Prospettive assistenziali, n. 38, aprile-giugno 1977
Editoriale
COMPLETAMENTO
DELLE FUNZIONI REGIONALI IN APPLICAZIONE DELLA LEGGE 382
La
legge 22 luglio 1975 n. 382 (v. Prospettive assistenziali, n. 31, pag. 19) aveva conferito al Governo
la delega ad emanare, entro sei mesi, decreti aventi valore di legge per il
completamento del trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni a
statuto ordinario.
Con
successiva legge n. 894 del 27 novembre 1976 la delega veniva
rinnovata per la durata di mesi sei e cioè fino al 25 luglio 1977.
In
attuazione di quanto sopra, il Governo ha predisposto uno schema di decreto
(pubblicato per estratto in questo numero) che ha inviato alle
Regioni perché esprimessero il loro parere.
Lo
schema governativo è del tutto deludente in quanto non prevede il completamento
del trasferimento delle competenze, ma attribuisce
alle Regioni, ancora una volta, funzioni parziali.
Per
quanto riguarda la sanità non è previsto nessun trasferimento in attesa della riforma sanitaria; in relazione
all'assistenza, compresa quella scolastica, lo schema ribadisce l'arcaico
concetto di beneficenza.
Infine
va rilevato che in materia di assistenza scolastica è
purtroppo prevista l'attribuzione di competenze anche alle Province.
Contro
l'impostazione del Governo, che - ancora una volta - si oppone alle autonomie regionali e locali, si sono mosse non solo
le Regioni (di cui pubblichiamo le controdeduzioni),
gli Enti locali, ma anche varie organizzazioni sociali, fra cui l'ANIEP
(Associazione nazionale tra invalidi per esiti di poliomielite e altri invalidi
civili) che sul problema ha approvato le osservazioni che, da noi sottoscritte
in pieno, riportiamo integralmente.
OSSERVAZIONI GENERALI
Lo
schema di decreto, sottoposto al parere delle Regioni in attuazione dell'art.
8 della legge 22 luglio 1975, n. 382, costituisce, nel suo complesso, una dura
riduzione nei principi e nei contenuti, sia del testo
predisposto dalla Commissione Giannini, sia dello
stesso art. 1 della legge delega, con particolare riferimento ai punti a),
b) e c).
Lo
schema in esame infatti non completa il trasferimento
delle funzioni amministrative e trasferisce solo parzialmente e con complicate
riserve le funzioni esercitate dagli enti pubblici nazionali e interregionali
e infine, per gravi limitazioni di delega, impedisce di fatto l'esercizio
organico delle funzioni trasferite.
Tutto
ciò contraddice i criteri espressi ai punti 1) e 2) dell'art. 1 della legge
382, secondo i quali l'identificazione delle materie da trasferire e da
delegare deve essere realizzata per settori organici, in
base a criteri oggettivi per la loro connessione, affinità o
complementarietà, tale da consentire una disciplina e una gestione sistematica
e programmata delle competenze e delle funzioni attribuite alle Regioni dalla
Costituzione.
In
questo contesto di considerazioni appare
particolarmente lesivo dell'istituto regionale e dei principi della legge
delega:
a) il subordinare o il rinviare l'attribuzione alle Regioni di importanti funzioni (quali l'assistenza sanitaria e
ospedaliera) a incerte prospettive di riforma dell'ordinamento giuridico
generale e della disciplina sostanziale vigente;
b) lo stralcio della riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato,
in conseguenza dei trasferimenti, come previsto dall'art. 6 della legge delega,
per i quali si prevede una attuazione in tempi e con
modalità diversi.
Per
quanto sopra esposto lo schema di decreto rischia di costituire un ulteriore elemento di squilibrio e di disorganizzazione
dell'ordinamento amministrativo statale e regionale e dei rapporti sociali.
OSSERVAZIONI SUI «SERVIZI SOCIALI»
1
- Principi
Si
può osservare, in via preliminare, che il testo proposto ribadisce
l'anacronistica distinzione fra assistenza pubblica e assistenza sociale (ossia
fra beneficenza pubblica e assistenza), cosicché la prima rimane di fatto un
atto amministrativo discrezionale, nel senso definito dalla legge del 1890, e
la seconda un diritto soggettivo costituzionalmente previsto (ex art. 38).
Il
persistere di tale dicotomia, a parte ogni valutazione politica circa le
competenze, ribadisce una distinzione precostituzionale fra i cittadini e gli interventi
correlativi, il che contraddice il principio dell'uguaglianza e
dell'universalità delle prestazioni e riafferma il criterio della povertà come
condizione di assistibilità.
2 - Contenuti
La
definizione di beneficenza pubblica, espressa nell'art. 20 dello schema di
decreto, risulta del tutto nominalistica e per certi
aspetti grottesca, se si tiene conto:
a) delle limitatissime riduzioni del bilancio e
del personale statale (tabelle C - D);
b) delle carenze e delle omissioni circa gli enti
pubblici nazionali da sopprimere (tabella A);
c) della mancata contestuale attuazione di quanto
disposto dagli artt. 6 e 7, riguardo alla
soppressione di uffici centrali delle amministrazioni
statali e il trasferimento del personale.
In
particolare si osserva al Capo III (Beneficenza pubblica):
a) la mancata soppressione dei Comitati provinciali di assistenza
e beneficenza pubblica;
b) la mancata attribuzione delle competenze e delle attività assistenziali, attualmente svolte dal Ministero di Grazia e
Giustizia, nei confronti dei minori, delle famiglie dei detenuti e degli ex
detenuti;
c) la mancata delega delle funzioni relative alla
gestione, assegnazione e revoca degli alloggi popolari;
d) la riserva allo Stato degli interventi di protezione sociale nei
confronti di non ben definite categorie di personale statale, fatto che rappresenta
la sopravvivenza ed il moltiplicarsi di enti
corporativi e può costituire ingiustificati privilegi o disuguaglianze fra
cittadini che hanno uguali diritti e un analogo status giuridico (come ad
esempio i parastatali).
Un
discorso specifico si impone su ciò che è previsto
allo schema del decreto dagli artt. 73 e seguenti e dalla Tabella A), circa il trasferimento delle
funzioni degli enti pubblici nazionali e interregionali. Riassuntivamente occorre rilevare:
1)
le gravi omissioni nell'elencazione di cui alla Tabella A);
2) l'incertezza dei criteri di valutazione per definire
le funzioni di competenza regionale e quelle residue;
3)
la riserva allo Stato dei patrimoni e dei beni delle sedi centrali degli enti pubblici;
4)
l'estrema ambiguità sul destino degli enti a struttura associativa.
Per
guanto riguarda il Capo IV (art. 20 - Assistenza sanitaria), si ritiene che il rinviare la definizione
delle competenze regionali fino alla approvazione
della riforma sanitaria costituisca la negazione culturale e politica delle
connessioni fra sanità e servizi sociali, secondo una visione globale della
persona, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello assistenziale.
Il
fatto che il decreto delegato n. 4 del 1972 sia l'unico a non venire soppresso indica poi chiaramente la volontà di continuare ad
attribuire alle Regioni soltanto «funzioni di ritaglio» in materia di
assistenza sanitaria e ospedaliera (nonostante l'imminente attuazione della
legge 386), in vista della molto problematica istituzione del Servizio
Sanitario Nazionale.
Circa
i Capi V e VI
(Istruzione professionale e l'assistenza scolastica): in linea generale si può affermare che i contenuti di quanto disposto,
oltre che riflettere il consueto criterio di conservazione
dell'esistente, mancano del minimo indizio di un approfondimento
dell'interdipendenza fra istruzione scolastica, formazione professionale e
lavoro.
In
particolare l'assistenza scolastica è ancora intesa come un'attività esterna
alla scuola, all'educazione e alla didattica, cosicché permarranno tutte le
difficoltà e le lacune relative alla g assistenza
scolastica educativa » per gli studenti handicappati o con difficoltà di
socializzazione e di apprendimento.
L'istruzione
professionale non viene a sua volta definita in funzione di autonome
prospettive tecnologiche e di mercato, ma soltanto in termini garantistici per
la validità del titolo di studio.
Tutto
ciò contrasta con gli indirizzi politici e pedagogici dell'elaborazione delle
riforme della scuola secondaria superiore, del
collocamento, dell'università e dei progetti sull'occupazione giovanile.
CONCLUSIONI
In
via riassuntiva si afferma che lo schema di attuazione
della delega legislativa della legge 22-7-1975, n. 382, con particolare
riferimento ai temi dei servizi sociali, dimostra il persistere della tensione
politica e burocratica fra il centralismo amministrativo e il decentramento regionale;
ciò pone seri problemi circa lo sviluppo istituzionale e democratico del Paese,
fra le contraddittorie istanze del verticismo autarchico e della
partecipazione.
Pur
nella consapevolezza che non basta un meccanicistico e acritico trasferimento
di competenze, di funzioni e di finanziamenti dallo Stato alle Regioni, ma che
occorre definire, per quanto concerne i servizi sociali, un progetto complessivo
di sviluppo e di evoluzione della società, si ribadisce
che tale obiettivo non può essere continuamente rinviato nella speranza di
quelle riforme di struttura che attuino un moderno sistema di sicurezza
sociale.
La
situazione politica ed economica del Paese è tale da non garantire programmi di
riforma neppure nel medio termine. Pertanto si ritiene che non possa essere
perduta l'occasione offerta dall'attuazione della legge 382, almeno come strumento
transitorio di razionalizzazione dei servizi, di autogestione
e di emancipazione dei cittadini e delle comunità.
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