Prospettive assistenziali, n. 40, ottobre-dicembre 1977

 

 

DOCUMENTO DELLE RELIGIOSE DEL TRIVENETO SULL'ASSISTENZA

 

 

Mentre alcune voci si sono levate nei mesi scorsi contro l'attribuzione alle Regioni ed ai Co­muni delle funzioni assistenziali (v. in particolare il card. Benelli, arcivescovo di Firenze), sono da segnalare positive prese di posizione sui nuovi problemi: partecipazione, decentramento, pre­venzione, esigenze dei cittadini da soddisfare nel territorio di appartenenza.

Al riguardo è interessante il documento che pubblichiamo integralmente (da noi tratto da Il Regno documenti, 17/77) che è stato elaborato nel convegno della FIRAS del Triveneto, tenutosi a S. Giovanni in Monte. Vicenza. dal 16 al 22 aprile 1977.

Segnaliamo inoltre la recente indagine sui mi­nori ricoverati negli istituti educativo-assisten­ziali della Liguria, compiuta da FIRAS, CISM, UNEBA e CARITAS nella cui introduzione viene precisato quanto segue: «Scopo dell'indagine è la conoscenza, nei suoi termini e dimensioni reali, del fatto della istitutizzazione di minori nor­mali sul territorio ligure; è anzitutto, dunque, e principalmente uno strumento di lavoro, indispen­sabile ad affrontare la complessa problematica al fine di cambiare, finalmente, qualche cosa con il concorso di tutte le forze sociali sinceramente intenzionate. Deve essere chiaro, infatti, che con­tinuare a rispondere ai bisogni della popolazione infantile e adolescente, colpita dagli squilibri del­la società odierna, con forme istitutizzanti è trop­po sovente lesivo per tutta la loro personalità e formazione umana. Diventa, anzi, molto difficol­toso muoversi, quando le resistenze al cambia­mento sono mosse da una non ben intesa forma di carità, pure generosa, degli stessi operatori o dei promotori, a livelli diversi, di opere bene­fiche».

Per quanto riguarda i motivi di permanenza in istituto i dati (la scheda di rilevazione consen­tiva più di una risposta) sono i seguenti:

 

- genitori separati

911

28,60%

- genitori al lavoro

1.052

33,02%

- genitori emigrati

108

3,39%

- genitori lavoratori al luna park o ambulanti

35

1,09%

- padre in carcere

142

4,45%

- madre nubile

314

9,85%

- padre o madre ammalati

449

14,09%

- disarmonia o disgregazione familiare

881

27,66%

- genitori disoccupati

206

6,46%

- difficoltà educative o rifiuti

674

21,16%

- reddito insufficiente

1.100

34,33%

- lontananza dalla famiglia

82

2,57%

- studio, salute, clima

528

16,57%

- carenza alloggio

310

9,73%

- orfani

311

9,76%

 

Concordiamo pertanto con le conclusioni che riportiamo: «I promotori della ricerca sono ben consci che il fenomeno dell'istitutizzazione esige risposte e soluzioni non isolate; sono convinti cioè che per operare interventi efficaci a favore dei minori non sono sufficienti modifiche struttu­rali degli istituti o provvedimenti radicali come la chiusura; occorre superare le cause di natura socio-economica che favoriscono la disgregazio­ne familiare e che provocano l'allontanamento dei minori ed il loro inevitabile disadattamento».

 

 

TESTO DEL DOCUMENTO DELLE RELIGIOSE DEL TRIVENETO

 

Premessa

Le religiose del Triveneto, portando avanti il discorso del precedente convegno di studio - 22-28 novembre 1975 - protese ad individuare nuovi spazi per le religiose (cfr. «Religiose nei servizi sociali», in Regno-doc. 9/1976, p. 218), durante la settimana di studio di quest'anno, han­no cercato di approfondire la logica del territorio per operare più efficacemente, secondo le sue esigenze.

A tale scopo, avvalendosi dell'aiuto di esper­ti nelle scienze sociali e teologiche e dell'inter­vento di rappresentanti della pubblica ammini­strazione della regione veneta, si sono interro­gate circa:

1. la situazione in cui vivono;

2. i problemi che essa pone loro;

3. le indicazioni che l'esperienza suggerisce per migliorare la loro attività di operatrici sociali.

 

L'attenzione alla situazione

Uno sguardo attento alla situazione generale, con 'particolare riferimento al Triveneto, ha con­sentito loro di rilevare alcune linee di tendenza.

Partecipazione e decentramento

Anzitutto sembra aumentare fra la gente il de­siderio di partecipare maggiormente ai benefici e ai compiti del vivere insieme: il cittadino, in­fatti, diventa sempre più cosciente di avere di­ritti e doveri sostanzialmente uguali, anche in ordine ai servizi sociali.

A questa esigenza, diffusa e confusa, fa riscon­tro una politica dei servizi che è passata, via via, dalla beneficenza privata all'assistenza pubblica e tende a diventare sicurezza sociale.

Pur tra incongruenze e contraddizioni, tale po­litica si va concretizzando attraverso il decen­tramento dei servizi in opposizione alla centra­lizzazione, decentramento imperniato sull'unita­rietà, complementarietà, globalità dei servizi ero­gati sul territorio. In altre parole, questa nuova politica tende ad assicurare ai cittadini la sod­disfazione di ogni loro bisogno individuale e col­lettivo, là dove essi vivono. In tal modo, il terri­torio (regione, comprensorio, comune, quartiere; consorzio socio-sanitario o U.L.S.S.S. = Unità locale dei servizi sociali e sanitari, distretto di base, ecc.), viene compreso come il «luogo» in cui meglio si possono individuare e coordi­nare sia i bisogni, sia le risorse disponibili per soddisfarli.

Prevenzione e soddisfazione del bisogno

Su questo sfondo, la politica dei servizi ha compiuto delle scelte precise che si chiamano: prevenzione e deistituzionalizzazione.

La prima implica la volontà di privilegiare un tipo di servizi capace di promuovere la persona più che ripararne i danni, aggredendo le cause più che contrastando gli effetti del male stesso.

La seconda, poi, caratterizza il modo di eroga­re i servizi: questi vogliono essere offerti alla persona considerata non in base all'età (bambi­ni, anziani), al sesso o ad altri criteri, ma in base alla sua appartenenza naturale (la famiglia) e al suo ambiente primario (quartiere, vicinato) o in­serita in ambienti il più possibile simili a quello naturale, come i gruppi-famiglia per i minori o le caso-albergo per gli anziani.

Pluralità di culture e pluralismo culturale

Nel Triveneto, queste tendenze generali non si riscontrano ovunque allo stesso modo e con la stessa intensità. In effetti, la geografia trive­neta abbraccia una grande varietà di situazioni locali in cui si incontrano e scontrano più cul­ture, legate alle caratteristiche etniche dei vari gruppi linguistici. Per questo, chi opera nel Tri­veneto deve fare i conti con la pluralità di cul­ture che determinano sensibilità diverse nel mo­do di aspettarsi e di esigere la soddisfazione dei bisogni.

Inoltre alcuni gruppi etnici sembrano, tuttora, preoccupati di garantire o far riconoscere la loro identità più che interagire con gli altri e tendere a pianificare insieme le risorse e i servizi.

D'altra parte la stessa configurazione geografi­ca del territorio non potrà mai consentire una generale pianificazione o un'identica articola­zione del servizio sociale.

Ma, oltre la pluralità delle culture, emerge in certe zone "più in certe meno, il pluralismo cul­turale, inteso come il moltiplicarsi e il differen­ziarsi del modo di intendere e di svolgere la vita fra i membri dello stesso gruppo sociale.

Ciò si nota, soprattutto, a livello dei maggiori centri urbani del Veneto centro-meridionale, in cui più fortemente influisce lo sviluppo indu­striale.

Come conseguenza del pluralismo, si vanno af­fermando sottogruppi culturali, ispirati ad ideo­logie diverse, che competono tra loro per au­mentare il numero dei consensi ed allargare la loro sfera d'influenza. Tutto ciò rende meno sem­plice la cooperazione in ogni settore, compreso quello dei servizi.

Le religiose e i servizi sociali

In quest'area socio-culturale vivono molte re­ligiose di cui solo un piccolo gruppo si trova direttamente impegnato nei servizi sociali.

Esse operano in 479 istituzioni socio-sanitarie e assistenziali, delle quali 170 dipendono dalla rispettiva congregazione e 299 sono di proprietà di altri enti, convenzionati con le congregazioni (cfr. Colagiovanni).

Circa il loro modo di prestare servizio, va ri­levato che, per un verso, esso è caratterizzato dalla settorialità (bambini, anziani) più che dal­la territorialità e, per altro verso, è variamente regolato: alcune religiose, infatti, lavorano nelle opere della propria congregazione; altre lavora­no in opere di enti convenzionati; altre lavora­no in base ad un contratto personale; altre, infi­ne, operano come volontarie a tempo pieno.

Al momento presente, la grande maggioranza presta il servizio sociale secondo i due primi modi. Questa situazione, che appare in contra­sto con le tendenze attuali della politica dei ser­vizi, dipende da una serie di motivi storici, ricon­ducibili all'origine e all'evoluzione delle congre­gazioni religiose impegnate nei servizi sociali.

Bisogna tuttavia rilevare che la situazione non è immobile. In effetti, alcune congregazioni ten­dono a ritirarsi dalle opere assistenziali che di­pendono da enti pubblici o privati e a rivedere il numero e le dimensioni delle proprie a parti­re da una più attenta considerazione dei segni dei tempi.

D'altra parte, anche la prestazione dei servizi ispirata alla logica settoriale si è notevolmente modificata, sia pure in maniera ineguale, e sta evolvendosi in rapporto al cambiamento di sen­sibilità della società globale.

 

Problemi emergenti

Vivendo e operando in questa situazione, le religiose del Triveneto si sentono coinvolte in una serie di problemi che mettono a dura prova la loro capacità di adattamento e, insieme, sti­molano le loro risorse di cambiamento e di crea­tività.

I problemi emergenti sembrano investire il ca­risma del proprio istituto, l'identità sociale del­la religiosa, la sua formazione e la sua qualifi­cazione professionale, la logica delle opere as­sistenziali e la logica del territorio.

Carisma dell'istituto e carisma della persona

Le religiose del Triveneto sono convinte che la vitalità dei loro istituti dipende dalla capacità dei loro membri di attuare il carisma in maniera nuova, adeguata alle esigenze delle situazioni socio-culturali. Sentono che tale capacità è stret­tamente collegata con una migliore esplicitazio­ne del carisma di ciascuna.

Ma come armonizzare le esigenze del carisma originario e quelle del carisma personale? Le difficoltà che rendono ardua la sintesi sono nu­merose: c'è anzitutto, la storia personale già vis­suta che ha, via via, ridotto le forze e la volontà di cambiamento.

E c'è, in secondo luogo, un certo atteggiamen­to che si riscontra ora nelle responsabili del pro­prio istituto, ora nelle stesse autorità ecclesia­stiche. In effetti, si ha l'impressione che al pe­riodo in cui dall'autorità proveniva l'invito al rin­novamento e all'aggiornamento, sia succeduto un periodo in cui si moltiplicano i richiami alla prudenza circa la vivacità dei carismi personali, per cui ora il pericolo più grande è quello di ve­dere arrestato il cammino di un effettivo rinno­vamento.

Condizione femminile e identità della religiosa

Il problema precedente si ripercuote sulle re­ligiose in maniera tanto più acuta in quanto si trovano coinvolte, anch'esse, nell'insieme dei cambiamenti culturali che investono la posizio­ne sociale della donna. Di qui, un nuovo proble­ma: come comporre le caratteristiche della per­sonalità femminile con le esigenze proprie del­la vita consacrata?

Dal clima culturale, le religiose sono stimola­te ad ampliare le loro conoscenze, a dilatare la loro esperienza della vita e a sviluppare la loro creatività. Respirando questo clima, alcune si sentono quasi smarrite; altre vorrebbero recu­perare il tempo perduto, rielaborare la loro for­mazione religiosa, riqualificarsi professional­mente.

Ma le une e le altre si scontrano con consue­tudini e pregiudizi fortemente radicati e diffusi a vari livelli, che sembrano relegarle tuttora in ruoli subordinati, a motivo di un atteggiamento piuttosto generale di disistima, causato - tra l'altro - da una insufficiente comunicazione e conoscenza all'interno della comunità, sia eccle­siale che civile.

Formazione di base e permanente

Per affrontare positivamente le difficoltà con­nesse con la crisi precedente, occorrerebbero una buona formazione di base e un'adeguata pre­parazione professionale.

Ma l'una e l'altra, ricevute in un contesto so­cio-culturale ormai cambiato, si rivelano molto carenti rispetto alle esigenze attuali e ciò sia perché i loro contenuti erano piuttosto scarsi, sia perché erano selezionati per far fronte a un mondo diverso.

Per questo, le religiose avvertono che la for­mazione costituisce quasi il nodo centrale dei loro problemi: di fronte ad una situazione di in­novazioni prorompenti e di rapide trasformazio­ni, esse hanno bisogno di essere aiutate a rive­dere quanto avevano appreso in ordine al modo di esprimere il senso della vita religiosa all'in­terno delle rispettive congregazioni; di recupe­rare quanto è oggi indispensabile per esercitare in maniera competente il loro ruolo di operatrici sociali. Di qui l'urgenza di puntare sulla forma­zione permanente da programmare non in ma­niera astratta né da realizzare in forma esclusi­vamente teorica, ma da studiare nei contenuti, nei metodi, nei tempi con le dirette interessate - le religiose stesse - con le proprie responsa­bili e le persone incaricate di proporla in con­creto o sotto forma di scuola sistematica o di corsi speciali.

Volontariato delle religiose e dei laici

Non poco disagio provoca nelle religiose im­pegnate nei servizi sociali la maniera con cui è percepito e valutato il loro servizio da parte di laici operanti nello stesso settore. Mentre, in­fatti, ritengono di operare come volontarie, da alcuni viene contestata questa qualità al loro servizio. Cercando di comprendere e di chiarire la difficoltà, le religiose ritengono che un servi­zio possa essere volontario sotto vari aspetti:

- rispetto al soggetto che presta il servizio, è volontario quando è personalmente voluto sen­za essere imposto né da volontà altrui né da necessità superiori;

- rispetto a chi lo richiede o a chi ne benefi­cia, è volontario il servizio che non viene re­tribuito.

Ora fra le religiose, alcune esercitano il loro servizio retribuito; altre, oltre il servizio retri­buito, impiegano parte del loro tempo per un servizio gratuito; altre prestano servizio gratui­to a tempo pieno. Pertanto, non tutte le religio­se sono volontarie allo stesso modo. In linea ge­nerale tutte si considerano volontarie per le mo­tivazioni che le animano; alcune però, si riten­gono volontarie anche nella misura in cui presta­no un limitato servizio gratuito, a titolo personale; altre, invece, desiderano essere ricono­sciute come volontarie, a titolo comunitario, quando lavorano gratuitamente e ciò perché la comunità rende possibile un volontariato a tempo pieno; così come avviene per una fami­glia o per un gruppo sociale che rende possibile ad uno dei suoi membri di lavorare gratuitamen­te, a beneficio di chi non è in grado di pagare.

Rimane invece, aperto sempre il problema di armonizzare concretamente il lavoro volontario con il lavoro obbligatorio, per evitare che il vo­lontariato, anziché colmare dei vuoti inevitabili anche nel più razionale sistema di sicurezza so­ciale, rallenti il processo di coscientizzazione ge­nerale e l'impegno di giustizia sociale da parte degli enti e delle persone direttamente respon­sabili.

Logica delle istituzioni e logica del territorio

Molte congregazioni, sorte dall'impulso evan­gelico di carità, hanno assunto iniziative e realiz­zate opere di carattere educativo-assistenziale che esprimono anche oggi il loro impegno nel sociale. In tal modo, esse hanno attuato quella che si può chiamare la logica delle istituzioni. Questa ispira i criteri di reclutamento e di for­mazione dei nuovi membri, per un verso, e con­diziona il modo di impostare e di erogare i ser­vizi, per altro verso, servizi imperniati sulla mol­tiplicazione delle opere settorializzate e sulla istituzionalizzazione di coloro per i quali le ope­re sono state create:

Ora come accordare questa logica con quella del territorio?

Se la logica del territorio viene accolta e svi­luppata coerentemente, essa porta inevitabilmen­te a privilegiare il criterio del servizio aperto piuttosto che quello della istituzionalizzazione e a modificare radicalmente l'attuale modo di vi­vere della religiosa, giacché l'inserimento della comunità nel territorio favorisce la sua incarna­zione nel luogo.

 

Richieste e proposte

La complessità dei problemi emersi e la bre­vità del tempo a disposizione per affrontarli, non hanno permesso di maturare indicazioni suffi­cientemente elaborate.

C'è stata, comunque, una chiara presa di co­scienza che le religiose sono in ritardo sotto molti aspetti nei confronti del mondo in cui sono chiamate ad operare. Per alcune, ciò fa crescere il sentimento di scoraggiamento e il bisogno di autocritica. Ma la grande maggioranza sente il desiderio di trarre impulso per recuperare il tempo perduto.

A tale scopo, hanno concordato alcune richie­ste e formulato alcune proposte che presentano a quanti sono direttamente interessati alla solu­zione dei problemi precedenti.

- Anzitutto, chiedono di poter ulteriormente approfondire a livello teologico e sociologico il rapporto tra l'unico carisma che Cristo ha lascia­to al popolo di Dio (carisma cristiano), il cari­sma del proprio istituto e il carisma personale.

- Desiderano, inoltre, che le rispettive con­gregazioni affrontino coraggiosamente l'attuale contrasto tra la logica delle istituzioni e la lo­gica del territorio, autorizzando coloro che ne sentono il desiderio e ne hanno la capacità a sperimentare nuove forme di presenza religiosa nei servizi sociali.

- Propongono, perciò, di ridurre al massimo il servizio istituzionale e di aumentare il servi­zio integrato nel territorio. In particolare, chie­dono che vengano ritirate tutte le religiose che lavorano nei servizi sociali erogati dalle ammi­nistrazioni private e pubbliche, qualora la loro presenza non corrisponda ai bisogni del territo­rio e non si esprima a livello programmatico e decisionale.

- Chiedono, ancora, che si proceda alla rior­ganizzazione dei servizi erogati dalle proprie congregazioni in base ai nuovi orientamenti cul­turali e alle conseguenti scelte politiche. Per ov­viare alla scarsità del personale e per assicurare servizi flessibili, aperti e orientati alla preven­zione, auspicano che venga esteso il servizio intercongregazionale positivamente sperimenta­to nelle zone terremotate del Friuli.

- In rapporto alle singole religiose, domanda­no alle responsabili di favorire la loro qualifica­zione e riqualificazione professionale e la for­mazione dottrinale mediante la frequenza di cor­si sistematici, assicurati da scuole esistenti co­me quella della FIRAS Triveneto con sede a Padova, o offerti sotto forma di corsi serali opportu­namente organizzati in varie zone e armonizzati con l'impegno di lavoro delle religiose stesse.

A tali corsi auspicano che possano partecipare anche laici e laiche cristianamente sensibili e socialmente impegnati, valorizzando le possibi­lità che leggi regionali o disposizioni locali assi­curano per l'aggiornamento o la formazione per­manente di tutti i cittadini.

- Per agevolare il cambiamento di mentalità richiesto dalle rapide trasformazioni sociali, ri­tengono indispensabile che si curi una costante informazione sul cammino della chiesa e del mondo d'oggi e si punti a creare strutture agili (con revisione, quando occorra, di orari, tipo di abito, di ruolo, ecc.) che permettano alle reli­giose di incarnarsi nella realtà e di partecipare attivamente alla programmazione dei servizi e alla loro erogazione secondo la logica del ter­ritorio.

 

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