Prospettive assistenziali, n. 40, ottobre-dicembre
1977
Editoriale
ATTUAZIONE DEL
D.P.R. N.
A
seguito del D.P.R. n. 616 del 24/7/1977 «Attuazione della delega di cui
all'art. 1 della legge 22/7/1975 n. 382», con decorrenza dall'1/1/1978, sono
state trasferite alle Regioni, per gli aspetti di legislazione specifica,
programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, ed alle Unità locali,
per la parte operativa, le funzioni assistenziali
concernenti in particolare:
-
i minori, gli handicappati e gli anziani;
-
le persone colpite da catastrofe o da calamità naturali, esclusi gli
interventi immediati;
-
i rifugiati, i profughi ed i rimpatriati, esclusa la prima assistenza;
-
le famiglie dei detenuti e delle vittime del delitto;
-
gli ex carcerati;
- i minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità
giudiziarie minorili nell'ambito delle competenze civili e amministrative;
-
le prostitute e le ex prostitute.
A
seguito del suddetto trasferimento, sono soppressi gli enti nazionali di assistenza, gli ECA, i Patronati scolastici ed i relativi
consorzi provinciali, le IPAB (escluse quelle che svolgono in modo precipuo
attività inerenti la sfera educativo-religiosa), i
consorzi provinciali per l'istruzione tecnica: si tratta complessivamente di
20-30.000 enti.
Controparti
A
seguito del DPR 616 le controparti, a partire dall'1/1/1978,
saranno le seguenti:
-
a livello nazionale il Governo e il Parlamento che detengono i poteri di
programmazione e di finanziamento e sono cioè in grado
di condizionare profondamente le Regioni e gli organi gestori delle unità
locali. Si tenga infatti presente che le proposte di
legge di riforma della sanità e dell'assistenza, attualmente all'esame della
Camera dei Deputati, possono contenere norme restrittive e rimettere in
discussione alcune disposizioni (anche quelle più innovative) dello stesso DPR
n. 616. Ad esempio l'art. 24 del progetto di riforma sanitaria prevede che la
mobilità del personale possa essere solo decisa a livello nazionale: in questo
modo alle Regioni viene sottratta una competenza di
fondamentale importanza;
- le Regioni alle quali sono attribuiti compiti di
legislazione specifica, programmazione e indirizzo regionali, finanziamento,
controllo. Esse però non dovrebbero svolgere alcuna attività
di gestione;
- a livello locale la determinazione della
controparte è ancora abbastanza indeterminata. Infatti il D.P.R. n.
616 precisa che, mentre le funzioni operative sono attribuite direttamente ai
Comuni (art. 25, primo comma), la loro gestione deve essere assicurata in
adeguati ambiti territoriali (unità locali), determinati dalla Regione la
quale dovrà promuovere «forme di cooperazione fra gli
enti locali territoriali» e, se necessario, «forme anche obbligatorie di
associazione fra gli stessi» (art. 25, secondo comma).
Il
terzo comma del suddetto articolo precisa che gli ambiti territoriali «devono
concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari».
Infine
il quarto comma dell'art. 25 stabilisce che «allorché gli ambiti territoriali
coincidono con quelli delle comunità montane, le funzioni (...) sono assunte
dalle comunità montane stesse».
Da
quanto sopra emerge la necessità che le Regioni provvedano al più presto alla
ripartizione del territorio in unità locali, alla
costituzione dei relativi organi di governo e al riordino delle funzioni
trasferite, poiché, in mancanza di quanto sopra indicato, i singoli Comuni non
possono gestire alcunché.
Fino
alla costituzione degli organi di governo delle unità locali non vi è pertanto
altra soluzione che quella prevista dall'art. 118 del
DPR n. 616, il quale recita «Le Regioni assicurano, anche con atti
amministrativi, la continuità delle prestazioni agli assistiti fino
all'approvazione delle leggi regionali di riordino delle
funzioni trasferite. Allo stesso fine possono stipulare apposite convenzioni
con altre regioni o con enti pubblici o privati». È una norma questa che se è
quanto mai opportuna per evitare 1'interruzione delle prestazioni con evidenti
gravi danni agli assistiti, diventa però estremamente
pericolosa nel tempo, poiché, non avendo il D.P.R. n. 616 stabilito alcun
termine temporale, le Regioni potrebbero in effetti
provvedere alla gestione dei servizi per un periodo anche molto lungo,
collocandosi pertanto in una linea di centralizzazione dei poteri.
Unità locali
Il
D.P.R. n. 616, quando fa riferimento esclusivo all'assistenza, parla di «servizi
di assistenza e beneficenza» (V. l'art. 25). Invece, in riferimento agli ambiti territoriali, la dizione è di
«servizi sociali e sanitari». Dei servizi sociali si parla
all'art. 17 nei seguenti termini: «Sono trasferite alle Regioni le funzioni
amministrative dello Stato e degli enti di cui
all'art. 1 nelle materie "polizia urbana e rurale",
"beneficenza pubblica", "assistenza sanitaria e
ospedaliera", "istruzione artigiana e professionale",
"assistenza scolastica" (2), "musei e
biblioteche di enti locali", come attinenti ai servizi sociali della popolazione
di ciascuna regione». Pertanto a livello di unità
locale la gestione non dovrebbe essere limitata agli interventi di sanità e
assistenza, ma essere estesa a tutte le attività decentrabili delle materie
sopra elencate.
A
parte l'interpretazione di cui sopra, resta il problema politico di fondo di vedere quale unità locale vogliono costruire le
Regioni, i Comuni e le Comunità montane. Proprio per questo crediamo che il
problema debba essere affrontato congiuntamente con la riorganizzazione
degli enti locali.
Come
abbiamo più volte scritto, i Comuni sono oggi una
realtà molto disomogenea. Infatti secondo le
risultanze dell'ultimo censimento, la consistenza demografica dei Comuni è la
seguente:
Popolazione residente |
Comuni N° |
Popolazione complessiva |
fino
a 500 |
648 |
216.705 |
da
|
4.108 |
6.238.190 |
da
|
2.425 |
12.558.908 |
da
|
765 |
14.885.467 |
da
|
96 |
8.866.861 |
da
|
8 |
2.861.404 |
oltre
500.000 |
6 |
8.397.676 |
Totali |
8.056 |
54.025.211 |
Se
ne deduce che i Comuni in maggior parte non sono in grado di fornire servizi
perché troppo piccoli, mentre gli altri non possono
garantire una gestione efficiente e partecipata perché troppo grandi.
Se
si assumono come riferimento la risposta globale e
unitaria delle esigenze e la partecipazione, ne deriva la necessità
dell'identificazione di ambiti territoriali ben definiti (le unità locali),
non troppo ampi perché la partecipazione possa incidere e, d'altro lato, non
troppo ristretti affinché possa essere istituito il maggior numero possibile
di servizi (3).
Delimitazione delle
Unità locali
Pensiamo
che questi potrebbero essere i criteri per la ripartizione del territorio
regionale in unità locali
(4):
1)
ciascuna Unità locale deve comprendere una popolazione
non inferiore a 20.000 abitanti nelle zone con popolazione dispersa e non superiore
a 80.000 abitanti nelle zone urbane ad alta densità demografica;
2)
ciascuna Unità locale deve essere delimitata, tenendo
conto della maggior omogeneità possibile delle condizioni socio-economiche del
territorio, della sua conformazione geomorfologica e
soprattutto delle possibilità delle comunicazioni interne;
3)
ciascuna Unità locale deve essere tale da consentire
l'unificazione dei servizi di base prescolastici e scolastici, culturali,
ricreativi, abitativi e sociali in genere sia per quanto concerne la direzione
politico-amministrativa, sia nei riguardi delle aree di intervento;
4)
le zone dei Comuni comprendenti più Unità locali devono coincidere con il
territorio dei Consigli di quartiere; gli altri
Comuni devono appartenere nella loro interezza ad una sola Unità locale;
5)
le aziende, se costituiscono un complesso industriale unitario, devono fare
parte nella loro interezza di una sola Unità locale;
6)
tenuto conto dei criteri sopraindicati, per quanto possibile, l'ambito
territoriale di ciascuna Unità locale deve comprendere
una o più Comunità montane nella loro interezza. In ogni caso appare
necessario operare per la massima omogeneizzazione
possibile fra Unità locali e Comunità montane, procedendo se necessario, secondo
tempi e modalità da valutare caso per caso, alla ridefinizione
degli ambiti territoriali delle Comunità montane o alla loro unificazione, al
fine di avviare il
processo per la maggior semplificazione possibile degli organi di governo locale;
7) allo stesso scopo le
articolazioni preesistenti o in fase di proposta (ad esempio i distretti
scolastici) dovrebbero adeguarsi alle Unità locali.
Quale Unità locale?
Isolare
la sanità e l'assistenza con la creazione di unità
locali con compiti limitati ai due suddetti settori, può creare non pochi
pericoli.
Infatti con la creazione
delle unità locali esclusivamente adibite ai servizi sanitari e assistenziali,
si creerebbe un gravissimo ostacolo alle iniziative di prevenzione le quali, in
gran parte per la sanità, e totalmente per l'assistenza, devono interessare
altri settori di attività: lavoro, casa, assetto del territorio, servizi
relativi al diritto allo studio, alle attività ricreative, culturali,
sportive, ecc.
Sul
piano istituzionale vi è poi da sottolineare il
pericolo della creazione di tanti enti quante sono le materie da riorganizzare,
enti che verrebbero per forza di cose ad avere non solo un carattere
settoriale, ma che sarebbero sottoposti a visioni corporative da parte degli
amministratori, degli operatori e degli utenti.
Rilanciamo
pertanto la nostra proposta di unità locale: «l'unità locale è la proposta politicoorganizzativa per l'unificazione (e non
il semplice coordinamento) di tutti i servizi di base e per una rifondazione
dei Comuni tale che essi possano, per il numero degli abitanti e per le
competenze attribuite, essere dei veri e propri organi di governo con capacità
di intervento complessive nei campi politico, amministrativo e tecnico».
Nell'Unità
locale dovrebbero pertanto confluire ed essere organizzati i servizi sanitari,
assistenziali, abitativi, prescolastici e scolastici, culturali, ricreativi,
sportivi e sociali in genere: è per questo che noi parliamo di
unità locale di tutti i servizi.
In
definitiva gli organi di governo delle unità locali di
tutti i servizi dovrebbero essere a nostro avviso:
-
il Comune nel caso di coincidenza con l'unità locale;
-
i Comuni ed i Consigli di quartiere, per le città che comprendono più unità
locali;
-
le Comunità montane o loro Consorzi se
coincidenti con le unità locali;
- i Consorzi fra Comuni o i consorzi fra Comuni e
Comunità montane negli altri casi.
Rapporti Unità locali
- Province - Comprensori
È
emerso con chiarezza la necessità che alle Province siano
sottratte al più presto le competenze assistenziali e sanitarie.
Il
DPR n. 616 prevede la conservazione delle competenze attribuite dalla legge
alle Province, per cui quelle svolte da esse in base
ad iniziative volontarie (come ad esempio quelle relative all'assistenza agli
handicappati fisici e psichici) sono trasferite alle Regioni, ai Comuni ed alle
Unità locali.
Circa
i comprensori, segnalando il pericolo che essi vengano ad essere uno strumento
per togliere o ridurre l'autonomia delle unità locali, si ribadisce
la necessità che la programmazione parta dal basso e cioè dalle Unità locali e
trovi una sintesi nella Regione.
Previsioni
Si
possono avanzare alcune previsioni sulla linea politica che verranno assumendo le Regioni o le unità locali (5):
a) linea clientelare che potrà essere caratterizzata dalla conservazione
di poteri di gestione da parte della Regione o dalla creazione di una pluralità
di organi di gestione a livello locale di modo che le
responsabilità siano divise fra detti organi, rendendo difficile ai cittadini
di individuare le controparti;
b) linea di razionalizzazione o tecnicistica che
potrà essere caratterizzata da efficientismo, dall'attribuzione di ampi poteri ai tecnici e dall'assorbimento della
partecipazione negli organi di governo o di amministrazione e in particolare
dalla creazione di comitati di cogestione composti ad esempio da consiglieri
comunali o di quartiere, da operatori che hanno effettivi poteri e da
rappresentanti degli utenti che si illudono di avere poteri in quanto membri
del comitato, ma che poteri effettivi non hanno;
c) linea di cambiamento che richiede oltre al minor numero possibile
di controparti negli organi di governo locale, una forte spinta dal basso e cioè una partecipazione autonoma delle forze sindacali e
sociali.
La
partecipazione, per poter essere reale, deve essere fortemente sostenuta dalla
popolazione e dai lavoratori: di qui la necessità per i movimenti di base di privilegiare il rapporto di informazione e di mobilitazione
con la popolazione, di cercare di coordinare la propria attività con quelle di
altri gruppi di base e stabilendo rapporti con i sindacati.
Poiché
la partecipazione reale comprende la elaborazione,
l'informazione, la mobilitazione e il controllo, è indispensabile che essa sia
autonoma rispetto agli organi di potere in modo da avere sempre come
riferimento le esigenze della gente e non sia burocratizzata da compiti amministrativi-gestionali e limitata dalle norme di legge,
regolamenti e dalle mediazioni dei partiti.
Enti privati e
volontariato
Se
le controparti pubbliche (Stato, Regioni, Unità locali) sapranno attuare i
servizi, viene ad essere reso superfluo il ricorso a
enti privati (cliniche, laboratori di analisi, centri di riabilitazione,
istituti di ricovero, ecc.).
Di
qui l'inutilità di assumere come controparte gli enti
privati.
Sembra
invece necessario e opportuno che sia dato spazio al volontariato (adozione,
affidamenti familiari a scopo educativo, trasporto infermi, accompagnamenti di invalidi, ecc.) nei casi in cui le prestazioni non
richiedano personale professionalmente preparato (6).
Il
volontariato dovrebbe però essere aperto solo alle
persone ed ai gruppi, e non agli enti privati.
Riassetto regionale
dell'assistenza
Come
abbiamo già prima sottolineato, perché i Comuni
possano gestire i servizi nell'ambito delle Unità locali, è necessario che
Anche
a questo riguardo vi sono pericoli da non trascurare, come quello delle leggi
settoriali per le singole attività, con la riproduzione a livello regionale e locale delle deleterie conseguenze che si
sono riscontrate con la legislazione nazionale.
Altro
pericolo è quello del trasferimento ai Comuni delle attività già svolte da
enti di cui il D.P.R. 616 prevede la soppressione,
senza modificarne i contenuti.
Al
riguardo vi è da segnalare che
In
tal modo è stato operato un semplice trasferimento delle funzioni, personale e
beni dagli ECA ai Comuni, lasciando inalterate le caratteristiche
elemosiniere e spesso clientelari delle prestazioni economiche: il che
significa voler negare nei fatti le ampie possibilità di cambiamento
consentite dal D.P.R. n. 616.
È
evidente che se la proposta della Giunta regionale del Piemonte venisse approvata e ancor più se lo stesso principio venisse
accolto per le altre funzioni attribuite ai Comuni, verrebbero annullate tutte
le possibilità innovative consentite dal D.P.R. n. 616.
Peggio ancora se anche altre Regioni seguissero
l'esempio del Piemonte.
Circa
i contenuti delle leggi quadro regionali rinviamo il
lettore agli articoli pubblicati su Prospettive assistenziali ed in
particolare agli editoriali dei numeri 31, 34 ed agli atti dei Convegni del
6-7 marzo 1976 e del 18 dicembre 1976 (v. ultima pagina di copertina).
Pericoli
Nel
corso del seminario di Caselle di Salaiole (v. nota
1) sono emersi i pericoli a cui è esposto il nuovo
riassetto regionale dell'assistenza.
I
più immediati e gravi sono i seguenti:
-
recupero a livello nazionale di competenze regionali;
- iniziative settoriali da parte delle Regioni e dei
Comuni (v. ad esempio l'intenzione manifestata da amministratori della Regione
Liguria di una legge sul disadattamento
minorile e la citata proposta di legge della Regione Piemonte);
-
centralizzazione regionale di competenze da attribuire
alle unità locali;
- centralizzazione della programmazione nel
-
ulteriore caduta della partecipazione e sviluppo del
qualunquismo.
Se
questi sono i pericoli, date anche le difficoltà notevoli di riprendere
iniziative nazionali in appoggio alla proposta di
legge di iniziativa popolare (7), occorre puntare
non tanto sulla riforma nazionale dell'assistenza, quanto sulle Regioni e
sugli enti locali, il cui spazio di intervento legislativo ed operativo è
amplissimo (8).
E
questo lo si deduce dall'accanimento di tutte le forze
che si sono opposte finora alla riforma del settore assistenziale (DC, CEI,
UNEBA, CNEC), nel puntare su una proposta di legge quadro che recuperi in
tutta la misura del possibile le funzioni trasferite alle Regioni (9).
In
particolare si cerca con queste iniziative di ottenere che:
-
siano sciolte solo le IPAB che non svolgono servizi validi;
-
i patrimoni delle IPAB inutili siano trasferiti alle Regioni tenendo però
conto delle volontà dei testatori o dei donanti, e dei vincoli ed oneri da
questi imposti;
-
le istituzioni private siano riconosciute come enti di interesse
pubblico assumendo però una personalità giuridica privata.
Proposta di legge
regionale di iniziativa popolare
Su
queste basi, sempre al seminario di Caselle di Salaiole,
è stata esaminata una bozza di proposta di legge regionale di
iniziativa popolare redatta dal Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base di Torino, il cui testo è pubblicato in questo numero.
Questa
proposta va verificata a livello locale e se è possibile anche a livello
regionale. Si è perciò convenuto da parte dei partecipanti al convegno di
discuterne con i gruppi ad essi collegati e con i
sindacati per valutare:
-
l'idoneità della proposta come strumento di informazione
e di mobilitazione;
-
la validità dei contenuti della proposta stessa;
- le possibili convergenze o adesioni di partiti,
sindacati e movimenti di base.
Nello
stesso convegno è stata sottolineata l'urgenza
dell'iniziativa che se partisse in primavera in più Regioni, avrebbe un
maggiore peso politico.
Altre iniziative
I
contenuti della proposta di legge regionale di iniziativa
popolare possono essere un riferimento anche per altre iniziative regionali o
locali, come ad esempio piattaforme concordate con partiti, sindacati e
movimenti di base.
Conclusioni
Il
momento è particolarmente delicato ed importante: partiti, sindacati,
operatori, movimenti di base, insomma tutti quelli che vogliono realmente che
le cose cambino dovrebbero compiere il massimo sforzo per rilanciare un
movimento sull'assistenza, un programma di denunce e di proposte che colleghino
gli obiettivi immediati con quelli a medio e lungo termine.
(1) Nell'editoriale
sono state riprese molte parti della relazione di sintesi del seminario di
studio «Dagli attuali disservizi socio-sanitari alle unità locali di tutti i
servizi ed attuazione della legge 382», tenutosi a
Caselle di Salaiole (Firenze) nei giorni 11, 12 e 13
novembre 1977 e organizzato dalla Sezione Veneta dell'Unione per la lotta
contro l'emarginazione sociale.
(2) Si sottolinea in
particolare che con il D.P.R. n. 616 sono stati attribuiti ai Comuni i compiti di assistenza scolastica per quanto concerne anche gli
interventi medico-psichici e quelli relativi agli handicappati.
(3) V. atti convegni
nella penultima pagina di copertina di questo numero e Prospettive assistenziali n. 32 «Piattaforma presentata dai
Sindacati alla Regione Piemonte, alle Province, al Comuni
sui problemi della sanità e dell'assistenza».
(4) Ibidem.
(5) V. lo schema
riportato sul n. 36 bis di Prospettive
assistenziali.
(6) V. l'editoriale
del n. 32 di Prospettive assistenziali.
(7) La proposta, con
le 120.000 firme raccolte, è stata presentata alla Camera dei Deputati
l'8-3-1976 (n. 4379) e ripresentata d'ufficio in questa legislatura il 5-7-1976
(n. 5).
(8) Per la sanità,
invece, ci sembra che permanga l'urgente necessità di una riforma nazionale
anche perché le Regioni ed i Comuni hanno attualmente ed avranno per tutto il
1978 competenze molto limitate; sussistono inoltre vincoli costituiti da leggi
nazionali vigenti.
(9) Si vedano la
relazione tenuta dall'on. Cassanmagnago
alle Commissioni riunite affari costituzionali e affari interni della Camera
dei Deputati tenuta il 27-10-1977; il comunicato della CEI sulla 382, la
rivista «Insieme» del CNEC (n. 10 del 1977) e la pubblicazione dell'UNEBA «Nuova proposta», n. 9 del settembre 1977.
Nella rivista del
CNEC sono indicate anche le iniziative che le IPAB dovrebbero assumere per il
loro salvataggio.
www.fondazionepromozionesociale.it