Prospettive assistenziali, n. 39, luglio-settembre 1977

 

 

Notiziario dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale

 

 

SITUAZIONE DEI SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI DI TORINO (1)

 

In merito alla lettera del Sindaco di Torino, Novelli, sull'assistenza agli anziani, pubblicata su «La Stampa» del 31 u.s., si ritiene che sia­no necessarie alcune precisazioni:

1) nella delibera-quadro approvata nel set­tembre 1976 con l'appoggio dei sindacati, dei movimenti di base e degli operatori sociali, il Comune di Torino aveva stabilito che gli inter­venti nei riguardi dei minori, degli anziani e de­gli handicappati bisognosi di assistenza sareb­bero stati effettuati in base alle seguenti prio­rità:

a) messa a disposizione dei servizi primari non assistenziali (asili nido e scuole materne con orari adeguati, mense, abitazioni, trasporti ecc.) in modo da eliminare o ridurre le cause che provocano le richieste di assistenza;

b) assistenza domiciliare (infermieristica e di aiuto domestico), compreso l'appoggio educa­tivo alle famiglie in difficoltà e a quelle con figli handicappati;

c) interventi per consentire l'adozione specia­le o ordinaria dei minori in situazione di abban­dono materiale e morale;

d) affidamento educativo di minori, affidamen­ti assistenziali di interdetti, inserimento di han­dicappati adulti e di anziani presso famiglie, persone e comunità alloggio gestite da volon­tari o direttamente dal Comune di Torino.

2) A distanza di un anno dall'approvazione della suddetta delibera si deve constatare che il Comune di Torino non ha ancora predisposto un programma per la messa a disposizione dei ser­vizi primari non assistenziali; che l'assistenza domiciliare relativa all'aiuto domestico (pulizia alloggio, preparazione pasti ecc.) è presente so­lo in 8 quartieri su 23; che quella di appoggio educativo non è istituita in nessun quartiere, no­nostante che per quest'ultima vi siano alcuni operatori in servizio in grado di farla sia come tempo a disposizione, sia come capacità profes­sionale; che nessuna comunità alloggio è stata finora istituita. Al riguardo è presumibile che al Sindaco, che nella lettera citata afferma il con­trario, siano state fornite informazioni errate. Da tempo si parla dell'apertura, entro la fine del '77 di 3-4 comunità alloggio, con un totale di 30-35 posti letto. Ciò costituisce però una goc­cia nel mare, tenuto conto che attualmente so­no ricoverati in istituti (anche fuori regione) circa 1000 minori, 2000 handicappati e 2600 an­ziani, tutti di Torino anche se a carico di vari enti (Comune, Provincia, ECA, altri istituzioni).

3) Ma quel che maggiormente preoccupa è il fatto che, a meno di stravolgere le giuste indi­cazioni della citata delibera del Comune di To­rino, nei quindici quartieri in cui non è stata isti­tuita l'assistenza domiciliare (e ciò vale invece per tutti i quartieri per quanto concerne l'appog­gio educativo) non possono essere attuati gli altri servizi alternativi. È evidente infatti, ad e­sempio, che sarebbe disumano sottrarre un bam­bino alla sua famiglia per darlo in affidamento familiare a terzi, quando i genitori potrebbero risolvere i loro problemi con l'aiuto domestico o con l'appoggio educativo forniti dai servizi co­munali.

4) Inoltre la mancata estensione a tutti i quar­tieri di Torino dell'assistenza domiciliare (edu­cativa, infermieristica, di aiuto domestico) e le carenze relative agli altri servizi, non consento­no al Comune di utilizzare il volontariato (fami­glie e persone affidatarie, volontari per comu­nità alloggio, ecc.) che da tempo si è messo a disposizione dell'Assessorato all'assistenza. Al riguardo va precisato che, affinché i servizi svol­ti da volontari siano validi, non servono gene­rici appelli, ma occorre che essi possano inse­rirsi in un quadro programmato ed essere ap­poggiati dai necessari, anzi indispensabili, ser­vizi tecnici del Comune. Non si vuole, ad esem­pio, che gli affidamenti educativi di minori a fa­miglie diventino, perché abbandonati alla buona volontà delle persone disponibili, degli affibbiamenti.

5) È vero che il decreto Stammati ha bloccato le assunzioni da parte degli enti locali di nuovo personale, che portino a superare il numero di dipendenti in servizio alla data del 31-12-1976. Ma resta da vedere se i posti resi liberi al Co­mune di Torino da dimissioni, pensionamenti e decessi saranno assegnati dall'Amministrazione comunale per i servizi di assistenza o se saran­no destinati ad altri incarichi. Questa scelta con­sentirà di verificare se, come afferma il Sindaco Novelli, verranno veramente privilegiati dalla Ci­vica Amministrazione «i giovani, e in modo par­ticolare i bambini, e gli anziani».

Al riguardo vi è inoltre da segnalare che i mo­vimenti di base hanno avanzato da tempo pre­cise proposte per l'impiego nei servizi socio­assistenziali alternativi al ricovero, predisposti o da predisporre da parte del Comune di Torino, del personale disponibile della Provincia di To­rino (in base ad una convenzione già firmata e tutta da attuare), del Comune stesso e di altri enti dove gli addetti sono esuberanti, utilizzan­do al tempo stesso le strutture che a volte da anni sono inutilizzate e pienamente disponibili.

6) Circa gli anziani non autosufficienti che hanno necessità di assistenza sanitaria (soprat­tutto infermieristica) non praticabile a domici­lio o ambulatorialmente, è auspicabile - come richiesto da anni - che il Comune di Torino in­tervenga affinché a questi anziani sia finalmen­te riconosciuto il diritto al ricovero ospedaliero gratuito e senza limiti di durata, come previsto da una legge fin dal 1955. Poiché invece gli ospe­dali, in violazione a tutte le leggi in materia, di­mettono di forza o non ricoverano gli anziani co­siddetti cronici, questi ultimi sono costretti a ricorrere agli istituti di assistenza e beneficenza e a pagare, di tasca propria o con il concorso dei loro parenti o con l'aiuto del Comune per la quo­ta non coperta, fino a 450.000 al mese, oltre a una cauzione anticipata di pari importo.

La suddetta iniziativa porterebbe anche all'eli­minazione delle spese oggi sostenute, senza al­cun motivo giuridico e sociale, dal Comune di Torino.

7) Si segnala altresì che le spese sostenute dal Comune di Torino per servizi alternativi al ricovero vengono rimborsate dalla Regione Piemonte nella misura del:

- 80% al massimo per l'assistenza domiciliare­;

- 100% per i contributi economici, gli affida­menti, gli inserimenti e le comunità alloggio. Pertanto l'allestimento di servizi alternativi da parte del Comune di Torino non comporterebbe spese aggiuntive, ma porterebbe anzi alla ridu­zione delle ingenti spese di ricovero che nel 1976 hanno raggiunto quasi 4 miliardi di lire.

8) L'associazione di cui faccio parte e gli al­tri numerosi movimenti di base che da anni ope­rano nel settore assistenziale non hanno mai a­vuto l'assurda pretesa del «tutto e subito», ma ritengono che più vigoroso potrebbe e dovrebbe essere l'impegno dell'attuale Giunta comunale per superare le gravi situazioni ereditate dalle precedenti Amministrazioni e per avviare, con la necessaria gradualità, ma in modo deciso e con la più ampia partecipazione possibile di sin­dacati, forze sociali e cittadini, servizi realmen­te rispondenti alle esigenze dei bambini, dei fan­ciulli, degli handicappati e degli anziani.

 

 

DIBATTITO SUL CARCERE MINORILE (2)

 

Nell'introdurre questo dibattito sulla sezione di custodia del Ferrante Aporti e cioè sul carcere minorile del Piemonte, non si può fare a meno di ripetere con profonda amarezza quanto i mo­vimenti di base ranno invano denunciato da anni.

Ricordiamo in particolare il convegno del 3 lu­glio 1971 «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti» organizzato da CGIL, CISL, UIL e varie forze sociali; il dibattito sul Ferrante Aporti del 13 giugno 1972; la tenda di denuncia e proposta organizzata a Porta Nuova dal 29 set­tembre al 14 ottobre 1973 sul tema «Disadattati e delinquenti non si nasce ma si diventa»; la raccolta di alcune migliaia di firme effettuata nell'ottobre '74 da varie forze sociali, con l'ade­sione del PCI, del PSI e del PRI e inviate al Mini­stero. di grazia e giustizia.

Ricordiamo i tentativi fatti nei riguardi delle precedenti amministrazioni regionale e comuna­le falliti per il rifiuto netto opposto degli allora assessori regionali Visone e Borando alla propo­sta di delegare al Comune di Torino e non a enti privati la gestione interna al Ferrante Aporti del­la formazione professionale e delle attività ri­creative e culturali. Ricordiamo infine la chiusu­ra totale del Ministero di grazia e giustizia a tut­te le proposte avanzate.

In tutti questi anni, purtroppo la situazione del carcere minorile Ferrante Aporti non è sostan­zialmente cambiata. Anche la ristrutturazione edilizia interna del carcere (costata alcune cen­tinaia di milioni), che a detta del Ministero di grazia e giustizia avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi, non è servita a migliorare in modo si­gnificativo le condizioni di vita dei ragazzi.

Questo dibattito è stato promosso non tanto allo scopo di denunciare la situazione attuale, che si trascina da anni, quanto e soprattutto per ricercare soluzioni, per richiedere impegni pre­cisi: in sostanza per dare avvio a iniziative con­crete. È necessario però, innanzi tutto, chiarire chi sono i ragazzi rinchiusi nella sezione di cu­stodia. Sono ragazzi appartenenti al sottoprole­tariato le cui famiglie, praticamente abbandonate a loro stesse, vivono in condizioni di miseria eco­nomica e culturale. Questi ragazzi sono stati ri­fiutati dalla scuola, ricoverati in istituti di cosid­detta assistenza per la mancanza di interventi alternativi, spesso sono passati negli istituti di rieducazione e poi sono finiti in carcere. Dal car­cere minorile molti di essi sono andati a finire, e molti altri finiranno, nei carceri per adulti.

Circa il tipo di reato commesso, i dati del 1976 dicono che, per quanto riguarda il Tribunale per i minorenni di Torino, vi sano stati 1101 furti, 40 rapine quasi tutte improprie (ad es. scippi), nes­sun omicidio. Una ricerca condotta presso il Tri­bunale per i minorenni di Torino, nel corso della quale sono stati presi in considerazione 845 fa­scicoli di processi celebrati nel 1974, fornisce un quadro sufficientemente attendibile della situa­zione del Piemonte e di Torino in particolare. Su 845 casi esaminati 191 riguardano minori resi­denti in Torino città, 72 nella cintura, 119 nel re­sto della provincia. La percentuale di immigrati offre un primo interessante elemento, ove si con­sideri che essa è dell'85,8% in città e scende al 68% nei comuni della cintura e al 52% nel resto della provincia. La provincia di Torino, compreso il capoluogo, presenta 382 reati (di cui il 76% commessi da immigrati), cioè più di tutto il re­sto del Piemonte e della Valle d'Aosta (344 reati, con percentuale di immigrati del 39,8%).

Il dato della scolarità del minore costituisce senz'altro un fattore interessante, al quale, in questa sede, è indispensabile dare ampio rilievo. È forse opportuno premettere che la fascia d'età interessata è quella che va dai 14 ai 18 anni: inol­tre va ricordato che l'85% dei ragazzi ha supe­rato i 15 anni. Esaminando il livello di scolarità si ottengono i seguenti dati: 19 sono gli analfa­beti, 143 minori hanno frequentato una o più clas­si elementari, 260 hanno la licenza elementare, 207 hanno frequentato una o più classi di scuola media inferiore, 115 hanno la licenza di scuola media inferiore, 84 presentano frequenza a clas­si superiori, di altri 17 non risulta il dato. Ne consegue che solo 199 ragazzi su 845 hanno ter­minato la scuola dell'obbligo (il 23,5%). Sono stati espulsi o comunque sono in ritardo 610 mi­nori, il 72,2% del totale. Il restante 4,3% è co­stituito da analfabeti e da quelli di cui non risulta il livello di scolarità.

I dati non necessitano di commento, semmai confermano impressioni e difficoltà, se non sul­la «colpevolezza» della scuola nel determinare disadattamento e devianza, perlomeno sulla sua incapacità (o impossibilità, a volte) di assumere, in positivo, un ruolo non emarginante.

Ed ancora, per tentare di ottenere un quadro del tipo di condizione sociale da cui provengono i minori che entrano a contatto con la «giusti­zia», si possono riportare i dati riguardanti la professione del padre. Operaio in 287 casi (33,9 per cento), manovale in 78, pensionato in 73, edi­le in 45, artigiano in 42, contadino in 36, girovago in 33, ambulante in 20. Per contro solo 4 profes­sionisti, 4 insegnanti, 22 impiegati. Di 132 padri (di cui 116 immigrati) i fascicoli non riportano la professione, o perché deceduti (93 casi) o per­ché il nucleo familiare è spezzato.

Dei padri: 113 sono analfabeti (e tra essi 106, pari al 93,8%, sono immigrati), 246 hanno fre­quentato classi elementari, 273 hanno la licenza elementare; solo 80 hanno proseguito gli studi, mentre di 133 il grado di scolarità non risulta.

La prima esigenza che emerge da questi dati è quella della prevenzione che richiede, per non diventare una parola vuota di contenuti, rilevanti cambiamenti sociali che si possono riassumere nella lotta per l'eliminazione delle condizioni che riducono una parte non trascurabile dei cittadini al livello di sottoproletariato.

Una prevenzione effettiva esige inoltre la mes­sa a disposizione di servizi primari (asili nido, scuole materne, scuola dell'obbligo a tempo pie­no, casa, ecc.) non solo alle persone «produtti­ve», ma anche, senza ovviamente creare dei ghetti, a quelle che presentano difficoltà di tipo fisico, psichico, sociale.

Su questo aspetto vi sono dichiarazioni positi­ve delle nuove amministrazioni regionale, pro­vinciale e comunale, ma vi sono ritardi spesso inspiegabili nell'avvio dei servizi alternativi. Nu­merose le proposte avanzate dai movimenti di base e si citano in particolare il documento in­viato a Regione, Provincia e Comune di Torino nell'agosto 1975, di cui finora non sono state ac­colte le numerose richieste, ed i due convegni del 6-7 marzo 1976 e del 18 dicembre 1976.

Considerando il periodo dal 1° gennaio al 31 maggio 1977 risulta che su 263 minori provenien­ti dal Piemonte solo 20 e cioè solo il 7% appar­tiene alle province di Asti, Alessandria, Cuneo, Novara e Vercelli; ben il 62% proviene da Torino città e infine il 31% proviene dalla provincia di Torino.

Da quanto sopra, emerge una indicazione pre­cisa sulle zone in cui è più urgente intervenire. Analoga considerazione vale per i dati relativi al Comune di Torino da cui risultano i quartieri con un maggior numero di ragazzi rinchiusi al Ferrante Aporti e cioè Centro (40 ragazzi), Mira­fiori Sud (29); Vallette (28), Regio Parco (16), Fal­chera (9), San Paolo (7).

Come più volte denunciato dagli operatori, il Ferrante Aporti è una struttura carceraria che presenta tutte le caratteristiche di violenza, so­praffazione e in genere spersonalizzazione dei ragazzi, tipiche di una struttura chiusa, estrema­mente rigida, repressiva e totalizzante. Non sfug­ge a nessuno la gravità e la conseguenza che una esperienza, ripetuta più volte, in un simile am­biente, provoca nei ragazzi. Per tutti è un'espe­rienza traumatica e negativa sia che si manifesti successivamente con una spinta più forte al comportamento deviante, sia che si manifesti con crisi depressive, con un ripiegamento su se stessi o con sfiducia e sofferenze individuali non espresse.

A questo si aggiunge il rapporto spesso diffi­cile con gli agenti di custodia, personale deman­dato a svolgere un ruolo senza che il Ministero di grazia e giustizia abbia fornito alcuna possi­bilità di preparazione idonea.

Questi agenti lavorano sovente, e qualche vol­ta non a caso, con turni massacranti di 18-20 ore al giorno, devono custodire i minori garantendo l'ordine e la disciplina e hanno la responsabilità penale per le eventuali fughe.

Inoltre essendo personale militare, spesso in servizio di leva con ferma di due anni, è total­mente in mano all'autorità militare gerarchica­mente superiore all'interno della sezione. Non possono certo modificare questa situazione gli educatori (sono 5) distaccati dal Ministero di grazia e giustizia presso il Ferrante Aporti.

A questa situazione, comunque patogena, si aggiungono le violenze di cui i ragazzi parlano (maltrattamenti, repressioni, pestaggi organiz­zati): il clima generale è di forte tensione ed esasperazione (tentati suicidi).

Data questa situazione chiediamo che le per­sone autorizzate per legge ad entrare nel Ferran­te Aporti (parlamentari, consiglieri regionali e vescovo) esercitino questo loro diritto costante­mente all'interno.

Chiediamo inoltre che una commissione di controllo composta di rappresentanti di forze sin­dacali e sociali possa svolgere un'attività ana­loga alla Commissione di controllo degli ospedali psichiatrici di Torino (v. art. 17 legge 354/75 sulla riforma carceraria).

Altre richieste che avanziamo sono le se­guenti:

- trasferimento alla Regione ai sensi della legge 382 di tutte le competenze rieducative at­tualmente esercitate dal Ministero di grazia e giustizia. Tale trasferimento deve riguardare an­che il personale di servizio sociale, gli speciali­sti, gli educatori;

- smilitarizzazione degli agenti di custodia, adeguamento degli organici e riqualificazione del personale suddetto mediante corsi di aggior­namento promossi dalla Regione e gestiti dal Comune di Torino;

- esercizio da parte della Regione Piemonte delle proprie competenze in materia di formazio­ne professionale e di sanità con incarico al Co­mune di Torino della gestione. La formazione professionale dovrà tener conto della mobilità dei ragazzi e delle condizioni particolari in cui vivono nella sezione di custodia;

- accordo promosso dalla Regione Piemonte con il Ministero di grazia e giustizia per la ge­stione da parte del Comune di Torino delle atti­vità interne sia ricreative che culturali;

- destinazione del Ferrante Aporti esclusiva­mente ai minori del Piemonte e della Valle d'Ao­sta evitando il loro trasferimento in altre Regio­ni, salvo casi eccezionali e con parere favorevole del giudice di sorveglianza.

Queste richieste sono rivolte alla Regione e al Comune per un reale coinvolgimento (che vada oltre le dichiarazioni formali) dell'ente locale in questo settore e per stabilire un collegamento fra interventi «dentro» e «fuori» il Ferrante Aporti.

Parallelamente dovranno essere sistemati nel­le loro zone di appartenenza i minori provenienti da altre regioni (dall'1-1-'77 al 31-5-'77 sono stati rinchiusi al Ferrante Aporti 49 di questi minori su un totale di 312). Da notare che la media dei giorni di permanenza dei minori provenienti da altre Regioni è molto alta: oltre il doppio di quel­la dei minori di Torino città e quasi il triplo dei ragazzi provenienti dalla Provincia di Torino.

Infine restano aperti alcuni problemi di fondo che il dibattito potrà chiarire:

1°) Per i minori degli anni 18 è possibile la depenalizzazione? Può e deve il carcere minorile essere sostituito, in caso di reati gravi, da mi­sure limitative della libertà che non siano di tipo carcerario?

2°) Può essere sostenibile e giustificabile il ricorso alla carcerazione preventiva dei minori che non sono stati ancora giudicati e che soven­te in sede di pubblico dibattito sono assolti?

3°) È accettabile che ragazzi di età inferiore ai 16-18 anni vengano sottratti al giudizio del Tribunale per i minorenni perché coimputati con adulti?

Prima di concludere questa introduzione ci sembra che vadano dette alcune cose circa il settore rieducativo. Continuiamo a ritenere che il settore stesso debba essere soppresso e sosti­tuito da interventi civili del Tribunale per i mi­norenni e da interventi sociali e socio-assisten­ziali da parte della Regione e dai Comuni nell'ambito delle Unità locali di tutti i servizi.

Nella linea della assunzione delle competenze da parte degli Enti locali valutiamo positivamen­te, come soluzione intermedia e transitoria, la gestione da parte del Comune di Torino di un gruppo famiglia di ragazze nei confronti delle quali il Tribunale per i minorenni ha deciso una misura rieducativa.

Chiediamo inoltre l'immediato intervento del Comune affinché gestisca l'attuale comunità ma­schile (attualmente gestita dal Ministero di gra­zia e giustizia) e del relativo personale disponi­bile.

Resta ferma in ogni caso la necessità della soppressione delle misure rieducative e lo scio­glimento delle IPAB (quali il «Buon Pastore») poiché, realizzando quanto sopra richiesto, non svolgeranno più nessuna attività.

Al riguardo la Regione dovrebbe operare per­ché iniziative analoghe siano attuate nel resto del territorio regionale, al fine che possano es­sere coperte tutte le esigenze e il settore riedu­cativo venga di fatto assorbito dagli enti locali.

 

 

(1) Lettera inviata in data 31-7-1977 dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale al Direttore de La Stampa e, per conoscenza, al Sindaco di Torino.

(2) All'organizzazione del dibattito (tenutosi a Torino il 25-6-1977) e alla stesura della relazione introduttiva hanno partecipato il Coordinamento dei Comitati di quartiere, il Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, il CO.NA.LI.CA., la Lega non violenta dei detenuti e un Gruppo di operatori del Ministero di grazia e giustizia.

 

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