Prospettive assistenziali, n. 39, luglio-settembre 1977

 

 

Notizie

 

 

IL MONDO DEL LAVORO E GLI HANDICAPPATI

 

Su questo tema si è svolto a Mestre dal 16 al 17 aprile 1977 un convegno organizzato da: Co­mitato di Coordinamento delle Associazioni Han­dicappati della provincia di Venezia; AFAL; AIAS; AISM; ANFFaS; MUCOVISCIDOSI; UIC; UILDM; Amministrazione Comunale di Venezia; Ammini­strazione Provinciale di Venezia; Confederazione sindacale unitaria CGIL, CISL, UIL della provin­cia di Venezia; Consorzio provinciale per la ge­stione dei servizi assistenziali per gli spastici di Venezia; Sezione di Venezia dell'Amministrazio­ne per le Attività assistenziali italiane e inter­nazionali.

Al termine dei lavori è stata approvata la mo­zione conclusiva che riportiamo.

 

Nell'attuale momento di grave crisi economica e morale della nostra società, il problema dell'handicappato alla ricerca di una dignitosa oc­cupazione deve essere visto non già come pro­blema settorializzato ma come problema di tut­ti i cittadini che vedono nell'emarginazione il segno di una società che scarsamente progredi­sce sulla via delle conquiste sociali.

Posta questa premessa generale, i partecipan­ti al convegno

RIBADISCONO che il problema dell'inserimen­to degli invalidi nel mondo del lavoro potrà es­sere positivamente e concretamente risolto qua­lora le forze politiche, sociali e sindacali si ri­feriranno alle novità istituzionali della legge sul­la riconversione industriale, agli interventi straor­dinari per i giovani in cerca di lavoro, alla rifor­ma del sistema di formazione professionale, alla confluenza del collocamento obbligatorio nel più generale quadro di riforma della normativa sul collocamento in generale, all'ampliamento infine delle autonomie regionali, previste dalla 382.

AFFERMANO che l'attuale proposta di revisio­ne della 482, oggetto del testo unificato del grup­po ristretto della commissione lavoro della Ca­mera, non è accettabile in quanto non contiene un vero e reale disegno di riforma ma solo mo­difiche marginali e puramente correttive, lascian­do intatte d'altra parte, le anacronistiche e inac­cettabili suddivisioni in categorie degli aventi di­ritto, non rispondenti alla politica della riforma in tema di sicurezza sociale e neppure alle nuo­ve concezioni, emerse anche durante i lavori di questo convegno, di inserimento dell'handicap­pato nel mondo produttivo del lavoro.

RIBADISCONO che il diritto al lavoro dell'han­dicappato non deve essere privilegio di una ca­tegoria dichiarata bisognosa di assistenza ma deve rappresentare un autentico momento di partecipazione del cittadino invalido al progres­so morale, sociale ed economico della società.

RICONOSCONO che l'impiego protetto in fab­brica, il contratto di riabilitazione, il collegamen­to del lavoro alla formazione professionale se­condo forme metà studio metà lavoro, il collo­camento selettivo e l'inserimento nelle piatta­forme contrattuali dei lavoratori, possono costi­tuire prospettive concrete per una nuova norma­tiva tesa a favorire l'inserimento degli invalidi.

AFFERMANO che nonostante il positivo con­tenuto della piattaforma contrattuale dei metal­meccanici e dei lavoratori tessili, il sindacato non ha ancora acquisito sufficiente conoscenza e coscienza del problema nonché della sua am­piezza.

RITENGONO che il sindacato non potendo pre­scindere da una alleanza sociale che realizzi l'u­nità tra i lavoratori e gli invalidi, in quanto an­ch'essi cittadini interessati alla trasformazione di questa società, debba necessariamente ad­dentrarsi in questi campi nuovi, per un ricupero ed un confronto costruttivi sul piano dei valori.

PRENDONO ATTO della posizione autocritica espressa dai vari componenti sindacali, ma an­che dell'impegno più volte ribadito dai rappre­sentanti delle categorie sindacali di voler af­frontare il problema concretamente anche in termini di sensibilizzazione dei lavoratori e dei consigli di fabbrica.

CHIEDONO che nella prospettiva di una rifor­ma sempre più urgente della sicurezza sociale, gli enti locali (Comune, Provincia, Regione) confermino la volontà di creare servizi sociali aperti a tutti in modo da permettere l'inserimen­to sociale a tutti gli handicappati, evitando la dispersione di fondi pubblici verso istituzioni chiuse che ne impediscono la integrazione.

Da ultimo FANNO PRESSANTE RACCOMAN­DAZIONE alle varie associazioni nazionali di ca­tegoria che, superando ogni visione di parte, for­mino un comitato unitario nazionale per andare ad un incontro con i gruppi parlamentari e con le forze sindacali, al fine di ottenere provvedi­menti che assicurino l'inserimento reale dell'handicappato nel mondo del lavoro.

 

 

INSERIMENTI SCOLASTICI ALLA ROVESCIA DI CIECHI E SORDOMUTI

 

Pubblichiamo il testo integrale della nota in­viata in data 6 giugno 9977 dal Comitato torinese per l'integrazione scolastica degli handicappati al Ministero della pubblica istruzione, al Sovra­intendente scolastico per il Piemonte e al Prov­veditorato agli studi di Torino.

Al suddetto Comitato aderiscono l'Associazio­ne Italiana Assistenza Spastici (AIAS) - sez. di Torino, l'Associazione Nazionale Famiglie Fan­ciulli Subnormali (ANFFaS) - sez. di Torino, l'As­sociazione Nazionale Famiglie Adottive e Affida­tarie (ANFAA), il Coordinamento Autogestione Handicappati, il Coordinamento dei Comitati di Quartiere, il Movimento di Cooperazione Educa­tiva, l'Unione Italiana Ciechi - sez. di Torino e l'Unione per la lotta contro l'emarginazione so­ciale.

 

A quanto ci è noto, la scuola media dell'Isti­tuto per ciechi e la scuola elementare dell'Isti­tuto per sordomuti di Torino hanno inoltrato; in base alle recenti circolari ministeriali, dei pro­getti di sperimentazione che prevedono l'inse­rimento di alunni normodotati nelle classi spe­ciali fra gli alunni handicappati frequentanti gli stessi istituti.

Intendiamo richiamare vivamente l'attenzione degli Uffici in indirizzo sulla gravità che assu­merebbe una eventuale approvazione da parte del Ministero della pubblica istruzione di que­sti progetti, contro i quali esprimiamo una re­cisa opposizione, in base ad una serie ampia e meditata di motivi, basati anche su una vasta esperienza nel settore, privilegiando anzitutto motivi di ordine scientifico e pedagogico.

Vogliamo anzitutto ricordare che il documen­to della commissione Falcucci sull'integrazione scolastica degli handicappati, fra le diverse pro­poste avanzate, non fa il minimo accenno alla possibilità scientifica e pedagogica di una simi­le impostazione «a rovescio» dell'inserimento e dell'integrazione fra alunni handicappati e nor­modotati. Così pure la recente circolare mini­steriale sulla sperimentazione (n. 1931 del 14-4-1977), fra i vari possibili progetti di speri­mentazione, elenca anche quelli di inserimenti di alunni handicappati ma precisa che è «pre­minente l'esigenza di sperimentare criteri di­dattici per l'insegnamento in classi normali do­ve sono inseriti alunni handicappati».

A riscontro di queste indicazioni «ufficiali» di indirizzo scientifico e pedagogico, risulta par­ticolarmente significativo il fatto che, di contro ai due progetti degli Istituti, ne sono stati pre­sentati numerosissimi altri per l'effettiva inte­grazione degli handicappati nelle classi normali da parte di scuole statali della stessa provincia di Torino, le quali, sulla base di precedenti espe­rienze positive, vogliono ora meglio strutturare, migliorare e far avanzare, anche dal punto di vista scientifico, gli inserimenti già in atto e quelli che si prevedono nel prossimo anno sco­lastico.

Ugualmente numerosi e significativi sono pu­re i progetti di corsi di aggiornamento presen­tati allo stesso Ministero da parte di molte scuo­le statali e di altri enti, aventi per argomento proprio l'integrazione scolastica degli handicap­pati, nonché specifiche tecniche necessarie per l'efficace azione di recupero, come, ad esempio, corsi sulla psicomotricità.

Nella provincia di Torino, complessivamente, da molti anni e ormai nella quasi generalità del­le scuole, l'inserimento di alunni handicappati dimostra, pur fra obiettive difficoltà e iniziative frenanti, la sua validità, documentata in diverse relazioni, pubblicazioni, convegni. Particolarmen­te avanzato e seguito con cura è proprio l'inse­rimento degli alunni ciechi.

I bambini ciechi integrati ai vari livelli della scuola normale sono ormai, nella provincia di Torino, di gran lunga di più di quelli ancora fre­quentanti l'istituto. Essi sono seguiti da educa­tori dell'Amministrazione provinciale che, man­cando finora un'applicazione da parte degli Or­gani dello Stato alle disposizioni della legge n. 360 dell'11.5.1976 e all'art. 9 del decreto de­legato sulle scuole speciali, fungono parzial­mente anche da insegnanti d'appoggio. Alle ne­cessità di materiale educativo e ad altri biso­gni sopperiscono la stessa Provincia e l'Unione Italiana Ciechi che svolge pure un'attenta fun­zione di consulenza verso la scuola e la famiglia.

Ma anche per gli alunni audiolesi vi sono po­sitive esperienze di inserimento, sia pure con­dotti in modo più episodico o graduale. Oltre a singoli casi in classi comuni, si segnala l'espe­rienza ormai decennale delle classi speciali per audiolesi inserite nella scuola elementare sta­tale «G. Carducci» di Torino, dove si attuano validi esperimenti di socializzazione fra gli a­lunni udenti e gli alunni minorati dell'udito, in preparazione a più validi e definitivi inserimen­ti degli audiolesi nelle scuole normali dei ri­spettivi quartieri di residenza.

Per tutti questi motivi non si comprende co­me si possano impostare scientificamente (come richiede il DPR n. 419 all'art. 3) gli esperimenti richiesti dagli Istituti per ciechi e per sordo­muti, i quali si pongono in modo palese proprio nella linea opposta e inversa sia alle indicazioni tecniche (anche ufficiali) in materia, sia a tutte le indicazioni desumibili dalle esperienze condotte da diversi anni nello stesso ambiente torinese e, in parte, con lo stesso tipo di alunni ciechi e sordi.

Non conosciamo i progetti relativi, che non sono stati oggetto di consultazione con le asso­ciazioni e neppure resi pubblici, ma nutriamo fondati dubbi che essi possano corrispondere ai requisiti richiesti dalla norma citata.

Non è inutile sottolineare ancora più chiara­mente l'evidente contraddittorietà di tali proget­ti, non solo nei confronti delle esperienze gene­rali, in atto e progettate, di inserimento degli handicappati, ma anche nei confronti delle espe­rienze condotte negli stessi settori dei ciechi e dei sordi. Ma tale contraddittorietà rasenta l'as­surdo quando la si rileva all'interno della stessa politica degli istituti: infatti l'istituto per sordi da alcuni anni avvia i suoi alunni alla scuola me­dia statale di zona «G. Pascoli», sia pure in classi apposite, mentre chiede una sperimenta­zione opposta per la scuola elementare; a sua volta l'istituto per ciechi sta stipulando una con­venzione con la Provincia di Torino nella quale sono indicati vari strumenti per una più vasta deistituzionalizzazione dei bambini non vedenti, mentre chiede all'opposto un inserimento di a­lunni normodotati nella scuola interna per ciechi.

Ma ancora altri gravi motivi, a nostro giudizio, infirmano a fondo la validità scientifica e peda­gogica di tali progetti:

- un processo di effettiva integrazione degli handicappati, oltre ad investire l'aspetto scola­stico, si deve estendere e prolungare oltre la scuola, favorire ed attuare momenti di aggrega­zione e di incontro sul territorio, sia favorendo un pieno estrinsecarsi di tutti gli aspetti di vita dei fanciulli normodotati e handicappati nell'am­biente famigliare, ludico, culturale, religioso, sportivo, sia coinvolgendo le famiglie e le forze del quartiere in una vera presa a carico della totale integrazione sociale dei suoi componenti meno fortunati, nello stesso loro ambiente di vi­ta e di relazione. Tutto questo è impossibile se gli alunni handicappati ospiti degli Istituti e del­le loro scuole speciali interne provengono in­vece da quartieri diversi e spesso da città, pro­vince e persino regioni varie e lontane, rispetto agli alunni normodotati che vivono in un solo determinato quartiere;

- l'inserimento di alunni normodotati nelle scuole interne agli Istituti avverrebbe in un am­biente fortemente connotato e strutturato, da sempre, come «speciale» sia nel suo -persona­le, sia nelle attrezzature, sia nei programmi e nelle materie particolari, sia nella stessa prassi e atmosfera educativa, al punto da compromet­te in modo grave l'efficacia di un inserimento di alunni esterni, chiamati a «normalizzare» ciò che normalizzare non si può neppure chiamando gli alunni normodotati ad uno sforzo gravoso e ad azioni decisamente superiori alle capacità psicologiche dei fanciulli, sottoposti così anche a seri rischi di adattamento emotivo e sociale;

- in tali progetti si viene ad impostare un rap­porto numerico non «naturale» fra alunni han­dicappati e normodotati, lontano da tutte le in­dicazioni scientifiche in materia, riprese nel do­cumento della Commissione Falcucci, che parla di «massimo due handicappati per classe» e ribadite nelle successive circolari ministeriali in materia. Fra le altre conseguenze facilmente pre­vedibili di questa composizione anomala delle classi (sembra che si prevedano 5 handicappati di contro a 10 normodotati) vi sarà il permanere di una netta dicotomia di comportamento fra i due gruppi di alunni che annulla ogni possibi­lità di socializzazione reale (come è già stato in parte osservato nell'esperienza analoga con­dotta nei corsi professionali esistenti all'interno dell'Istituto per ciechi);

- gli inconvenienti esposti, a cui si aggiungo­no, nel caso della scuola per ciechi, le possibili difficoltà emotive e didattiche dovute all'impat­to degli alunni normodotati con un'alta concen­trazione, oltre che di ragazzi, anche di insegnanti non vedenti, temiamo possano alimentare l'in­sorgere di pregiudizi o di atteggiamenti pietisti­ci (in ogni caso profondamente diseducativi) sia negli alunni che nelle loro famiglie. Anche questo fenomeno è già stato riscontrato relati­vamente ad un esperimento, peraltro molto più cauto e limitato, condotto a livello di scuola ele­mentare nei locali dell'Istituto per ciechi.

Se le osservazioni esposte si riferiscono in modo particolare alle condizioni scientifiche e pedagogiche che devono garantire un progetto di sperimentazione, non per questo sono secon­darie le motivazioni di ordine più generale, so­ciale e politico, che si oppongono decisamente ai progetti dei due istituti, e che sono particolar­mente vive e sentite nell'ambiente torinese.

Di fronte all'estendersi dell'integrazione sco­lastica, è ben noto che le istituzioni speciali oppongono le più varie resistenze, fino al punto di organizzarsi per contrastare gli stessi indiriz­zi e progetti ministeriali. Molto significativa al riguardo è la presa di posizione contro le con­clusioni della Commissione Falcucci da parte dell'UNEBA (si veda fra l'altro in «Nuova pro­posta» 1976 n. 11).

In questa prospettiva, certi progetti di speri­mentazione, come quelli dei due Istituti torinesi, appaiono fortemente sospetti di essere una mascheratura della difesa degli interessi e del­la conservazione dell'istituzione speciale, più che non l'espressione di una autentica preoccupa­zione dei veri interessi e bisogni degli alunni handicappati. A questo proposito ci sembrano molto illuminanti le osservazioni di un esperto dell'educazione dei ciechi, Franco Ferro, che nel convegno sull'integrazione scolastica tenutosi a Torino nell'aprile 1975, così concludeva la sua relazione (con una antiveggenza molto acuta): «Ho l'impressione che, pur di salvare le istitu­zioni totali che, non dimentichiamolo, sono an­che centri di potere, non si esiti a sacrificare, oltre agli handicappati, anche qualche bambino normale, e questo è veramente troppo!».

Non è inutile, infine, richiamare qui l'esigenza che gli Enti a vario titolo tenuti alla vigilanza e al controllo sugli Istituti per handicappati e sul­le relative strutture scolastiche, assumano del­le iniziative amministrative di accertamento scrupoloso su quanto ha recentemente denun­ciato alla Magistratura l'Unione Italiana Ciechi di Torino circa l'illegittimità dell'accoglimento, a spese delle Province, nell'Istituto per ciechi di soggetti dotati di un visus superiore a quello che definisce la cecità.

Confidiamo che gli Uffici responsabili in indi­rizzo esaminino con attenzione le osservazioni esposte ed assumano decisioni capaci di salva­guardare quella correttezza di impostazione che deve caratterizzare ogni proposta di sperimen­tazione ancor più laddove essa ha per oggetto bambini handicappati ai quali è più che mai ne­cessario evitare esperienze frustranti.

 

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