Prospettive assistenziali, n. 40, ottobre-dicembre
1977
ANALISI CRITICA
DELLE NORME VIGENTI SULL'INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI HANDICAPPATI
La recente legge n. 517 del 4 agosto
1977 offre l'occasione per fare un primo bilancio sulle norme giuridiche
generali che regolano l'integrazione scolastica degli
handicappati (circa le norme regionali in materia, si rimanda a un prossimo
articolo). La scheda giuridica riportata in calce ci dà un quadro sintetico di
queste norme, su cui impostare osservazioni critiche e tracciare prospettive di
sviluppo.
L'obbligo dell'integrazione
e la doppia via dell'educazione speciale
Una parte delle norme regola il
diritto-dovere dell'integrazione scolastica degli handicappati. Si tratta in
particolare della legge n. 118 del 30/3/1971 all'art. 28, dove tuttavia un
inciso lascia aperto il problema degli handicappati più gravi: infatti, non
solo lascia spazio a interpretazioni restrittive e
soggettive della norma, ma neppure prevede altre strutture educative non
emarginanti in cui possano essere accolti anche i più gravi.
Nonostante questa legge generale, le
resistenze all'inserimento degli handicappati anche non gravi,
e soprattutto dei ciechi e dei sordomuti, trovarono addirittura avallo in
sentenze contraddittorie della magistratura ordinaria e persino della Corte
Costituzionale. Per questo, il legislatore dovette ricorrere a due norme
esplicite per i ciechi (legge 11/5/1976, n. 360) e per i
sordomuti (legge 4/8/1977, n. 517, art. 10).
Ma proprio in queste due norme appare
una grave contraddizione nella «doppia via» ufficializzata per l'educazione
speciale, e nel diverso trattamento usato nei confronti degli istituti e delle
scuole speciali, da una parte, e della scuola comune,
dall'altra. Infatti, si mantengono sullo
stesso piano giuridico ed educativo due tipi di
istituzioni fra loro distanti e addirittura opposte; e inoltre, mentre per gli
istituti e per le scuole speciali non si fissano ulteriori e più moderne
condizioni strutturali e pedagogiche, per le scuole comuni si indica una serie
di condizioni che sono certamente giustificate in sede di principio, ma
possono prestarsi a gravi interpretazioni restrittive nella pratica,
soprattutto se si confrontano con una indiretta preferenza accordata
all'istituzione chiusa nell'animo del legislatore, che non chiarisce a sufficienza
la superiorità di un'educazione socializzante.
Questa «doppia via» non risponde
agli interessi degli handicappati, ma è il compromesso condizionato da bene
individuabili interessi di enti, e di certe categorie
di personale. Ad esempio, l'UNEBA si è opposta al progetto ministeriale, e in particolare al documento della Commissione Falcucci sull'integrazione scolastica degli handicappati,
con affermazioni di estrema gravità, in cui si mistifica la necessità di
superare l'emarginazione con la difesa del pluralismo e dell'iniziativa
privata: «Una prima osservazione riguarda la logica del progetto Falcucci. È chiaro, anche se non espresso esplicitamente,
che la politica di integrazione totale consegue ad una
impostazione ideologica di deistituzionalizzazione e
di pubblicizzazione dei servizi socio-assistenziali-educativi
che impedirebbero quindi, in tale ambito, un democratico pluralismo di interventi
e mira in ultima analisi a bloccare ed abolire l'iniziativa privata» (da Nuova proposta 1975 n. 11. V. anche Prospettive assistenziali,
n. 34, pag. 55).
Osserva a sua volta il pedagogista
Cesare Scurati, in un lavoro di gruppo per
l'Associazione Italiana Maestri Cattolici (Centro studi nazionale A.I.M.C., Per un nuovo curricolo nella scuola elementare, Roma, 1975, p. 86):
«Riesce difficile concepire come tale obiettivo dell'integrazione scolastica
degli handicappati possa essere compatibile con la
"necessaria continuità degli istituti speciali e delle strutture
specializzate oggi esistenti" (circolare ministeriale n. 227). Sarebbe
molto più proficuo, per la riuscita di detta sperimentazione, che una maggior
coerenza legislativa permettesse di superare quell'atavico
male italiano che è la permanenza di ruoli e di strutture ormai
inadeguate mantenute per non costringere il personale a dover mutare il proprio
ruolo e la propria funzione in ragione delle nuove esigenze della società».
Prosegue Scurati: «Il personale insegnante
specializzato, già in servizio nelle strutture speciali della scuola in via di eliminazione, dovrà pertanto essere consapevole del
nuovo ruolo richiestogli dalla società e, rinunciando a chiusure e pregiudizi
di tipo corporativistico, dovrà sapersi inserire
nella struttura scolastica rinnovata a fianco dei colleghi della scuola
normale e, con essi, direttamente impegnati nell'opera di programmazione e
organizzazione di una attività scolastica predisposta per tutti gli alunni in
una dimensione di interdisciplinarietà».
Inoltre questa doppia via
dell'educazione speciale disorienta evidentemente i genitori degli
handicappati, come pure disorienta gli stessi insegnanti e gli altri operatori
scolastici, che non sono chiaramente responsabilizzati neppure dalla recente legge n. 517: essa purtroppo non fissa
obblighi precisi alla scuola comune e non supera del tutto lo «sperimentalismo»
delle prime norme ministeriali (circolare ministeriale n. 227). Questa
situazione rispecchia, certamente, un disegno strategico, necessario per
introdurre l'innovazione nella scuola, ma l'esperienza concreta dimostra che
questa strategia « persuasiva » non è sufficiente ad attutire i conflitti e le
resistenze nella struttura scolastica, anzi va ad accrescere le tensioni,
soprattutto negli ambienti dove più forti sono le ideologie in contrasto. Per cui
giustamente, da più parti si richiede una maggiore chiarezza e sicurezza
giuridica e prescrittiva, sia per l'integrazione
scolastica degli handicappati sia per altre innovazioni, perché si superino
certi equivoci di ispirazione più o meno ufficiale, e
non si scambi la «prudenza strategica» del ministero per «indifferenza» al
problema.
L'integrazione degli
handicappati e l'innovazione educativa della scuola
Un'altra serie di norme, le più numerose, regola varie strutture di appoggio della
scuola in vista dell'integrazione degli handicappati: da quelle edilizie, al
personale specializzato, alle équipes psicomediche, al tempo pieno. Un aspetto caratteristico,
soprattutto della più recente normativa, è il collegamento ricercato fra integrazione
e innovazione della scuola che potrebbe costituire un disegno, unitario e
unificante delle varie iniziative, di estrema
validità. Queste indicazioni innovative risalgono in parte alle stesse norme e
allo spirito dei «decreti delegati» della scuola, ma
si specificano negli stessi documenti e nelle stesse norme ufficiali
sull'integrazione degli handicappati, e si possono sintetizzare nella
formula: «l'integrazione scolastica non è
solo utile agli handicappati, ma va a vantaggio di tutti gli alunni; essa può
essere l'occasione per introdurre innovazioni educative, necessarie alla
scuola e a tutti gli alunni».
Sotto questo aspetto
è molto significativo l'articolo 9 del D.P.R. n. 970, là dove si afferma: «Il personale docente di cui al precedente
comma (insegnanti specializzati dei vari ordini di scuola) può essere assegnato a scuole normali per
interventi individualizzati di natura integrativa in favore della generalità
degli alunni, ed in particolare di quelli che presentino specifiche difficoltà di apprendimento». Con questo articolo
si può infrangere la tradizionale dicotomia e incomunicabilità fra scuole
speciali e comuni, e si introduce una radicale innovazione per cui la «specializzazione»
è posta al servizio di tutte le scuole e di tutti gli alunni, appunto «per la generalità degli alunni», mentre
allo stesso tempo si pongono chiare premesse perché l'integrazione degli
handicappati sia effettiva, e non si riproducano, all'interno della struttura
comune, delle situazioni di nuova emarginazione.
Fondamentale è poi il cosiddetto
«documento Falcucci», ossia la relazione finale della
Commissione ministeriale per l'integrazione scolastica degli handicappati
(1975), che ha ispirato le circolari ministeriali e la normativa successiva;
soprattutto la parte che porta il titolo significativo
«Un nuovo modo di essere della scuola,
condizione della piena integrazione scolastica», si può considerare un
buon contributo all'innovazione scolastica, sia dove invita a
superare «il concetto rigido del voto» a favore di una valutazione
sulla «maturazione personale», sia dove segnala la validità di «tutte le forme espressive» in funzione
di «un più articolato concetto di
apprendimento», in cui venga considerata anche «l'intelligenza sensorio-motrice e pratica e
siano soprattutto tenuti presenti i processi di socializzazione».
Il punto d'arrivo più chiaro di questa marcia d'avvicinamento fra innovazione generale
della scuola e integrazione degli handicappati, si è raggiunto nella recente
legge n. 517: in essa, «al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo
studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni»,
ossia per meglio adeguare la scuola dell'obbligo, dal «carattere non selettivo,
ma formativo» (art. 2 e 7, e premessa al progetto di legge), alle effettive
esigenze personali e sociali in via di evoluzione: a) si prescrive un nuovo
tipo di valutazione, intesa come «giudizio di personalità», lasciando aperta
la possibilità di un adeguamento anche dei contenuti di insegnamento; b) si prevede
un nuovo indirizzo di programmazione didattica che, al di là della rigida
suddivisione in classi, si avvale del lavoro di gruppo fra insegnanti e fra
alunni di classi diverse, «aperte», anche per attività integrative, di ricupero
dei più deboli e di integrazione degli handicappati.
Riserve e pericoli
Ma occorre avanzare alcune serie
riserve e segnalare dei possibili pericoli nell'applicazione di queste norme.
Intanto molte norme per l'innovazione e l'integrazione, come già si è detto, sono purtroppo di carattere «persuasivo» più che «prescrittivo», e quindi potranno incontrare resistenze alla
loro applicazione a seconda degli ambienti scolastici più o meno aperti, più o
meno conflittuali. Inoltre, alcune norme possono essere attuate con indirizzo tecnicistico, tutto interno all'istituzione scuola, più che
con quel vasto respiro socio-educativo e socio-politico, che dovrebbe
coinvolgere tutte le componenti scolastiche ed
ambientali, ed anteporre la sensibilizzazione e la partecipazione di tutti
alla specializzazione tecnica di esperti.
Così pure, pur apprezzando la
saldatura fra problemi degli alunni svantaggiati e degli alunni
handicappati, con quelli della «prevenzione» per tutti gli alunni, occorre
mettere in guardia dal pericolo di facili confusioni fra handicappati e
svantaggiati socio-culturali, confusioni di cui è tristemente costellata la
storia recente delle istituzioni speciali.
E ancora vediamo un pericolo serio,
nella linea di tendenza di alcune norme, a «scaricare»
eccessivamente sulla struttura scuola problemi e soluzioni che devono invece
essere suddivisi fra diversi momenti temporali, territoriali e istituzionali:
dalla prevenzione e assistenza prenatale e natale, familiare, extrascolastica,
nell'ambiente di vita e di gioco del bambino e del ragazzo, nelle strutture
territoriali socio-sanitarie. Salvo che non si voglia così, maliziosamente,
dimostrare che la scuola non regge l'integrazione degli handicappati:
certamente, non la può reggere da sola.
In particolare, per le strutture
socio-sanitarie permangono, nella normativa, delle incertezze e degli equivoci,
a tutto danno di un servizio veramente efficiente. Anche
qui una lunga storia di pervicace centralismo statale ha vanificato le pur
ottime norme dei D.P.R. sulla medicina scolastica che risalgono al 1961. Così,
fra l'altro le équipes psicomediche
di Stato e quelle degli enti locali convivono a tutt'oggi nella reciproca
confusione, sovrapposizione di compiti e nello spreco. Un'analoga pervicace volontà
di centralismo e di clientelismo ha ispirato poi, in
particolare,
Ma in generale, nonostante le
affermazioni delle norme citate, non c'è un'effettiva volontà di giungere a una chiarificazione dei ruoli rispettivi e a una
collaborazione fra Stato ed Enti locali: le esperienze negative non solo
relative alle équipes, ma anche alla scuola a tempo
pieno e alla stessa integrazione scolastica degli handicappati, come nella
Regione Piemonte, sono chiari segni di una ricerca di conflittualità, a danno
della scuola e degli alunni più bisognosi. Fra l'altro una circolare del
Ministero della pubblica istruzione per definire i
rapporti Stato - Enti locali nell'ambito scolastico, è stata annunciata da un
anno, ma si dubita che mai sarà emanata.
Il progetto di legge
del P.C.I.
Per tutte queste ragioni, da più
parti si guarda con particolare attenzione alla
proposta di legge d'iniziativa dei deputati comunisti, attualmente all'ordine
del giorno della Commissione istruzione della Camera, dal titolo «Norme per
l'inserimento dei ragazzi handicappati fisici, psichici, sensoriali negli
istituti statali ordinari di istruzione» (V. Prospettive assistenziali, n. 37, pag.
31), preceduta da una relazione di estremo interesse socioeducativo
e sociopolitico.
Questa proposta va a colmare alcune vistose lacune della legislazione attuale. Anzitutto si precisa
più chiaramente l'obbligo di iscrizione degli alunni
handicappati in tutte le scuole di Stato, compresa la scuola materna (finora appena sfiorata da alcune indicazioni
«sperimentali» in circolari ministeriali) a cui si riconosce una fondamentale
importanza preventiva ed educativa; per essa si prevede la soppressione delle
scuole e sezioni speciali (art. 1). In secondo luogo, si prospettano strutture
educative non emarginanti anche per gli handicappati
più gravi, sempre all'interno delle scuole comuni (art. 5). E ancora, si
tenta di ovviare ai doppioni di équipes psicomediche, prescrivendo che tutti gli stanziamenti
statali ad esse destinati siano assegnati alle Regioni
(art. 7). Infine, si prevede esplicitamente una più stretta collaborazione fra
scuola ed enti locali (art. 2).
Noi vorremmo segnalare, inoltre,
tutte le altre osservazioni che abbiamo esposto sulla legislazione attuale,
perché trovino una definizione giuridica negli articoli attualmente
previsti o in altri aggiuntivi nella proposta di legge, la quale non risulta
affatto superata dopo la legge n. 517, ma anzi è estremamente necessaria e
urgente per una disciplina finalmente organica della materia.
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