Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno
1978
Libri
U. MARZUOLI, Guarire è
un po' morire - Storie vere d'ospedale raccontate da
un primario, Mazzotta, Milano, 1978, pag.
Che cosa succede realmente negli
ospedali? Ce lo descrive Ugo Marzuoli, primario
dell'Ospedale civile di Alessandria, esaminando il ruolo dei medici e della gerarchia
sanitaria subalterna. «I medici hanno potere su tutto il personale di corsia
(capisala, infermieri professionali e generici, ausiliari) e sui malati. I capisala (più spesso le caposala) hanno potere su infermieri
professionali e generici, ausiliari e malati; i professionali (o meglio le
professionali) su generici, ausiliari e malati; gli infermieri generici su
ausiliari e malati. Gli ausiliari, infine, esercitano il loro potere
solo sui ricoverati. Questi ultimi non hanno alcun
potere: sono l'oggetto del potere di tutti gli altri». «Tutte le degradazioni
di dominio si scaricano su quell'oggetto finale che è il malato: l'ospedale è
uno dei luoghi dove il proletariato può esercitare il potere sul proletariato. Nel suo ambito soltanto i ricoverati sono
veramente cittadini di seconda o terza classe».
Il malato è una cosa, «è nel suo
letto e sa di sicuro solamente di essere un malato. Tutto il resto gli è
ignoto: qual è la sua malattia? Guarirà? In quanto tempo potrà guarire?
Morirà? Rimarrà invalido per sempre? Medici, capisala e infermieri non lo
degnano di una spiegazione».
Raramente il malato si difende: ma
non si tratta mai di una difesa organizzata (il che richiederebbe una alleanza con forze esterne), ma solo di piccole astuzie.
Marzuoli tenta di modificare la
situazione: «Avevo deciso - per usare un linguaggio aggiornato - di fare un salto di qualità che trasformasse, nell'ambito del
mio reparto, i rapporti tra operatori sanitari e sociali». Per fare questo,
convoca un operaio metalmeccanico ricoverato in seguito ad un infortunio sul
lavoro e un sindacalista, membro di un consiglio di fabbrica, per sapere come
sono trattati, se hanno delle rimostranze da fare, per conoscere come vivono i
rapporti gerarchici esistenti nel reparto. Da parte loro nessuna lamentela, nessun rilievo, tutto va benissimo.
È certo importante la disponibilità
dei medici, dei capisala e degli infermieri per modificare in senso democratico
il rapporto malato-operatore, ma tale processo non
farà significativi passi avanti fino a quando i cittadini e le forze sociali e
sindacali non assumeranno pienamente la salute come problema collettivo. Ciò
richiede anche, a nostro avviso, che il tema della salute (e ciò vale per tutti
i servizi in cui l'utente viene a trovarsi in situazione di dipendenza) venga gestito dai sindacati a livello intercategoriale:
in caso contrario continueranno a prevalere - come finora è successo - le
spinte corporative e non le esigenze degli assistiti.
C. TREVISAN (a cura di), Il distretto di base nell'unità locale dei
servizi, Fondazione Zancan, Padova, 1978, pag.
Una organizzazione dell'Unità locale
fondata sulla gestione non settoriale dei servizi esige la costituzione dei
distretti (o compartimenti) sanitari e assistenziali.
Essi possono essere definiti come
una suddivisione del territorio dell'Unità locale comprendente in genere da
Per i compartimenti sanitari e assistenziali (preferiamo chiamarli così per non creare
confusioni con í distretti scolastici) non si pongono problemi istituzionali,
in quanto l'unico organo di governo è quello dell'Unità locale.
Il problema della formazione dei
compartimenti è ancora aperto alla discussione: loro
utilità, dimensioni, personale, attività, rapporti con gli altri servizi
dell'Unità locale.
Nella pubblicazione è riportata la
documentazione su alcune esperienze riguardanti i compartimenti sanitari e assistenziali.
Queste esperienze mettono
in evidenza tendenze tecnicistiche
estremamente pericolose. Vi è infatti da sottolineare,
fra l'altro, che per partecipazione si intende la cogestione. A pag. 33 è
scritto: «la partecipazione si attua
attraverso azione di (...) gestione: attività di diretta conduzione di servizi
specifici (vedasi ad es. i comitati di gestione degli asili nido) nell'ambito
degli obiettivi e della programmazione nei confronti dei quali la partecipazione
viene esercitata come forma di promozione e di
controllo».
In ogni caso la costituzione dei
compartimenti è indispensabile per assicurare il funzionamento dell'Unità
locale e per garantire risposte globali alle esigenze
della popolazione e per liquidare le vecchie gestioni settoriali.
N. TEDESCHI, Mio fratello mongoloide,
Ed. C1audiana, Torino, 1977, pag.
È uscito nella collana «Nostro tempo»
un libro che ripropone il tema dell'inserimento dell'handicappato
nella famiglia, nella scuola, affrontando attraverso una testimonianza il
problema di una emarginazione.
È una storia vera che malgrado il titolo ad effetto non vuol creare un turbamento
immediato in senso pietistico nel lettore, ma condurlo attraverso una
esperienza vissuta al problema complesso e multiforme dell'inserimento.
Il vero valore dunque di questa esperienza vissuta giorno per giorno da una intera
famiglia, con abnegazione ed amore, sta nell'impegno che genitori, sorella,
maestra e amici di Carletto dimostrano nel confrontarsi con lui per dare un
senso alla sua presenza.
L'ansia, la tensione morale, il
problema affettivo che si creano attorno alla presenza del portatore di handicap cessano
di essere una risposta privata della famiglia per diventare stimolo ad una
ricostruzione collettiva della vita del diverso
e dei suoi rapporti con il mondo esterno.
Ciò richiede una scelta che oggi diremmo di campo ed è da questa scelta che si sviluppa, in
coloro che vivono con lui, una riflessione morale e culturale, una determinazione
nuova nell'affrontare pregiudizi ed ostacoli.
Giustamente quindi il libro ospita
pareri di un medico, una psicologa, una neuropsichiatra
che, rispondendo alla penosa interrogazione sul diverso, propongono
indicazioni tratte da esperienze già attuate in altri paesi, progetti di
modelli alternativi verso cui si stanno orientando gli
sforzi degli ambienti più sensibilizzati. Ma a queste
nuove esperienze, a questi interventi alternativi come reagiscono e rispondono
le persone, nella famiglia, nella scuola, nel territorio? Scendere nella
pratica reale, incontrarsi con famiglie, operatori sociali, insegnanti per
identificare i bisogni, costringere gli Enti locali a
modificare le condizioni esistenti è un difficile, pesante lavoro di tutti i
giorni. Il lavoro svolto a Torino è testimoniato da interventi e proposte
pubblicate in appendice e tratte da Prospettive
assistenziali, materiale che è costato anni di
ricerche, di lavoro di gruppi, di rapporto con la gente e che sta a dimostrare
che è stato fatto qualcosa, ma che molto è ancora da fare.
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