Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno 1978

 

 

ABORTO E ADOZIONE

 

 

Il commento alla proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento per la vita, pubblicato su «Specchio nero» del n. 40 di Pro­spettive assistenziali, ha suscitato reazioni ne­gative da parte di quattro lettori che ci hanno espresso con lettere il loro dissenso. Riassumia­mo per economia di spazio la loro critica che così rileva:

1) Prospettive assistenziali non ha seguito la solita prassi: commento e pubblicazione integra­le della proposta;

2) «è stata ignorata, con deliberato proposito, l'esistenza di una vastissima base popolare (lo dimostra il rapido successo di adesioni dell'ini­ziativa) che non ha perso la Fede ereditata dai padri e che crede ancora in certi eterni valori cristiani e civili che la furia inconoclasta di mi­noranze faziose non riesce, malgrado tutto, a distruggere»;

3) il testo della proposta di legge è stato tra­visato in alcuni punti.

Quanto al primo punto riconosciamo che è stata seguita una prassi diversa dal solito: a ciò cercheremo di rimediare con il presente artico­lo, nel tentativo di fornire un'utile occasione per un confronto che interessa tutti.

Il commento apparso su «Specchio nero» - e veniamo al secondo punto - è stato scritto, è vero, in modo polemico ma perché avevamo ritenuto, e riteniamo, le norme della proposta in­compatibili con i diritti fondamentali della per­sona umana.

È pur vero che tutti hanno diritto a proporre ciò che credono più opportuno, ma non ci sem­bra sia ammissibile che uno o più gruppi di cit­tadini possano imporre ad altri, non importa se siano in maggioranza o in minoranza, propri con­vincimenti opinabili, a scapito delle libertà indi­viduali.

Che il feto sia persona (come sostiene il mo­vimento per la vita) è opinione discutibile, come dimostra il dibattito in corso nel nostro paese; che poi molti la pensino in modo opposto emer­ge dalle leggi di numerosi paesi che hanno ten­tato di misurarsi con la realtà senza infingimenti o ipocrisie.

La nostra vis polemica tentava poi di sottoli­neare la mancanza di coerenza di alcuni parteci­panti alla campagna del Movimento per la vita, attivisti che conosciamo da tempo, che apparten­gono a gruppi che da anni contrastano la riforma dell'assistenza ed i servizi alternativi al ricovero con tutti i mezzi, utilizzando il potere che deten­gono nelle istituzioni per segregare minori, an­ziani e handicappati, per nulla quindi preoccu­pati della vita umana.

Veniamo poi al terzo punto: il testo da noi esa­minato era quello pubblicato dal quotidiano «Avvenire» nell'edizione pervenuta alla redazione torinese.

Il testo ha poi subito due modifiche importanti: - nel 1° comma dell'art. 15 la segnalazione al Tribunale per i minorenni è subordinata alla richiesta della donna. L'inciso «a richiesta della donna» non compare nella stesura da noi com­mentata;

- nell'ultimo comma dell'art. 16 è stata sop­pressa l'indicazione «a mezzo del telefono». Prendiamo atto delle due modifiche ma anche così la proposta ci pare inaccettabile per questi motivi:

1) nonostante il suo altisonante titolo, essa difende ben poco la vita dei genitori e dei figli se, prendendo in considerazione il periodo fino al momento del parto, si nascondono tutti i pro­blemi che sorgono dopo la nascita;

2) viene prevista la creazione di strutture spe­ciali in duplicazione di quelle normali per tutti i cittadini: residenze per gestanti «che vogliono tenere nascosta la propria maternità», i centri di accoglienza e difesa della vita umana vengono contrapposti ai consultori familiari e sottratti alla programmazione delle Regioni e alla gestio­ne delle Unità locali. Le nomine dei componenti dei centri di accoglienza e difesa della vita umana vengono attribuite ai Presidenti dei Tri­bunali per i minorenni (in base all'equazione as­sistenza uguale colpa?) mentre si crea un fondo speciale e un ispettorato centrale presso la Pre­sidenza del Consiglio dei Ministri;

3) l'adozione viene concepita come alternativa all'aborto per cui, in nome di un principio opi­nabile (il feto è persona), l'aborto è vietato e punito ancora più severamente di quanto pre­vede la legge vigente anche nei casi di pericolo di vita della madre, in contrasto per altro con una sentenza della Corte costituzionale che si dichiara non contraria all'aborto per ragioni tera­peutiche o genetiche;

4) la norma che prevede, insieme con la con­cessione del perdono giudiziale, il pagamento di una somma da L. 100.000 a 1 milione a favore del fondo nazionale per la difesa a tutela della vita è, nella migliore delle ipotesi, stravagante;

5) le donne che dichiarano di non voler rico­noscere il proprio nato sono sottoposte al pe­sante ricatto della pubblicità del decreto di adot­tabilità prenatale emanato dal Tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 16.

Queste osservazioni trovano riscontro nel pae­se, che ha espresso la propria voce anche in Parlamento; giudizi negativi sulla proposta del movimento per la vita sono stati espressi anche da ambienti cattolici: COM-NUOVI TEMPI (5-2-­78), ad esempio, la definisce «una legge repres­siva, medioevale nelle soluzioni» e «indegna»; BOZZE 78 (n. 4, aprile '78) la valuta pervasa di «gelida freddezza».

 

 

 

(1) Testo della proposta di legge.

 

Art. 1. - (Diritto alla vita) - La Repubblica Italiana tu­tela la vita umana fin dal suo inizio nel concepimento.

Art. 2. - (Ricerca scientifica) - Lo Stato assegna carat­tere prioritario alla ricerca scientifica nei campi connessi con la tutela della vita prenatale e della maternità diffi­cile, della regolazione della fertilità, della genetica, delle gravidanze ad alto ed altissimo rischio, della terapia pre­coce, delle minorazioni e malformazioni congenite, della pedagogia e terapia per la infanzia minorata e handicap­pata.

Vengono istituite cattedre universitarie, scuole di spe­cializzazione e corsi di addestramento e di informazione in tali materie.

Art. 3. - (Assistenza) - La legge favorisce la procrea­zione responsabile; riconosce il diritto della persona all'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla paternità e maternità responsabile; dispone dei mezzi e delle strutture adeguate per la consulenza e assistenza alla famiglia e alla coppia; protegge la gravidanza appron­tando i servizi sanitari e sociali specifici; tutela la ge­stante lavoratrice nel quadro di un sistema completo di sicurezza sociale.

Art. 4. - (Spese per gravidanza e parto) - Fino alla com­pleta attuazione del servizio sanitario nazionale, sono a carico della Regione tutte le spese per eventuali accer­tamenti, cure o degenze necessarie per il parto, il puer­perio e per le malattie connesse con la gravidanza ri­guardanti le donne che non hanno diritto all'assistenza mutualistica.

Art. 5. - (Residenze per gestanti) - Anche per le fina­lità di cui agli articoli 15 e seguenti, è istituita, a cura delle Regioni, in ogni circoscrizione di Tribunale per i Mi­norenni, una residenza per gestanti che vogliono tenere nascosta la propria maternità.

Per tale scopo la Regione stipula convenzioni con uno degli Istituti Provinciali di assistenza all'infanzia esistenti nel territorio della Regione stessa.

Le spese per il ricovero della gestante gravano sul fondo nazionale di cui al successivo articolo 11.

Art. 6. - (Centri di Accoglienza e Difesa della Vita Uma­na: composizione) - Ferme restando le competenze dei consultori regionali, di cui alla legge 29-7-75, n. 405, sono costituiti in ogni provincia, con il compito specifico di difendere, in situazioni concrete, il diritto alla vita preve­nendo l'aborto volontario, uno o più centri di accoglienza e difesa della vita, di cui fanno parte:

1) un medico, possibilmente specialista in ostetricia e ginecologia;

2) altro medico possibilmente specialista in psichiatria o esperto in psicologia;

3) un'assistente sociale;

4) tre cittadini, di cui due di sesso femminile, possibil­mente con figli, scelti tra persone fornite di esperienza e sensibilità in ordine ai fini del Centro.

Tutti i componenti dei Centri di cui sopra sono nomi­nati dal Presidente del Tribunale per i Minorenni nel cui distretto è istituito il Centro, tra persone che ne abbiano fatto domanda e che diano assoluta garanzia di volersi adoprare per rimuovere le cause mediche, sociali, eco­nomiche e familiari che, in concreto, possano orientare i genitori verso la interruzione della maternità.

I medici di cui ai numeri 1 e 2 sono proposti dal Con­siglio dell'Ordine dei Medici.

Tra i componenti del Centro il Presidente del Tribunale per i Minorenni sceglie il Presidente.

Art. 7. - (Giuramento) - I componenti dei Centri di Accoglienza e Difesa della Vita Umana, sono immessi nelle loro funzioni dal Giudice Tutelare del luogo ove ope­ra il Centro e prestano dinanzi a lui il giuramento sulla formula: «Giuro di operare con fedeltà e diligenza in difesa della vita e di mantenere il segreto su quanto co­noscerò nell'esercizio delle mie funzioni».

Art. 8. - (Volontariato) - I componenti di cui ai nume­ri 1, 2, 4 dell'art. 6 prestano il loro ufficio volontariamen­te e restano in carica per un triennio.

Il Centro si avvale della collaborazione di altro perso­nale volontario, particolarmente per quanto riguarda l'aiu­to alla maternità difficile dopo la nascita. A questo scopo il Centro, anche in collaborazione con le Amministrazioni Comunali e con i Consigli circoscrizionali, predispone elenchi di personale volontario idoneo a svolgere assi­stenza anche domiciliare, specialmente in favore delle la­voratrici madri.

In caso di particolare necessità, il Centro può avvalersi di personale distaccato dai consultori familiari di cui alla Legge 27-7-1975 n. 405.

Art. 9. - (Finalità dei Centri) - Il Centro al quale si ri­volge la donna procede con la maggior cura possibile ad un esauriente colloquio con lei esaminandone le esigenze.

Qualora emergano difficoltà concernenti la salute della donna o l'eventualità di malformazioni fisiche o anomalie psichiche del nascituro, il Centro, anche mediante isti­tuti specialistici o professionali esterni, offre tutti gli ac­certamenti sanitari opportuni, provvedendo, se del caso, ad ogni terapia e assicurando la costante assistenza sa­nitaria e psicologica per tutto il tempo necessario, prima e dopo il parto.

Le spese che non siano già a carico di altri Enti, gra­vano sul Centro.

Qualora emergano difficoltà di carattere economico, so­ciale e familiare, ovvero di qualsiasi altra natura, il Cen­tro - accertatane la consistenza - predispone un con­creto e dettagliato piano di assistenza alla donna, in stret­to collegamento con tutti i servizi di assistenza esistenti sul territorio.

Se del caso, il Centro può autonomamente assicurare, secondo criteri fissati dalle Regioni, ovvero autonoma­mente, prima che sia emanata la normativa regionale, sussidi per tutto il periodo della gravidanza e per i primi tre anni del bambino o promuovere la immediata adozio­ne del bambino a norma dell'art. 15 e seguenti della pre­sente Legge.

Con il consenso della donna, il Centro prende contatti con i suoi familiari, in particolare con il padre del conce­pito, onde sollecitarne l'aiuto morale e materiale.

Art. 10. - (Obbligo del segreto) - I componenti del Cen­tro ed i collaboratori sono tenuti all'osservanza del se­greto di ufficio.

La violazione del segreto su fatti di cui sono venuti a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni è punita con le pene previste dall'art. 622 Codice Penale, aumentate di un terzo.

Il Centro può rilasciare alla donna che ne faccia richie­sta soltanto l'eventuale documentazione medica relativa agli accertamenti compiuti.

Una relazione sulle difficoltà prospettate dalla donna, sugli accertamenti di ogni tipo compiuti dal Centro, su­gli interventi espletati, è inviata alla Autorità Giudiziaria nel caso di cui al successivo articolo 22 n. 4 su autoriz­zazione della donna. Tale relazione, in ogni caso, non contiene alcun riferimento a fatti costituenti reati even­tualmente commessi dalla donna, né nomi di terzi impli­cati in responsabilità di ordine penale di cui il Centro sia comunque venuto a conoscenza.

Nei confronti dei componenti e dei collaboratori del Centro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 351 del Codice di Procedura Penale. In ogni caso essi non sono tenuti alla osservanza dell'obbligo di rapporto e di referto.

Art. 71. - (Fondo nazionale per la tutela della vita) - I mezzi finanziari sono assicurati ai Centri di Difesa e accoglienza della vita mediante:

1) uno stanziamento statale di L. 50 miliardi annui; 2) uno speciale tributo volontario pari all'1 per cento del reddito imponibile delle persone fisiche. Nella dichia­razione annuale dei redditi ciascun contribuente dichia­ra se intenda o no sottoporsi alla suddetta imposta. L'im­posta pagata costituisce onere deducibile nella dichia­razione dei redditi dell'anno successivo a quello a cui si riferisce.

Alla copertura dell'onere di 50 miliardi di cui al nume­ro 1 di questo articolo, relativamente all'esercizio finan­ziario 1977 si provvede mediante corrispondente riduzio­ne dello stanziamento iscritto al capitolo 9001 dello Sta­to di previsione della spesa del ministero del Tesoro per il medesimo esercizio. Il ministero del Tesoro è autoriz­zato ad apportare can propri decreti le necessarie varia­zioni di bilancio.

Presso la presidenza del Consiglio dei ministri è isti­tuito il Fondo nazionale per la tutela della vita, al quale sono devoluti, oltre ai proventi di cui ai numeri 1 e 2 della prima parte di questo articolo, anche i proventi di eventuali lasciti e donazioni in favore dei Centri di acco­glienza e difesa della vita. Gli introiti sono ripartiti ogni anno tra le Regioni in base a tabelle che tengano conto degli interventi espletati dai singoli centri nel corso dell'anno precedente.

Art. 12. - (Ispettorato Centrale) - Presso la presidenza del Consiglio dei ministri è istituito l'ispettorato centrale per i Centri di accoglienza e difesa della vita che studia ed elabora i dati forniti annualmente dai Centri, formula proposte, dispone gli stanziamenti sul Fondo di cui all'articolo precedente, vigila affinché i consultori familiari di cui alla Legge 29-7-75 n. 405, in aderenza ai fini sta­biliti dall'articolo t della detta legge, svolgano la loro attività in collaborazione con i centri di accoglienza e di­fesa della vita.

Art. 13. - (Rilevazioni annuali) - Ogni anno i Centri di accoglienza e difesa della vita redigono una relazione da inviarsi al Presidente del Tribunale per i minorenni ed al Presidente della Regione che la trasmette al presidente del Consiglio dei Ministri, relazione nella quale si forni­scono i dati statistici sul numero e sulla natura degli in­terventi effettuati ed altresì sul loro presumibile effetto.

Art. 14. - (Informazione, istruzione, educazione) - La costituzione e le funzioni dei Centri di aiuto e difesa della vita sono pubblicizzate mediante appositi stampati da affiggersi e da distribuirsi in particolare nei consultori familiari, nelle scuole, nei reparti ostetrici e ginecologici, nelle farmacie, negli ambulatori pubblici.

I medici, le ostetriche ed inoltre gli operatori dei con­sultori familiari invitano le donne che abbiano prospet­tato difficoltà attinenti alla loro gravidanza, a prendere contatto con i Centri di accoglienza e difesa della vita e consegnano loro un apposito stampato redatto dalla Re­gione, contenente una illustrazione dei compiti attribuiti ai Centri di accoglienza e difesa della vita ed ogni altra informazione in merito ai diritti e alla assistenza previsti dalla legislazione in favore della maternità e dell'infanzia, ai servizi sociali, sanitari e assistenziali offerti dalle strut­ture pubbliche e private operanti sul territorio regionale.

Nelle scuole di istruzione secondaria superiore i con­sigli di istituto e i Centri di accoglienza e difesa della vita collaborano per la realizzazione di incontri di appro­fondimento scientifico sulla procreazione responsabile, il concepimento, lo sviluppo prenatale dell'individuo uma­no, nonché incontri di aggiornamento sull'attività dei Cen­tri stessi.

Art. 15. - (Dichiarazione di disconoscimento) - Coloro che esercitano una professione sanitaria, gli incaricati di servizi sociali e di assistenza degli enti pubblici, i com­ponenti dei Centri di aiuta e difesa della vita e dei con­sultori familiari, che vengano a conoscenza del proposito di una gestante di non voler dare il suo nome al nasci­turo e di volerlo dare in adozione, devono, a richiesta della donna, darne immediatamente notizia al Tribunale per i Minorenni territorialmente competente per il luo­go ove la gestante si trova.

Il Tribunale, appena ricevuta la notizia, nomina un Giu­dice delegato perché disponga d'urgenza a mezzo dei servizi sociali, ed eventualmente anche ascoltando la don­na, gli opportuni e discreti accertamenti sulla condizione personale e familiare della gestante al fine di chiarire le motivazioni del suo proposito.

Qualora la gestante sia sposata, deve essere ascoltato anche il marito, purché non vi sia separazione legale o di fatto protrattasi per oltre trecento giorni, ovvero la donna non dichiari espressamente che il nascituro non è stato procreato dal marito.

Se anche il marito manifesta l'intenzione di non rico­noscere il nascituro, i genitori sono dispensati dal pre­sentare la dichiarazione di cui all'articolo 67 R.D. 9-7­-1939 numero 1238, sempreché sia iniziata la procedura di cui al successivo articolo.

Art. 16. - (Dichiarazione di adottabilítà prenatale) - Quando risulti confermata la decisione della gestante, e se ricorra il caso, del marito, il Tribunale per i minorenni dichiara con decreto che, qualora la decisione di non ri­conoscimento sia confermata successivamente al parto, esistono le condizioni per l'immediato affidamento del bambino subito dopo la nascita ad una famiglia adottiva.

Il decreto deve essere comunicato agli interessati a mezzo dei servizi sociali.

Con lo stesso decreto il Tribunale, a richiesta della donna, può disporre il ricovero della gestante, almeno per gli ultimi tre mesi di gestazione, nella residenza di cui all'articolo 5.

Avvenuta la nascita, il servizio sociale incaricato dal Tribunale o quello dell'Ospedale, ovvero l'ostetrica, de­vono interpellare la puerpera e, se ne ricorra il caso, il marito non separato di lei, se intendono o meno confer­mare la decisione di non riconoscere il figlio.

Qualora i genitori intendano eseguire il riconoscimen­to, vi provvederanno ai sensi dell'art. 67 R.D.L. 9-7-1939 numero 1238 nel termine ivi prescritto. In tal caso il de­creto di cui al primo comma perde di efficacia.

Nel caso di conferma della volontà di dare in adozione il figlio, l'interpellante ne notizia al più presto al Tri­bunale per i minorenni.

Art. 17. - (Intromissioni indebite nel procedimento prea­dottivo) - Chiunque offre denaro od altra utilità econo­mica per influire sulle persone che devono rendere le dichiarazioni o manifestare le intenzioni di cui agli arti­coli 15, ultima comma, e 16 primo e ultimo comma, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l'intento è conseguito.

Art. 18. - (Affidamento provvisorio) - Ricevuta la co­municazione di cui all'ultimo comma dell'art. 16, il Tribu­nale per i minorenni, a mezzo del suo Giudice delegato, provvede immediatamente alla scelta dei coniugi adottivi ai sensi dell'art. 314-20 Codice Civile ed emette decreto di affidamento provvisorio del neonato, identificato con gli estremi del sesso, della data, dell'ora e del luogo di nascita, ai coniugi prescelti. Costoro immediatamente si presenteranno al servizio sociale già interessato o al ser­vizio sociale dell'Ospedale presso cui trovasi il neonato, consegnando copia del decreto del Tribunale che avrà immediata esecuzione.

Quindi muniti del certificato di parto, provvederanno entro quindici giorni dalla nascita, in deroga all'articolo 67 R.D.L. 9-7-1939 numero 1238 sull'Ordinamento dello Stato civile, alla denuncia del neonato presso l'Ufficio di stato civile del Comune di nascita, producendo altra copia del decreto del Tribunale.

L'Ufficiale di stato civile, nel dare atto dell'affidamento provvisorio del neonato ai coniugi adottanti, deve sce­gliere a richiesta di costoro, quale cognome da attribuire al neonato ai sensi dell'articolo 71 ultimo comma sull'Or­dinamento dello stato civile, lo stesso cognome degli affidatari, i quali, comunque, sceglieranno il nome.

Nell'ipotesi in cui i servizi sanitari abbiano segnalato la grave immaturità del neonato o l'esistenza di sue evi­denti malformazioni fisiche o gravi malattie in atto, o abbiano manifestato dubbi su danni cerebrali del neona­to, il decreto di affidamento provvisorio di cui al comma 1o potrà essere ritardato, nell'interesse del minore, fino alla comunicazione, da parte dei medici delle loro dia­gnosi e prognosi.

In tal caso la ostetrica che ha assistito al parto prov­vederà a denunciare il neonato all'Ufficiale dello Stato Civile entro quindici giorni dal parto, in deroga al termi­ne di cui all'art. 67 regio decreto legge 9-7-1939 n. 1238 e l'Ufficiale dello Stato civile provvederà alla formazione dell'atto di nascita ai sensi dell'art. 71 ultimo comma stesso decreto.

L'Ufficiale di Stato Civile e l'Ospedale senza ritardo de­vono comunicare al Tribunale per i Minorenni rispettiva­mente l'avvenuta denuncia del neonato e l'avvenuta ese­cuzione del decreto di affidamento provvisorio. Ricevute tali comunicazioni, il Tribunale pronuncerà immediatamen­te decreto di adottabilità ai sensi dell'art. 314-7 Codice Civile.

Per i successivi provvedimenti sull'adozione del mino­re e per le eventuali richieste di revoca per successivo riconoscimento del minore da parte dei genitori biolo­gici, si applicano le norme della Legge 5 giugno 1967 numero 431 sull'adozione speciale.

 

PARTE II

 

Art. 19. - (Aborto di donna non consenziente) - Chiun­que cagiona l'aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da quattro a otto anni.

Questa disposizione si applica anche se il consenso è estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero è carpito con l'inganno.

Art. 20. - (Aborto di donna consenziente) - La donna che si cagiona o si fa cagionare l'aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni.

La stessa pena si applica a chiunque cagiona l'aborto di una donna con il consenso di lei.

In deroga all'art. 9, primo capoverso, Codice Penale, nel caso di aborto commesso all'estero da cittadina italiana residente in Italia che si sia recata nel territorio dello Stato estero al solo scopo di farsi praticare l'aborto, la punibilità non è condizionata dalla richiesta del Ministero di Grazia e Giustizia.

Art. 21. - (Circostanze aggravanti) - Le pene di cui all'art. 20 sono aumentate:

1) se la persona che ha cagionato l'aborto non è abi­litata all'esercizio della professione medica;

2) se l'aborto è determinato da fine di speculazione economica.

Art. 22. - (Circostanze attenuanti) - Le pene previste dall'articolo 20 sono diminuite dalla metà a due terzi:

1) se la gravidanza determina gravi difficoltà di ordine sanitario per la madre;

2) se il concepimento è stato causato da violenza car­nale;

3) se sussiste rischio elevato di grave malformazione o malattia psichica del nascituro incurabile in base alle tecniche mediche disponibili al momento della diagnosi;

4) se la donna, prima di commettere il reato, si sia pre­sentata ad uno dei Centri di accoglienza e difesa della vita ed abbia prestato ogni possibile collaborazione per la soluzione dei problemi esposti, purché risulti che il reato non è stato commesso per motivi antisociali ed egoistici; ovvero a seguito di rifiuto dell'aiuto offerto dal Centro;

5) se la gravidanza, il parto e la maternità determinano difficoltà economiche, familiari e sociali di notevole gra­vità.

Art. 23. - (Morte o lesione della donna) - Se dal fatto preveduto dall'art. 19 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima, si applica la reclusione da sette a quattordici anni; se la lesione è grave si ap­plica la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione è lieve si applica la reclusione da cinque a dieci anni.

Se dal fatto preveduto dall'articolo 20 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale, si applica la reclu­sione da due a sei anni.

Se i fatti di cui al precedente comma sono conseguen­za di intervento abortivo praticato da un medico chirurgo, si applica l'articolo 586 Codice Penale.

Art. 24. - (Istigazione all'aborto) - Fermo quanto di­sposto dall'articolo 414 Codice Penale, si applica la pena della reclusione da due mesi a due anni a chi fa pubbli­cità a favore sia di istituti, anche esteri, nei quali sono praticati gli aborti, sia di medicinali, prodotti, strumenti o metodi destinati a procurare l'aborto.

La pena di cui all'art. 414 C.P. si applica al componente dei centri di cui all'art. 6, il quale, nell'esercizio delle sue funzioni, induce o istiga all'aborto.

In ogni caso alla condanna consegue l'obbligo del pa­gamento in favore del Fondo nazionale per la difesa della vita di una somma da Lire 500.000 a Lire 10.000.000.

Art. 25. - (Perdono giudiziale per la madre) - Anche fuori dei limiti previsti dall'articolo 169 Codice Penale, il Giudice può concedere il perdano giudiziale alla madre che ha commesso il fatto di cui all'articolo 20:

1) quando la gravidanza ha determinato il pericolo at­tuale, non altrimenti evitabile, di una grave e permanen­te menomazione della integrità fisica della madre, ovvero della sua capacità di intendere o di volere;

2) quando ricorre una delle circostanze di cui ai nu­meri 2, 3 e 4 dell'articolo 22.

Queste disposizioni si applicano anche ai concorrenti che siano prossimi congiunti della donna e, ad eccezione del caso di cui al numero 2 dell'articolo 22, al padre dei concepito.

Art. 26. - (Perdono giudiziale per il medico) - Quando ricorrono le circostanze di cui all'articolo precedente, il Giudice può concedere il perdono giudiziale anche al me­dico che ha eseguito l'aborto e al personale ausiliario che lo ha assistito, purché il fatto risulti compiuto senza fine di speculazione economica e nella ragionevole convin­zione, fondata su adeguato tentativo di dissuasione, com­piuto dal medico stesso che la interruzione della gravi­danza sarebbe comunque avvenuta senza adeguata as­sistenza sanitaria.

Questa disposizione non si applica a chi abbia cagio­nato l'aborto senza essere abilitato all'esercizio della professione medica.

Con la sentenza che proscioglie per concessione del perdono giudiziale, il Giudice condanna sempre al paga­mento di una somma da Lire 100.000 a Lire 1.000.000 in favore del Fondo nazionale per la difesa a tutela del­la vita.

Art. 27. - (Disposizioni comuni) - Il perdono giudiziale è concesso a condizione che il Giudice, valutate le circo­stanze di cui all'art. 133 Codice Penale, presuma che il colpevole si asterrà dal commettere altri reati contro la vita e l'incolumità individuale.

Nell'ipotesi prevista dal numero 4 dell'articolo 22 il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta.

Art. 28. - (Aborto colposo) - Chiunque per colpa cagio­na l'aborto di una donna, è punito con la reclusione fino a due anni.

La pena è aumentata se il fatto è commesso con vio­lazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, sulla tutela delle lavoratrici madri, sull'inquina­mento, ovvero se il fatto è determinato dalla sommini­strazione di farmaci non adeguatamente sperimentati.

Quando dai fatti preveduti dal precedente comma deri­vano anomalie o malformazioni gravi del nascituro, si applica la pena ivi prevista.

Art. 29. - (Disposizione finale) - Il titolo X del libro secondo del Codice Penale è abrogato.

 

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