Prospettive assistenziali, n. 36
bis, dicembre 1976
GLI ORIENTAMENTI «RIVOLUZIONARI»DEI PRIMI DOCUMENTI
REGIONALI
(giugno 70 - 31 luglio 75)
La prima legislatura regionale
(giugno 1970 - 31 luglio 1975) si può dividere in due parti:
- la fase costituente dedicata
all'elaborazione dello statuto e alle osservazioni presentate al Governo in
merito alle competenze che lo Stato doveva trasferire alle Regioni;
- il periodo di gestione delle
competenze trasferite.
Durante la prima legislatura regionale le Giunte sono state di centro sinistra, di
centro destra e poi ancora di centro sinistra, ma sempre con una presidenza DC.
LO STATUTO REGIONALE
Lo statuto, approvato (Legge n. 338
del 22 maggio 1971) con il voto favorevole di tutte le forze politiche
dell'arco costituzionale presenti in Consiglio
regionale, contiene norme che, se applicate, sarebbero rivoluzionarie.
Infatti in merito ai servizi sociali lo
statuto all'art. 4 precisa quanto segue: «
Poi per quanto riguarda in
particolare la tutela della salute dei cittadini, l'art. 6 dello statuto così
si esprime: «
a) costituisce organismi sanitari ed altri strumenti antinfortunistici, di
medicina preventiva, di lavoro per tutelare la salute e prevenire le cause che
le provocano danno;
b) favorisce la partecipazione dei comitati di fabbrica, dei lavoratori e
delle categorie professionali alla gestione degli organismi e degli strumenti
antifortunistici, di medicina preventiva, di igiene generale, di igiene mentale, nonché di medicina
curativa e riabilitativa».
Lo statuto era incentrato su presupposti e scelte che si articolavano in questi punti:
1) «l'effettiva partecipazione di tutti i
cittadini all'attività politica, economica e sociale della comunità regionale
e nazionale». Al riguardo «
2) l'informazione, come abbiamo
riferito nella presentazione;
3) la consultazione degli enti locali,
delle organizzazioni sindacali e delle formazioni sociali, delle istituzioni
culturali, delle associazioni e degli organismi in cui si articola la comunità regionale (art. 9);
4) la delega agli enti locali (art.
67).
5) interventi per la programmazione
dello sviluppo globale e socio-economico della
Regione (art. 4).
LE OSSERVAZIONI DELLA REGIONE PIEMONTE AGLI SCHEMI DEI
DECRETI GOVERNATIVI
Nell'ottobre 1971
il Consiglio regionale approvava le osservazioni agli schemi di decreto delegato
inviati dal Governo e relativi alle materie da trasferire alle Regioni (3).
Nelle osservazioni riguardanti
l'assistenza veniva precisato che il Consiglio
regionale condivideva l'impostazione delle Organizzazioni sindacali e
dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale, le quali, rifiutando
in blocco i contenuti dello schema predisposto dal Governo, avevano rilevato
che «attuando una politica effettivamente
sociale (e cioè nei confronti di tutti i cittadini) l'intervento meramente
assistenziale appare del tutto inadeguato. D'altra parte, occorre superare
anche la distinzione fra intervento pubblico e privato, nel senso che l'intervento
non è valido di per sé in quanto comunale o statale, provinciale o regionale,
laico o religioso, pubblico o privato: mentre è necessaria la garanzia pubblica,
quale riconoscimento del diritto del cittadino concretamente esigibile alle
prestazioni inerenti la sicurezza sociale, l'alternativa
vera è fra interventi emarginanti ed interventi partecipati (ad esempio,
l'adozione dei bambini è garantita pubblicamente dal tribunale dei minori, e
non laica o religiosa o dei Comuni, ecc., ma è partecipata: una famiglia
prende uno o più bambini e li rende propri figli).
Il
superamento dell'intervento assistenziale, e cioè
della emarginazione sociale, postula un'inversione di tendenza di cui si
enunciano alcune imprescindibili condizioni, per la attuazione delle quali è
necessaria una politica veramente sociale, da parte delle Regioni, che si
concretizzi in un indirizzo del tutto nuovo. Più in particolare:
a) un adeguato trasferimento di stanziamenti
dai consumi privati ai consumi collettivi;
b) l'unificazione di tutti i servizi ed interventi sociali a livello sia
politico che tecnico onde evitare il riprodursi dei
fenomeni di divisione e settorializzazione;
c) la gestione dei servizi a livello locale
(unità locale di servizi sociali, affidata ai Comuni o Consorzi di Comuni);
d) il momento importante della programmazione
come funzione democratica e partecipativa
e)
il riconoscimento del diritto alla protezione sociale attraverso taluni
strumenti fondamentali quali:
la piena occupazione
un complesso sistema di servizi
sanitari preventivi, curativi, riabilitativi
la scuola
la preparazione del personale per
l'attuazione del sistema dei servizi sociali
l'assetto del territorio
la ricerca scientifica destinata ai
fini sociali, servizio per la collettività e non strumento della produzione
monopolistica».
Nelle osservazioni riguardanti
l'assistenza sanitaria e ospedaliera il Consiglio regionale richiedeva una impostazione completamente diversa da quella contenuta
nello schema governativo e così si esprimeva: «Per la riforma il primo elemento da acquisire è la consapevolezza che
la riforma stessa non può essere un episodio isolato, ma costituisce un atto
che si collega ad altri atti e ad altre riforme: nel campo urbanistico, per la
difesa dell'ambiente in cui il cittadino vive e lavora, in quello fiscale, per
assicurare le risorse necessarie, in quello assistenziale,
per realizzare un completo sistema di sicurezza sociale; in quello scolastico,
infine, per garantire la formazione di personale sanitario adeguato ai nuovi
compiti.
Si
tratta dunque non di razionalizzare il sistema esistente, ma di organizzare un
sistema nuovo che elimini le cause delle attuali
contraddizioni, e realizzi, anche attraverso una nuova distribuzione di
compiti e di responsabilità, un servizio completo ed unitario per tutti i
cittadini.
L'obiettivo
del servizio è quello di promuovere la salute, intesa come stato di completo
benessere fisico, materiale e sociale e non soltanto come assenza di malattie
od infermità.
Secondo
il dettato costituzionale, la tutela della salute si
configura come un diritto soggettivo cui deve corrispondere il dovere dello
Stato ad assistere, anche in forma previdenziale, il cittadino in tutti i suoi
bisogni nell'ambito di un organico servizio pubblico a carattere generale.
In
questa prospettiva vanno ricondotti ad una visione unitaria gli aspetti
settoriali della beneficenza, dell'assistenza
sociale, dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, dell'igiene e sanità pubblica,
onde determinare lo spazio per l'attuazione di un compiuto sistema di
sicurezza sociale, in modo da consentire alle Regioni di realizzare un moderno
sistema sanitario caratterizzato dalla stretta integrazione del momento igienico-preventivo, con quello curativo e riabilitativo.
Per
cui, la definizione della materia “assistenza sanitaria ed ospedaliera” va
fatta:
- alla luce del principio costituzionale della “tutela
della salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della
collettività”;
- nel rispetto dell'esigenza, unanimemente acquisita,
di un impiego unitario e coordinato di tutti i servizi sanitari per rimuovere
le cause dell'attuale patologia costituita
in prevalenza da malattie di carattere degenerativo.
Ed infatti, per una reale tutela della salute è necessario che
l'attività sanitaria sia rivolta con netta preminenza al momento igienico-preventivo, da saldare organicamente con le
attività diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, realizzando, tra l'altro
una riduzione dei costi umani ed economici che attualmente comporta la
malattia.
In
forza delle argomentazioni sopra svolte e di una organica
interpretazione del dettato costituzionale la sfera di competenze
amministrative e legislative della Regione deve essere creata considerando
l'assistenza sanitaria e ospedaliera come il complesso degli interventi
immediatamente finalizzati alla tutela della salute e comprendente tre fasi
inseparabili d'intervento: preventiva, terapeutica e riabilitativa.
Concludendo è opportuno
sottolineare che in tal modo viene introdotto nella sfera di competenza
amministrativa delle Regioni, quanto riguarda il momento preventivo della tutela
della salute pubblica (profilassi, igiene, ambiente) al fine di garantire la
globalità ed organicità degli interventi regionali, quanto, ancora, riguarda le
funzioni che lo Stato ha finora esercitato anziché direttamente, per mezzo di
enti pubblici (Enti strumentali, ausiliari, cioè la cosiddetta amministrazione
indiretta dello Stato), ad es.: l'ONMI».
Fattore indispensabile della
programmazione diventa il settore della formazione professionale in generale, e
il Consiglio regionale nella seduta del 6 luglio 1971 così si esprimeva infatti nei confronti dello schema governativo di decreto
delegato concernente le competenze da trasferire alle Regioni: «Per istruzione professionale deve
intendersi qualsiasi formazione immediatamente finalizzata all'inserimento al
lavoro o alla promozione sul lavoro, intesa cioè a
preparare direttamente ed immediatamente lo svolgimento di funzioni o compiti
di lavoro di qualsivoglia livello e settore di attività o a conseguire
l'aggiornamento, la riqualificazione professionale, l'avanzamento a livelli
operativi superiori.
Così
concepita la formazione professionale deve necessariamente comprendere anche la
formazione e l'aggiornamento del personale docente della scuola (da quella
materna a quella secondaria superiore), nonché la
formazione e l'aggiornamento del personale docente delle iniziative di
formazione professionale.
La
funzione di un'istruzione professionale così individuata deve fondarsi su un
coerente concetto di professionalità, quello cioè di
una professionalità concepita come capacità di esplicare funzioni lavorative
avvalendosi delle correlazioni, e interdipendenze tra i vari fattori
tecnologici, economici, sociali, ecc., implicati o connessi e operanti
comunque, all'interno e all'esterno dei luoghi di lavoro.
Tutto
ciò con intendimento in ogni senso innovativo, affinché con il continuo
sviluppo socioeconomico si consegua altresì la crescita dell'uomo in quanto
singolo e in quanto partecipe della comunità (art. 2 Cost.) e la effettiva partecipazione dei lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3 Cost.).
Secondo
queste concezioni l'istruzione professionale diventa un fattore fondamentale di intervento per la programmazione dello sviluppo globale
e socio-economico della Regione a sostegno di tutte le altre materie
dell'articolo 117 del
In
questo quadro è logico affidare alle Regioni le diverse funzioni
amministrative, che in ogni caso non dovrebbero essere tali da non comprendere
l'esercizio di attività dirette all'istruzione,
formazione e qualificazione di operatori adeguati all'esercizio delle funzioni
determinate da tutti i settori attribuiti alla competenza regionale dell'art.
117 Cost.».
Infine il Consiglio regionale
chiariva che dovevano rientrare «altresì
nell'istruzione professionale le attività di aggiornamento,
riqualificazione e di promozione a livelli operativi superiori».
LE OSSERVAZIONI DELLA REGIONE PIEMONTE ALLE PROPOSTE
GOVERNATIVE DI RIORDINAMENTO DEI MINISTERI
Anche in merito agli schemi di decreto
per il riordinamento dei ministeri (4), il Consiglio regionale assumeva
posizioni avanzate.
Sulle attribuzioni del Ministero di
grazia e giustizia il parere della Regione Piemonte così si esprimeva: «Si assiste, così, all'attribuzione al
Del
pari è attribuita agli Uffici della Direzione Generale per gli istituti di
prevenzione e di pena (art. 48) anche l'ufficio del trattamento in libertà
degli adulti e dell'assistenza. È invece delegata all'ufficio della
rieducazione e trattamento dei minorenni (art. 54) la competenza in ordine all'organizzazione degli istituti e servizi per
la protezione ed il trattamento rieducativo dei
minorenni anche se in libertà; nonché in tema di biblioteche, corsi scolastici
ed istruzione professionale.
Risulta infine attribuita
alla competenza dell'Ufficio dell'assistenza e del trattamento di libertà
degli adulti (art. 56) anche l'assistenza a favore dei liberati e dei loro
familiari, provvidenze a favore dei minorenni dopo la cessazione delle misure rieducative.
Il
decreto trascura e non concede spazio alcuno alla prevenzione, lasciando
intatto ogni più superato concetto al riguardo. È noto che l'azione più efficace preventiva può solo effettuarsi a livello
locale, ponendo in essere tutta una serie di interventi che esaltino la
funzione della comunità, degli Enti locali, della scuola e delle organizzazioni
sociali.
Lo
schema di decreto in esame non risponde minimamente ai
postulati costituzionali, frammenta la materia, disattendendo il
principio dell'unicità delle competenze per settori o per gruppi di materie.
Il giudizio della Regione Piemonte quindi non può essere che negativo».
Sullo schema per il riordinamento
del Ministero dell'interno il parere espresso era il seguente: «Sono state conservate al Ministero dell'Interno e ad altri ministeri gli uffici e la maggior
parte delle funzioni:
1) vigilanza e finanziamento degli enti pubblici assistenziali,
nonché di quelli privati a carattere nazionale o pluriregionale
ed anche di dimensioni locale, purché siano convenzionati o sovvenzionati da
enti pubblici;
2) le competenze di controllo amministrativo e di finanziamento di tutte
le istituzioni private di assistenza e beneficenza e
dei comitati di soccorso;
3) l'assistenza agli ex detenuti, alle categorie post-belliche, agli
orfani, agli invalidi, ecc.;
4) la vigilanza sugli organi provinciali dell'ONMI ed in genere su tutte
le attività degli enti pubblici assistenziali;
5) i comitati Provinciali di assistenza e beneficenza
pubblica e quasi tutte le loro funzioni amministrative, compresi gli
accertamenti per le erogazioni delle pensioni ai ciechi, ai sordomuti ed agli
invalidi civili;
6) le autorizzazioni agli Enti assistenziali pubblici
o privati ad accertare donazioni o ad acquistare beni.
La
conseguenza pratica del provvedimento sarà la realizzazione di un quadruplice
e costoso sistema di intervento nel servizio
assistenziale: il primo regionale, il secondo privato e controllato dal
Ministero dell'Interno, il terzo direttamente gestito dai vari ministeri ed il
quarto gestito dai vari enti pubblici nazionali assistenziali.
Nella
sostanza si raggiunge il fine opposto a quello per il quale sono state create
le Regioni, di semplificazione e razionalizzazione del sistema di decentramento
e si moltiplicheranno ed aggraveranno a livello locale e regionale le caratteristiche di frammentarietà e di disarticolazione
(conflitti di competenza, lacune, sovrapposizioni, doppioni, ecc.) dell'attuale
sistema assistenziale.
La
conclusione ed il giudizio del Consiglio Regionale, alla luce di quanto
illustrato nelle premesse e successivamente nella
breve analisi fatta al proposto decreto non possono che essere negative».
Era stato detto e scritto, ma fra il
dire e il fare c'è di mezzo il mare. Infatti, di
fronte al trasferimento parzialissimo delle
competenze effettuato dal Governo con i decreti
delegati del gennaio 1972,
In tal modo, di fatto accettava
quanto a parole aveva rifiutato.
(3) Gli schemi di
decreto delegato predisposti dal Governo prevedevano da un lato un
trasferimento molto limitato di competenze alle Regioni (come di fatto poi è
avvenuto) e d'altro lato erano impostati in modo da conservare le finalità di
ordine pubblico dell'assistenza e la preminenza della cura, e non della
prevenzione, nel settore sanitario.
(4) Negli schemi di
decreto delegato per il riordinamento dei Ministeri, la posizione del Governo
era essenzialmente diretta al mantenimento a livello centrale delle più
importanti competenze e a dare ai Ministeri stessi funzioni di direzione e
controllo nei confronti delle Regioni.
Queste ultime
avrebbero pertanto assunto la caratterizzazione di organismi
gerarchicamente dipendenti dal Governo, mentre
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