Prospettive assistenziali, n. 36, ottobre-dicembre 1976

 

 

PROPOSTA DI INTERVENTO NEL CAMPO DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-ASSISTENZIALI (1)

 

 

Premessa

Questo materiale è stato concepito secondo lo spirito di un momento unificante di fronte ad una problematica vastissima e drammatica­mente contraddittoria.

Per questi ed altri motivi, potrà sembrare a qualcuno insufficiente, ad altri come un dato scontato, ad altri ancora come troppo sintetico.

La preoccupazione dei redattori è stata quel­la di riunire in un unico documento il materiale che può e deve essere presente, sia pure con le necessarie verifiche ed approfondimenti, in un momento in cui la popolazione, le forze so­ciali e sindacali, i tecnici e le forze politiche sono impegnati a dare una risposta globale ed esauriente ai problemi della prevenzione, cura, riabilitazione nei settori fino ad ora tradizional­mente considerati assistenziali e sanitari.

Lo scopo della sua diffusione è quello di dare uno spunto per uscire dalla concezione di uno Stato assistenziale per proporre alternative va­lide e non emarginanti.

 

Per una lettura della situazione

 

Situazione Piemontese

Da circa un decennio le forze sindacali hanno posto l'accento sulla necessità di attuare una riforma della sanità e dell'assistenza che supe­rando l'attuale struttura frammentaria e costosa di enti, mutue, ospedali, istituti di ricovero, cli­niche, medicina generica e specializzata, farma­cologia speculativa, andasse nella direzione di un sistema sanitario e socio-assistenziale con chiare caratteristiche unitarie di intervento pre­ventivo, curativo e riabilitativo per una effettiva promozione individuale e sociale.

Nonostante i risultati conseguiti con l'azione sindacale dei lavoratori la situazione in esame di fatto è al momento molto peggiore di quanto le più pessimistiche previsioni potessero far prevedere.

Per quanto concerne il settore sanitario a di­stanza di pochi mesi dalla scadenza fissata per il passaggio delle mutue alla Regione, a proble­mi già esistenti e non risolti, che analizzeremo più avanti, se ne pongono altri che derivano dal passaggio alle Regioni di tutte le competenze, e strutture sanitarie delle mutue senza che, al momento, siano state previste o ipotizzate mo­dalità e forme con le quali potrà avvenire que­sto trapasso, con il rischio di un grave tracollo che ricadrebbe su tutti i cittadini.

La situazione in questo momento è gravissi­ma su tutti gli aspetti: tale gravità è sottolinea­ta da una assistenza ospedaliera caotica, dequa­lificata, frammentata fra le diverse sfere di in­fluenza delle innumerevoli spinte corporative, da una politica di intervento a pioggia senza nessun coordinamento fra ente e ente, fra ente ospedaliero e territorio, fra intervento domicilia­re, ambulatoriale, di ricovero, dalla assenza di interventi preventivi, dalla grave insufficienza di un'azione di filtro espressa ad esempio nei cen­tri diagnostici. Tutto ciò provoca o il prolifera­re di iniziative private, o il ricovero in ospedale anche per analisi ed altri interventi che potreb­bero benissimo essere fatti in centri diagnosti­ci territoriali.

In merito a ciò è bene rilevare e denunciare che ben sette sale radiologiche, sei laboratori analisi appartenenti all'INAM sono chiusi o inu­tilizzati per mancanza di personale. Tutto que­sto mentre le prenotazioni per analisi di labo­ratorio in strutture pubbliche hanno raggiunto i tempi di attesa di mesi.

Sui farmaci la situazione è la seguente. Da al­cune fonti si fa ascendere al 20% del totale dei ricoverati in ospedale i ricoveri per cause deri­vanti da intossicazioni per ingestione di troppi farmaci e questo avviene in concomitanza con un aumento delle spese degli enti mutualistici per solo farmaci nella misura del 25% dal '74 al '75 nella sola provincia di Torino (l'INAM spende il 40% del suo bilancio solo per spese farmaceutiche) . Questo deriva oltre che da gra­vi responsabilità di quei medici che acritica­mente prescrivono farmaci, anche da una asso­luta mancanza di educazione sanitaria della po­polazione che la espone a tutte le distorsioni e speculazioni pubblicitarie commerciali delle ca­se farmaceutiche (senza freno alcuno) che fan­no della salute pubblica, un momento specula­tivo e di profitto.

Al momento non esistono iniziative da parte della Regione o di enti locali orientati all'uti­lizzo delle cospicue risorse attualmente fram­mentate in vari enti mutualistici previdenziali ed ospedalieri. Non esiste alcuna iniziativa che partendo dalle esigenze ne programmi l'utilizza­zione sul territorio, nell'ambito delle unità locali dei servizi socio-assistenziali.

Dall'altro lato la stessa rivendicazione sinda­cale che ha incalzato gli enti locali ai vari livel­li è riuscita ad ottenere la delibera regionale per la costituzione di una trentina di unità di base, ma constata come solo alcune di queste siano entrate in funzione, senza aver inciso an­cora in modo consistente ed apprezzabile su tutti gli aspetti della salute.

Di fronte alla proposta di riforma è necessario il più serio impegno dell'organizzazione sinda­cale e delle forze sociali, per la realizzazione complessiva della riforma sanitaria e del com­pleto trasferimento alle regioni di tutte le com­petenze e funzioni legislative e amministrative previste dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.

 

Situazione generale

Par dare risalto ai problemi che sorgono in questo settore di vita comunitaria basta accen­nare allo spreco economico, per avere un indice del ben più alto costo umano e sociale, che fi­nisce di gravare tu tutti i cittadini.

Il divario di sette od otto giorni tra le degenze della nostra Regione e quella di molti altri pae­si d'Europa vuole dire miliardi.

«La Repubblica» del 6 febbraio 1976, dava per la sola Assistenza Ospedaliera questi dati: «Gli Ospedali pubblici in Italia sono 1.163. Le case di cura private 1096. Gli Ospedali pos­sono offrire nove posti letto per ogni 1000 abi­tanti, le case di cura 2.

I medici ospedalieri italiani sono 43.000 di cui 23.000 a tempo pieno (40 ore) e 20.000 a tempo determinato (30 ore). Secondo le pre­visioni statistiche, questo esercito dovrebbe raggiungere, nel 1980 le 175.000 unità, un vero record mondiale. In Francia per esempio i me­dici sono 58.000 e sono 300.000 negli Stati Uni­ti che hanno una popolazione quattro volte supe­riore alla nostra.

La distribuzione territoriale degli ospedali e delle cliniche è un dato molto significativo sul tipo di assistenza sanitaria che sono in grado di garantire le regioni: Nel Friuli Venezia Giulia le cliniche sono il 6,88% rispetto agli ospedali, in Val d'Aosta il 9,40.

Al sud il rapporto fra le cliniche e ospedali è quasi capovolto: le cliniche sono il 42,4% in Basilicata per esempio; nel Lazio sono il 32,91%, in Campania il 29,84%.

Le persone occupate dagli ospedali su tutto il territorio nazionale (personale medico, para­medico, ecc.) sono 300.000. I Consiglieri di Amministrazione, colonnelli e generali di questa ar­mata, sono 12.000. In maggioranza provengono dal sottogoverno: ingegneri, geometri, maestri, avvocati siedono ai vertici dell'organizzazione, titolati di un potere che viene spesso usato per la distribuzione di favori clientelari e la raccolta di consensi che ne deriva.

Le spese per il personale incidono sulle rette ospedaliere (che sono fra le più alte in Europa) per il 60-70%.

Le spese per l'Assistenza Sanitaria assorbono circa l'11,8% del reddito nazionale».

Senza pretendere di esaurire l'argomento sa­rà bene individuare alcune tra le principali cau­se di questa situazione e le loro immediate conseguenze:

 

Nel settore sanitario

Mancato superamento del concetto culturale di salute come rimozione di malattia per sosti­tuirlo con quello di «stato di benessere fisico, mentale, sociale, ambientale, non consistente soltanto in un'assenza di malattia o infermità».

- Insufficienza delle strutture sanitarie come conseguenza di uno sviluppo ed una trasfor­mazione convulsa e relativamente recente.

- L'iniziativa privata che per centinaia di anni aveva fatto suo questo settore anche per l'assenza di un efficiente servizio pubblico.

- Costruzione progressiva di centri di potere da parte dei diversi Enti in concorrenza tra di loro, spesso favorite da una certa propen­sione corporativa all'interno delle categorie mediche, paramediche e amministrative, e conseguente concentrazione di uomini e mez­zi con una distribuzione disordinata ed ir­razionale.

- La lottizzazione degli Enti e strutture ospeda­liere tra le forze politiche con una conse­guente copertura dei difetti già presenti e una successiva proliferazione di limiti e di difetti.

- Proliferazione e differenziazione degli enti mutualistici e successiva burocratizzazione.

- Mancata informazione e presa di coscienza sanitaria e sociale della popolazione con conseguente esposizione a forme di ricatto della salute.

Da una elencazione sia pure sommaria delle cause è facile individuare quelle conseguenze che rendono oggi la situazione insostenibile ed estremamente pericolosa.

 

Settore socio-assistenziale

Il settore socio-assistenziale presenta le se­guenti principali caratteristiche:

- finalità di emarginazione individuale, fami­liare e sociale e spesso anche di segrega­zione;

- compiti di sostituzione emarginante alle ca­renze dei settori fondamentali del vivere civile e sociale: disoccupazione e sotto-oc­cupazione, pensioni inadeguate, selettività della scuola, rifiuto del settore sanitario, in particolare di quello ospedaliero, ad inter­venire nei confronti dei cronici in violazione alle leggi vigenti, mancanza di abitazioni e di servizi culturali e ricreativi, ecc.;

- presenza di una miriade di enti, organi e uf­fici (oltre 50.000) ;

- spesa annua superiore a 1.500 miliardi;

- settorialità degli interventi;

- dequalificazione del personale, soprattutto di quello in servizio presso gli istituti di ri­covero.

 

Situazione generale nel campo sanitario e socio­assistenziale

- Accentramento e quindi cattiva distribuzione di uomini e mezzi;

- burocratizzazione con conseguente lentezza ed inefficienza;

- proliferazione degli Enti assistenziali e sa­nitari;

- settorializzazione: a livello istituzionale (es. eccessivo frazionamento delle specializzazio­ni); degli utenti (es. costruzione di veri ghetti); del personale, moltiplicazione delle mansioni e delle categorie;

- situazione di monopolio nella formazione del personale sia a livello professionale che universitario;

- rigonfiamento delle spese e quindi sprechi negli impianti, nelle attrezzature, nell'utiliz­zazione del personale specializzato, con un rigonfiamento delle spese dei farmaci;

- degenze inutili, protratte oltre la necessità;

- carenza assoluta di una programmazione sa­nitaria e sociale basata sulle esigenze ef­fettive della popolazione;

- concorrenza eccessiva tra Enti e Persone, tra gestione pubblica e privata.

 

Situazione in cui si trovano gli utenti

a) Nessuna prevenzione primaria

individuale: es. educazione

sociale: vedi Icmesa e Ipca di Ciriè limitatissima prevenzione secondaria e terziaria

si scopre la malattia più che prevenirla.

b) Scarsa e/o tardiva e/o inesistente riabi­litazione, perché costa di più e rende di meno al sistema, senza occuparsi delle effettive esi­genze degli utenti.

c) Orientamento prevalente sulla cura, so­vente con una scarsa efficacia rispetto alle effet­tive esigenze individuali e sociali degli utenti.

d) Segregazione ed emarginazione assi­stenziali, ricatto sulla salute con: violazione dei diritti individuali, familiari, sociali;

emarginazione imposta verso strutture disponibili;

limitatissima possibilità di controllo.

N.B. - In alternativa vedi Carta dei Diritti del Malato, del Bambino Ammalato e dei Ricoverati in Ospedali Psichiatrici, iniziativa per l'abolizio­ne degli Enti inutili, lotta contro la istituziona­lizzazione.

e) Carenze di formazione e informazione, distorte tanto a livello individuale come collet­tivo. Gli utenti si accorgono della realtà solo quando non possono più fare nulla per cam­biarla.

f) Carico di spese agli utenti ed alle fami­glie che devono:

- integrare le spese per l'assistenza ospeda­liera, diurna e notturna con l'assunzione in proprio di personale più o meno preparato;

- pagare costi elevati per l'assistenza domi­ciliare;

- sopportare alti costi per trasferimenti dalla sede residenziale degli utenti e dei familiari che li debbono assistere;

- pagare alte spese per i farmaci non ammes­si e usando malamente quelli prescrivibili;

- assumere in proprio le spese di assistenza conseguenti a dimissioni o a non ammissioni illecite da parte degli ospedali. Es. nei con­fronti di cronici o lungodegenti.

 

Situazioni in cui viene a trovarsi il personale a tutti i livelli

- Autore e nello stesso tempo vittima di cen­tri di potere con una rigida gestione vertici­stica dei servizi.

- Concentrazione del personale nei centri più importanti con conseguenti carenze di nu­mero e di qualificazione nelle zone disagiate. Gravi carenze di formazione di base e ag­giornamento tecnico scientifico.

- Carenze quantitative di personale paramedi­co e assistenziale qualificato e specializza­to, ed esuberanza di personale ausiliario non qualificato.

- Rigonfiamento artificioso di personale ammi­nistrativo.

- Notevole sperequazione nei trattamenti eco­nomici e normativi ai diversi livelli funzio­nali con un rapporto da 1 a 10 tra stipendio più basso e più alto.

 

La comunità e i singoli sono così costretti a sopportare

Costi umani elevatissimi, costi non economi­ci individuali, familiari, sociali, che difficilmente si possono valutare.

La enorme sproporzione a tutti i livelli tra co­sto economico del resto altissimo del sistema socio-assistenziale e risultati effettivi è a tutto scapito della società e dei singoli.

 

Proposte alternative da attuarsi per sbloccare la situazione:

 

A - Partecipazione

Concetto di fondo assolutamente indispensa­bile in ogni settore della sanità ed assistenza deve essere la partecipazione responsabile ed effettiva della popolazione e delle forze sociali alla individuazione, gestione, trasformazione di quei servizi di cui ha quotidianamente bisogno e che giorno per giorno paga con il suo contri­buto economico e umano.

Il che comporta:

- Diritto di tutti i cittadini alle identiche pre­stazioni dei servizi sociali e sanitari, prescin­dendo da ogni riferimento a particolari cate­gorie.

- Superamento del concetto culturale di sa­lute come rimozione di malattia con un ade­guamento al concetto espresso dall'Organiz­zazione Mondiale della Sanità che la defini­sce «stato di totale benessere, fisico, men­tale, sociale e non consistente soltanto in una assenza di malattia o infermità».

- I servizi sociali e sanitari devono avere co­me criterio di ispirazione l'uomo nel suo ambiente con l'eliminazione di interventi di tipo segregativo od emarginante, con l'orien­tamento a mantenere o reinserire nelle co­munità familiari e civili i cittadini che altri­menti ne sarebbero esclusi.

Garanzia quindi ad ogni cittadino del diritto a condizioni di vita consone alla dignità del­la persona umana ed al suo pieno e libero sviluppo nella comunità.

- L'azione di prevenzione, cura e riabilitazio­ne deve essere attuata attraverso la parteci­pazione della popolazione, delle forze socia­li, degli operatori della salute e delle istitu­zioni locali alla individuazione concreta delle situazioni, delle esigenze, delle priorità, del­le risposte con lo scopo di favorire in ogni modo la salute sotto il profilo individuale e collettivo nello stesso tempo.

Per una partecipazione effettiva delle forze sociali e della popolazione alla individuazione delle esigenze, delle priorità e delle risposte al fine di realizzare un benessere fisico-­psico-socio-ambientale allo stesso tempo in­dividuale e collettivo è necessario, ma non sufficiente il consenso delle forze sociali della popolazione.

Infatti il semplice consenso presuppone solo un rapporto dall'alto verso il basso ed una informazione in quest'unica direzione in so­stanza non dà alcuna garanzia di un rileva­mento e di una interpretazione corretta delle esigenze e delle priorità.

La partecipazione invece presuppone un me­todo di governo che punta sul coinvolgimento reale (non subordinato alle istituzioni) delle for­ze sociali e della popolazione.

È un metodo del quale non è possibile stabi­lire a priori tutto, ma di cui si possono indivi­duare alcuni elementi di fondo:

- autonomia delle forze sociali e loro rapporto dialettico con le istituzioni (voluta da movi­menti di base e riconosciuta dalle istitu­zioni) ;

- processo di scambio delle informazioni tra le istituzioni, le forze sociali e cittadini;

- messa a disposizione da parte delle istitu­zioni alle forze sociali ed anche ai singoli cittadini degli strumenti necessari per la loro attività e per i rapporti con i lavoratori e la popolazione.

Una delle condizioni per l'autonomia delle forze sociali può essere individuata nella non gestione da parte di queste forze di attività am­ministrative.

Con la cogestione, infatti le capacità di inter­vento delle forze sociali verrebbero ad essere annullate o notevolmente ridotte perché assor­bite dall'esercizio del potere, dagli obblighi di gestione e vincolate dalle leggi e regolamenti vigenti.

Inoltre il sindacato, per la contrastante posi­zione di gestione dei servizi e di rappresentan­te dei lavoratori nei confronti dell'Ente cogesti­to, verrebbe a trovarsi nella contraddittoria si­tuazione di essere nello stesso tempo parte e controparte.

La gestione dei servizi socio-sanitari di: pre­venzione, cura, riabilitazione dovrà attuarsi a li­vello locale (Unità locale) con programmazione e controllo partecipati, con la realizzazione pro­gressiva fatta attraverso una seria programma­zione (è la struttura per l'uomo, non l'uomo per la struttura) ed un controllo costante partecv­pato (Legge 8 aprile 1976 n. 278 art. 13).

 

B - Informazione e verifica

Individuazione partecipata e continua degli strumenti informativi finalizzati agli obiettivi:

- raccolta dati;

- coordinamento ed elaborazione dati ai diver­si livelli operativi;

- trasmissione delle informazioni alla popola­zione e forze sociali;

- confronto e verifica;

- traduzione operativa.

In base a questo criterio il compito dello Sta­to nella sua articolazione Centrale, Regionale, Provinciale o Comprensoriale, Comunale o Consorzio di Comuni è quello di dare i mezzi e gli strumenti per una gestione partecipata che rispetti le esigenze particolari e generali di ogni singola U.L.S.

 

C - Attività operativa

Dati i criteri di fondo di partecipazione e ge­stione di base nell'ambito di una programma­zione generale si deve attuare:

 

Per le strutture esistenti

Abolizione di tutti quegli Enti che risultano superflui, inutili, emarginanti. Es. Cronicari, Ma­nicomi, Ospedali monospecialistici.

Utilizzazione e trasformazione delle strutture e degli impianti che, pure salvaguardando la spe­cificità degli interventi e i problemi di salute pubblica, consentano nella misura del possibile di soddisfare globalmente le esigenze di un de­terminato territorio.

In attesa dei ruoli regionali da attuarsi al più presto, gli operatori socio-sanitari ad ogni li­vello, impegnati fino ad ora in questi Enti, do­vranno essere utilizzati nelle nuove strutture e servizi.

L'inserimento di tutto il personale degli Enti soppressi nelle nuove realtà dovrà prevedere anche idonee iniziative di aggiornamento, riqua­lificazione e riconversione.

 

Per gli utenti

Una maggiore funzionalità della prevenzione, cura, riabilitazione attraverso il filtro dell'U.L.S. e le cure ambulatoriali porta da un lato alla ri­duzione dei giorni di degenza ospedaliera e alla eliminazione di ricoveri inutili per una migliore sensibilità e organizzazione a livello di territo­rio, dall'altra alla creazione di nuovi posti letto per lungodegenti e cronici ora ricoverati nelle strutture emarginanti. Naturalmente la creazio­ne dei servizi alternativi nel campo dell'assi­stenza farebbe seguire pari passo la soluzione di tante situazioni ora senza risposta.

Utilizzazione delle strutture territoriali e degli operatori sanitari per una educazione socio-sani­taria della popolazione in tutti gli ambienti ido­nei: scuole, ambienti di lavoro, luoghi di ritrovo, mass-media.

 

Obiettivi generali per i servizi sanitari e socio-assistenziali

 

Funzioni della Regione

Le funzioni della Regione nel campo dei ser­vizi sanitari e socio-assistenziali, della forma­zione di base del relativo personale non laurea­to e della formazione permanente di tutti gli operatori sanitari e sociali non dovrebbero es­sere di gestione ma di indirizzo, di promozione e di controllo e programmazione (stabilendo un rapporto di andata e ritorno con le unità locali, le forze sociali e la popolazione).

 

Comprensori

Con la legge regionale n. 41 del 4 giugno 1975 sono stati istituiti in Piemonte 15 Comprensori quali organi decentrati della Regione e con i compiti di:

a) contribuire alla formazione e all'aggior­namento del piano regionale di sviluppo;

b) provvedere alla redazione del piano ter­ritoriale di coordinamento del comprensorio;

c) promuovere iniziative per il coordina­mento delle attività di competenza degli enti locali, al fine di assicurare la conformità dei piani delle Comunità montane alla programma­zione comprensoriale e di favorire la costitu­zione di consorzi e di altre forme di coopera­zione e associazione fra i Comuni del Compren­sorio.

 

Unità locali

Con legge regionale n. 41 del 9 luglio 1976 sono stati stabiliti gli ambiti territoriali delle unità locali dei servizi, definite « il complesso integrato di tutti i servizi di base » e pertanto non solo di quelli sanitari e socio assistenziali.

Nel Convegno di Torino del 6-7 marzo 1976, l'Unità locale dei servizi risulta come proposta politico-organizzativa per l'unificazione (e non il semplice coordinamento) di tutti i servizi di ba­se che riguardano i cittadini, intesi come singoli e parte della collettività.

Come indicazione di massima, nell'unità loca­le dovrebbero confluire i servizi socio-assisten­ziali; sanitari, abitativi, prescolastici e scolasti­ci, culturali, ricreativi, sociali in genere in un assetto globale del territorio, in una concezione che arrivi a superare ogni criterio assistenziale.

Le unità locali dovrebbero non solo provve­dere alla gestione dei servizi, ma anche alla lo­ro programmazione in concorso con la program­mazione comprensoriale regionale.

 

Rapporto fra unità locali e comprensori

 

Comprensori

Comprende nella loro interezza

n. unità locali

Abitanti al

31-12-1974

TORINO

39

2.115.940

IVREA

2

130.786

PINEROLO

3

118.708

VERCELLI

2

120.070

BIELLA

2

196.138

BORGOSESIA

2

86.012

NOVARA

4

300.773

VERBANIA

3

189.425

CUNEO

3

146.387

SAVIGLIANO

3

158.007

ALBA

2

147.541

MONDOVÌ

2

93.080

ASTI

2

208.444

ALESSANDRIA

6

402.738

CASALE

1

102.533

REGIONE PIEMONTE

76

4.516.582

 

Dai dati suddetti risulta evidente la spropor­zione fra il Comprensorio di Torino e gli altri. A questo proposito sarebbe auspicabile una verifica sulla rispondenza dei comprensori per quanto attiene gli ambiti territoriali, ammesso che l'esperienza dimostri che i comprensori ri­sultino organismi veramente utili.

La definizione precisa delle competenze dei comprensori e dei loro rapporti con le unità loca­li può servire ad evitare che queste ultime sia­no svuotate di compiti, personale e strumenti di informazione e programmazione e si riducano a semplici organismi gestori; nello stesso tem­po si eviterebbe uno svuotamento della parteci­pazione delle forze sociali e della popolazione alla elaborazione e definizione degli indirizzi a livello delle unità locali.

 

Organi di governo dell'unità locale

Al fine di evitare la proliferazione degli enti, gli organi di governo delle unità locali dovreb­bero essere a nostro avviso:

- Il Comune di Torino ed i 23 consigli di quar­tiere, per la città di Torino;

- Le comunità montane se coincidenti con l'u­nità locale;

- Il consorzio fra le comunità montane e gli altri comuni del territorio, quando l'unità lo­cale comprende una o più comunità monta­ne e altri comuni;

- Il Consorzio di Comuni quando l'unità locale comprende più comuni.

Suscita pertanto notevoli perplessità il dise­gno di legge della Giunta relativa alla delega in materia di servizi sanitari e socio-assisten­ziali che esclude le comunità montane.

 

Organizzazione interna dell'unità locale

Per quanto concerne l'organizzazione interna dell'unità locale, si prevede la suddivisione del suo territorio in aree, denominate compartimen­ti, comprendenti dai 5.000 ai 10.000 abitanti.

Tale suddivisione viene ritenuta indispensa­bile per una attività di base dei servizi sanitari e socio-assistenziali svolta in modo da dare una risposta globale alle esigenze della popolazione e da assicurare la pluridisciplinarietà e collegia­lità degli interventi.

A livello di ciascun compartimento è prevista, come obiettivo da raggiungere, una unica équi­pe sanitaria e socio-assistenziale con compi­ti di:

- gestione operativa di tutte le attività sani­tarie e socio-assistenziali del compartimen­to, attraverso gli interventi domiciliari e am­bulatoriali di prevenzione, cura e riabilita­zione, con azione di filtro verso gli ospedali e le strutture specialistiche;

- rinvio ad altre strutture (poliambulatori, o­spedali) i soggetti non trattabili in zona;

- la raccolta e l'invio alle sedi di elaborazione e ritrasmissione dei dati agli operatori, alle forze sociali ed alla popolazione;

- informazione socio-sanitaria;

- favorire la partecipazione delle forze sociali, della popolazione residente nel compartimen­to e dei lavoratori della zona per quanto con­cerne l'igiene e la medicina del lavoro.

In ogni compartimento gli interventi dell'équi­pe sanitaria e socio-assistenziale sono svolti a livello domiciliare, ambulatoriale pubblico (sede dell'équipe), ambulatoriale del medico e presso le sedi comunitarie (scuola, lavoro, ecc.).

Nelle équipes di compartimento sono previsti: in prima approssimazione, quale personale a tempo pieno, medici generici, pediatri, infermie­ri, psicologi, assistenti sociali, collaboratori fa­miliari, amministrativi. È inoltre prevista nel compartimento la presenza a tempo parziale di specialisti quali ad esempio: medico ortopedi­co, medico psichiatra, terapisti della riabilita­zione i quali dovrebbero operare a tempo pieno a livella di U.L.

Tutti questi operatori, secondo i loro ruoli professionali dovranno:

1) avere la possibilità di operare compati­bilmente con il loro orario di lavoro anche nei poliambulatori ed ospedali;

2) avere la possibilità di un aggiornamento scientifico e professionale;

3) seguire i propri pazienti nei vari mo­menti di intervento.

In ciascuna unità locale (o al massimo in due unità locali confinanti con basso numero di po­polazione) è previsto un poliambulatorio al qua­le siano inviati i casi che esigono dotazioni strumentali e personale specializzato in grado di assicurare quegli interventi che non possono es­sere effettuati a livello di compartimento.

Nei poliambulatori possono essere previsti al­cuni posti letto per assicurare gli interventi di «ospedale diurno».

Le attività dei poliambulatori potrebbero in prima approssimazione essere ad esempio:

- radiologia;

- laboratori di analisi;

- pronto soccorso non specializzato;

- piccola chirurgia;

- riabilitazione per gli interventi non effettua­bili a domicilio o nella scuola o a livello di compartimento;

- consulenza psicologica.

 

Ospedali

I principali obiettivi da raggiungere sono:

- eliminazione della distinzione fra ospedali regionali, provinciali e zonali;

- collegamento reale dell'attività extra-ospeda­liera con quella ospedaliera.

1) Al fine di salvaguardare la specificità de­gli interventi ed i problemi di salute pubblica all'interno delle strutture ospedaliere relative ad un determinato territorio, si richiede una tra­sformazione degli ospedali esistenti tanto da accogliere e fornire i necessari interventi non solo a tutti gli acuti, compresi i casi psichiatri­ci, infettivi, ecc. ma anche ai lungodegenti ed ai cosiddetti cronici. Una struttura di questo ti­po, per quanto possibile onnicomprensiva, assi­curerebbe a tutti la massima vicinanza possibi­le al territorio di provenienza ed eviterebbe la creazione di sedi staccate o di strutture di ti­po: ospedale psichiatrico, cronicario, ospedale geriatrico o simili.

Tale indicazione di principio non presuppone ovviamente che tutti gli ospedali abbiano le sin­gole specialità.

2) A maggior ragione le eventuali struttu­re ospedaliere di nuova costruzione dovranno essere progettate in un modo completamente diverso da quanto avveniva in passato.

3) Il criterio generale che dovrà sovrinten­dere al ricovero in ospedale non potrà più esse­re quello di orientare il cittadino a qualsiasi struttura, ma quello di provvedere le strutture secondo le esigenze dei cittadini nel loro terri­torio, pertanto nei casi di ricovero ospedaliero, salvo particolari urgenze, è da prevedersi la pre­cedenza assoluta per i residenti nel territorio di competenza.

 

Formazione degli operatori

 

Situazione attuale

Dalla ricerca condotta da G. Vannini in «Pie­monte che cambia» risulta che i corsi di for­mazione professionale per il personale parame­dico ausiliario esistenti nella nostra regione e per i quali la Regione stessa ha competenza sono:

n. 18 Scuole convitto per infermieri professio­nali

n. 1 Scuola per vigilatrici d'infanzia

n. 3 Scuole per ostetriche

n. 2 Scuole per assistenti sanitarie visitatrici

n. 7 Scuole per l'abilitazione per funzioni di­rettive

n. 1 Scuola per tecnici di anestesia e riani­mazione

n. 2 Scuole per dietologhe

n. 1 Scuola per fisiochinesiterapia

n. 31 Scuole per infermieri generici

n. 2 Scuole per puericultrici

n. 2 Scuole per odontotecnici

n. 4 Scuole per tecnici di radiologia

n. 2 Scuole per infermieri per assistenza psi­chiatrica

n. 2 Scuole per tecnici per centri trasfusionali

n. 1 Scuola per tecnici audiofonologopedia

n. 1 Scuola per tecnici di ottica fisiopatologi­ca dell'infanzia.

Quando era stata fatta la ricerca di cui sopra erano in attesa di autorizzazione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione:

n. 1 Scuola per docenti e dirigenti di scuola per infermieri professionali

n. 1 Scuola per tecnici igienisti

n. 1 Scuola per logopedisti richiesti dalla facoltà di Medicina e Chirurgia.

A questi corsi occorre appunto aggiungere quelli del settore assistenziale, di cui solamen­te due sono gestiti da enti locali:

Gestiti dalla Provincia di Torino: Scuola per edu­catori specializzati e per terapisti della ria­bilitazione e altra scuola per assistenti so­ciali (di cui è in atto un processo di unifica­zione con la precedente) ;

Gestiti dal Comune di Torino: Corso per infer­mieri generici, corso per assistenza domici­liare agli anziani, agli handicappati, ai minori. Tutti gli altri corsi e scuole del settore assi­stenziale sono gestiti da Enti pubblici e privati senza alcun controllo da parte della Regione.

Il problema di fondo che vi è nel campo della formazione di base e permanente degli operatori sanitari e sociali si può individuare nella ne­cessità di realizzare la inscindibilità a tutti i li­velli fra contenuti dei servizi e contenuti della formazione di base e permanente.

In base a quanto è stato chiarito in precedenza le competenze della Regione consistono nell'esercizio in materia di servizi, di programma­zione, indirizzo, promozione, controllo e finan­ziamento dei servizi sanitari e socio-assistenzia­li, ma non nella gestione; ciò comporta la dele­ga ai Comuni, ai Consorzi di Comuni e alle Co­munità Montane non solo nella gestione dei servizi, ma anche nella formazione di base e per­manente del relativo personale.

L'obiettivo finale della programmazione da parte della Regione nella formazione di tutti gli operatori sanitari e socio-assistenziali esige che la Regione provveda a programmare in base alle sue attuali competenze la formazione del perso­nale necessario. Esige inoltre l'attribuzione alle U.L. della gestione di questi corsi e scuole.

Questa delega alle U.L. consente:

- L'uniformità dei criteri di formazione in base agli indirizzi nazionali e alla programmazione regionale;

- La verifica costante della rispondenza della formazione con le esigenze reali della po­polazione;

- Il coinvolgimento della popolazione e delle forze sociali nel processo formativo;

- L'unificazione degli organi responsabili della formazione e la precisa individuazione delle sedi formative;

- L'avvio del processo di verifica sulla inter­scambiabilità dei ruoli.

 

Schema di proposta

In questo stato di cose un'ipotesi possibile, tenendo conto che non pare opportuno ipotiz­zare, sedi di formazione in ogni U.L., potrebbe essere la seguente:

 

SEDI (C = Comprensori)

Attività - A - abitanti

Attività - B - abitanti

Torino (Unità locali 1-23)

1.196.577

2.365.434

(C. Torino, Ivrea,

Pinerolo)

Chieri (30)

78.712

Moncalieri (31-32-33)

181.875

Orbassano (34-35)

87.782

 

Rivoli (24-25-26-36)

245.039

 

Ciriè (27-37)

98.283

 

Chivasso (28-29-38-39)

227.672

 

Ivrea C. (40-41)

130.786

 

Pinerolo C. (42-43-44)

118.708

 

Vercelli C. (45-46)

120.070

 

Biella C. (47-48)

196.138

 

Borgosesia C. (49-50)

86.012

 

Novara C. (51-52-53-54)

300.773

 

Verbania C. (55-56-57)

189.425

892.418

(C. Vercelli, Biella,

Borgosesia, Novara,

Verbania)

Cuneo C. (58-59-60)

146.387

Savigliano C. (61-62-63)

158.007

 

 

Alba C. (64-65)

147.541

545.015

(C. Cuneo, Savigliano, Alba, Mondovì)

Mondovì C. (66-67)

93.080

Asti C. (68-69)

208.444

Alessandria C. (70-71-72-­73-74-75)

402.738

713.715

(C. Asti, Alessandria, Casale)

Casale C. (76)

102.533

 

 

Totale abitanti in Piemonte

al 31 dicembre 1974

4.516.582

4.516.582

 

Pertanto invece delle attuali 83 sedi di forma­zione indicate dalla ricerca (alla quale devono essere aggiunte ancora quelle relative agli ope­ratori socio-assistenziali non censite nella ricer­ca) si propongono come dalla precedente ta­bella 21 sedi di formazione.

Tutte le 21 sedi dovrebbero provvedere alla formazione di base e permanente di infermieri generici (fino alla soppressione di questo tipo di formazione), infermieri professionali, tecnici di laboratorio e per la medicina preventiva e di assistenti domiciliari. Inoltre per la riqualifi­cazione e aggiornamento di tutto il personale sanitario e socio-assistenziale che lavorerà nei servizi relativi, esclusi i casi in cui tali attività, per motivi di specializzazione, debbono essere ricondotte a una sede più specialistica.

Quattro delle sedi suddette (e cioè Torino, Novara, Alessandria, Savigliano), oltre a prov­vedere a quanto sopra indicato, dovrebbero anche provvedere alla formazione di base e per­manente di personale più specializzato o meno richiesto nei servizi come ad es. assistenti so­ciali, educatori, tecnici della riabilitazione e per la riqualificazione e l'aggiornamento che richie­de una maggiore specializzazione.

Le quattro sedi sopra indicate dovrebbero coincidere con le sedi universitarie per consen­tire í necessari collegamenti e collaborazione.

Transitoriamente, nell'attesa della costituzio­ne degli organi di governo delle U.L. e della emanazione delle deleghe in materia di forma­zione, la Regione potrebbe affidare i compiti re­lativi alla formazione ai Comuni indicati nella tabella.

 

Obiettivi prioritari

- impedire un processo di degradazione dell'esistente e prevedere una sua utilizzazione e razionalizzazione;

- affrontare tutta la tematica dell'educazione sanitaria e farmaceutica dei cittadini comin­ciando dalla formazione o predisposizione di un prontuario regionale;

- affrontare in termini più precisi il fondamen­tale problema della formazione professionale;

- avviare concretamente gli interventi preven­tivi e generalizzare l'istituzione delle Unità di base con il loro inserimento tra i servizi dell'U.L.;

- elaborare nelle zone un piano di utilizzazione o completamento delle risorse esistenti.

Compete alla Regione predisporre un piano per l'utilizzazione ed eventuali nuove assunzio­ni di personale medico e tecnico che assicuri l'utilizzazione delle strutture ambulatoriali mu­tualistiche.

La stessa cosa vale per l'istituzione di inizia­tive per l'educazione sanitaria e farmaceutica che oltre a limitare lo spreco dei farmaci, di­fenda la salute dei cittadini.

Sempre alla Regione tocca il compito di for­mare un prontuario farmaceutico a livello re­gionale che preveda la regolamentazione delle specialità farmaceutiche prescrivibili (facendo salva ovviamente l'efficacia della cura), e l'av­vio generalizzato dell'attività di prevenzione at­traverso le Unità di Base i cui interventi deb­bono essere unificati con quelli sanitari e so­cio-assistenziali dell'U.L.

In conclusione fermo restando l'impegno del­le OO.SS. sul piano nazionale precedentemente espresso, la caratteristica di queste richieste molto limitate è quella fra l'altro che per realiz­zare questo non occorre attendere la realizza­zione o definizione delle leggi nazionali in di­scussione di riforma sanitaria o di completamen­to delle deleghe di trasferimento agli enti locali. L'interlocutore immediato e diretto è la Regione e come tale va messa di fronte alle proprie responsabilità e carenze.

 

Obiettivi urgenti

Da quanto sopra indicato consegue che gli obiettivi immediati potrebbero essere i seguenti:

- Al fine di una utilizzazione di tutte le strut­ture, attrezzature e personale esistenti, messa in funzione a livello regionale di un sistema informativo aperto agli Enti locali, alle forze sin­dacali, alle forze sociali e alla popolazione, ri­guardante:

- situazione delle strutture ambulatoriali mu­tualistiche, degli Enti ospedalieri, compresi gli ospedali psichiatrici, attività, personale, spesa, beni, ecc.

- situazione ECA e IPAB (idem come sopra);

- situazione istituti pubblici e privati di assi­stenza ai minori, agli handicappati ed agli anziani: attività svolta, tipo di utenza, posti letta disponibili e occupati, personale, ecc.;

- avvio di una anagrafe sanitaria, libretto sa­nitario personale, salvo il segreto profes­sionale;

- scheda ricoverati in ospedale, compresi quel­li psichiatrici (vedi scheda già predisposta dalla Regione) ;

- scheda ricoverati in istituzioni assistenziali: cause, provenienza, durata ricovero, ecc.

Il sistema informativo per essere tale, deve consistere nella raccolta, aggiornamento conti­nuo e messa a disposizione dei dati man mano che sono disponibili.

Premessa indispensabile per le deleghe re­gionali è la costituzione degli organi di gover­no delle Unità Locali che hanno bisogno di es­sere definite nelle loro finalità e funzionalità (Consorzi fra Comuni, Consigli di quartiere per Torino) .

Definizione partecipata del piano ospedaliero (se necessario anche transitorio) con:

- fusione degli enti operanti a livello di una sola unità locale e/o di uno stesso compren­sorio (nei casi di comprensori con popola­zione limitata) ;

- definizione delle attività dei singoli ospedali, dei relativi posti letto, delle attrezzature e del personale necessari;

- definizione del territorio di competenza del­le attività degli ospedali;

- messa in funzione dei dipartimenti di accet­tazione, come filtro ai ricoveri;

- messa in funzione degli altri strumenti de­scritti nelle pagine precedenti, per consegui­re la massima riduzione possibile delle de­genze.

Assunzione da parte della Regione e degli Enti locali di iniziative che consentano la messa a disposizione di servizi non assistenziali, tali da ridurre le richieste di assistenza, quali ad esem­pio quelle relative a:

- inserimento degli handicappati negli asili ni­do, scuole materne e dell'obbligo, scuole superiori, centri di formazione professionali;

- messa a disposizione di alloggi dell'edilizia economica e popolare per nuclei familiari, per singoli, per piccole comunità, per anzia­ni, minori, handicappati adulti. Gli alloggi dovranno essere distribuiti in modo da evi­tare ogni forma di emarginazione;

- passaggio dei cronici, dal settore dell'assi­stenza-beneficenza a quello sanitario.

Nel campo socio-sanitario altri interventi ur­genti riguardano:

- la generalizzazione del servizio di assistenza domiciliare sociale, infermieristica, e riabili­tativa di cui alla vigente legge regionale;

- l'istituzione di servizi per affidamenti educa­tivi di minori, affidamenti anziani, di inter­detti, inserimento di handicappati adulti ed anziani presso volontari e presso comunità alloggio gestite da Comuni, Consorzi di Co­muni e Comunità Montane;

- l'istituzione generalizzata dell'assistenza e­conomica diretta ad assicurare ai singoli ed ai nuclei familiari il minimo vitale.

All'interno della legge quadro nazionale:

- istituzione da parte dei Comuni, Consorzi di Comuni e Comunità Montane di centri per la formazione di base e permanente di ope­ratori sanitari e socio-assistenziali, privile­giando l'aggiornamento, la riqualificazione e la riconversione del personale in servizio (vedi proposta nelle pag. precedenti).

Per l'attuazione di quanto sopra, la Regione e gli Enti locali dovranno attivamente operare per l'utilizzazione sociale dei patrimoni degli ECA, delle IPAB e degli Enti ospedalieri, utilizzazione sociale che comporterà in molti casi operazio­ni di riconversione dei patrimoni stessi, l'unifi­cazione di enti ospedalieri (come già preceden­temente richiesto) e lo scioglimento graduale delle IPAB.

Infine è assolutamente urgente un confronto pubblico fra Regione, Province, Comuni, Consor­zi di Comuni, Comunità Montane, Enti mutuali­stici, forze sociali e popolazione per una seria preparazione del passaggio dell'assistenza mu­tualistica alla Regione ed agli Enti locali, pas­saggio stabilito dalla legge, con decorrenza dal 30 giugno 1977. Tale passaggio ha bisogno di vedere attuati immediatamente tutti gli atti am­ministrativi che stanno a monte del problema.

 

 

 

(1) Documento di base del Convegno di Torino del 18-12-1976 sul tema: «Riforma sanitaria e socio-assistenziale: obiettivi e iniziative immediate in Piemonte», organizzato dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base. Al Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base aderiscono: ACLI - Associazione italiana assistenza spa­stici - Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie - Associazione nazionale famiglie fanciulli subnormali - Asso­ciazione per la lotta contro le malattie menta,li - Centro informazioni politiche e economiche - Centro Maran Atà - Comi­tato per l'integrazione scolastica degli handicappati - Comunità di via Terni 50 - Coordinamento dei comitati di quartiere - Gruppo Abele - Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale.

Al documento e al Convegno danno la loro adesione: le Segreterie provinciali CGIL-CISL-UIL; gli Uffici Diocesani Anziani, Assistenza, Comunicazioni Sociali, Famiglia, Lavoro, Tempo di Malattia, Scuola con la seguente motivazione: «I responsabili degli Uffici diocesani, in quanto organi promozionali della pastorale diocesana impegnati nel servizio dell'uomo e della società, hanno esaminato con attenzione il presente documento. Pur astenendosi, per la natura del loro servizio ecclesiale, dall’esprimere un giudizio sugli aspetti tecnici della proposta, dichiarano di ritrovarsi nei valori che ispirano il progetto, anzi riaffermano la necessità e l'urgenza di un appropriato intervento nel settore. Dato che la pro­posta deve rispondere nel modo più efficace ai bisogni di questo settore del pubblico servizio, rivolgono un invito alla Comunità cristiana perché verifichi il progetto e si adoperi per tutti quei miglioramenti e sottolineature che la possono rendere idonea allo scopo».

 

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