istituto ha effetti deleteri sull'an­ziano, a cui viene praticamente a mancare la motivazione a vivere. Abbiamo trovato una sta­tistica agghiacciante riportata da Simone De Beauvoir: fra gli anziani ricoverati in istituto, l'otto per cento muore nei primi 8 giorni del ricovero, il 28,7% complessivamente muore nel primo mese, il 45% complessivamente muore nei primi 6 mesi, il 54,4% complessivamente muore nel primo anno, il 65,4% complessiva­mente muore nei primi 2 anni.

Tale situazione ci è stata confermata sia dall'assistente sociale del Comune di Aosta che si occupa degli anziani, come diremo più oltre, sia indirettamente da quanto ci è stato detto dalla Superiora dell'Ospizio di carità di Aosta, che pure ovviamente crede nell'istituzione di cui fa parte.

c) Handicappati: il problema ci è stato pre­sentato dalla pedagogista dell'équipe psicope­dagogica del comune di Aosta, che ha indicato i gravissimi danni che il ricovero arreca alla formazione della personalità e alle possibilità di ricupero del bambino handicappato.

 

Osservazioni sulla realtà che abbiamo illustrato:

1) Abbiamo constatato che l'opinione pub­blica è per lo più indifferente al problema. Da un lato per la mentalità corrente è cosa logica che un bambino abbandonato o un anziano non più autosufficiente siano confinati in un istituto, come è naturale che ci siano per i bambini «difficili» e handicappati le classi speciali e differenziali. Dall'altro lato la grande maggio­ranza delle persone rifiutano con orrore l'idea che tale sorte tocchi un giorno a loro. Anche un ragazzo del collettivo uscendo dall'ospizio di carità che avevamo appena visitato, ha affer­mato: «meglio morire che finire qui dentro».

Abbiamo analizzato queste opinioni, e abbiamo trovato che nascono da un atteggiamento sba­gliato nei confronti del problema, dalla tendenza cioè a lasciare le cose come stanno, come se si trattasse di un male inevitabile, di situazioni senza alternative.

2) Abbiamo inoltre constatato che la realtà da noi illustrata è in netto contrasto con l'art. 3 della Costituzione che stabilisce: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or­dine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impedi­scono il pieno sviluppo della persona umana...».

 

Nuove iniziative

Nella nostra analisi della situazione locale abbiamo tuttavia trovato alcuni fermenti di rin­novamento, che si sono già concretizzati nella realizzazione di alcune forme alternative di as­sistenza. Abbiamo appreso in primo luogo che il Consiglio Regionale e il Consiglio Comunale di Aosta non hanno approvato la costruzione in Valle di nuovi istituti, come l'istituto Psicome­dicopedagogico per gli handicappati ed il nuovo ospizio per i vecchi.

In secondo luogo sono nate alcune iniziative ad opera del Comune, della Regione, o di gruppi di privati cittadini che intendevano sopperire temporaneamente alla mancanza di strutture al­ternative, in attesa che vi provvedessero gli Amministratori pubblici. Esse sono:

1) l'inserimento degli handicappati nella scuola materna ed elementare, attuato dapprima dai servizi sociali del Comune di Aosta e, nel corrente anno scolastico, dalla Regione, limita­tamente alle elementari;

2) la realizzazione del servizio di assistenza domiciliare, soprattutto per gli anziani, attuata dall'Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Aosta;

3) la creazione della comunità Casa-fami­glia per anziani, sita in viale Europa, che, in­sieme all'iniziativa precedente, costituisce una valida alternativa al ricovero in istituto;

4) l'affidamento familiare a scopo educa­tivo di minori in età prescolare e scolare realiz­zato dal servizio sociale della Regione;

5) il Centro Base per minori di via Marti­net, creato da un gruppo di cittadini, in attesa che il Comune intervenisse ad assumere le sue competenze in materia. Esso consiste in un servizio che fa fronte a situazioni improvvise di abbandono di minori, senza sradicarli dal loro ambiente.

 

 

 

 

(1) Mozione approvata dal Convegno di Venezia del 13-11-1976 sul tema «Alternative concrete al ricovero dei minori in istituto».

 

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