Prospettive assistenziali, n. 38, aprile-giugno 1977

 

 

PROPOSTE DI RISTRUTTURAZIONE DI UN OSPEDALE (1)

 

 

In un questionario che la cellula del PCI ha distribuito all'interno dell'Ospedale tra i lavora­tori e i degenti, ad un certo punto era richiesto al compilatore se era a conoscenza di disservizi e di sprechi nella gestione ospedaliera. Ma ab­biamo commesso un errore in quel questionario: abbiamo cioè offerto solo quattro righe per la risposta, per cui la stragrande maggioranza delle risposte sono state: non è possibile in poche ri­ghe descrivere tutti gli sprechi di questo ospe­dale.

Abbiamo voluto iniziare così la nostra relazio­ne per evidenziare l'impossibilità di far rientrare in questo documento tutto il lavoro di raccolta di dati, informazioni e proposte operato dai com­pagni e soprattutto da molti simpatizzanti che a questa iniziativa hanno dato un notevole contri­buto: abbiamo pertanto privilegiato l'esame di alcune situazioni particolarmente gravi partendo da un presupposto, per noi irrinunciabile, e cioè che l'utente, il malato, non solo deve trovare nell'ospedale un altissimo grado di professionalità che faccia fronte alla perdita della sua salute nel migliore dei modi possibili, ma anche una strut­tura che tenga conto di tutto il contesto sociale in cui il malato vive e che il più delle volte è la causa primaria del suo ricovero. Una struttura cioè che non sia alienante, segregazionista e fondamentalmente inumana come è invece nell'attuale realtà.

Abbiamo detto più volte come, secondo noi, solo una struttura di tipo dipartimentale, un rea­le lavoro di équipe, possano garantire una diver­sa qualità del servizio, ma questo non è suffi­ciente se non si andrà al più presto ad una reale riqualificazione di tutto il personale sanitario e se non si farà partecipare i degenti, i cittadini tutti (attraverso i comitati di quartiere e le altre istanze di base) alla gestione degli ospedali.

 

Strutturazione delle scuole per infermieri profes­sionali

Anche per questo una diversa strutturazione delle scuole per infermieri professionali non può essere limitata solo al nostro ospedale, ma deve avere un raggio molto più vasto che investa nel­la sua intierezza il problema della formazione dei lavoratori della sanità.

Una proposta concreta crediamo sia quella di deospedalizzare le scuole; questo per assicurare la giusta e reale autonomia degli enti ospedalieri e per conferire un più ampio ventaglio di cono­scenze nella formazione, poiché se oggi, e non solo da oggi, diciamo che non è più accettabile parlare di cura della malattia come momento centrale della difesa della salute, così diciamo che l'ospedale non può più essere l'unica e nep­pure la principale sede di formazione del perso­nale.

A questa ipotesi di deospedalizzazione deve quindi collegarsi l'inquadramento della formazio­ne sanitaria nell'istruzione pubblica, in vista del­la riforma della scuola superiore e della univer­sità.

Osserviamo inoltre che esiste un divario qua­litativo che va ben oltre il momento dell'istruzio­ne, tra le scuole per infermieri professionali e le scuole per infermieri generici e tecnici: queste ultime costituiscono in realtà grosse sacche di dequalificazione, rilasciano circa 800 certificati di abilitazione all'anno, immettendo perciò sul mer­cato del lavoro un gran numero di lavoratori e di lavoratrici (e qui appare ancora una volta chiaro come un lavoro a prevalenza femminile lo si man­tenga dequalificato) il cui unico sbocco è l'ente mutualistico o la spedalità pubblica o privata.

Va pertanto individuata chiaramente la neces­sità di collegamento tra i vari tipi di scuole, poi­ché tutte le sedi di formazione devono preparare operatori capaci di assolvere compiti clinici o assistenziali con preparazione e competenza spe­cifica del proprio campo, ma senza settorializza­zioni di ruolo né di categoria, né di servizio che contribuiscono, specie fra i tecnici, a formare false coscienze professionali dietro le quali pos­siamo invece scorgere solo il corporativismo.

 

Formazione permanente

E non bisogna dimenticare il problema della formazione permanente, che non solo è stato di­menticato ma a nostro avviso è stato bandito da ogni struttura atta a promuoverla, sia dallo Stato che dagli Enti locali, che dalle scuole e dagli ospedali. Non esiste infatti formazione perma­nente per il personale paramedico, se non a li­vello volontaristico, eppure è un momento basi­lare della formazione del lavoratore della sanità (medico e paramedico), soprattutto se non si vuole vedere superate ed invecchiate nel giro di pochi anni le conoscenze assistenziali, cliniche e organizzative della nostra attuale pratica sani­taria.

Particolarmente oggi la formazione permanen­te assume un'importanza primaria; crediamo in­fatti che nel suo ambito si possa ricercare lo spazio per il collegamento con la didattica dei medici e degli altri operatori e si possa ricercare con i lavoratori quali sono le possibilità e le pro­spettive di mobilità all'interno del servizio sa­nitario.

La qualificazione del personale è un argomen­to che dovrà vedere coinvolti anche gli ammini­strativi.

 

Aspetti amministrativi

Un inadeguato impiego della meccanizzazione e computerizzazione dei diversi dati informativi propri di un presidio sanitario (si pensi che non è possibile sapere, nel nostro ospedale, il nume­ro esatto di esami di laboratorio eseguiti in un anno) ha causato un costante ampliamento del personale amministrativo nella falsa speranza che alla qualità del lavoro si potesse sostituire la quantità.

Si è così innestato un meccanismo autonomo e incontrollato che moltiplica, per le sue stesse necessità di sopravvivenza, la burocrazia e au­menta i tempi di ristagno delle pratiche. E non pare che si sia toccato ancora il fondo.

Accadrà infatti che con lo scioglimento delle mutue si renderanno disponibili, nella sola regio­ne Piemonte, 4.000 impiegati che solo in minima parte potranno essere dirottati in nuovi servizi, la maggioranza peserà invece direttamente sui presidi sanitari.

Noi crediamo che una razionalizzazione dei ser­vizi amministrativi (che passa per la standardiz­zazione a livello regionale delle metodiche e de­gli stampati) possa ridurre sensibilmente il la­voro amministrativo anche se verranno incremen­tati lavori di statistica, e che, pertanto, con l'ag­giunta del personale delle mutue di cui abbiamo detto prima, si renderà disponibile un discreto numero di impiegati che secondo noi dovrebbero essere destinati a un reparto, o a più reparti, a sollevare dal lavoro meramente burocratico il personale sanitario che attualmente perde circa il 20% del suo orario in compilazione di moduli e foglietti vari. Ciò permetterà a nostro avviso di recuperare le caposala ad un lavoro specifi­catamente sanitario, soprattutto in questo pe­riodo di scarsità di personale tecnico preparato, e recupererà al sociale almeno una parte del per­sonale amministrativo abbattendo quella barrie­ra, di fatto esistente, tra sanitari e impiegati che inquadra i primi come gli unici che hanno voce in capitolo in materia sanitaria e i secondi come i burocrati posti a guardia dei sanitari.

 

Aspetti socio-sanitari

Passiamo ora ad alcuni aspetti socio-sanitari dell'Ospedale Molinette.

 

Lungodegenza e riabilitazione

Per quanto riguarda il ricovero di malati anzia­ni lungodegenti: cuori, polmonari, enfisemi pol­monari, vasculopatie cerebrali, trombosi e altre malattie tipiche della vecchiaia, si osserva che nel nostro Ospedale, sebbene esistano 3 divisio­ni di geriatria e 1 di lungodegenza con attrezza­ture per la fisioterapia e la chinesi respiratoria, si fornisce un tipo di assistenza inadeguato alle esigenze dei malati.

Molti casi finiscono in degenza temporanea e lì rimangono anche per 15 giorni - un mese fino al momento della dimissione, senza essere stati trasferiti nelle divisioni di competenza. Difficil­mente dalla degenza temporanea o dalla medici­na o dalla neurologia, i pazienti vengono accom­pagnati presso l'istituto di fisioterapia che fun­ziona prevalentemente per casi extraospedalieri. Questo avviene per mancanza di personale - a giudizio degli stessi lavoratori - ma è da im­putarsi piuttosto ad una scarsa attenzione del momento riabilitativo della funzione dell'ospe­dale.

I malati vengono lasciati a letto e difficilmente aiutati ad alzarsi se non vi sono parenti che provvedano a farlo; a volte cateterizzati anche senza necessità e passano i giorni della loro de­genza in un'immobilità e non autosufficienza che raramente riescono poi a superare. Sintomatico è il fatto che non si sia sentita in ospedale l'esi­genza di assumere dei fisioterapisti e massag­giatori da assegnare ai reparti che possano ini­ziare, se necessario, della terapia già al letto del malato.

Il paziente quindi viene dimesso e, se non ha nessun parente o questi non hanno la possibilità di tenerlo in casa, non ha altra alternativa che il ricovero in cronicari a carico del Comune o a pagamento.

 

Ortopedia

La grave carenza dell'ospedale per quanto ri­guarda la funzione riabilitativa si rivela dramma­tica anche per la divisione di ortopedia dove ap­punto non esiste la figura del fisioterapista. La équipe medica effettua un gran numero di inter­venti chirurgici anche se il personale ausiliario non è sufficiente per provvedere in modo ade­guato all'assistenza post-operatoria.

Il personale infermieristico ha già fatto pre­sente più volte la situazione alla direzione sani­taria senza ottenere alcuna presa di posizione.

Sono ricoverati paraplegici senza avere il mi­nimo di attrezzatura per tenerli. Se non hanno parenti un po' validi che li assistano, dopo poco sono colpiti da piaghe da decubito che vanno in suppurazione.

Molti pazienti traumatizzati soffrono di infiam­mazioni vescicali o infezioni, ma passano sem­pre molti giorni prima che venga deciso di chia­mare un urologo o che un medico presti atten­zione alla complicanza subentrata, cercando di provvedere anche alla prevenzione e alla cura delle affezioni non ortopediche.

I paraplegici vengono segnalati al servizio so­ciale per il trasferimento in centri specializzati dopo molti giorni, anche un mese, dal ricovero quando è assodato che l'intervento riabilitativo deve iniziare subito, pena un processo irrever­sibile.

Anche qui, dunque, il problema è di realizzare una struttura che non veda solo presenti chirur­ghi ortopedici, ma una équipe polispecialistica che segua il paziente lungo tutto il corso della malattia.

 

Malati neurologici

Si osserva poi, per quanto concerne il ricovero di malati neurologici, che esistono delle grosse disfunzioni nel servizio di accettazione.

Nell'arco della giornata si alternano nell'ambu­latorio due neurologi che non garantiscono una continuità di presenza. Si verifica perciò che per­sone che necessitano di un urgente intervento, rimangono nel corridoio su barelle in attesa del medico anche molte ore.

Se il neurologo consiglia un ricovero presso un reparto di neurologia, difficilmente questo viene effettuato e il paziente inviato in degenza temporanea aspetta anche molti giorni il trasfe­rimento nei reparti neurologici dell'università. Sorte peggiore tocca ai malati con problemi psi­chiatrici o solo psicologici, che nella quasi tota­lità dei casi vengono inviati in case di cura fuori Torino o in ospedale psichiatrico su diagnosi del neurologo senza una consulenza psichiatrica e con visite molto affrettate.

 

Tossicomani

Un accenno si può fare all'intervento del no­stro ospedale per quanto riguarda la cura dei tossicomani. In seguito alla circolare regionale che indica fra i centri medici di cura per tossi­comani, l'ospedale Molinette, dal mese di feb­braio 1976, si sono rivolti al pronto soccorso pa­zienti tossicodipendenti. Una minima percentua­le di loro ha ottenuto il ricovero in psichiatria previa visita ambulatoriale, sebbene la legge di­ca chiaramente che la cura deve avvenire in re­parti ospedalieri non psichiatrici.

Da una piccola indagine fatta sui mesi da feb­braio a giugno 1976 risulta che su 15 presenta­tisi in pronto soccorso di medicina: 1 è stato trasferito in medicina perché presentava gravi problemi cardiaci, 1 è stato ricoverato in casa di cura a San Maurizio Canavese, tutti gli altri rimandati via. Per qualcuno è stato minacciato l'intervento della polizia perché insisteva per il ricovero essendo in crisi d'astinenza o comun­que sentendosi male.

 

Anestesiologia e rianimazione

Presso l'istituto di anestesiologia e rianima­zione numerosi ricoveri sono dovuti a tentativi anti-conservativi che presentano quindi dei gros­si problemi socio-familiari.

Le motivazioni che hanno portato il paziente a compiere tale atto non vengono minimamente affrontate in quella struttura, privilegiando uni­camente il momento della cura.

Il malato viene disintossicato e rimandato do­po pochi giorni all'ambiente che gli ha creato gli squilibri. Non è prevista la presenza in reparto, neppure saltuaria, di uno psicologo che possa approfondire col medico la situazione psico-sani­taria del paziente; per quanto concerne i risvolti socio-ambientali non è un'assistente sociale che possa occuparsi dei numerosi casi.

 

Servizio sociale

Per tutta la sede Molinette vi sono solo due assistenti sociali che si occupano di tutti i re­parti ospedalieri e universitari (l'Organizzazione mondiale della Sanità prevede un rapporto di un assistente sociale ogni 250 posti letto).

Precisato che per tutto il complesso San Gio­vanni (4.700 posti letto) lavorano 4 assistenti sociali di cui: due per la sede Molinette, una che si occupa del San Giovanni vecchio, occorre ag­giungere che non vi è stato alcun criterio di for­mulazione dell'organico in quanto l'esigenza di un servizio sociale non è mai stata sentita. Va quindi individuato quello che potrebbe essere un giusto inserimento che risponda alla nuova concezione dell'ospedale come istituzione dipar­timentale in collegamento con i presidi sanitari del territorio.

Oggi l'assistente sociale che lavora in ospe­dale vive una grossa crisi di identità in quanto la sua formazione e il suo ruolo lo portano ad occuparsi dei problemi sociali provocati dalla malattia o che la originano.

Si precisa che l'operatore sociale come figura professionale di tipo individuale non esaurisce da solo la problematica del "sociale" nella strut­tura ospedaliera, se si crede in una concezione non solo scientifica, ma anche "politica" e "so­ciale" della medicina. L'istituzione ospedaliera e i servizi sanitari in generale devono tendere a sviluppare un modus operandi della medicina an­che come prevenzione della malattia, nelle sue cause e conseguenze sociali ed ambientali, e non solo come cura del malato.

 

Interdisciplinarietà degli interventi

Da qui la necessità di andare oltre l'attuale parcellizzazione dell'intervento sul malato, di ga­rantire interventi di una équipe polispecialistica, interdisciplinare, che nella malattia di ognuno sappia cogliere unitamente aspetti patologici e umani, di allargare a tutti gli operatori sanitari la partecipazione alla gestione della struttura.

Il medico è raramente preparato a lavorare in équipe con gli operatori sociali per cui non è favorita la cooperazione tra ruoli medici e para­medici.

Così come viene attuato il servizio, c'è il pe­ricolo di una grossa mistificazione, facendo pas­sare per servizio sociale ciò che servizio non è.

Si potrebbe prefigurare un impiego di operatori sociali collocandoli proporzionalmente nei dipar­timenti o nelle divisioni (il rapporto è di uno ogni 200-300 malati), modificando tale rapporto a se­conda dei servizi, ad esempio: rianimazione, psi­chiatria, dialisi, ecc., che necessitano di un ope­ratore indipendentemente dal numero dei posti letto.

In questa collocazione l'operatore sociale, in­sieme agli altri addetti, può svolgere un lavoro di stimolo alla partecipazione attiva del malato alla gestione della malattia, un lavoro di gruppo tra pazienti del reparto e operatori per la gestio­ne del reparto stesso, e dalla conoscenza dei bisogni individuali dei malati (attraverso il la­voro sul caso individuale), arrivare al generale per evidenziare le carenze strutturali.

Può intervenire come operatore che fa da tra­mite tra l'ospedale e le istituzioni democratiche di base per una continuità dei servizi. Potrà se­guire insieme con gli operatori dei servizi ester­ni di zona i casi reperiti in ospedale per un cor­retto e globale inserimento della persona nelle strutture sociali con particolare attenzione alla riabilitazione psico-fisica dell'utente.

 

Centro antidiabetico

Funziona poi nel nostro ospedale un centro antidiabetico, dipendente da un reparto di medi­cina, che eroga un centinaio di consulenze gior­naliere in media, di cui non più del 7-8% sono interne all'ospedale. La maggioranza dei pazienti ambulatoriali proviene da Torino e provincia, ma una parte anche da altre province.

La tendenza di questo centro, che qualitativa­mente è uno dei migliori in Torino, è stata in questi ultimi tempi di crescita costante, e per noi preoccupante, in quanto prefigura un accen­tramento cospicuo su una unica sede di un tipo di assistenza che bisogna invece decentrare mag­giormente, non certamente polverizzandolo in una miriade di centri antidiabetici, ma riman­dando al medico curante una buona parte dei pazienti che non presentano particolari problemi di controllo, incrementando il sistema del "Day Hospital", cioè eseguendo controlli glicemici lun­go tutta la giornata. Queste sono alternative ra­zionali per evitare molti ricoveri. Occorre anche incrementare l'insegnamento ai medici del terri­torio di alcune nozioni elementari sul diabete e su come fare i controlli il più possibile autono­mamente. Il fatto che attualmente la preparazio­ne dei medici cosiddetti mutualistici sia, riguar­do al diabete, carente in molti casi, non deve, lo sottolineiamo, stimolare la proliferazione di mini centri antidiabetici all'interno delle struttu­re di base, ma piuttosto stimolare la creazione di corsi di aggiornamento per sanitari che ope­rano in queste strutture.

Sarebbe così possibile dividere in due livelli l'assistenza ai diabetici: uno extraospedaliero fa­cente capo alle Unità locali, l'altro ospedaliero facente capo a centri antidiabetici. Al primo li­vello si opererebbe l'informazione sanitaria nei confronti dei pazienti, il depistage e il controllo; al secondo livello si opererebbe come Day Ho­spital, si effettuerebbero le consulenze intra­ospedaliere ed esterne, si provvederebbe alla didattica in quanto formazione del personale ope­rante nel centro, dei medici delle Unità locali e degli studenti, e si effettuerebbe la ricerca e il suo coordinamento. Il mini reparto per ricoveri non avrà più ragione di esistere al momento dell'entrata in funzione del dipartimento di medi­cina.

In base a queste cose e in funzione di un mi­gliore e più qualificato servizio, ci sembra che si debba arrivare ad un ridimensionamento dell'attuale centro. Inoltre non avranno più ragione di esistere le due sale adibite a curve da infu­sione. Infine, disponendo il centro di tre medici, la costituzione, in atto, di un quarto ambulatorio è un vero e proprio spreco.

 

Altri servizi

Concludiamo a questo punto l'esame degli ar­gomenti strettamente sanitari, in quanto credia­mo che altri interverranno dopo di noi su situa­zioni più specifiche. Ci chiediamo solo che si­gnificato ha per il San Giovanni possedere an­cora l'ospedale di Loano. Nell'attuale ottica com­prensoriale e di zonizzazione ci pare che questo «possedimento marino» possa e debba essere restituito alla Regione Liguria al fine di un suo corretto inserimento nella programmazione dei presidi sanitari di quella Regione, tralasciando ogni considerazione sull'uso che se ne è fatto sino ad oggi. Se ci fossero delle preoccupazioni in merito al fatto che non si saprebbe più dove mandare in convalescenza e in riabilitazione un certo tipo di malati a cui il mare fa bene, nulla di più semplice vi sarebbe della stipula di con­venzione interregionale che oltretutto potrebbe garantire dei convalescenziari persino meglio situati.

Per il laboratorio di analisi e la proliferazione di mini laboratori, le radiologie, gli ambulatori, le camere sterili e di rianimazione post-opera­toria che sorgono dal nulla, la cucina, ci riser­viamo, come cellula e in collaborazione con tutti coloro che credono sia possibile gestire in mo­do diverso l'ospedale, di uscire tra non molto con documenti particolarmente approfonditi pro­prio perché la materia richiede una maggiore precisione e attenzione.

Anche il problema del forno d'incenerimento va visto, a nostro avviso, con un'ottica allargata. Dopo che la lotta dei lavoratori ha imposto la chiusura di un forno interno alle Molinette, ba­sato su una progettazione che definire criminale è ancora poco in quanto non vi era neppure, tra le tante carenze, una uscita di sicurezza, dopo quella lotta si è arrivati ad un accordo con il Comune di Torino e all'uso di un forno dell'Azien­da municipale raccolta rifiuti.

Ma sia per la particolarità dei rifiuti che per le capacità ridotte del forno, anche questa non è la soluzione ottimale; aggiungiamo inoltre che vi è un onere non indifferente per l'ospedale nell'utilizzo di tale forno.

Auspichiamo quindi che il già ventilato forno di incenerimento unico, per il comprensorio di Torino, il cui costo, trattandosi di un prefabbri­cato, non supera oggi i 400 milioni, diventi al più presto realtà. Che la Regione si adoperi per­ché le diverse amministrazioni degli Enti ospe­dalieri trovino un punto d'accordo sull'argomen­to e perché la legge che vieta l'uscita fuori dell'ospedale di rifiuti, e che potrebbe essere frap­posta come ostacolo, venga modificata se non abolita.

 

Conclusioni

Concludiamo ricordando, perché ci sembra giu­sto farlo, che tra poche settimane si insedierà un nuovo Consiglio di amministrazione con una più ampia presenza delle forze di sinistra nel suo interno. Si insedierà oltre un anno e mezzo dopo che il voto popolare del 15 giugno 1975 aveva chiaramente espresso la sua volontà di cambiamento. Ma tant'è e non vogliamo esecra­re ulteriormente coloro che credono, o meglio, che trasformano le cariche di un Consiglio di amministrazione in centri di potere privati, scor­dandosi di essere invece i responsabili di un ser­vizio sociale tra i più importanti.

La cellula del PCI delle Molinette, anche in questo ultimo anno e mezzo di sopravvivenza di un Consiglio minoritario nella realtà della Re­gione, ha saputo combattere le sue battaglie a viso aperto e senza paure, senza l'handicap di essere minoranza e opposizione, perché tra gli operai, gli infermieri, gli ausiliari, tra i degenti e in parte anche tra i medici, non è certo il Par­tito comunista ad essere minoritario. La nostra è sempre stata una opposizione paritaria, ragio­nata e costruttiva. E questo ci aspettiamo dalle altre forze politiche che in questi anni non han­no mai mostrato di interessarsi troppo dei pro­blemi dei lavoratori.

Con il cambio del Consiglio non cambierà cer­tamente il nostro impegno in favore delle forze produttive all'interno e all'esterno dell'ospedale; sentiamo però che cresceranno le nostre respon­sabilità e sarebbe sciocco negarlo.

Ma affrontarle non sarà solo compito nostro bensì di tutte quelle forze che, sapendosi allon­tanare da aridi schematismi di parte, vorranno lavorare in un più ampio ventaglio di convergen­ze di idee, consce che ci muoviamo su un ter­reno che coinvolge la salute, spesso anche la vita stessa, soprattutto di vasti strati delle mas­se popolari.

 

Allegato: questionario

Questionario distribuito alla conferenza del 29 gennaio 1977 con il quale si chiedeva il con­tributo dei lavoratori e dei degenti per un'analisi più approfondita dei problemi e delle necessità di un servizio sociale così importante, un con­tributo che, si sperava, potesse essere il modo di partecipare alla gestione dell'Ospedale.

 

 

PARTE RISERVATA AI LAVORATORI

 

1) Dove lavori?  ............................................................................................................

2) Hai gli strumenti tecnici per svolgere il tuo lavoro?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

3) Ritieni il tuo lavoro faticoso?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

4) Trovi rispondenza tra il tuo corso di studi e il lavoro che svolgi in ospedale?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

5) C'è collaborazione tra te e gli altri operatori sanitari?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

6) Ritieni il tuo lavoro dannoso alla salute?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

7) Ritieni di dare un servizio adeguato alle necessità dei malati?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

8) Il tuo reparto si riunisce per discutere i problemi del reparto?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

9) E per discutere problemi inerenti la gestione dell'inte­ro ospedale?

SI q          ABBASTANZA q           NO q

10) E per discutere altri problemi (carovita, equo canone, ecc.)?

SI q    QUALCHE VOLTA q           NO q

11) Da chi apprendi notizie di carattere sindacale o politi­co riguardanti l'ospedale?

VOLANTINI q         COLLEGHI q               GIORNALI q

12) Partecipi alle assemblee?

SI q    QUALCHE VOLTA q           MAI q

13) Ritieni più utili le assemblee di reparto o quella di tutto l'ospedale?

DI REPARTO q      TUTTO L'OSPEDALE q

14) Conosci i problemi riguardanti il rinnovo contrattuale?

SI q          ABBASTANZA q           POCO q           NO q

15) I tuoi rapporti coi degenti sono solo di tipo professio­nale?

SI q          NO q

16) In generale come sono?

BUONI q      COSI' COSI' q       DIFFICILI q          PESSIMI q

17) Perché? .................................................................................................................

18) Gli sprechi sono pagati dalla collettività, di quali spre­chi sei a conoscenza?­ .................................

..................................................................................................................................................

19) Ritieni che l'ospedale dovrebbe funzionare a pieno ritmo anche il sabato e la domenica?

SI q          NO q

20) Pensi che sarebbe utile per il lavoro sanitario di un reparto che vi fosse un impiegato che svolgesse tutto il lavoro amministrativo del reparto stesso?

SI q          NO q

21) Ritieni che iniziative come questa del questionario siano utili?

SI q          ABBASTANZA q           POCO q           NO q

 

(Segnare con una crocetta la risposta più vicina alla realtà).

 

 

RISERVATO AI SOLI DEGENTI

 

1) In quale reparto sei degente? ......................................................................................

2) Ritieni funzionali gli orari dell'ospedale?

SI q          NO q

3) Perché? ........................................................................................................................

4) Hai problemi rispetto al vitto?

SI q          UN POCO q               NO q

5) Quali? ...............................................................................................................................

6) Sono sufficienti i servizi igienici del tuo reparto?

SI q          NO q

7) Ritieni che il rapporto tra te e il personale sanitario tutto sia un rapporto di reciproca collaborazione?

SI q          NO q

8) Ritieni che il servizio sia organizzato secondo le esi­genze dei degenti?

SI q          NO q

9) Se NO perché? ...............................................................................................................

10) Ritieni che nell'ospedale sia rispettata la tua perso­nalità e la tua condizione di essere umano?

SI q          NO q

11) Ti hanno spiegato la cura che ti stanno facendo?

SI q          NO q

12) Ti vengono spiegate le ragioni per cui devi fare una determinata cura o un certo esame?

SI q          NO q

13) Vorresti che ti fosse spiegato?

SI q          NO q0

14) Hai mai chiesto spiegazioni in proposito?

SI q          NO q

15) Hai avuto risposte soddisfacenti?

SI q          NO q

16) Ritieni che l'ospedale debba lavorare a pieno ritmo an­che il sabato e la domenica?

SI q          NO q

17) Da quanti giorni sei degente? ......................................................................................................

18) Quanti giorni ti hanno detto che resterai in ospedale? .................................................................

19) Ritieni che una iniziativa come questa del questiona­rio possa essere utile in qualche modo?

SI q          NO q

 

Spazio per eventuali ulteriori osservazioni .......................................................................................

............................................................................................................................................................

 

 

A cura della cellula delle Molinette del Partito Comunista Italiano

 

 

 

(1) Relazione della cellula del PCI dell'ospedale Molinette di Torino, tenuta il 29-1-1977 in occasione della Conferenza di produzione degli ospedali della Provincia di Torino organizzata dal PCI.

 

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