Prospettive assistenziali, n. 37, gennaio-marzo 1977
ADOZIONE
O AFFIDAMENTO?
Due
vicende di bambini hanno riportato alla ribalta il problema dei rapporti fra
l'adozione speciale e l'affidamento.
Innanzi
tutto vi è da osservare che dovrebbe essere ormai chiaro che l'adozione
speciale deve essere applicata nei confronti dei minori privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori e
dei parenti tenuti a provvedervi, e di età inferiore agli anni otto al momento
della segnalazione prevista dall'art. 314/5 della legge 5-6-1967 n. 431.
L'affidamento
a scopo educativo invece è, e deve essere, una risposta ai problemi del minore
di qualsiasi età il cui nucleo familiare eccezionalmente o temporaneamente o
definitivamente non è in grado di provvedere al suo allevamento, educazione,
istruzione e d'altra parte la situazione non è risolvibile,
a seconda dei casi, con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia d'origine
o con l'adozione.
Non
vi sono dunque né vi possono essere sovrapposizioni o interscambiabilità.
Problemi
seri invece possono sorgere quando un bambino è stato
dato in affidamento e successivamente vengono a crearsi le condizioni per
l'adozione speciale (disinteresse totale o morte dei genitori).
In
questi casi l'adozione speciale dovrebbe essere la soluzione idonea.
Spesso
però gli affidatari non hanno i requisiti richiesti dalla legge 5-6-1967 n.
431: matrimonio celebrato da almeno cinque anni, non separazione dei coniugi neppure di fatto e soprattutto differenza di
età stabilita dalla legge (quella massima non deve essere superiore ai 45
anni).
In
questi casi riteniamo che le linee operative debbono
essere sostanzialmente due:
1°
Per quanto possibile l'affidamento di minori a scopo educativo dovrebbe essere effettuato solo a coniugi che rispondono ai requisiti della
legge sull'adozione speciale, soprattutto nei casi in cui vi sia una
probabilità che l'affidamento possa essere trasformato in una adozione speciale.
La
differenza di età fissata dalla legge b-6-1967 n. 431
non è affatto astratta, ma è stata definita tenendo conto delle esigenze
dell'adottato soprattutto nella fase adolescenziale. Si può anzi dire che la differenza massima di età di 45 anni è fin
troppo alta, poiché l'adottante può avere una età di 60 anni quando il ragazzo
adottato ne ha 15. Per questa ragione l'Associazione nazionale famiglie
adottive e affidatarie ha più volte richiesto la riduzione della differenza
massima di età dai 45 ai 40 anni.
Su
questo aspetto occorre; a nostro avviso, che i
tribunali per i minorenni, i giudici tutelari e gli operatori sociali assumano
le loro responsabilità ad evitare danni, spesso irreparabili, per i bambini.
Tuttavia
nei casi in cui i bambini vivano presso affidatari che
non rispondono ai requisiti della legge sull'adozione speciale, le esigenze ed
i rapporti familiari dei bambini devono assolutamente prevalere nei confronti
delle attuali norme giuridiche: pertanto devono essere trovate soluzioni per
non separare il bambino dalla sua famiglia.
2°
Ben diverso è l'atteggiamento che occorre tenere nei riguardi delle persone e
famiglie che si appropriano dei bambini non avendo i
requisiti per l'adozione speciale o per qualsiasi altro motivo.
In
questi casi, anche se purtroppo il minore affidato subisce gravi traumi,
occorre stroncare decisamente il mercato dei bambini,
ad evitare che dilaghi questa forma di accaparramento dei bambini considerati
un oggetto che si può comprare a proprio piacimento.
Da notare che spesso il mercato è praticato da coniugi
o persone del tutto inidonee a provvedere in modo adeguato al bambino per la
loro età o per le loro inaccettabili motivazioni.
Quasi sempre poi i due aspetti negativi di cui sopra si
sommano.
Ciò
premesso pubblichiamo un comunicato stampa del 2
febbraio 1977 dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie e
una nota del Presidente della sezione dell'ANFAA di Milano.
I
COMUNICATO STAMPA DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE
ADOTTIVE E AFFIDATARIE
La vicenda della piccola Lucilla di
Vicenza ripropone in tutta la loro gravità e complessità i problemi connessi
all'adozione e all'affidamento educativo dei minori.
Innanzitutto va ricordato che il Parlamento nell'approvare
la recente riforma del diritto di famiglia (legge 19-5-1975, n. 151)
nonostante le ripetute sollecitazioni della Associazione nazionale famiglie
adottive e affidatarie non solo non ha affrontato i problemi dei bambini in
stato di abbandono totale o parziale, ma ha aggravato la loro situazione
riconfermando istituti giuridici del tutto superati quale l'adozione ordinaria
e la affiliazione.
Inoltre la mancata riforma del
settore assistenziale costringe le famiglie in difficoltà e le persone di buona
volontà come nel caso di Vicenza a ricercare soluzioni individuali, continuando
gli Enti a giocare a scaricabarile, stante la pluralità degli organismi competenti
(Ministeri, Regioni, Province, Comuni, ECA, ENAOLI, ecc.).
Infatti mentre la situazione di molti enti
assistenziali peggiora ogni giorno di più, determinando nell'attesa del loro
superamento una grave riduzione delle loro possibilità e capacità di intervento,
non vengono avviati dalle Regioni e dagli Enti locali le iniziative
alternative capaci di rispondere alle esigenze delle famiglie e delle persone e
in particolare dei bambini.
Il caso di Vicenza e le esperienze
portate avanti in alcuni comuni dimostrano che le positive
disponibilità delle famiglie adottive e affidatarie rischiano di avere
conseguenze negative proprio a causa della mancanza di servizi e della arretratezza
della situazione attuale.
Ancora una volta l'Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie ribadisce
l'urgente necessità:
1) dell'adeguamento della riforma del diritto di famiglia che tenga conto delle esigenze e dei
diritti dei bambini in situazione di totale e parziale abbandono. A tale scopo
l'adozione speciale dovrebbe essere estesa ai minori degli anni diciotto, come
prevede anche
Conseguentemente dovrebbero esser
soppresse l'adozione ordinaria e l'affiliazione.
Inoltre, poiché è interesse dei
bambini adottati avere dei genitori giovani (e non dei nonni), è opportuno
modificare la legge sull'adozione speciale.
L'attuale differenza massima di età dovrebbe esser ridotta dagli attuali
2) dell'avvio della riforma assistenziale secondo quanto previsto dalla proposta di legge
di iniziativa popolare «Competenze regionali in materia di servizi sociali e
scioglimento degli enti assistenziali».
Tale proposta è stata depositata
alla Camera e, nonostante le promesse delle forze politiche, la discussione non
è stata nemmeno iniziata;
3) di un reale impegno degli enti
locali per l'avvio di servizi alternativi che riducano le richieste di assistenza mediante interventi a favore delle famiglie
di origine e, quando questo non è possibile, garantiscano ai bambini un ambiente
familiare (a seconda dei casi, adozione, affidamento a -scopo educativo,
piccole comunità).
Si ribadisce
ancora la necessità che i tribunali per i minorenni e i giudici tutelari
operino per impedire ogni forma di mercato dei bambini, mercato che si
realizza spesso con l'appropriazione di bambini adottabili da parte di persone
o coniugi che non hanno i requisiti richiesti dalla legge sull'adozione
speciale, a tutela dei diritti degli stessi minori adottabili.
Gli organi giudiziari suddetti
devono inoltre evitare che l'affidamento educativo di minori diventi un comodo
alibi sia per gli enti assistenziali che non
intervengono in aiuto alle famiglie e persone in difficoltà, sia per gli stessi
organi giudiziari minorili. Spesso avviene infatti che
la adozione speciale è negata a bambini in situazione di totale abbandono o è
pronunciata con ritardi ingiustificati.
II
UN RECENTE PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI
MILANO
È recentissimo un provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Milano che ha tolto un bimbo
da due anni in affidamento presso una coppia (presso la quale era arrivato
piccolissimo) per darlo in adozione ad una nuova famiglia (il bimbo era nel
frattempo divenuto adottabile).
La motivazione principale di un così
grave e singolare provvedimento, per giunta definitivo, secondo l'orientamento
del tribunale, va ricercata nel fatto che, comportando l'adozione speciale la rottura definitiva di ogni rapporto con la famiglia di
origine, concederlo in adozione alla famiglia affidataria,
che era ovviamente disponibilissima ad adottare il bambino, avrebbe comportato
il rischio che la vicinanza con la madre di origine avrebbe in futuro potuto
disturbare l'equilibrio del bimbo.
In stretta osservanza a questo
principio, per niente fondamentale e decisivo secondo me, si è più o meno tranquillamente passati sopra la testa di un
bambino, strappandolo da quella che in quel momento era per lui la «sua»
famiglia per donarlo ad una nuova famiglia, ritenuta più adatta, proprio come
un bellissimo regalo.
Affermano i genitori affidatari,
ovviamente nella disperazione:
- Che l'affido potesse
terminare, dato che tale è la caratteristica di questo istituto, ci trova
d'accordo, ma nel caso di un ritorno del bimbo presso la madre di origine. Ma strapparlo così, per «inventargli» una famiglia quando
già l'aveva da due anni, ci sembra veramente assurdo! E questo non tanto
perché il provvedimento rappresenta una amara
punizione alla nostra disponibilità, ma perché costituisce per il bambino uno «choc»
gravissimo, forse fondamentale per lui, e per di più inutile!
Chi come una qualunque famiglia
dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie abbia
un poco di esperienza in materia, capisce immediatamente che è troppo grave, se
non impossibile, tentare di cancellare i primi due anni di vita di un bimbo,
anni fondamentali, solo perché si presume che la vicinanza geografica con la
madre di origine possa creare dei problemi.
Ciò che sembra veramente paradossale
è il fatto che il giudice o i giudici che hanno disposto
questo provvedimento credano veramente che questa seconda questione sia più
importante della prima.
Non mi sembra proprio invece vi sia alcun dubbio che la cosa più importante era quella di
valorizzare con l'adozione concessa ai genitori affidatari i primi due anni
di vita del bambino.
Non vedo proprio perché questi
genitori, con la legge dalla loro parte, non avrebbero potuto
tranquillamente affrontare le eventuali interferenze della vicinanza della
madre di origine. E la loro sicurezza si sarebbe
certamente trasmessa al bambino. Senza contare che, con molta probabilità,
questa madre di origine, proprio perché il bimbo non
era più suo, si sarebbe messa tranquilla pure lei, come è avvenuto in vari
casi in seguito ad una deresponsabilizzazione reale e
psicologica.
Si noti ancora che si ha
l'impressione che il Tribunale per i minorenni non sembra aver tenuto in gran
conto un altro elemento assai importante.
I vari progetti
di legge infatti, che dovranno portare alla regolamentazione giuridica dell'affidamento
familiare, prevedono una specie di diritto di prelazione della famiglia affidataria, nel caso che il bimbo in affido divenga nel
frattempo adottabile.
A questo punto ci sembrerebbe estremamente utile che il Tribunale per i minorenni cercasse
almeno di chiarire un provvedimento del genere che lascia enormi perplessità.
In caso contrario mi sentirei autorizzato a sottolineare
che uno dei grandi meriti della legge sulla adozione speciale è consistito nel
mettere al centro della problematica il bambino ed il suo diritto ad avere una
famiglia, e non il diritto di altri a togliergliela quando già l'ha e gli va
bene, per trovargliene un'altra.
PIO OGGIONI
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