Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno 1978

 

 

Editoriale

 

ESIGENZE DEGLI ASSISTITI E TENTATIVI PER IL SALVATAGGIO DEGLI ENTI E DELLE IPAB

 

 

Come abbiamo già avuto occasione di rileva­re (1), il DPR 616 pone delle limitazioni preoccu­panti: sono escluse dal trasferimento ai Comuni le IPAB che «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa», e gli arti­coli 113, 114 e 115 consentono la privatizzazione degli enti pubblici nazionali e interregionali e dei relativi patrimoni. In questo modo si viene a compromettere in modo definitivo ogni possibi­lità di un trasferimento globale delle competenze alle Regioni e ai Comuni, né si può sperare, al­meno nell'attuale situazione politica, in un radi­cale cambiamento a seguito della riforma dell'as­sistenza, ammesso che essa venga approvata. Cambiamenti sono ancora più improbabili dopo la presentazione da parte del Governo del pro­getto di riforma dell'assistenza, che al momento di andare in stampa non è ancora stato deposi­tato in Parlamento.

 

 

Tentativi di salvataggio delle IPAB

 

Contro la soppressione delle IPAB si sono sca­tenate, fin dal momento dell'elaborazione del DPR 616, le forze più conservatrici. Nel tentativo di salvare il salvabile, si è sostenuto, fra l'altro, che dovevano essere dichiarate estinte esclusi­vamente «in caso di inutilità dell'istituzione e di inadeguatezza dei fini patrimoniali» (art. 15 della proposta di legge DC, presentata il 24-5-'77 alla Camera dall'on. Cassanmagnago).

Per tutte le altre IPAB, enti pubblici a tutti gli effetti in forza dell'esplicita dichiarazione del­l'art. 1 del RD 30-12-1923, n. 2841, la proposta DC prevede addirittura la privatizzazione. Così si esprime infatti il 2° comma dell'art. 13 del pro­getto Cassanmagnago: «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che per l'attività as­sistenziale svolta e per l'efficiente organizzazio­ne strumentale e di personale, possono, anche con idonee trasformazioni, garantire, singolar­mente ovvero mediante funzioni con altre istitu­zioni pubbliche di assistenza e beneficenza aven­ti analoghi fini e caratteristiche, il perseguimen­to dei propri scopi di aderenza ai principi di cui alla presente legge, rientrano nella disciplina delle personalità giuridiche private».

In tal modo le IPAB con situazioni debitorie verrebbero trasferite alle Unità locali, quelle con dotazioni patrimoniali - si tratta di circa 9000 enti con beni per molte centinaia di miliardi - diventerebbero private!

Da ogni parte scatta l'operazione salvataggio delle IPAB. Al Convegno di Firenze dell'8-9 apri­le 1978 «Per un autentico pluralismo nella li­bertà» (2) il relatore Sandulli, già Presidente della Corte Costituzionale, con acrobatici arzigo­goli sostiene che «l'articolo (25 del DPR 616, n.d.r.) non attribuisce ai Comuni, né ad alcun al­tro Ente, le ulteriori funzioni eventualmente eser­citate dalle IPAB in aggiunta a quelle di assisten­za e beneficenza (o addirittura in luogo di esse)».

Inoltre, secondo Sandulli, «moltissime IPAB svolgono, sempre per statuto, attività di istru­zione ed educazione a pagamento e con finalità di lucro», «molte sono pure quelle che hanno assunto a pagamento e con finalità di lucro, in base a apposite convenzioni (e generalmente al di là delle previsioni statutarie), la gestione di servizi assistenziali (orfanotrofi, asili nido, asili, gerontocomi) posti dalla legge dai rispettivi sta­tuti a carico di altri enti o da questi volontaria­mente addossatisi: si tratta - aggiunge San­dulli - di gestioni di nulla differenti da quelle assunte, sempre a titolo pattizio, in casi analo­ghi, da enti religiosi, da case private, da enti pubblici diversi dalle IPAB» (3).

In questo modo l'ex Presidente della Corte co­stituzionale salva le IPAB rientranti nelle catego­rie di cui sopra dichiarando che non potrebbero essere soppresse ed i patrimoni e il personale non dovrebbe essere trasferito ai Comuni.

Un altro tentativo di svuotamento del DPR 616 riguarda l’esclusione dello scioglimento delle IPAB «che svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa», tentativo che viene perseguito con una serie di interpre­tazioni e di iniziative per far rientrare in questo ambito il maggior numero possibile di istituzioni. L'organo dell'UNEBA, Nuova proposta, n. 2, febbraio 1978, sostiene che «il criterio generale interpretativo dell'attività di un ente è, dunque, quello che prende in esame innanzi tutto lo sta­tuto e gli atti costitutivi e che completa il giu­dizio con la verifica dell'attività svolta. Perciò l'indicazione del decreto n. 616 deve essere letta in questo senso, non dando esclusivo valore all'attività svolta, ma legando questa ai fini pre­visti dagli originari statuti e dalle modificazioni eventualmente apportate nel corso degli anni».

Su questa linea la Curia arcivescovile di To­rino, sull'esempio delle altre diocesi, ha costi­tuito una «Commissione che fa capo al vescovo, con il compito di vagliare, sul piano pastorale, se l'IPAB può essere considerata "segno" della Co­munità Ecclesiale e al tempo stesso di svolgere un'opera di sostegno e di consulenza per la pre­disposizione dell'opportuna documentazione».

La Curia di Torino ha pertanto inviato una let­tera a tutti i Consigli di amministrazione delle IPAB per invitare quelle «che ritengono di dover essere esclusi dal trasferimento ai Comuni in base all'art. 25 del DPR 616» a «preparare una documentazione atta a comprovare il possesso dei requisiti», documentazione che viene elen­cata come segue: «finalità espresse nelle tavole di fondazione; finalità indicate dallo statuto (con riferimento anche alla eventuale evoluzione del­lo statuto); presenza nel consiglio di persone no­minate dalla autorità ecclesiastica o comunque rappresentative del mondo religioso; personale religioso impegnato e suo ruolo nella gestione delle attività dell'ente; attività formativo-religio­sa svolta in passato e al presente contestual­mente alla erogazione del servizio educativo, sco­lastico, assistenziale, mirante a qualificarlo nel suo orientamento e nei suoi valori di fondo; even­tuali obblighi di culto, nonché eventuali clausole testamentarie da cui risulti che, nel caso di estin­zione dell'opera pia o di una destinazione diversa dai fini espressi dalla volontà del fondatore, il patrimonio passi ad ente ecclesiastico; rapporti con la comunità cristiana: se l'Opera è conside­rata e vive come opera religiosa; eventuali di­chiarazioni dell'autorità ecclesiastica (possibil­mente del Vescovo) sul contenuto o caratterizza­zione religiosa dell'attività promossa dall'ente; eventuale riconoscimento giuridico a norma del can. 100 del codice di diritto canonico».

Ma più grave è il tentativo di confondere vo­lutamente le idee della gente, dando l'impressio­ne che il previsto scioglimento delle IPAB sia un attacco all'iniziativa privata. Così nell'informa­zione la sigla IPAB viene erroneamente interpre­tata come «Istituti privati di assistenza e bene­ficenza» invece di «Istituzioni pubbliche di assi­stenza e beneficenza», oppure invece che alle IPAB viene fatto riferimento alle Opere pie, per far credere che si tratti di enti religiosi.

Ugualmente grave è la strumentalizzazione del personale degli enti di cui il DPR 616 prevede lo scioglimento, e in particolare quello delle IPAB, strumentalizzazione che viene condotta da più parti tacendo leva sull'incertezza della nuo­va situazione lavorativa e sugli eventuali privilegi raggiunti.

Da anni noi sosteniamo invece che è necessa­rio recuperare tutte le esperienze positive acqui­site dal personale, ma non è ammissibile che il personale stesso - avuta la garanzia reale del­la conservazione del posto di lavoro e dei livelli salariali e normativi conquistati - ostacoli la riforma e l'istituzione dei servizi alternativi. E questo ricupero delle esperienze del personale non riguarda solo quello in ruolo, ma tutti gli operatori che prestano comunque la loro attività presso Enti o IPAB, compreso quello religioso convenzionato. Per questo nella proposta di leg­ge regionale piemontese di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assisten­ziali e costituzione delle unità locali di tutti i ser­vizi» (4) è stato previsto all'art. 4 quanto segue: «Il personale religioso che opera, anche tramite convenzioni, nelle IPAB da almeno un anno è in­serito, su richiesta ed entro il 31-12-1978, nei ruoli organici ordinari e occorrendo sopranume­rari dell'ente con la qualifica corrispondente al lavoro svolto, sempre che l'interessato sia in possesso dei titoli di studio corrispondenti».

 

Esigenze delle persone assistite

Abbiamo riportato queste dichiarazioni non so­lo perché i lettori siano informati della situazio­ne, ma perché vorremmo che si rilevasse come nelle innumerevoli iniziative (convegni, articoli, dichiarazioni, ecc.), mai le forze che vogliono la conservazione delle IPAB abbiano fatto riferimen­to alle esigenze delle persone assistite.

Crediamo di aver illustrato su questa rivista, e anche con esempi concreti, il ruolo di emargi­nazione che svolge l'assistenza ed i danni dele­teri dell'istituzionalizzazione di bambini, handi­cappati e anziani.

Uno degli strumenti di segregazione - e cer­tamente il più importante - sono le IPAB ope­ranti nel settore assistenziale.

Né vale a modificare questo dato di fatto, la considerazione che vi sono IPAB che non svol­gono attività di ricovero (pensiamo ad esempio a quelle che gestiscono asili nido e scuole ma­terne).

Nelle iniziative assunte per la creazione di ser­vizi alternativi sempre e dovunque, in ogni zona d'Italia, i dirigenti delle IPAB e delle organizza­zioni ad esse collegate - tutti, salvo alcune ra­rissime eccezioni - sono intervenuti per boicot­tare le prestazioni più rispondenti alle necessità dei cittadini: servizi primari non assistenziali, assistenza economica e domiciliare, adozione speciale; affidamenti e inserimenti, comunità al­loggio (5).

Ricordiamo - a titolo esemplificativo ma si­gnificativo - la reazione dell'organo ufficiale dell'UNEBA, Nuova proposta (n. 11, novembre '75) al progetto Falcucci di inserimento degli handi­cappati nella scuola normale, che così si espri­meva: «E' chiaro, anche se non espresso espli­citamente, che la politica di integrazione totale consegue ad una impostazione ideologica di deistituzionalizzazione e di pubblicizzazione dei ser­vizi socio-asssitenziali-educativi che impedireb­bero quindi, in tale ambito, un democratico plu­ralismo di interventi e mira in ultima analisi a bloccare ed abolire l'iniziativa privata».

Dunque la difesa delle IPAB viene portata avan­ti per conservare gli istituti, per continuare ad associare all'assistenza le tradizionali caratteri­stiche di isolamento delle persone in difficoltà, dal contesto sociale con la loro segregazione in istituti di ricovero.

 

Conclusioni

Le notizie che arrivano dalle due Commissioni istituite a seguito del DPR 616 (sia quella per gli enti di cui alla tabella B, sia l'altra per le IPAB) non sono per nulla rassicuranti.

Il termine per il trasferimento delle funzioni degli enti e delle IPAB, stabilito dall'art. 113 del DPR 616 per il 31-3-1978, non è stato rispettato.

Neppure rispettata è stata la data del 31-12-'77 per il trasferimento alle Regioni ed ai Comuni del personale e dei finanziamenti statali relativi alle funzioni trasferite dal DPR 616.

Vi è inoltre il rischio che si ripeta l'accordo DC-PCI, intervenuto in occasione della discussio­ne sul DPR 616, che ha consentito il salvataggio delle IPAB con attività educativo-religiosa, la privatizzazione di enti pubblici e dei relativi patri­moni e che si rinnovi l'intesa dei due suddetti partiti in base alla quale l'art. 38 del progetto di riforma sanitaria, approvato dalla Commissione sanità della Camera, prevede quanto segue: «E' riconosciuta la funzione delle associazioni di vo­lontariato liberamente costituite aventi la fina­lità di concorrere al conseguimento dei fini isti­tuzionali del servizio sanitario nazionale. Tra le associazioni di volontariato di cui al comma pre­cedente sono ricomprese anche le istituzioni a carattere associativo, le cui attività si fondano, a norma di statuto, su prestazioni volontarie e personali dei soci. Dette istituzioni, se attual­mente riconosciute come IPAB, sono escluse dal trasferimento di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. A tale fine le predette istituzioni avanzano documentata istanza al presidente della giunta regionale che procede, sentito il consiglio comu­nale ove ha sede l'istituzione, con proprio de­creto, a dichiarare l'esistenza delle condizioni previste nel comma precedente. Di tale decreto viene data notizia alla commissione di cui al se­sto comma dell'articolo 25 del decreto del Pre­sidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. Sino all'entrata in vigore della legge di riforma dell'assistenza pubblica, le istituzioni restano disciplinate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modifiche e integrazioni. I rapporti fra le unità sanitarie locali e le associazioni del volontariato ai fini del loro concorso alle attività sanitarie pubbliche sono regolati da apposite con­venzioni nell'ambito della programmazione e del­la legislazione sanitaria regionale».

Questa situazione è resa ancora più preoccu­pante da prese di posizione regionali che costi­tuiscono un arretramento notevole rispetto alle posizioni espresse alcuni anni fa.

Ad esempio la Giunta della Regione Emilia­-Romagna, nella seduta del 28 giugno 1977, ha de­liberato all'unanimità di proporre al Consiglio re­gionale l'adozione di «Direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative di vigilanza e di controllo sulle istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e la protezione della maternità, dell'infanzia e dei minori delegate dalla Regione Emilia-Romagna ai Consorzi socio-sanitari per i servizi sanitari e sociali».

Come è stato ampiamente messo in eviden­za (6), nella delibera suddetta «il modello di isti­tuto che viene proposto è una istituzione totale, senza alcun dubbio» (7). Ora proprio questa de­libera è stata assunta come base di lavoro dalla Regione Piemonte per definire i criteri di auto­rizzazione preventiva a funzionare degli istituti.

Per tener conto di come le iniziative delle Re­gioni, e ancor più quelle dei Comuni, siano scar­se o nulle si legga l'articolo pubblicato in que­sto numero «Giudici minorili - DPR 616 e propo­ste di legge sull'adozione speciale e ordinaria, affiliazione e affidamenti».

Da tutto quello che abbiamo scritto e ripetuto, purtroppo, salvo che le Regioni ed i Comuni mo­difichino radicalmente le passate e attuali posi­zioni di disinteresse, si deduce che ben poco di positivo è stato portata a termine. Anzi vi è da temere - il che sarebbe estremamente grave per gli assistiti, ma anche pericoloso sul piano politico - un arretramento rispetto alle presta­zioni, tanto e giustamente criticate, fornite dagli enti soppressi o di cui è previsto lo scioglimento. L'esperienza nei riguardi dell'ex ONMI è si­gnificativa anche se riguardava un numero limi­tato di assistiti. Ora invece si tratta di tutto il settore assistenziale (le competenze sono state trasferite dall'1-1-1978 per cui in molte Regioni quasi tutto il vuoto di intervento è già in atto) e fra pochi mesi, e cioè a partire dall'1-1-1979, la situazione riguarderà anche tutto il campo dei servizi sanitari.

Di fronte all'attuale situazione, per molti aspet­ti preoccupante, si possono assumere due posi­zioni: di rinuncia, magari cercando di giustificar­la con atteggiamenti qualunquisti, tanto non c'è niente da fare, o di impegno e di lotta. A ciascu­no assumere le proprie responsabilità: forze po­litiche, amministrazioni regionali e locali, sinda­cati e operatori, movimenti di base e cittadini.

 

 

 

(1) V. l'editoriale del n. 39 di Prospettive assistenziali.

(2) Il convegno è stato promosso dalle seguenti organizzazioni: Azione cattolica, Caritas, Centro cattolico studi sociali, Comunione e liberazione, Centro italiano femminile, Conferenza italiana superiori maggiori, Compagnia della carità, Comi­tato diocesano per il coordinamento dei gruppi giovanili, Conferenza nazionale delle Misericordie d'Italia, Donatori Sangue Fratres, Equipaggi della speranza, Federazione regionale formazione e orientamento professionale, Federazione istituti di istruzione dipendenti dall'autorità ecclesiastica (FIDAE), Federazione italiana scuole materne (FISM), Gruppi Maria Cristina, Movimento cristiano lavoratori, Movimento dei focolari, Opera villaggi per la gioventù, Rinascita cristiana, S. Vincenzo de' Paoli, UNEBA, Unione superiore maggiori italiani, Unione cattolica insegnanti medi.

(3) Da Adista, n. 1172, 1173 e 1174.

(4) V. Prospettive assistenziali, n. 40. Il testo definitivo della proposta presenta alcune modifiche marginali rispetto a quello pubblicato nel n. 40.

(5) Vedi l’editoriale del n. 34 di Prospettive assistenziali.

(6) V. l'articolo «La lotta contro l'emarginazione dei minori non è più un obiettivo prioritario?» di A. Palmanari, F. Ca­rugati e G. Selleri, apparso su Prospettive sociali e sanitarie, n. 20 del 15-11-1977.

(7) Ibidem.

 

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