Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno 1978

 

 

RICERCA SULL'EMARGINAZIONE COATTA IN MANICOMIO NELLA PROVINCIA DI TORINO

EQUIPE PSICHIATRICA DI SETTIMO TORINESE (1)

 

 

PREMESSA

 

I fondamenti ideologici della legge 1904, di cui da tempo gli operatori di Torino, partecipi delle lotte e della contestazione manicomiale del 1968, richiedono l'abrogazione, sono da ricercarsi nella logica repressiva ed emarginante di una società divisa in classi e dominata dal profitto.

Le persone per varie ragioni disadattate e de­vianti devono essere escluse e represse nell'in­teresse sociale della classe dominante. Ogni pos­sibile segno di protesta sociale implicito nella devianza psichica viene rifiutato ed espulso dal contesto dei «sani» e delegato alla gestione da parte di «tecnici» in apposite strutture segre­ganti.

Infatti la legge 1904 si basa su:

1) emarginazione coatta all'insegna di una pe­ricolosità sociale o pubblico scandalo sempre discutibili;

2) difesa della società mediante esclusione del deviante sacrificato all'interesse sociale;

3) repressione della crisi e risposta custodia­listica ai bisogni che essa potrebbe rivelare;

4) apparente possibilità di conciliare custodia e cura, quindi mistificazione perché sono due realtà antitetiche;

5) gestione necessariamente istituzionale, se­condo parametri autoritari e gerarchici tipici del­la società esterna, degli emarginati;

6) negazione di qualsiasi forma di controllo non tecnocratico o burocratico ma democratico, negazione di qualsiasi forma di partecipazione sociale alla gestione del ricovero.

I suddetti elementi sono tutti incompatibili con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione per ogni cittadino, e soprattutto risultano in con­trasto con una linea alternativa di intervento nel campo della salute mentale.

Deve essere attuata una politica assistenziale fondata su una serie di elementi antitetici non solo rispetto ai fondamenti politico-culturale del­la legge 1904 e relativo regolamento di esecu­zione del 1909, ma anche rispetto alla legge 431 del 1968.

Oggi va negata ogni validità alla creazione di centri di igiene mentale che o sanciscono una dicotomia assistenziale tra territorio e manico­mio, o, come il recente tentativo di Vercelli, vo­gliono essere emanazione del manicomio (indu­stria fondata sulla degradazione umana) e centri di potere clientelare.

Va negata validità anche alla politica di «set­tore» sostenuta intorno agli anni settanta, ma successivamente superata, in quanto rappresen­ta ancora una visione ospedalocentrica e una operatività psichiatrica del tutto scollegata dagli altri servizi.

Il fondamento ideologico-politico su cui si basa una reale alternativa alla logica repressiva ed emarginante propria della legge 1904, è la nega­zione di qualsiasi struttura segregante e l'affer­mazione che la risposta ai bisogni e alle contrad­dizioni che la crisi della salute mentale di deter­minati individui evidenzia, va ricercata nel vivo del tessuto sociale e risolta quindi nella libertà.

Alla istituzione più o meno repressiva va so­stituito il gruppo operativo (équipe) il cui obiet­tivo principale è la lotta contro la repressione e la emarginazione. La risposta istituzionale ai bi­sogni è del tutto secondaria rispetto alla neces­sità di stabilire rapporti interpersonali liberatori (accettazione, analisi, comprensione) tra équipe e il deviante portatore di contraddizioni eminen­temente sociali.

L'équipe deve avere da un lato sufficiente po­tere terapeutico per intervenire nelle varie si­tuazioni (facoltà di accesso ai vari istituti di cura o ricovero, nei luoghi di lavoro, scuola, caseg­giato e tessuto sociale in genere), dall'altro de­ve poter essere sempre controllata e controlla­bile nella sua operatività dalle forze sociali del territorio (ente locale, organizzazioni sindacali, utenti, partiti politici). Il mandato sociale del­l'équipe psichiatrica di zona, destinata ad inte­grarsi con gli altri servizi dell'Unità locale, è pri­mariamente quello di fare da filtro a ogni emar­ginazione.

 

 

L'ASSISTENZA PSICHIATRICA IN PROVINCIA DI TORINO: DAL CENTRO DI IGIENE MENTALE ALLE ÉQUIPES DI ZONA

 

Torino, come altre città italiane, ha conosciuto negli anni '68-70 una profonda crisi nel campo dell'assistenza psichiatrica. La contestazione da parte di gruppi di operatori psichiatrici, di forze sociali e di associazioni, del movimento studen­tesco, ha evidenziato lo stato di paurosa arretra­tezza in cui si trovava il manicomio di Torino, che ospitava nel 1968 4.508 degenti, 2.290 uomini e 2.218 donne, suddivisi in cinque diverse «Ca­se». Da allora ha preso l'avvio un lento e fati­coso movimento innovatore (comunità terapeu­tiche all'interno, liberalizzazione, dimissione di molti emarginati, soprattutto di coloro che ma­nifestamente erano stati esclusi per ragioni so­cio-economiche). Questo processo di demanico­mializzazione e liberalizzazione consente di dire che oggi la popolazione manicomiale si è pratica­mente dimezzata rispetto al 1968 (2.175 degen­ti, 1.208 uomini e 967 donne al 31-12-1977). Inol­tre un censimento nel 1972 ha ufficialmente rico­nosciuto che poco più di 1/3 (899) delle persone attualmente ricoverate presentano in qualche modo una patologia «psichiatrica» per cui ne­cessitano di assistenza continuativa, mentre le altre appartengono alla fascia della «senilità» o degli handicappati, o continuano ad essere emarginate per la impossibilità di trovare una si­stemazione extra ospedaliera conveniente). D'al­tra parte non si può dimenticare che in un ele­vato numero di casi la dimissione dal manicomio non ha significato riabilitazione o reinserimento, ma - come sottolinea un recente documento delle organizzazioni mediche - «travaso» in al­tri istituti a gestione privata (oltre 800 ricove­rati in istituti a tutto l'anno 1976).

Scopo della presente ricerca è però essenzial­mente verificare come è stata costruita l'alter­nativa alla emarginazione manicomiale nel corso dell'ultimo decennio, e come i servizi territoriali impiantati dalla Provincia di Torino abbiano po­tuto filtrare i ricoveri in manicomio e controllare i tradizionali canali di ricovero. Inoltre, per diffi­coltà pratiche, essa si limita alla considerazione della emarginazione più grave, la cosiddetta «psi­chiatria pesante», quella che oggi ancora si com­pie in base alla legge 1904, e cioè in base ad una dichiarazione di pericolosità sociale o di scan­dalo. Tuttavia sembra utile ricordare brevemente le linee di una politica assistenziale alternativa al manicomio espresse dalla Provincia di Torino nel corso degli ultimi decenni, per facilitare la valutazione complessiva dei dati che presen­tiamo.

Nel 1958 la Provincia istituisce il C.I.M. (Cen­tro Igiene Mentale) deputato alla gestione am­bulatoriale dei casi psichiatrici. È un tentativo di dare una risposta a una serie di bisogni ai quali fino a quel momento i vari servizi mutuali­stici rifiutavano l'intervento. È noto infatti come sino ad oggi le «mutue» hanno sempre rifiutato di assicurare un servizio psichiatrico ai loro as­sistiti, forti del fatto che la legge 1904 (e la successiva legge 1968) delega alle Province la gestione della psichiatria all'insegna della com­pleta separatezza tra un tipo di problemi e gli altri (per esempio tra «malattie mentali» e «ma­lattie nervose», queste ultime lasciate alla ge­stione del neurologo mutualista).

Non c'è dubbio che il C.I.M. abbia svolto nel corso degli anni, e sino alla sua estinzione (1975-76) quando è stato smembrato e decentra­to per essere assorbito nella rete dei servizi psi­chiatrici di zona, una considerevole mole di la­voro prevalentemente ambulatoriale. Ma, sul pia­no della emergenza più grave ed acuta, tale or­ganismo, centralizzato, non è mai stato in grado (tra l'altro per carenza di strutture alternative) di svolgere un'azione di filtro nei confronti del manicomio (ne è prova il progressivo gonfiarsi del manicomio nonostante l'incremento del la­voro del C.I.M. nel decennio 1958-68). Anzi, per varie ragioni, il C.I.M. finì per assolvere la fun­zione di reclutamento nella istituzione psichia­trica. Negli anni 1963-66 l'Amministrazione pro­vinciale avviò la costruzione di un nuovo ospe­dale psichiatrico a Grugliasco, per 500 letti. Ciò avveniva all'insegna di una evidente politica di prestigio, di una dicotomia sfacciata tra territo­rio e ospedale, dal momento che la Provincia sembrava essersi completamente dimenticata dei circa 5.000 reclusi nei vari manicomi appaltati alla Opera pia (2). La contestazione del 1968, la partecipazione di enti, organizzazioni sindacali, operatori, cittadini, movimento studentesco, a pubblici dibattiti, fece naufragare quel progetto, gettando le prime premesse per la costruzione di una alternativa a partire dallo smantellamento del manicomio esistente. Da allora la spinta dal basso e il contributo di operatori di base e forze sociali e politiche non ha cessato di alimentare la tendenza al rinnovamento, anche se questo ha finito spesso per infrangersi contro la linea tec­nocratica e verticistica dell'Amministrazione pro­vinciale che non ha mai sufficientemente inco­raggiato e potenziato i servizi di zona.

Negli ultimi due anni la nuova Amministrazione si è trovata a fronteggiare, spesso impotente, una situazione molto difficile. Il manicomio si è rafforzato e il suo smantellamento, premessa per il potenziamento dell'alternativa extraospedalie­ra, appare sempre più problematico.

Negli anni 1969-70 la Provincia aveva già av­viata la elaborazione di un progetto di assistenza definito di «settore», sul modello essenzialmen­te francese. Si trattava di impiantare ambulatori in zone («settori») che consentissero alle équi­pes di operatori psichiatrici di seguire pazienti dimessi in modo da impedirne il più possibile le ricadute, o di continuare l'assistenza nel caso di nuovo ricovero in manicomio («continuità tera­peutica»). Questo modello di assistenza supe­rava di fatto la tradizionale antinomia tra dentro e fuori, ma, per la situazione torinese, presen­tava almeno tre limitazioni gravi; 1) era anacro­nistico, perché tale progetto veniva portato a compimento quando altre Province italiane (Pe­rugia, Parma) di fatto smantellavano i loro ma­nicomi con l'impianto di numerose comunità al­loggio sul territorio; 2) era eccessivamente li­mitato, poiché si prevedeva l'avvio di un solo set­tore (sperimentale) in Torino centro con l'im­piego di un limitatissimo numero di operatori ri­spetto a tutti quelli che in quegli anni, sensibiliz­zati dalla contestazione, si erano resi disponibili, e soprattutto non considerava i bisogni dei di­messi, ovviamente dispersi su tutto il territorio provinciale. Tale limitazione determinò il sorgere di un movimento, pericolosamente ospedalocen­trico, di molti operatori, incoraggiati del resto dall'Amministrazione dell'Opera Pia, di fornire assistenza ai dimessi a partire dal manicomio. Questo movimento è tuttora molto forte, e spes­so si presenta come antagonista alla messa in funzione di presidi extraospedalieri e al distacco di operatori dalla loro sede ospedaliera e rischia di frenare l'assistenza esterna. Infine il settore appariva, proprio perché mutuato dal modello parigino del XIII Arrondissement, eccessivamen­te tecnocratico, e difficilmente estensibile ad al­tri settori; 3) veniva perpetuata la tradizionale separatezza quasi assoluta, altamente discrimi­nante per gli utenti del servizio, tra «malati di mente» e altri, poiché non veniva prospettata alcuna forma anche minima, di integrazione di questo servizio di settore con gli altri servizi. Tuttavia il settore ha significato di fatto l'avvio di una politica di assistenza alternativa in pro­vincia di Torino. Nel 1971 venivano nominati due direttori di settore, To Centro e To Est, poiché nel frattempo la Provincia, aderendo alle richie­ste di operatori aveva accettato di ufficializzare almeno due settori. Inoltre prendevano l'avvio altre équipes (TO Sud, To Nord, To Ovest) per cui si andavano generalizzando i primi abbozzi di assistenza extra-ospedaliera, certo non all'inse­gna di un programma organico di intervento ma piuttosto del volontarismo di gruppi di operatori. Di questo i servizi extra-ospedalieri recano oggi ancora il segno, nella loro operatività frammen­taria e disomogenea. L'ultimo, e a nostro avviso più valido tentativo di impiantare un servizio ter­ritoriale psichiatrico alternativo, è stato compiu­to dall'Amministrazione provinciale negli anni 1972 e 1973, con la partecipazione di forze so­ciali, operatori dei servizi esterni, ma soprattut­to con l'intervento organico della Confederazione C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L. Ne è derivato il proto­collo di intesa tra Provincia, Opera pia e Orga­nizzazioni sindacali (3) che di fatto supera la convenzione redatta dalla Provincia per i due set­tori, a favore di un decentramento dei servizi su tutto il territorio provinciale, a tempi successivi programmati, con impianti di équipes di minima che utilizzano prioritariamente il personale reso disponibile mediante distacco (parziale per i me­dici e assistenti sociali, totale per gli infermieri) dall'ospedale psichiatrico. Vengono superati gli inconvenienti e i limiti del «settore», perché si prevede l'impianto di presidi di zona ed équipes per ogni ambito delle future Unità locali e in prospettiva l'integrazione di questo servizio, che gestito attualmente dalla Provincia per la parte psichiatrica, anticipa la costituzione delle Unità locali, cogli altri servizi.

Sono - alla data dell'estate 1977 - aperti al pubblico, per quanto la maggior parte incom­pleti del personale necessario, 35 presidi ambu­latoriali in 35 zone, ambito delle future U.L. Nelle 35 équipes operano 37 medici dipendenti dagli ospedali psichiatrici e 30 dipendenti dalla Pro­vincia. Mentre i primi prestano servizio parziale (qualcuno anche solo due o tre ore, in media circa undici ore settimanali) perché impegnati ancora nel servizio ospedaliero, i secondi copro­no un tempo medico quasi doppio (in media 27 ore settimanali caduno). Operano sei psicologi dipendenti dall'Opera pia per un totale di 84 ore settimanali, e 23 psicologi della Provincia, per un totale di 775 ore settimanali. 15 sono le assi­stenti sociali dipendenti dall'Opera pia (450 ore settimanali complessive) e 27 le assistenti so­ciali dipendenti dalla Provincia (per un totale di 1080 ore settimanali). Le assistenti sanitarie vi­sitatrici sono a carico dell'Opera pia (30 ore set­timanali) e 9 a carico della Provincia (360 ore settimanali complessive). Per quanto concerne gli infermieri, 147 sono stati distaccati dall'Ope­ra pia, per un totale di 5.880 ore settimanali (tut­ti a pieno tempo, cioè 40 ore ciascuno alla set­timana) e 4 soltanto sono a carico della Provin­cia (140 ore settimanali complessive). Infine al­tri operatori (educatori, ecc.) sono tutti dipen­denti diretti della Provincia (33 persone per un totale di 3.609 ore settimanali) .

In totale operano nei servizi extraospedalieri gestiti dalla Provincia (a norma del Protocollo d'intesa del 1973) alla data già citata 206 opera­tori degli ospedali psichiatrici e 126 della Pro­vincia; quindi in tutto 332 persone per 9.994,5 ore settimanali.

In manicomio operano invece in totale:

- medici .......................................... 86

- psicologi ......................................... 7

- assistenti sociali ........................... 15

- infermieri ..................................... 544

- infermiere .................................... 587

- inservienti ..................................... 20

- inservienti di sezione .................... 112

- ausiliari ....................................... 478

- amministrativi ................................ 71

TOTALE ...................................... 1920

In confronto ad un operatore esterno vi sono circa 6 persone che gestiscono l'esclusione.

 

 

COSTO GLOBALE

 

Ospedali psichiatrici + servizi extraospeda­lieri + servizi paraospedalieri: Torino L. 5.846 per abitante di cui:

- costo servizi ospedali psichiatrici ..........      L. 4.688 per abit.

- costo servizi extraospedalieri ................      L.     777 per abit.

- costo servizi paraospedalieri .................      L.     609 per abit.

(dati della Regione Piemonte, 1976).

Questi dati confermano l'insufficiente presenza di operatori nelle zone rispetto al massiccio im­piego sancito dalla Legge 431 all'interno del ma­nicomio. Il costo dell'emarginazione psichiatrica è esorbitante.

Se è vero che il numero degli operatori esterni per ciascuna delle zone esaminate è certamente esiguo rispetto ai compiti loro assegnati, si deve poi ancora considerare che una parte di essi è assorbita dal servizio ospedaliero (reparti aper­ti di Chieri. Ivrea, Pinerolo) e che la loro distri­buzione sul territorio, in mancanza di un piano organico di intervento, è estremamente disomo­genea e talora del tutto irrazionale (maggior con­centrazione in ambiti meno significativi). È cer­tamente arduo, allo stato attuale, verificare l'ope­ratività delle varie équipes psichiatriche. La pre­cedente Amministrazione provinciale, ostacola­ta nei suoi programmi (costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico a Grugliasco, potenziamen­to del C.I.M. e dei reparti neuropsichiatrici aperti in ospedali civili, settore TO-centro) si era limi­tata a subire l'iniziativa spesso volontaristica di operatori sostenuti dalle organizzazioni sindacali di categoria, senza organizzare una alternativa di servizi di zona sulla base di validi criteri ope­rativi. Gli accordi del luglio '73 furono in alcune occasioni risolti con la copertura «simbolica» di talune zone. La nuova Amministrazione pro­vinciale ha tentato, nei primi mesi del 1977, di attuare la verifica operativa delle varie équipes, senza peraltro riuscire fino ad oggi a precisare le principali linee di intervento alle quali tutti i servizi di zona dovrebbero adeguarsi.

 

 

DATI STATISTICI

 

A) Dati di carattere generale

Nell'anno oggetto della presente ricerca (1976) sono stati effettuati complessivamente negli ospe­dali psichiatrici di Torino 2.479 ricoveri. Di que­sti 955 coatti (per pericolosità in base alla leg­ge 1904) e 1.042 volontari (in base alla legge 1968). Va notato che 300 sono state le riammis­sioni in base a semplice certificato medico (di pericolosità) perché la dimissione era avvenuta solo per «miglioramento». Infine ben 156 sono stati i «rintracci da evasione» disposti in base alla legge 1904 che esige il rintraccio e il riac­compagnamento in manicomio delle persone che vi erano custodite coattivamente e che ne sono fuggite. Ciò che manca al totale segnalato è do­vuto a 25 trasferimenti e a un art. 53 (4).

In sintesi ben 1.411 ricoveri sono avvenuti in base alla pericolosità, coattivamente (legge 1904) e 1.043 in modo volontario (legge 1968, art. 4) e un solo caso con l'art. 53 (4) della legge 1904. Il rapporto tra coatti (pericolosi) e volontari è dunque di 1,3 con prevalenza dei primi. In rapporto alla popolazione della provincia di Torino, si ha pertanto lo 0,58‰ di ricoveri coatti e lo 0,43‰ di ricoveri volontari.

Le nostre considerazioni vertono su 920 per­sone ricoverate «d'autorità» e «d'urgenza», sul­la scorta di una dichiarazione medica di perico­losità e di una conseguente ordinanza di ricovero dell'autorità di P.S. (questore per la città di To­rino; sindaco per i Comuni), e pertanto scortate dalla forza pubblica in occasione della loro an­data forzata in manicomio.

 

B) Categorie di persone emarginate

Sesso

Se si considera il sesso per le tre principali fasce di età:

- 1ª età prescolare, scolare e pre-lavorativa (1-17 anni) ;

- 2ª età lavorativa (18-60 anni);

- 3ª età pensionabile (ultrasessantenni),

si hanno i seguenti valori percentuali:

- 1ª fascia: 2 maschi e 3 femmine;

- 2ª fascia: 459 maschi (67,8%) e 218 fem­mine (32,2%) = 81,3%;

- 3ª fascia: 71 maschi (47%) e 80 femmine (53%) = 16,1%.

Dunque si evidenzia una prevalenza maschile per la totalità della popolazione (63,9%). Con­siderando le fasce di età, appare significativa la prevalenza maschile (oltre il doppio) per l'età lavorativa, e la prevalenza di donne per l'età oltre i 60 anni.

Mancando dati ulteriori circa le condizioni la­vorative, si può soltanto affermare che la donna sembra genericamente più protetta contro l'e­marginazione manicomiale se in età lavorativa, un po' meno dell'uomo se oltre.

 

Zona di nascita

Considerando tre grandi raggruppamenti: Nord, Centro, Sud e Isole, si hanno le seguenti percen­tuali:

 

 

maschi

femmine

- Nord

59,8

68,6

- Centro

4,4

4,2

- Sud e Isole

35,8

27,2

 

Emerge l'incidenza del dato immigratorio (cir­ca 1/2 di immigrati dal Sud e Isole) con lieve prevalenza maschile.

Se si analizza la situazione del Nord, si può constatare che l'11,2% del totale sono di Torino città, il 20,2% (cioè quasi il doppio) sono della provincia. Va ancora segnalato il peso dell'immi­grazione dal Veneto (11,3%) pari ai dati di To­rino città.

Questi dati andrebbero tuttavia rapportati alla incidenza delle due fasce immigratorie (Veneto e Sud-Isole) sulla totalità della popolazione, per verificare più a fondo l'incidenza del dato immi­gratorio sull'emarginazione manicomiale. Sareb­be pure interessante verificare questi dati in rap­porto all'età.

 

Residenza

Da un punto di vista socio-urbanistico abbia­mo considerato i seguenti raggruppamenti di zona:

 

zona

popolazione globale

ricoveri

 

 

 

 

Centro storico

245.882

137

0,56

Crocetta e collina

152.082

67

0,44

Torino Sud -Mirafiori

471.404

127

0,27

Torino Est

327.209

158

0,48

Totale Torino

1.196.577

489

0,41

1s cintura

640.738

209

0,33

2ª cintura

560.771

122

0,22

Totale generale

2.395.086

820

0,34

 

N.B.- 100 casi non hanno potuto essere presi in conside­razione per questa fase della ricerca.

 

Considerazioni

Per la città si evidenzia una incidenza di rico­veri coatti decisamente maggiore per il centro storico (sede di alloggiamenti di fortuna per la prima immigrazione nonché per molti ex ricove­rati ospitati provvisoriamente presso pensioni) rispetto alle altre zone. All'altro polo si deve con­siderare la zona di Torino Sud, con una signifi­cativa bassa incidenza di ricoveri.

Un altro dato evidente è la progressiva dimi­nuzione della incidenza dei ricoveri dal centro alla periferia (0,41 per la città, 0,33 per la prima cintura, 0,22 per la restante provincia) . Ciò con­ferma il peso delle contraddizioni socio-econo­miche sulla emarginazione. Nella «città» pre­valgono i traumi del difficile inurbamento (non sono pochi i casi prelevati sia al loro primo ar­rivo alla stazione di Porta Nuova, sia in occasione di rifiuti al foglio di via obbligatorio), dello sradi­camento da un lato e della difficoltà ad inserirsi nel ritmo produttivo o nella comunità cittadina, con il suo clima efficientistico e consumistico; d'altro lato si inaspriscono le situazioni di crisi familiare e sociale e si scompensano le situa­zioni esistenziali più fragili.

 

 

EMARGINAZIONE: MODALITÀ E PROCESSO

 

A) Canali di emarginazione

Elencando i principali canali di emarginazione in ordine decrescente rispetto alla frequenza dei casi emarginati, e considerando i due sessi se­paratamente si hanno le seguenti percentuali:

 

 

maschi

femmine

- pronto soccorso dell'ospedale civile

42,1

30,6

- guardia medica permanente

26,2

24,4

- medici privati

18,1

26,2

- ufficiale sanitario

11,5

13,8

- istituti e cliniche privati

1,5

2,9

- ambulatori psichiatrici di zona

0,6

2,1

 

Risulta evidente come sia essenzialmente il servizio pubblico (pronto soccorso e guardia medica permanente) al quale pervengono i casi in crisi, e che in linea teorica dovrebbe filtrare le richieste, quello che dà il più grosso contributo alla emarginazione manicomiale (68,3% dei ma­schi e 55% delle femmine). Vi contribuiscono ragioni diverse e complesse; tra queste sicura­mente la completa assenza di un servizio di con­sulenza psichiatrica collegato a questi canali, la mancanza di una visione alternativa alla emargi­nazione negli operatori medici di questi servizi, ancora la mancanza di reali possibilità di siste­mazioni alternative delle persone in crisi ed in­fine il disimpegno degli operatori delle équipes psichiatriche di zona che dovrebbero prendere in carico in modo alternativo e non emarginante la situazione acuta. Non si può del resto dimen­ticare che gli utenti che vengono emarginati so­no in genere o totalmente privi di potere con­trattuale (disoccupati, invalidi, ecc.) o - in quan­to mutuati - come tali (esclusi dall'assistenza psichiatrica) già predestinati alla emarginazione in manicomio.

Sono anche relativamente alti i dati dell'emar­ginazione compiuta da medici privati e da uffi­ciali sanitari, ma questi dati vanno interpretati soprattutto nel senso che - fuori dell'area cit­tadina - non esistendo pronti soccorsi e guardie mediche permanenti che in rare occasioni, si ri­corre appunto all'ufficiale sanitario o al medico generico.

Decisamente basso invece il dato relativo alle cliniche private e agli istituti privati. Ricordia­mo che in provincia di Torino funzionano 5 case di cura private: Villa Augusta a Bruino (1014 ri­coveri nel 1976) ; Villa Cristina a Savonera (2039 ricoveri nel 1976) ; Villa di salute a Trofarello (484 ricoveri nel 1976) ; Villa Patrizia a Piossasco (420 ricoveri nel 1976) e Ville Turina Amione a San Maurizio Canavese (914 ricoveri nel 1976).

Si ha pertanto un totale di 4.871 ricoveri (ov­viamente non coatti) rispetto ai 2.479 ricoveri manicomiali. Il travaso dei casi più gravi dalla casa di cura (luogo di emarginazione meno gra­ve perché non all'insegna della pericolosità e pertanto meno stigmatizzante nell'attuale socio­cultura) al manicomio (luogo della tradizionale emarginazione prevalentemente coatta secondo la legge 1904) è certamente molto diminuito nel corso degli ultimi anni, se si considerano le ci­fre che abbiamo prima riportato. Desta invece preoccupazione il fatto che la meno grave emar­ginazione in casa di cura aumenta di anno in anno (5.804 ricoveri nel 1975 per le 7 case di cura della regione e 5.950 per il 1976). Ciò evi­denzia la linea della progressiva privatizzazione della assistenza psichiatrica in parallelo alla dif­ficoltà di organizzare il servizio pubblico e l'al­ternativa al ricovero (anche alla emarginazione in casa di cura) mediante presidi territoriali.

Se ai dati suesposti si aggiungono i circa 420 posti dell'Istituto psichiatrico Fatebenefratel­li (5) di San Maurizio Canavese (ove esiste un reparto accettazione e la possibilità di ricovero coatto) e la possibile utilizzazione delle altre case di cura di San Giorgio di Viverone (223 ri­coveri nel 1976) e San Michele di Bra (755 rico­veri nel 1976), si può affermare che il settore privato dell'assistenza istituzionale psichiatrica contribuisce oggi ben poco a gonfiare il manico­mio, ma è esso stesso in florida espansione.

Si può avanzare l'ipotesi, suffragata dai dati suesposti, che la contestazione manicomiale del 1968 e le denunce della situazione di carenze as­sistenziali abbia contribuito da un lato al sorgere di una assistenza alternativa sul territorio, ma d'altro lato a gonfiare gli istituti di cura privati (la cui gestione e i cui livelli di assistenza non sono stati verificati sino ad ora).

Da queste considerazioni va distinto il peso dei ricoveri da istituti (essenzialmente case di riposo per la vecchiaia) e Cottolengo. Questi istituti, che tradizionalmente contribuivano ad alimentare il manicomio, ricoverano oggi molto meno.

Se si analizzano i dati totali, non suddivisi per sesso, le percentuali sono le seguenti:

 

- Istituto geriatrico di Corso Casale

0,2

- Altri istituti per anziani

0,7

- Ospedale Cottolengo

0,5

- Totale

1,4

- Cliniche private

1,8 (0,7 da Villa Cristina)

- Cliniche private                                 

Infine il dato relativo ai servizi di zona già citato, che è dell'1,1% se riferito alla casistica totale senza distinzione di sesso, potrebbe es­sere interpretato in modo ottimistico. Vi ostano però alcune ragioni:

1) i medici che vi prestano servizio (37 contro 30) sono dipendenti dell'ospedale psichiatrico e come tali non possono redigere certificati di in­ternamento;

2) mancano nella nostra ricerca i dati compa­rativi sui ricoveri volontari eventualmente inco­raggiati dalle stesse équipes di zona (fenomeno del reclutamento da parte dei servizi territoriali, tipico di molte fasi di tali servizi, specie in man­canza di una chiara linea di lotta contro l'emargi­nazione assunta dagli operatori esterni);

3) mancano dati sull'eventuale ricorso ad altri agenti di emarginazione, dato che gli operatori medici esterni non avendo il potere di farlo o quando non intendono farlo direttamente, usano i tradizionali canali di ricovero pubblici (P.S., Guardia medica permanente).

 

B) L'etichettatura «scientifica» come pretesto per la emarginazione

Elenchiamo in ordine decrescente le principali etichettature diagnostiche riscontrate:

 

- agitazione psicomotoria

25,5%

- etilismo

15,7%

- alienazione mentale

12,3%

- schizofrenia

9,7%

- forme senili

8,7%

- forme depressive

4,6%

- eccitamento maniacale

3,5%

- epilessia

1,2%

- oligofrenia

1,2%

- altre diagnosi imprecise

17,8%

 

Se ne deduce la netta prevalenza di etichetta­tura del tipo agitazione psicomotoria o aliena­zione mentale, di estrema imprecisione e gene­ricità (37,8%), che sommata alla imprecisione e confusione di altre etichettature (in cui si me­scolano concetti differenti, termini impropri e definizioni descrittive del comportamento, ecc.) dà un totale di 55,6% etichettature completa­mente prive di una qualsiasi validità scientifica. Le altre, che sono indicate nella tabella, si rife­riscono in termini meramente descrittivi, a una certa tipologia tradizionale collaudata per una certa utilità pratica, ma la cui scientificità è di­scutibile.

Se si considera il sesso, si può ancora notare una netta prevalenza di forme etiliche per i ma­schi (19,5% contro il 9,3% di donne). Al con­trario prevalgono per le donne coatte le forme senili (12,8% contro il 6,3% di uomini). È risa­puto che nell'attuale società prevale l'etilismo tra gli uomini, e non desta meraviglia che questo continui a verificarsi per i ricoveri coatti in ma­nicomio.

La prevalenza di donne senili ricoverate coatte può essere spiegata con la maggior percentuale di donne che raggiungono l'età senile rispetto agli uomini; inoltre la perdita di autosufficienza che la senilità comporta è meno tollerata per le donne e ne accresce il rischio di emarginazione.

Infine merita di essere segnalata la bassa in­cidenza di handicappati psicofisici (0,9% i ma­schi, 1,5% le femmine) che contrasta colla re­lativa frequenza con cui queste persone veni­vano internate in passato e sono tuttora presenti. diventate lungodegenti nel corso degli anni, all'interno dei vari reparti manicomiali. Questo

dato, indubbiamente positivo, se da un lato può essere dovuto all'incremento e al potenziamen­to delle istituzioni private in questo campo, è probabilmente anche imputabile all'affermarsi progressivo di una cultura nuova, meno emargi­nante e volta all'inserimento di questi soggetti (vedi politica scolastica a favore dell'inseri­mento).

In conclusione si deve osservare la marcata arretratezza «culturale» in campo psichiatrico di troppi operatori medici, i quali da un lato si limitano a riflettere nei loro interventi e certifi­cati la cultura emarginante della società in cui vivono, dall'altro sono la prova della insufficiente preparazione universitaria, incapace sino ad oggi di formare ad una analisi «scientifica» seria del­la devianza, e costretta invece a fornire la tradi­zionale copertura pseudoscientifica come prete­sto per l'esclusione.

Citiamo, a titolo esemplificativo, alcuni certi­ficati medici:

- il 19-3-1976 un tale viene ricoverato coat­tivamente in manicomio perché giudicato pericoloso, ma con l'indicazione «per accertamenti e cure» come se si trattasse di un qualsiasi ospedale e non di una pesante emarginazione:

- il 18-4-1976 nel certificato di ricovero coat­to si dichiara: «non è possibile trattenerlo i­n questo ospedale perché in clinica psichiatrica non viene accettato»;

- il 21-4-1976 il motivo del ricovero è così indicato: «rifiuta le terapie dei ricoveri prece­denti»;

- il 29-4-1976 viene ricoverata una donna di 84 anni. Il medico di paese ha dovuto compilare un formulario, dove, alla domanda: «modo di in­vasione della pazzia, se improvvisa o preceduta da prodromi», risponde: «agitazione, insonnia. Si sente sola». Si tratta infatti di una vedova il cui marito è deceduto in O.P. per malattia men­tale imprecisata;

- da una lontana valle della provincia, il gior­no 11-2-1976 viene ricoverata una donna; il cer­tificato medico parla di «crisi cefalalgiche con aggressività».

Sono poi numerosi i certificati in cui si accen­na semplicemente alla pericolosità senza nem­meno abbozzare una diagnosi o dare elementi almeno presunti che avallino la pericolosità stes­sa. In parecchi certificati il motivo di fondo per cui si chiede il ricovero è che uno «è già stato ricoverato più volte» (riciclaggio).

 

C) La pericolosità a sé o agli altri o il pubblico scandalo come pretesto per la emarginazione coatta (ricoveri urgenti)

Ricordiamo che la legge del 14 febbraio 1904 dal titolo «Disposizioni e regolamento sui manicomi e sugli alienati», legge fondamentalmente repressiva, con pochi elementi «garantisti» e molti invece di criminalizzazione del «malato di mente» si apre con questo articolo: «Debbono essere custodite e curate nei manicomi le per­sone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli al­tri o riescano di pubblico scandalo, e non siano e non possano essere convenientemente custo­dite e curate fuorché nei manicomi».

Se è vero che è ormai vicino il giorno dell'a­brogazione di detta legge, è pur vero che sino ad oggi essa è egregiamente servita a emarginare in manicomi, all'insegna di una pericolosità pre­sunta, più che «esistente» come vorrebbe la legge, una elevata quantità di cittadini.

La stessa legge 1904 prevede due forme di ri­covero coatto: una torma ordinaria di ricovero, «chiesta dai parenti, tutori, o protutori... o da chiunque altro nell'interesse degli infermi e del­la società» e autorizzata «in via provvisoria, dal pretore sulla presentazione di un certificato e di un atto di notorietà...». A tale procedura in pra­tica non si è mai, o quasi mai fatto ricorso nel corso degli anni. Infatti la seconda procedura a cui la legge permette di far ricorso, quella «in caso di urgenza» è assai più sbrigativa, perché l'ordinanza di ricovero, cui segue l'accompagna­mento forzoso in manicomio da parte delle forze dell'ordine, viene emessa sulla base di un sem­plice «certificato medico». Nella nostra casisti­ca un solo caso, su quasi 1.000 coatti, è stato ricoverato con simile procedura. L'urgenza per la sua semplicità, è dunque la regola.

Esaminando i certificati medici, su 920 rico­veri coatti urgenti del 76, si hanno i dati se­guenti:

 

- pericolosi a sé

7,9%

- pericolosi agli altri

11,6%

- pericolosi a sé e agli altri

75,2%

- di pubblico scandalo

0,3%

- certificato incompleto

4,9%

- ricovero ordinario

0,1%

 

Si evidenzia dunque che nella stragrande mag­gioranza dei casi (75%) viene indicata una peri­colosità a sé e agli altri del tutto generica. Per abbreviare ancora la già sbrigativa procedura di certificazione, nella maggioranza dei casi sono usati moduli dove la formula è già stampata, e il sanitario che compila il certificato può cavar­sela con pochissime parole, del tipo delle eti­chettature pseudoscientifiche prima ricordate. Il «quindi risulta pericoloso a sé e agli altri» è già standardizzato e burocratizzato. Del tutto inu­tilmente perciò il regolamento sui manicomi e sugli alienati del 1909 prescrive, all'art. 39, che «il certificato medico deve attestare: a) l'indole della infermità mentale, indicando in sintesi l'o­rigine, il decorso di essa; b) i fatti specifici enun­ciati in modo chiaro e particolareggiato, dai quali si deduca la manifesta tendenza dell'individuo a commettere violenza contro se stesso o contro gli altri od a riuscire di pubblico scandalo; c) la necessità di ricoverare il malato in manicomio... ecc.».

Il procedimento di emarginazione è molto più spedito, dal momento che nella maggioranza dei casi alla genericità di formule del tipo «agita­zione psicomotoria» od «alienazione mentale» corrisponde ancora una più marcata genericità della pericolosità.

Se si aggiunge il fatto che non arrivano al 20% i casi in cui il medico ha fornito elementi per alludere ad una pericolosità più definita (7,9% a sé; 11,6% agli altri) o il pubblico scan­dalo (0,3%) ed infine si considera quasi il 5% di certificati addirittura incompleti, perché vi manca o l'indicazione chiara della pericolosità, o l'indicazione dell'urgenza, o la etichettatura dia­gnostica, se ne deduce che nell'80% dei casi, la legge stessa, già repressiva, è stata se non vio­lata certamente interpretata dai medici in senso semplificativo, a favore certo di una emargina­zione sbrigativa. Risulta ovvio che quasi sempre la pericolosità è presunta, non verificata, e la sua constatazione è lasciata all'arbitrio di un solo medico per lo più inesperto e non competente. Perciò il medico finisce - forse inconsapevol­mente - per assolvere il suo mandato sociale di agente dell'esclusione, colla copertura ideo­logica, incontrollabile, di compiere la emargina­zione ed avviare la eventuale carriera di stigma­tizzato propria dello psichiatrizzato, «nell'inte­resse dell'infermo e della società», come è re­golarmente scritto nel modulo di ordinanza. Ma è chiaro l'interesse della società che emargina; quello dell'escluso è presunto, non accertato: né l'escluso, oggetto della manipolazione medica cui segue l'atto giuridico, ha alcun potere con­trattuale per opporsi alla violenza emarginante esercitata sempre contro di lui all'atto del rico­vero, appunto coatto, coercitivo.

Del resto, tranne i casi, pochi (7,9%) di peri­colosità a sé presunta od accertata, nei quali il provvedimento sanitario-giuridico di emargina­zione si compie apparentemente nell'interesse del singolo, per preservarne la incolumità perso­nale e difenderlo da una eventuale autoaggres­sione, in quasi tutti gli altri prevale la genericità di una pericolosità agli altri, dunque sociale, il più delle volte soltanto presunta. Tutt'altro che conciliati nella formula mistificatoria «nell'inte­resse dell'infermo e della società» risulta invece evidente l'antagonismo di interessi tra in­dividuo e società, col sacrificio del deviante che come tale è in rotta con il suo ambiente sociale, a favore della collettività, dell'ordine pubblico. Basta un semplice, frettoloso e superficiale cer­tificato medico per imprimere il marchio di «in­fermo» (di «mente» si intende) che non sarà facile in seguito cancellare. Questo è comunque, o dovrebbe essere, il compito dei medici che hanno l'obbligo di gestire l'emarginato: sancire «in nome della scienza» questa grave stigma­tizzazione che ha ripercussioni sociali (data la attuale cultura ancora dominante) note e certa­mente gravi e pesanti per gli interessati (sino al 1968 iscritti nel casellario penale).

 

D) Le tappe del processo di emarginazione all'interno del manicomio per sancire od esclu­dere dal punto di vista medico-giuridico la «malattia di mente» e la «pericolosità». Il procedimento «scientifico» dell'esclusione

Come cancellare o sancire il marchio di psi­chiatrizzato, una volta varcata la porta del mani­comio? Le tappe attraverso le quali, una volta avviato mediante il ricovero coatto ed urgente, si continua il processo di esclusione, sono le se­guenti: a) l'accettazione; b) l'osservazione; c) la cura; d) la conclusione diagnostica finale (cui segue l'uscita cioè la dimissione, oppure l'ac­cettazione definitiva e la ulteriore emarginazione nei reparti di lungodegenti, cioè la cronicizza­zione) .

Vediamo meglio, sul piano della degenza nella istituzione psichiatrica, il susseguirsi del pro­cesso «scientifico» destinato a sancire o rimuo­vere la esclusione.

Raccontiamo brevemente come l'escluso è sin dall'inizio in completa balia del medico, e come questi esercita il suo potere ed assolve le sue responsabilità.

 

a) Accettazione all'ingresso

L'emarginato deve avere le carte in regola per essere accettato dal medico di guardia: i docu­menti validi sono il certificato medico e l'ordi­nanza della Questura o del Sindaco del paese che hanno provocato il suo internamento coatto. Può essere rifiutato dal medico di guardia:

1) perché i documenti sono incompleti, non corretti, scaduti. Nella nostra casistica, relativa a 920 ricoveri coatti in manicomio nel 1976, è stata evidenziata una percentuale del 4,6% di ri­coveri in cui il medico di guardia non ha inteso esercitare il suo potere di verifica, e per ragioni che si ignorano ha invece benevolmente accet­tato l'emarginato anche senza «le carte in re­gola»;

2) perché il sanitario di guardia rifiuta di es­sere complice della esclusione. Si tratta di una posizione coraggiosa, che nel corso degli ultimi anni è assunta dai medici di guardia con una fre­quenza crescente, che induce all'immediato rifiu­to di ricovero nella misura in cui risulta palese la non pericolosità (vecchiette, bevitori, ecc.) ;

3) perché, cogli strumenti «scientifici» deri­vanti dalla propria esperienza e capacità profes­sionale o specialistica, il medico di guardia è in grado di esercitare una consulenza e di dichia­rarsi di parere contrario a quello del sanitario che ha avviata la emarginazione del soggetto. In tal caso il medico compie una breve osserva­zione, raccoglie dati, e dimette il deviante anche dopo pochissimo tempo dall'ingresso, cioè eser­cita una vera «consulenza». Non si può tuttavia sorvolare sul fatto che questa consulenza sia esercitata in «manicomio»; questo fatto non è privo di risonanze negative per l'interessato. Si pensi al trauma e alla violenza dell'essere preso controvoglia, spesso con forza, talora con l'in­ganno, e forzatamente accompagnato (scortato) in manicomio. Si pensi a come la famiglia dell'emarginato, o il caseggiato, o l'ambiente di la­voro in cui è esplosa la crisi di follia ha vissuto e continua a vivere dopo la dimissione, anche se rapida, il fatto che sia stato «portato in mani­comio». Si pensi comunque alla difficoltà che incontra chi è stato emarginato anche solo per poche ore, a scrollarsi di dosso la «vergogna sociale» che ciò comporta. Inoltre il «viaggio in manicomio» si accompagna spesso ad una pubblicizzazione, data la clamorosità che in ge­nere comporta (e gli organi di stampa non man­cano di ben orchestrarne gli elementi di maggior scandalosità spesso a scapito della veridicità stessa). Non così il «viaggio di ritorno» nella comunità, che pur significando una immediata o rapida smentita della presunta pericolosità, av­viene generalmente in modo nascosto, intimo e privato. L'esordio è pubblico, la conclusione pri­vata.

A nostro parere dovrebbe essere compito tas­sativo degli operatori di zona provvedere, in ter­mini di analisi-comprensione del deviante in rap­porto al suo ambiente, alla sua piena riabilita­zione di fronte a quelle stesse persone (parenti, amici, coinquilini, compagni di lavoro, ecc.) che hanno assistito o partecipato alla sua emargina­zione. L'atto terapeutico essenziale è appunto quello di fargli riacquistare il suo valore sociale.

Per dare un'idea quantitativa del fenomeno, nella nostra ricerca su 920 coatti nel 1976, il 4% è stato dimesso prima delle 24 ore e il 5,7% entro le 24 ore; quindi in circa il 10% dei casi si è verificata una delle tre ipotesi prima citate.

Ne deriva che una consulenza esercitata prima, e in modo efficace ed adeguato a livello dei ca­riali di ricovero (guardia medica permanente e pronto soccorso) avrebbe evitato il 10% delle emarginazioni coatte della nostra casistica! Ri­prenderemo queste considerazioni nelle conclu­sioni e verifica dei servizi di zona.

 

b) Accettazione e ricovero

È quanto avviene oggi ancora nella maggio­ranza dei casi, dal momento che se è estrema­mente facile e superficiale presupporre la peri­colosità (come si è visto) è assai difficile, e talora arduo, escluderla, come richiede la legge per la dimissione.

Dovrebbe essere esaminata a fondo la situa­zione di crisi dell'emarginato, presunto «infer­mo» per trarre da essa indicazioni sul tipo di aggressività (e quindi di potenziale pericolosità) legata alla particolare situazione personale. Ma questo tipo di analisi presuppone una serie di condizioni che in pratica non possono essere presenti:

1) che il deviante che ha appena sperimen­tato su di sé la violenza dei «sani» si apra ad un rapporto chiarificatore basato sulla fiducia negli operatori della istituzione. Come è possibi­le, dal momento che l'emarginato coatto li coglie come gestori del potere escludente e repressivo implicito nella coazione stessa? Tutt'al più il de­viante può fingere di fronte alla violenza istitu­zionale, cercando di adattarsi il più rapidamente possibile alle regole istituzionali, e recitare la parte del «buono», «mite», ben adattato e per­ciò non pericoloso che gli consentirà di ottenere in premio una rapida dimissione. Il suo compor­tamento «ruffiano» sarà infatti servito ad eli­minare l'ansia della responsabilità che la legge 1904 impone al medico, non certo a placare le sue angosce personali, che rispunteranno intatte e irrisolte dopo la dimissione;

2) una seconda condizione sarebbe che il de­viante, soprattutto se ricoverato coatto in occa­sione di una crisi di aggressività, possa conti­nuare a vivere (in ambiente protetto) la sua si­tuazione di crisi il più liberamente possibile, estrinsecando in tal modo le problematiche stes­se che ne sono all'origine. Ma ciò in pratica non accade mai in un manicomio, perché, accolto nel­la promiscuità di un reparto accettazione, le sue crisi e la sua aggressività turbano - anche qui come fuori - l'ordine e la relativa quiete del reparto. Dunque ancora e sempre nell'interesse degli altri emarginati, che hanno già a loro volta subito questo trattamento, il deviante in crisi deve «essere sedato», cioè represso in tutte le sue più significative estrinsecazioni vitali, an­che se abnormi. Oggi il metodo di elezione è la repressione farmacologica, che in talune occa­sioni di crisi più clamorose e tumultuose rag­giunge forme vicine all'annientamento (camicia di forza chimica) anche se le tradizionali con­tenzioni fisiche sono sparite. Agenti di questa repressione sono i medici, ma spesso il perso­nale paramedico poco preparato a reggere l'an­sia che la realtà angosciosa del deviante in crisi suscita attorno a lui, esige la repressione-seda­zione. Così l'operazione di occultamento farma­cologico permetterà di dimettere «sedata» una persona che sul piano personale non ha fatto al­cuna esperienza di comprensione di sé, ma si è semplicemente sfogata ed è stata in egual mi­sura punita. Punizione richiesta spesso dai pa­renti, avallata dal personale. Ma allora, che cosa veramente può essere «osservato» e capito da parte degli operatori? Non potendosi verificare nella prassi manicomiale del ricovero coatto, del­la cura-custodia (antinomia irriducibile e incon­ciliabile) né la fiducia del rapporto cogli opera­tori né la libertà di estrinsecare una crisi, l'os­servazione «scientifica» voluta dalla legge 1904 per un periodo massimo di 30 giorni si compie in modo estremamente ambiguo e contraddittorio.

 

c) Osservazione

Sulla scientificità di un metodo basato sulla fugacità di talune osservazioni, su colloqui i cui risultati sono poco dialettizzabili data la situa­zione di potere zero in cui si trova il coatto e le difficoltà di compiere indagini extraospedaliere micro e macro sociali che soltanto la difficile pratica sociale esterna consente, si debbono a­vanzare seri dubbi. Si potrebbe pensare che il metodo oggettivante della «osservazione» cen­trata sull'emarginato isolato dal suo contesto so­ciale, renda lungo e difficile il periodo di osser­vazione stessa. Invece nonostante la manifesta inadeguatezza del metodo usato il numero delle osservazioni di breve durata è piuttosto consi­derevole.

Infatti nella nostra ricerca, su 920 coatti nel 1976:

4,0% sono dimessi prima delle 20 ore

5,7% sono dimessi entro le 24 ore

4,0% sono dimessi entro due giorni

2,7% sono dimessi entro tre giorni

1,3% sono dimessi entro quattro giorni

2,1% sono dimessi entro cinque giorni

2,3% sono dimessi entro sei giorni

2,0% sono dimessi entro sette giorni

1,7% sono dimessi entro otto giorni.

Quindi il 16,1% è stato dimesso dopo una os­servazione breve (entro otto giorni). Questo dato sale al 25,8% se si somma alle osservazioni bre­vissime (consulenze) di meno di 24 ore.

Dunque, almeno una persona su quattro avreb­be potuto essere sottratta alla emarginazione coatta se fosse stato compiuto in zona un mini­mo intervento alternativo al ricovero o di consu­lenza o di presa in carico corretta. La pericolo­sità presunta all'atto del ricovero viene pratica­mente smentita da questi ricoveri brevi, o co­munque ne viene dimostrata la fugacità.

 

d) La cura

Esula certamente dalle possibilità della pre­sente indagine socio-statistica sulla emargina­zione il dato della cura. Tuttavia gli operatori che hanno condotto questa ricerca hanno alle loro spalle una lunga pratica di manicomio, anche-se da anni operano nel territorio, e oggi ancora molti di loro hanno occasione di verificare spes­so la attuale prassi manicomiale. Pertanto saran­no esposte brevemente alcune considerazioni sulla cura riservata agli emarginati in manico­mio. Senza dubbio il problema della cura, in una istituzione deputata per legge alla gestione di esclusi-coatti, è mal posto. La tradizionale anti­tesi tra custodia e cura, tra repressione e libe­razione, oggi ancora rende ambigua e mistifican­te qualsiasi operazione all'interno del manico­mio. Poiché oggi viene posto l'accento (per esem­pio anche nell'attuale progetto di legge di rifor­ma sanitaria) sulla «continuità terapeutica» al momento del ricovero, è su questo, e non sul già discusso aspetto psicocontentivo e sedativo delle cure psichiatriche che intendiamo soffer­marci.

Il termine «continuità terapeutica», mutuato dalla politica assistenziale di «settore», dovreb­be alludere al fatto che lo stesso gruppo opera­tivo (équipe) garantisce la continuità di inter­vento allo stesso utente sia fuori che dentro l'ospedale (psichiatrico). Questo ha significato il superamento in positivo della tradizionale se­paratezza tra luogo deputato alla esclusione (ma­nicomio), e l'ambiente esterno (come la situa­zione torinese sino al 1971). Se si attua la con­tinuità terapeutica l'utente che ha già stabilito un rapporto di fiducia con operatori di una équi­pe, non viene da questi abbandonato e affidato alla gestione repressiva dell'istituzione manico­miale. Tuttavia, se attuata come politica di «set­tore» e non come reale alternativa al manico­mio, quindi appunto secondo il modello francese, la continuità terapeutica è gravida di elementi mistificatori che si intende denunciare:

1) il luogo della continuità terapeutica intra­ospedaliera è luogo di pesante emarginazione ed esclusione, e come tale antiterapeutico; quale terapia può dunque esservi continuata?;

2) la violenza implicita se non esplicita in ogni ricovero coatto, ha infranto e certamente reso critico il preesistente rapporto di fiducia con l'équipe curante;

3) la persona coatta è di fatto gestita per 24 ore su 24 da personale interno della istituzione. Si tratta di operatori legati alla situazione e alle dinamiche tipiche del reparto chiuso (repressio­ne, attività tese a realizzare un veloce e buon adattamento istituzionale, farmaci usati a scopo essenzialmente sedativo). Le ipotesi di interven­to «alternativo» e non repressivo da parte delle équipes di zona si scontrano per lo più col «ma­nicomialismo» dell'infermo, a meno che il ma­nicomialismo di cui la stessa équipe esterna è ancora portatrice non si allei con l'ideologia de­gli operatori interni, condizionati dalla violenza istituzionale stessa;

4) l'ospedalizzazione, eufemismo nel caso del­la emarginazione manicomiale, non può in que­sto caso essere considerata un normale episodio di «malattia» e di «cura», per le sue caratteri­stiche particolari di repressione e di violenza nonché di stigmatizzazione. Come è dunque pos­sibile usarla come parte integrante di una con­tinuità terapeutica?

Soltanto lo smantellamento del manicomio, l'uso da parte delle équipes di zona di strutture alternative non psichiatriche e non emarginanti consentirà di attuare veramente la continuità te­rapeutica. Proprio a ciò allude il recente proget­to di riforma sanitaria (art. 30) che segna anche la fine della visione ospedalocentrica dell'inter­vento psichiatrico.

 

e) La conclusione diagnostica finale

Il periodo di «osservazione» si conclude per le persone emarginate coatte di solito anche pri­ma dei trenta giorni concessi dalla legge 1904. Generalmente avviene una sorta di assoluzione per insufficienza di prove, e cioè un giudizio me­dico di «non competenza di ricovero». Talora il ricovero continua con la trasformazione da coat­to a «volontario» consentita dall'art. 4 della legge psichiatrica 431 del 1968. Ciò significa che il «malato di mente» internato secondo la legge manicomiale del 1904, continua ad essere emar­ginato nello stesso reparto, ma in modo apparen­temente più dignitoso: è ora considerato consen­ziente al ricovero, «paziente psichiatrico» cura­to in ospedale psichiatrico (secondo la termino­logia più moderna propria della legge del 1968).

Per la diagnosi si ricorre comunque, in modo più o meno ambiguo, alla vecchia etichettatura (quella stessa alla quale ci si è riferiti nel corso di questa ricerca per le «principali forme dia­gnostiche all'ingresso»). Si tratta dei concetti descrittivi e classificatori della psichiatria tede­sca kraepeliniana fine '800.

Del resto a ciò sono costretti anche i medici più innovatori, perché la nuova psichiatria ha pro­dotto la lotta alla emarginazione e la cura nella libertà e nella comunità, non certamente un nuo­vo e aggiornato sistema di etichette.

Tuttavia queste etichette più o meno mistifi­catorie a cui si fa ricorso a norma di legge, si aggiungono e si sommano costantemente alla stigmatizzazione propria della emarginazione ma­nicomiale, facendo del malato «di mente» una sorta di deviante cronico, e per la cultura domi­nante oggi ancora (anche medica) uno che non guarisce più, esposto a ricadute, un invalido psi­chico che dovrà curarsi per tutta la vita, che do­vrà dipendere dagli psichiatri, dalle case di cura o ospedali psichiatrici, o nella migliore delle ipotesi dagli psicofarmaci.

Questo per non dire della profonda angoscia, spesso all'origine di ricadute e di gravi crisi di disperazione, che la scoperta di essere portatore di una «malattia mentale» comporta per l'inte­ressato, soprattutto oggi che abbondano le en­ciclopedie mediche e i mezzi televisivi che spie­gano meglio il tragico significato delle etichette psichiatriche tradizionali, mentre è ancora trop­po debole la voce demistificante della nuova psi­chiatria o della antipsichiatria.

Ed infine non si dimentichi che anche coloro che sono stati dimessi per non competenza, cioè assolti, continuano a ricordare angosciosamente l'esperienza del ricovero come fanno le persone che sono state incarcerate senza essere colpe­voli (in attesa di giudizio).

 

f) La dimissione o il passaggio alla lungodegenza

La nostra ricerca indica che, su 920 emargi­nati coatti nel 1976, il 74,2% ha subito una os­servazione superiore agli otto giorni. Manchiamo di dati relativi al protrarsi della degenza. Sulla scorta dei dati parziali e di verifiche personali di qualcuno di noi, possiamo comunque affermare che oggi, come già nel 1976, sono relativamente pochi i casi che permangono emarginati in ma­nicomio oltre il limite dei trenta giorni. Si tratta allora prevalentemente di casi non psichiatrici (senili, handicappati anche fisici, persone senza casa e lavoro, ecc.).

La tendenza attuale, di trattare queste persone nello stesso reparto accettazione che le ha ac­colte al loro ingresso, se da un lato ne impedi­sce la cronicizzazione intesa come passaggio ai reparti di lungodegenti, dall'altro ha finito per alterare la fisionomia del reparto accettazioni, accentuandovi la promiscuità di persone ma so­prattutto di problemi (situazioni psichiatriche acute, situazioni meramente socio-economiche, persone bisognevoli solo di assistenza geriatri­ca, ecc.) e pertanto rendere sempre più difficile qualsiasi tipo di operatività.

Un tempo invece il reparto di accettazione ali­mentava gli altri reparti, selezionando gli emar­ginati, che venivano distribuiti nelle sezioni se­condo vari tipi di «gravità», sancita dai medici. Ne derivava uno schema di distribuzione simile ad una catena di montaggio ma inverso rispetto alla logica produttivistica. Più ci si allontanava dall'origine (il bel reparto accettazione), peggio­ri erano i reparti (più luridi come strutture mu­rarie e più intasati di cronici deteriorati dalla lunga istituzionalizzazione); in genere il reparto peggiore era anche l'ultimo della tragica catena distributiva del lager manicomiale, quello adia­cente «all'uscita per il camino» cioè la camera mortuaria, che concretizzava la produzione mani­comiale.

Certamente oggi l'accettazione fa generalmen­te da filtro verso la ulteriore emarginazione (pas­saggio a lungodegenza): lo testimoniano la di­minuzione della popolazione manicomiale com­plessiva, che continua a decrescere di anno in anno dal 1968. Questo fatto è dovuto da un lato alla politica di dimissioni, talora anche solo di travaso in altri istituti para-manicomiali, ma cer­tamente anche al mancato «rifornimento» ai re­parti cronici da parte delle varie accettazioni (zo­nizzate). Un altro elemento che deve essere va­lutato è la tendenza attuale a dimettere più fa­cilmente, spezzettando i ricoveri, tendenza che la minore responsabilizzazione degli operatori medici consentita dalla legge del 1968 favorisce (art. 4), oltre ad una evidente difesa dei diritti dell'interessato.

 

 

ÉQUIPES PSICHIATRICHE DI ZONA: FILTRO ALL'EMARGINAZIONE?

 

A) Verifica dell'azione di filtro da parte dei pre­sidi socio-sanitari extra-ospedalieri e in modo particolare delle équipes psichiatriche di zo­na istituite dalla Provincia

Una serie successiva di elaborazioni è appro­data nel corso dell'ultimo decennio a un piano regionale e definitivo di zonizzazione della pro­vincia di Torino e di tutta la regione. Il comune di Torino è oggi suddiviso in 23 zone, corrispon­denti ai quartieri, e futuro ambito delle unità lo­cali. Il restante territorio provinciale è suddiviso in altre 21 zone (agglomerati di Comuni), am­bito di future U.L. In tutto quindi 44 zone. Già abbiamo ricordato nella parte introduttiva che, a partire dall'inizio del 1971 l'Amministrazione pro­vinciale aveva avviato una politica extraospeda­liera di «settore» impiantando équipes psichia­triche nei due ambiti territoriali di To centro e To Est. Si è pure detto come questo avvio si sia gradatamente trasformato negli anni successivi, e soprattutto dopo il protocollo di intesa tra Pro­vincia, Opera pia e Organizzazioni sindacali CGIL - CISL - UIL, e abbia portato ad una progres­siva copertura di zona da parte di équipes sem­pre più numerose, tanto che alla fine del 1977, trentacinque delle quarantaquattro zone sono in qualche modo dotate di un presidio psichiatrico territoriale, prefigurando in tal modo le future U.L.

Nelle tabelle che seguono sono esposti in sin­tesi i dati più significativi: la zona e per la città, anche il quartiere corrispondente, il numero di abitanti per zona, e correlativamente, il numero di ricoveri coatti desunti dalla nostra casistica rapportato a 1.000 abitanti. Inoltre sempre per ciascuna zona, la presenza o meno dell'équipe psichiatrica dotata di ambulatorio o di altri pre­sidi psichiatrici.

La lettura critica e la comparazione di questi dati rappresenta la parte conclusiva e crediamo più originale della presente ricerca, che come abbiamo già ricordato nelle premesse, si sforza di contribuire soprattutto alla verifica della reale incidenza nella lotta all'emarginazione psichia­trica coatta dei servizi di zona alternativi gestiti attualmente dalla Provincia di Torino.

 

a) Situazione di Torino città nel 1976:

 

U.L.

Quartiere

Abitanti

R. coatti %

Equipe

Presidi territoriali

1

Centro

67.472

1,08

si

ambulatorio

2

S. Salvario

51.381

0,48

si

ambulatorio - ospedale diurno - centro socioterapico

3

Crocetta

54.297

0,63

si

ambulatorio

4

S. Paolo

42.114

0,36

si

ambulatorio

5

Cenisia

58.093

0,19

si

ambulatorio

6

S. Donato

64.208

0,36

si

ambulatorio

7

Aurora

56.109

0,46

si

ambulatorio - gruppo attività ricreative

gruppo attività ricreative

8

Vanchiglia

46.741

0,56

si

ambulatorio

9

Nizza Millefonti

41.158

0,61

si

ambulatorio

10

Lingotto

65.359

0,05

si

ambulatorio

11

S. Rita

80.136

0,44

si

ambulatorio

12

Mirafiori Nord

58.225

0,17

si

ambulatorio

13

Pozzo Strada

71.874

0,19

si

ambulatorio

14

Parella

60.455

0,31

si

ambulatorio - centro diagnostico

15

Vallette

51.842

0,21

si

ambulatorio

16

M. Campagna

49.529

0,32

si

ambulatorio

17

B. Vittoria

50.712

0,47

si

ambulatorio

18

B. Milano

59.845

0,55

si

ambulatorio - casa-famiglia interzonale

19

Falchera

32.287

0,59

collegata alla Zona 20

alla Zona 2020

20

R. Parco

36.253

0,80

si

ambulatorio

21

M. Pilone

18.121

0,11

collegata alla Zona 8

22

Cavoretto

28.283

0,21

collegata alla Zona 2

23

Mirafiori Sud

52.113

0,12

si

ambulatorio

 

Come sì può notare dalla tabella, la percen­tuale di ricoveri coatti, riferiti a mille abitanti, varia sensibilmente per ogni zona. Massima al centro (oltre il doppio della media cittadina, che è dello 0,41‰), molto bassa nelle due zone col­linari (U.L. 21 e U.L. 22). La più bassa incidenza si nota nella zona Lingotto (U.L. 10 - 0,05) e, ge­neralmente, nei quartieri di TO Sud Mirafiori (U.L. 12 e U.L. 23) e nei quartieri adiacenti (U.L. 5, U.L. 13, U.L. 14) corrispondenti al centro-ovest.

Osservando in maniera più dettagliata le due situazioni estreme si può constatare che tutta la zona sud ha un indice di ricoveri coatti sensibil­mente minore delle altre, mentre il centro sto­rico ha un indice di emarginazione molto elevato al confronto. Questi dati saranno successiva­mente confrontati con altri elementi (composi­zione delle équipes, tempo medico, esistenza di particolari canali di ricovero in zona). Si pos­sono però già fare alcune affermazioni:

1) poiché tutte le zone cittadine risultano «co­perte» da una équipe psichiatrica, non è possi­bile ritenere che la maggiore incidenza di emar­ginazione coatta per talune zone sia dovuta all'assenza del servizio. Se mai si constata che le due zone collinari (U.L. 21 e U.L. 22) che fanno riferimento ad ambulatori di altre zone (U.L. 8 e U.L. 2) hanno una bassa incidenza di ricoveri coatti. Né si può affermare che le due équipes di riferimento U.L. 8 e U.L. 2 abbiano una partico­lare efficacia nel lavoro di protezione contro il ricovero (filtro) dal momento che hanno entram­bi un indice di emarginazione coatta piuttosto elevato. È quindi molto probabile, anche se non verificabile coi dati della presente ricerca, che i dati relativi alla zona collinare siano imputabili l ceto sociale (collina come luogo residenziale delle classi più agiate e con un residuo di pic­coli coltivatori diretti) ;

2) il dato complessivo della zona TO sud, che presenta la minore incidenza di emarginazione coatta, potrebbe essere spiegato col fatto che tale zona (Mirafiori, Lingotto) è per eccellenza la zona FIAT, anche se non mancano altri impor­tanti stabilimenti del grande complesso torinese in altre zone della città e cintura, con una con­centrazione di popolazione relativamente giova­ne, per cui la stabilità lavorativa è certamente fattore di integrazione. Sul basso tasso di emar­ginazione coatta incide il fatto che la devianza viene da tempo incanalata verso le case di cura private, particolarmente aperte agli utenti FIAT.

La U.L. 10, Lingotto, zona che ha visto già nell'anteguerra un considerevole insediamento di lavoratori FIAT, ha una popolazione relativamen­te giovane (15.444 maschi e 15.636 femmine in età compresa fra i 30 e i 64 anni e soltanto 2.142 uomini e 3.161 donne anziane su una popolazione complessiva di 65.385 ab.) soprattutto in età la­vorativa e prelavorativa. I dati in nostro posses­so, per quanto concerne la emarginazione coatta di To Sud, sono i seguenti:

- nativi del nord                49,1%

- nativi del centro               8,8%

- nativi del sud e isole      42,1 %

e confermano la consistenza dell'ondata immi­gratoria tipica della situazione torinese, anche se la quota di meridionali emarginata coattiva­mente è di poco eccedente la media cittadina (38,7% di meridionali ricoverati coattivamente);

3) il dato complessivo relativo al centro sto­rico è significativamente il più elevato (1,08 ogni mille abitanti!). È questa la zona dove 'pre­valgono notoriamente le contraddizioni socio-ur­banistiche, la zona dove più si raccolgono i de­vianti futuri emarginati, la zona dove prevalgono le sistemazioni precarie sia di lavoratori delle campagne, sia di immigrati, zona che la popola­zione agiata torinese abbandona sempre di più a favore di altre sistemazioni residenziali.

Se si confrontano con i dati già segnalati per la U.L. 10, quelli della U.L. 1 indicano una popo­lazione non molto giovane (13.870 uomini e don­ne in età compresa tra 30 e 64 anni e 3.665 uo­mini e 6.618 donne anziani su una popolazione complessiva di 65.053 abitanti).

Per quanto concerne i dati complessivi delle zone centro (U.L. 1, U.L. 5, U.L. 6 e U.L. 7) vi sono:

- nativi del nord                54,0%

- nativi del centro               7,3%

- nativi del sud e isole       38,7%

La quota significativamente più alta a carico dei settentrionali, superata soltanto dalla zona Crocetta collina (69,4%) e dalla prima cintura (73,1%) e dalla seconda cintura (88,9%) non fa che rispecchiare l'andamento storico degli inse­diamenti migratori. Relativamente al centro sto­rico restano ovviamente radicate in zona soprat­tutto persone anziane, precari, a debole potere contrattuale (anche se indigene) e pertanto a più alto rischio di emarginazione.

 

b) Situazione di Torino provincia nel 1976:

 

U.L.

Comune sede di équipe

Abitanti

R. coatti %

Equipe

Presidi territoriali

24

Collegno

76.679

0,39

si

ambulatorio

25

Rivoli

54.659

0,35

si

ambulatorio

26

Pianezza

59.433

0,32

si

ambulatorio

27

S. Maurizio C.

70.887

0,32

-

-

28

Settimo Torinese

68.130

0,12

si

ambulatorio

29

S. Mauro

29.793

0,23

si

ambulatorio

30

Chieri

56.854

0,28

si

ambulatorio - reparto neuropsichiatr.

31

Carmagnola

25.634

0,66

-

-

32

Moncalieri

75.691

0,30

-

-

33

Nichelino

66.579

0,23

-

-

34

Orbassano

56.399

0,57

-

-

35

Giaveno

22.682

0,18

-

-

36

Avigliana/Susa

71.352

0,50

-

-

37

Lanzo

26.133

0,27

-

-

38

Castellamonte

57.670

0,21

si

ambulatorio

39

Chivasso

68.080

0,22

si

ambulatorio

40

Ivrea

53.840

0,37

si

ambulatorio - reparto neuropsich. -

centro pre-dimissioní

 

 

 

 

 

41

Caluso

88.888

0,06

-

-

42

Perosa

40.858

0,07

-

-

43

Torre Pellice

21.777

0,41

si

ambulatorio

44

Pinerolo

109.501

0,10

si

ambulatorio - reparto neuropsichiatr.

 

Qui si impongono alcune considerazione molto semplici:

1) la media delle emarginazioni coatte per mille abitanti è di 0,33 per la prima cintura e di 0,22 per il resto della provincia. Ciò conferma con evidenza il decrescere del rischio di emar­ginazione dal centro alla periferia del territorio provinciale (centro urbano, periferia agricola e montana) ;

2) se si considera il luogo di nascita delle persone emarginate coatte nel 1976, si hanno i seguenti dati:

prima cintura (U.L. 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34) :

nord               73,1%

centro              2,0%

sud e isole      24,9%

resto provincia (U.L. 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44) :

nord               88,9%

centro              0,0%

sud e isole      11,1%

Ciò conferma come due fattori, il radicamento nel territorio di origine e il tipo di lavoro (più agricolo) si oppongono alla emarginazione;

3) se si considera la diversità, qui evidente, tra zone coperte dal servizio psichiatrico extrao­spedaliero e le zone che - per lo meno nel 1976 ne erano prive - si hanno i seguenti dati:

prima cintura:

zone con équipes   0,28‰ ricoveri coatti

zone senza            0,41‰ ricoveri coatti

resto provincia:

zone con équipes   0,26‰ ricoveri

coatti zone senza   0,21‰ ricoveri coatti

Se ne potrebbe dedurre che, almeno per la prima cintura, l'azione di filtro contro la emargi­nazione coatta esercitata dalle équipes psichia­triche si fa sentire; non così per le altre zone della restante provincia. Ma queste possibili con­siderazioni vanno meglio analizzate;

4) per quanto concerne la prima cintura, il da­to significativamente più basso si ha per la U.L. 28 che ha 0,12 ricoveri coatti per mille abitanti (la media della prima cintura è di 0,33). Ma si tratta di una équipe che ha dichiaratamente pri­vilegiato nella sua operatività i casi ad alto ri­schio di emarginazione, dunque l'azione di filtro al manicomio (v. documento di verifica del 28-1­-1977).

Per le restanti zone appaiono significativa­mente elevate le emarginazioni coatte della U.L. 31 (Carmagnola) e U.L. 34 (Orbassano) entram­be sprovviste di servizi, più vicine alla media le altre;

5) l'unica zona dotata oltre che di ambulato­rio anche di un reparto neuropsichiatrico aperto (Chieri) si discosta di poco (0,28%) dalla me­dia della prima cintura (0,33). Ciò significa pro­babilmente che lo sforzo degli operatori di quel servizio è stato concentrato su altri obiettivi più che non sull'azione di filtro, pur avendo a dispo­sizione un reparto con un esiguo numero di po­sti letto (16).

 

B) Composizione delle équipes di zona e prote­zione esercitata sulla emarginazione coatta in manicomio

Nella tabella che segue, relativa a Torino città, sono esposti successivamente i dati relativi alla zona, al numero di medici operanti nelle équipes (viene segnalata la insufficienza di tempo me­dico qualora risulti inferiore al minimo invocato dalle Organizzazioni sindacali CGIL - CISL - UIL ed AMOPI in un documento del luglio 1976, cioè 25 ore settimanali), il numero delle assistenti sociali e sanitarie, educatori, infermieri, psico­logi ed infine viene indicata la provenienza degli operatori delle équipes psichiatriche. 11 primo dato è per mille dei ricoveri coatti per ciascuna U.L.

 

Tabella Torino città. Composizione équipe psichiatrica:

 

U.L.

Medico

Ore

Ass. soc.

Ass. san.

Educatori

infermieri

Psicologi

Provenienza

1,08

1

2

11½

1

-

-

5

1

O.P.

0,48

2

2

 

2

-

-

9

-

inf. O.P.

0,63

3

1

8

1

1

2+2

-

1+1 aiut.

Prov. CIM

0,36

4

2

 

2

2

-

-

1

Prov. CIM

0,19

5

1

15

-

-

-

6

-

O.P.

0,36

6

1

10

1

_

-

2

-

O.P.

0,46

7

1

20

1

-

2+11

5

-

O.P.

0,56

8

1

15

1

_

-

5

1

O.P.

0,61

9

1

 

2

-

2

-

1

O.P.

0,05

10

3

22

1

-

-

3

1 aiut.

O.P.

0,44

11

2

8

1

-

-

5

-

O.P.

0,17

12

2

 

1

-

2

5

-

O.P.

0,19

13

1

 

1

-

-

-

-

Prov. CIM

0,31

14

2

 

-

2

-

-

1 + 1 aiut.

Prov. CIM

0,21

15

3

10

1

-

-

3

-

O.P.

0,32

16

1

10

1

-

-

-

1 vol.

O.P.

0,47

17

2

22

1

-

-

4

1

O.P.

0,55

18

2

 

1

-

-

7

1

O.P.

0,59

19

1

 

1

-

-

5

-

O.P.

0,80

20

U.L.

19

 

 

 

 

 

 

0,11

21

U.L.

8

 

 

 

 

 

 

0,21

22

U.L.

2

 

 

 

 

 

 

0,12

23

2

14

1

 

 

5

1

O.P.

 

N.B. - Gli spazi bianchi nella casella del tempo medico sono superiori alle 25 ore settimanali.

 

Emerge chiaramente dalla tabella la disastrata situazione dell'assistenza psichiatrica territoria­le, la distribuzione certamente irrazionale, quasi a caso dei vari operatori. Segnaliamo tra i molti alcuni elementi più significativi:

1) la maggioranza delle équipes cittadine è composta da personale «distaccato» a norma del protocollo d'intesa del luglio 1973 al quale si è fatto cenno nelle premesse, cioè provenien­te dal manicomio. Data la situazione intraospe­daliera psichiatrica che prevede un organico di molti infermieri (1 per tre posti letto secondo la legge 1968), di medici (circa 3 ogni 125 posti letto), di poche assistenti sociali (1 ogni cento posti letto) e pochissimi psicologi (1 per ospe­dale secondo la legge del '68), non ci si deve meravigliare se le équipes di zona rispecchiano questa composizione e una certa analogia con la situazione del personale del reparto. Si è infatti proprio cercato di utilizzare il personale già esi­stente, trovatosi esuberante (il personale para­medico soprattutto) parallelamente al deconge­stionamento della popolazione manicomiale dal 1968 a tutt'oggi. Fatto certamente in sé positivo, l'impiego alternativo di personale psichiatrico sul territorio, avrebbe dovuto favorire e prolun­gare in zona la lotta antiistituzionale e contro la emarginazione manicomiale. Alla luce dei nostri dati sembra che la maggioranza delle équipes di provenienza dal manicomio non abbiano inteso o potuto svolgere una significativa azione di filtro. Infatti su sedici solo quattro (U.L. 10, U.L. 23 U.L. 12, U.L. 5) possono essere segnalate con un indice di ricoveri coatti piuttosto basso. La équipe U.L. 10 difetta di tempo medico e 3 in­fermieri, la U.L. 23 di tempo medico e di 1 infer­miere, la U.L. 12 è ben completa e la U.L. 5 di­fetta di tempo medico e non ha l'assistente so­ciale. Di queste équipes (sempre alla data del 1976) una sola è completa (équipe di minima se­condo protocollo): la U.L. 12. La più incompleta è la U.L. 10 che ha però il più basso indice di emarginazione coatta della nostra ricerca (0,05 per mille). La composizione più o meno ottimale - anche se di minima - delle équipes non pare avere alcun rapporto con l'azione di filtro al ma­nicomio.

Si deve allora ritenere che l'impiego di per­sonale a provenienza manicomiale, lungi dal fa­vorire la lotta all'emarginazione, abbia invece esportato ideologia custodialistica? Che l'uscita dal manicomio abbia disincentivato gli operatori a intraprendere azione di filtro («fuga dal mani­comio») ? Che la composizione delle équipes di minima prevista dal protocollo sia così carente da frustrare ogni valida possibilità operativa? Che la scarsità di tecnici qualificati (medici-psi­cologi) renda difficile o impossibile l'azione di filtro?

Queste domande saranno riprese nella parte conclusiva. Tuttavia un primo elemento di veri­fica è subito possibile. Se si considera l'équipe più dotata di operatori e mezzi, la U.L. 2 (0,48 coatti per mille abitanti) e la U.L. 18 (0,55) si deve dire che in questo caso l'azione di filtro non risulta accresciuta;

2) se si considerano le équipes che si sono formate dallo smembramento dei C.I.M. (U.L. 3, U.L. 4, U.L. 13, U.L. 14) si nota in esse la com­pleta mancanza di infermieri (che pertanto ri­sultano tutti di provenienza manicomiale) a fa­vore di altri operatori (educatori specializzati, assistenti sanitarie, psicologi). Su quattro équi­pes, si può soltanto segnalare che l'équipe più dotata di operatori, la U.L. 3, è anche quella col più alto indice di emarginazione coatta (0,63 per mille). Altre due (U.L. 4 e U.L. 14) hanno en­trambe indici inferiori alla media cittadina (ri­spettivamente 0,36 e 0,31). Ma il fatto più sor­prendente è che l'équipe della U.L. 13, nel 1976, formata da un medico e una assistente sociale, ha invece un indice di ricoveri coatti bassissimo (0,19 per mille). Dato quest'ultimo che sembra smentire più di ogni altro la possibilità di stabi­lire correlazioni significative tra presenza e tipo di équipe in zona e azione di filtro;

3) un cenno a parte meritano gli «educatori» (provenienti dalla Provincia e dallo smantella­mento dell'Istituto Mainero) inseriti in 4 équi­pes, e gli psicologi inseriti in 11 équipes. Que­sti operatori danno certamente un indispensa­bile contributo alla multidisciplinarietà dell'équi­pe, e ne allargano considerevolmente il campo dei possibili interventi. Ma, nella fase attuale, e con la legislazione tuttora vigente (1904) il po­tere di emarginare (e probabilmente anche quel­lo di opporsi con successo alla emarginazione) resta ai medici. Ed è piuttosto impressionante notare la esiguità del tempo medico nella mag­gioranza delle équipes (12 su 20). Anzi, su 16 équipes in cui operano medici del manicomio, ben 11 presentano una più o meno grave carenza di tempo medico. La ragione principale di questo fatto è da ricercarsi nell'impegno che tutti que­sti medici conservano in ospedale psichiatrico (gestione dei reparti manicomiali e gravosi tur­ni di guardia per i non primari). Il lavoro d'insie­me, di gruppo, si fa così problematico, frammen­tario, le possibilità di intervento medico si ridu­cono e concentrano spingendo i medici ad o­perare secondo un modello ambulatoriale sem­pre più simile al deprecabile modello «mutua­listico».

 

Tabella Torino provincia. Composizione équipe psichiatrica:

 

U.L.

Comune

Medico

Ore

Ass. soc.

Ass. san.

Educ.

Inferm.

Psicologi

Provenienza

0,39

24

Collegno

6

 

1

1

-

6

1 + A

O.P.

0,35

25

Rivoli

3

 

-

-

-

(10) 5

-

0. P.

0,32

26

Venaria

1

12

-

-

-

3

-

0, P.

0,32

27

Ciriè

-

 

-

 

 

 

 

 

0,12

28

Settimo

1

25

1

 

 

5

-

O.P.

0,23

29

S. Mauro

1

25

-

 

 

4

1 +A

O.P.

0,28

30

Chieri

4

 

3

 

 

-

1

Prov.

0,66

31

Carmagnola

-

 

-

 

 

 

 

 

0,30

32

Moncalieri

-

 

-

 

 

 

 

 

0,23

33

Nichelino

-

 

-

 

 

 

 

 

0,57

34

Orbassano

-

 

-

 

 

 

 

 

0,18

35

Giaveno

-

 

-

 

 

 

 

 

0,50

36

Avigliana/Susa

-

 

-

 

 

 

 

 

0,27

37

Lanzo

-

 

-

 

 

 

 

 

0,21

38

Cuorgné/

Castellamonte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1

?

2

 

1 erg.

-

-

Prov.

0,22

39

Chivasso

1

8

1

 

-

3

-

O.P.

0,37

40

Ivrea

7

 

8

 

-

-

2+8 op.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 psic.

Prov.

0,06

41

Caluso

-

 

 

 

 

 

 

 

0,07

42

Perosa

-

 

 

 

 

 

 

 

0,41

43

Torre Pellice

1

?

-

1

-

-

1

Prov. e

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C. Montana

0,10

44

Pinerolo

7

 

3

-

-

-

1

Prov.

 

La tabella precedente, relativa alla Provincia, non fa che dimostrare come la situazione delle équipes di zona (insediamento, numero operato­ri) sia ancora peggiorativa rispetto alla già disa­strata situazione cittadina evidenziata.

Per la prima cintura (U.L. 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34) si trovano impiantate sei équipes (cinque le zone scoperte). Di queste, cinque équipes sono state formate da operatori staccati dal manicomio a norma del protocollo di intesa del 1973. Una sola, quella di Chieri, era già stata allestita direttamente dalla Provincia negli anni precedenti e dotata di un repartino ospedaliero aperto. Non pare tuttavia che la pos­sibilità di usufruire di un presidio ospedaliero abbia determinato una particolare azione di filtro nei confronti della emarginazione coatta, se non in misura modesta. Il confronto con le zone sguarnite di équipes, dimostra infine valori mol­to diversi per la U.L. 31 e 34 (valori elevati) e relativamente bassi per la U.L. 32 e 33, pur in assenza di operatori di zona; dunque queste ul­time considerazioni fanno perdere significatività ai valori considerati prima.

Le équipes, se presenti, hanno una composi­zione che o si avvicina o supera il concetto di équipe di minima; ma anche questo non sembra determinare una particolare azione di filtro, tran­ne che per la U.L. 28.

Se poi si considera il resto della provincia, cinque zone sono prive di qualsiasi servizio psi­chiatrico zonale. Per le altre cinque zone la si­tuazione è molto diversa: Ivrea ha un servizio ricco di presidi diversi (ospedale, centro di pre­dimissione) e un numero relativamente elevato di medici e psicologi, ma un indice di emargina­zione coatta relativamente elevato (0,37); Pine­rolo ha un elevato numero di medici e dispone di un reparto neuropsichiatrico aperto, e l'indice di emarginazione coatta è molto basso (0,10); Cuorgné è dotata di un servizio che pare molto fragile, come quello di Torre Pellice, ma la dif­ferenza coatta fra le due zone è notevole, e de­cisamente minore per la prima.

Se infine si considerano le zone scoperte, zo­ne limitrofe, come Giaveno e Avigliana-Susa presentano indici molto differenti. Chivasso, con una équipe parziale e con poche ore mediche, presenta valori piuttosto bassi. Infine le U.L. 41 e 42 hanno valori quasi insignificanti. È dunque estremamente difficile, alla luce di questi dati, invocare come determinanti la presenza e la composizione ottimale di équipes psichiatriche nella azione di filtro contro il ricovero coatto. Comunque gli elementi di cui disponiamo per la presente ricerca sono insufficienti per una appro­fondita verifica.

 

C) Le équipes psichiatriche di zona e la presen­za dei canali di emarginazione sul territorio. Dati e considerazioni.

Intendo per «canali» di emarginazione quel presidio, o quella struttura che ha il potere di selezionare degli utenti e di promuovere la e­marginazione coatta in manicomio a norma del­la legge psichiatrica del 1904. In base ai dati della nostra ricerca su 920 ricoveri nel 1976, si hanno i dati riassunti nella tabella che segue. In essa, per ognuna delle zone ed équipes inte­ressate, sano indicati i principali canali di rico­vero di Torino città e provincia, comunque tutti quelli che hanno contribuito alla emarginazione coatta dei casi presi in considerazione. I dati so­no stati elencati in ordine decrescente, in rap­porto ai ricoveri coatti per mille.

 

Equipe    Canale di emarginazione            Coatti

U. L. 1     Guardia medica permanente       24,6%

              Ospedale San Giovanni Vecchio   2,0%

U.L. 3      Ospedale Mauriziano                   1,1%

              C.I.M.                                         0,5%

U.L. 6      Pronto soccorso Maria Vittoria     2,3%

              Ospedale Maria Vittoria               0,8%

U.L. 7      Astanteria Martini - via Cigna        2,2%

              Ospedale Cottolengo                   0,5%

U.L. 9      Ospedale Molinette                    10,0%

              Pronto soccorso Molinette           4,0%

              C.T.O.                                        0,2%

              Sant'Anna                                   0,1%

U.L. 11    Ospedale Militare                        3,0%

U.L. 13    Astanteria Martini - via Tofane       0,5%

U.L. 21    Istituto Geriatrico - corso Casale   0,2%

U.L. 23    Istituto Ferrante Aporti                 0,1%

U.L. 24    Casa di cura Villa Cristina            0,7%

U.L. 30    Istituto Eremo                             0,1%

U.L. 34    Ospedale San Luigi                     0,5%

U.L. 38    Istituto Fatebenefratelli                 0,1%

U.L. 40    Ospedale Civile di Ivrea                2,2%

              Totale                                       55,7%

 

La tabella suddetta dà idea eloquente dei prin­cipali canali di ricovero quasi la metà dei rico­veri considerati nella tabella sono a carico della Guardia medica permanente (24,6%) che ha se­de nella zona dell'équipe U.L. 1, anche se opera in tutta la città. L'ospedale Maggiore (Molinet­te) ricovera il 10% dei casi esaminati.

Evidentemente le équipes di zona non sono in grado di agire in modo efficace sui canali indi­cati, né sono state messe in grado di farlo fino al momento attuale. Manca una precisa linea di intervento, ma soprattutto la esiguità delle loro forze (si noti per es. la composizione dell'équi­pe U.L. 1 colle sue 11½ ore mediche! o della U.L. 9 priva di infermieri!) non consente nem­meno di tentare interventi di presenza e consu­lenza specifica nelle strutture o nei presidi sani­tari nei quali prende l'avvio il processo di emar­ginazione coatta. Se ne deduce, e lo vedremo meglio nelle conclusioni, che il potere politico­amministrativo non ha inteso o comunque non ha potuto assumere con la fermezza e i mezzi necessari l'azione di filtro e di protezione contro la emarginazione coatta in manicomio, né dare alle équipes tale mandato antiistituzionale né fornire loro uomini e mezzi necessari.

Il dato di per sé relativamente esiguo dei casi emarginati coatti da parte delle équipes di zona (1,1%) nulla dice se non rapportato ai dati su esposti, che testimoniano la impotenza attuale dei servizi di zona nei confronti delle condizioni emarginanti.

 

 

EMARGINAZIONE: IL RUOLO DEI MEDICI

 

La legge 1904 nelle sue modalità già ricordate affida ai medici in base ad una qualsiasi presu­mibile forma di pericolosità o di pubblico scan­dalo il potere di decidere ed avviare il processo di esclusione.

Redatto il certificato medico che sottolinei an­che l'urgenza, il potere giuridico lo avalla auto­maticamente. La possibilità che la persona in corso di emarginazione o dopo, ricoverata, si ap­pelli e impugni il procedimento, è prevista dalla legge 1904 nei suoi aspetti «garantisti», ma è del tutto remota, poco usata. Dunque il potere del medico affidatogli dalla legge 1904, quello della emarginazione coatta, è pressoché totale, non soggetto né a controllo né a verifica. È inol­tre il potere di un solo medico, che agisce indi­vidualmente e con responsabilità del tutto per­sonale. Se si aggiunge ancora che per il ricove­ro, sancito dal medico e «ordinato» dall'Auto­rità (Questore, Sindaco) basta da parte del sani­tario un «sospetto» anche modesto di pericolo­sità, mentre per la dimissione dal manicomio il direttore deve, accertata la  malattia» dichia­rare il miglioramento o la guarigione, si può ben vedere come l'escluso è preso in trappola, non diversamente dall'indiziato di reato non accertato cui occorre l'obbligo di provare la sua innocenza.

La lettura di vecchie cartelle è la più tragica testimonianza di come l'enorme potere del me­dico sia stato esercitato soprattutto in passato senza possibilità di appello e controllo. Persone entrate in manicomio alcuni decenni fa, quando ancora prevaleva l'idea della incurabilità e ingua­ribilità, vi sono rimaste e o sono morte o se ancora vive testimoniano oggi con la loro distru­zione fisica ma soprattutto morale quale sia stata la violenza istituzionale subita. Ciò che più oggi indigna è il vedere come sia bastato a volte un tenue sospetto, un lieve indizio di «alienazione mentale» per avviare una esclusione mai più terminata. E di quale pericolosità dovrebbe par­larsi nel caso delle molte centinaia di persone ricuperate al lavoro nero in manicomio, ricono­sciute di fatto non pericolose nel momento che maneggiavano arnesi da lavoro di vario tipo, e proprio perché «utili» mai più considerate per la dimissione?

Questo solo per accennare alle conseguenze dell'esercizio di potere medico emarginante che ha prodotto innumerevoli «carriere di malato di mente».

Nei 920 casi che abbiamo considerato in que­sta ricerca sono 394 i medici che hanno operato come agenti della emarginazione coatta in mani­comio. Ma la cifra si restringe in maniera consi­derevole se si valutano soltanto i sanitari che hanno effettuato almeno un certo numero di ri­coveri: ad es. 16 medici hanno effettuato nel 1976 in totale 242 ricoveri coatti secondo la leg­ge 1904, in media quindici ricoveri a testa, in realtà da un minimo di cinque ad un massimo di trentaquattro ricoveri all'anno.

Restringendo ancora le nostre considerazioni ai soli medici che hanno effettuato più di dieci ricoveri all'anno, si ha la cifra di 9 sanitari che hanno effettuato ben 187 ricoveri coatti, cioè il 20,3% del totale.

Riportiamo nella tabellina seguente i dati es­senziali di questi ultimi, l'età, il numero di emar­ginazioni coatte avallate nel 1976 e la struttura in cui hanno operato e dalla quale è partita l'e­marginazione.

 

Medico

Età

Ricoveri coatti

nel '76

Struttura in cui opera

L.

27

11

Guardia medica permanente

L.

31

34

Guardia medica permanente

S.

44

15

Guardia medica permanente

M.

29

30

Guardia medica permanente

A.

50

13

Guardia medica permanente

C.

28

11

Guardia medica permanente

D.

54

27

Ospedale Militare

D.

42

19

Ospedale Militare

G.

28

27

Pronto soccorso neurologia

 

Manchiamo di elementi per approfondire l'a­nalisi di questi agenti della emarginazione coatta in manicomio. Sembra tuttavia che il fattore età, che potrebbe alludere ad una formazione medica più tradizionale o meno e quindi una cultura di­versa, non abbia importanza alcuna. È invece evidente che questi sanitari sono certamente condizionati dalla struttura in cui operano (v. ta­bella suddetta). Non altrimenti dai medici che la legge 1904 ha deputato alla gestione dell'e­sclusione, anche questi medici assolvono il loro mandato sociale: quello di reclutare i devianti per le strutture emarginanti, ovviamente in as­senza pressoché completa di valide alternative sul territorio. Questo esercizio del potere di escludere ed emarginare delegato alla classe me­dica dovrebbe essere oggetto di seria meditazio­ne proprio nel momento in cui si pone in Italia il problema urgente della abrogazione della legge manicomiale, ma si apre il problema del «tratta­mento obbligatorio» per motivi di ordine sanita­rio, non si sa ancora bene con quali possibilità di controllo del potere medico da parte degli utenti.

Certo al momento attuale, secondo la legge 1904 il medico che opera in una struttura pub­blica agisce completamente solo, incontrollato e incontrollabile, perché giustificato sempre da mo­tivi di «urgenza». Infatti la possibilità garantita dalla legge 1904 del ricovero «ordinario» non è di fatto mai attuata. Sappiamo anche che nella prassi agisce pressato da esigenze che nulla hanno a che vedere con la realtà di una vera pro­blematica psichiatrica (necessità di liberare po­sti-letto nella istituzione intasata, rifiuto nelle strutture civili di accettazione del farsi carico di casi acuti, pregiudizi diversi di familiari o di ope­ratori dell'ospedale civile spaventati e imprepa­rati, ecc.).

Del come il medico tenti di dare una copertura «scientifica» al procedimento di emarginazione, il più delle volte senza riuscirci, abbiamo già par­lato a proposito dei certificati di ricovero all'in­gresso, ed anche citato alcuni esempi. In tale prospettiva il medico non fa che ricalcare su di sé, e interpretare realizzandolo, il bisogno so­ciale oggi ancora dominante, di emarginare il deviante psichico.

Le idee della società dominante sono anche quelle della classe medica, la «cultura» è la stessa, l'esigenza di giustificare con argomen­tazioni razionali e «scientifiche» il bisogno, so­prattutto emotivo, di escludere il deviante dal tessuto sociale, uguale.

 

 

CONCLUSIONI

 

Questa ricerca, per quanto condotta con ela­borazione dei dati mediante calcolatore elettro­nico, è certamente incompleta, perché per quan­to estesa a tutti i ricoveri coatti del 1976 (920 casi), non ha potuto tener conto né della emar­ginazione volontaria in manicomio né di quella nelle case di cura private.

Il fatto che una équipe, quella della U.L. 28, se ne sia assunto il compito (autocommittenza del­la ricerca) è dovuto all'assenza di una program­mazione di ricerca più organica che tenga conto delle équipes di zona, e della loro operatività specifica. D'altra parte ci è sembrato essenziale dare un contributo, sia pure parziale, di stimolo alla verifica dell'azione di filtro al manicomio da parte dei servizi alternativi psichiatrici di zona, compito che l'équipe di Settimo ha giudicato prioritario nel corso degli ultimi anni. Né credia­mo di essere la sola équipe ad esserci mossa in questa direzione. Dobbiamo riconoscere che la Regione ha reso pubblici negli ultimi mesi i dati relativi all'assistenza psichiatrica ospedaliera pa­raospedaliera e territoriale per gli anni '76 e '77, con un preciso ed esauriente sistema di scheda­tura per tutte le Province piemontesi. Unico ele­mento mancante è però ancora il dato dei rico­verati per zona, nonostante il piano di zonizza­zione già definito e portato a termine dalla Re­qione stessa. Abbiamo potuto attingere a detto materiale, come pure ai dati forniti dalla Pro­vincia relativi alla situazione dei servizi psichia­trici da essa istituiti nelle varie zone (compo­sizione équipes, presidi).

Il fatto che non sia stato possibile confrontare i dati dei ricoveri coatti in manicomio con i rico­veri volontari è semplicemente dovuto alla im­possibilità materiale della nostra équipe di svol­cere anche questo lavoro.

Per quanto concerne i ricoveri nelle case di cura e istituti, mancano - a nostra conoscen­za - al momento attuale i dati per zone (U.L.), e quindi la possibilità di verificare l'azione di filtro dell'équipe psichiatrica nei confronti di que­ste istituzioni.

Infine la verifica della operatività delle stesse équipes di zona compiuta dall'Amministrazione provinciale (Assessorato alla sanità) all'inizio dQ11977 non ha consentito una organica ed esau­riente raccolta di dati su cui fondare un'analisi dell'impegno alla lotta contro l'emarginazione compiuta dalle varie équipes.

Proprio nel momento in cui la possibilità di un referendum abrogativo della legge 1904 prospet­ta in Italia l'urgenza di una riforma psichiatrica inserita in un organico progetto di riforma sa­nitaria, ci sembra che il nostro contributo, fon­dato sull'analisi della più grave forma di emar­ginazione, quella coatta, possa essere di qualche utilità.

Abbiamo potuto dimostrare infatti che:

1) la «pericolosità» cui si allude nei certifi­cati medici di internamento è estremamente ge­nerica, imprecisa, pretestuosa. Lo dimostrano il 75% di certificati superficiali e generici, nonché il 5% di certificati addirittura incompleti;

2) la etichettatura medico-psichiatrica che do­vrebbe giustificare la pericolosità e il conseguen­te ricovero coatto, è tale da non avere alcun va­lore scientifico nel 55% dei casi considerati, ed è comunque vaga e imprecisa in quasi tutti i restanti casi;

3) la durata dei ricoveri coatti stessi, brevis­simi (10% dimessi prima o entro le 24 ore) o brevi (16% dimessi entro 2-8 giorni) sono la di­mostrazione di una notevole fugacità - qualora sia mai esistita - della pericolosità *presunta all'ingresso del manicomio.

Sono tutti elementi che - uniti alla evidente antiterapeuticità di ogni ricovero coatto, cioè fondamentalmente repressivo - come abbiamo cercato di dimostrare, dovrebbero indurre a con­siderare con molta cautela il «trattamento sani­tario obbligatorio» previsto per le «malattie mentali» dal nuovo disegno di legge e relativo stralcio di legge sull'assistenza psichiatrica.

Dovrebbe essere chiaro che - se si vuol par­lare veramente di una assistenza psichiatrica nuova, e se questa deve rispettare i diritti del cittadino - non può mai essere fatto ricorso a strutture segreganti di nessun genere.

Abbiamo pure ricordato che l'emarginazione coatta, procedimento di estrema gravità, repres­sivo, emarginante e certamente degradante per chi ne è oggetto, può essere compiuto da un solo medico senza possibilità di verifica e controllo all'insegna dell'urgenza. Il potere medico di emar­ginare che la legge 1904 non ancora abrogata assegna è enorme, mostruoso.

Il trattamento sanitario obbligatorio qualora dovesse rendersi necessario (e per la psichia­tria sono veramente pochi i casi di reale perico­losità) deve essere attuato sotto la piena re­sponsabilità del gruppo operativo (équipe) e ve­rificato dalle forze sociali del territorio (rappre­sentanti della U.L.).

Mai può essere delegato ad un solo medico, o essere ridotto a fatto puramente «tecnico». La nostra ricerca, non a caso, è stata orien­tata sulle possibilità operative delle équipes di zona e sul tentativo di verificare la loro azione di filtro alla emarginazione coatta in manicomio. Riteniamo infatti che questo, della difesa del cittadino dalla emarginazione psichiatrica (non solo coatta ma sotto qualunque forma) sia e deb­ba essere obiettivo assolutamente prioritario e qualificantte per ogni gruppo operativo.

Certamente oggi - e i dati che abbiamo rife­rito lo dimostrano ampiamente - tutte le équi­pes di zona sono incomplete, particolarmente carenti di tempo medico, mancanti di strutture alternative. Abbiamo ricordato che il personale deputato a gestire l'esclusione manicomiale (sen­za citare quello delle case di cura e istituzioni paramanicomiali private che gestisce forme po­co meno gravi di esclusione) è allo stato attuale preponderante rispetto all'esigua schiera di ope­ratori impegnati nei servizi alternativi gestiti dalla Provincia. Ricordiamo che 1920 persone gestiscono circa 2.000 esclusi in manicomio, con­tro 206 operatori distaccati ai servizi di zona (a tempo pieno i soli infermieri) e gli altri 126 ope­ratori dipendenti direttamente dalla Provincia. Se si considerano i costi, solo il 13% della spesa psichiatrica provinciale è relativa ai servizi al­ternativi. Non si può certo ragionevolmente pen­sare che con questo rapporto di forze il manico­mio possa essere smantellato e i servizi alter­nativi possano svolgere con efficacia i loro com­piti di riabilitazione, cura e prevenzione.

Questi dati testimoniano l'estrema difficoltà di erodere al manicomio personale per i servizi di zona, di spostare l'asse dell'assistenza dall'ospedale sul territorio, in ultima analisi di to­gliere il potere ad una istituzione segregante fondata e mantenuta da interessi un tempo clien­telari e oggi corporativi. Ma implicano anche la necessità che gli organi politico-amministrativi competenti (Regione, Provincia) inducano le équipes di zona a privilegiare l'impegno alla di­missione e riabilitazione degli emarginati in ma­nicomio per contribuire in tal modo al suo sman­tellamento (per fasce di bisogni: senili, handi­cappati, autosufficienti dimissibili, «psichiatri­ci»).

I dati della nostra ricerca indicano che, nel 1976, ma crediamo oggi ancora, poiché poche si­tuazioni sono migliorate e cambiate per evidenti gravi difficoltà politiche, organizzative e di bi­lancio, l'azione di filtro delle 31 équipes psi­chiatriche di zona esistenti è complessivamente molto scarso, spesso assente. Infatti 920 emar­ginazioni coatte significano mediamente oltre 20 ricoveri per zona, che probabilmente avrebbero potuto essere in larga misura evitati con inter­venti alternativi.

Si possono tuttavia indicare alcune possibili, ed urgenti, linee di intervento:

1) dal momento che l'emarginazione coatta, la più grave, quella per cui oggi si intende in­vocare il trattamento obbligatorio, risulta mas­sima al centro e decresce verso la periferia del territorio provinciale, debbono essere potenziate le équipes sulla base di questa indicazione;

2) l'azione delle équipes di Torino città sui principali istituti da cui parte la emarginazione (Guardia medica permanente, Pronto Soccorso, Ospedali) è probabilmente inesistente, certamen­te scarsa. Deve essere verificata, e si deve:

a) potenziare le équipes di zona;

b) stabilire dei collegamenti tra queste e i canali di ricovero del proprio ambito territoriale (consulenze, pronto intervento, reperibilità) ;

3) tutte le équipes vanno comunque poten­ziate, perché largamente insufficienti rispetto ai loro compiti. Al momento attuale paiono essen­ziali i seguenti:

a) azione di filtro contro ogni tipo di emargi­nazione, ma prioritariamente quella manicomiale;

b) riabilitazione e reinserimento degli attuali degenti in manicomio (smantellamento) ;

c) gestione alternativa delle situazioni psichi­che acute (crisi) sul territorio o comunque in strutture di zona aperte e non segreganti;

4) la formazione degli operatori deve portare a tempi brevi al superamento di ogni elemento di custodialismo, di cui sono portatori invece sia operatori distaccati dal manicomio dove hanno svolto per troppi anni appunto mansioni di cu­stodia, sia gli operatori di altra provenienza che non si sono mai misurati nella lotta antiistituzio­nale e sono poco sensibilizzati al danno che la emarginazione produce.

La demistificazione della pericolosità dei de­vianti psichici, la gestione il più possibile libera sul territorio, sono l'altro aspetto più qualifican­te della formazione degli operatori di zona. Ciò prima di ogni altro elemento di formazione «tec­nica» più specifico e particolareggiato.

In ogni caso la psichiatria alternativa, se deve essere tale, è fondata non già su strutture segre­ganti o comunque su risposte istituzionali e pro­tettive ai bisogni, ma sulla presenza attiva e ra­dicata dei gruppi operativi sul territorio, il cui fondamento ideologico sia prioritariamente la lotta all'emarginazione e la risposta non repres­siva ai bisogni.

Questi gruppi operativi devono però poter con­tare su una rete di strutture alternative aperte (es. comunità, centri di incontro, ecc.) e devono agire in modo integrato con gli operatori degli altri servizi territoriali. Nella fase attuale occor­re anche un coordinamento tra le varie équipes.

Infine la loro operatività deve essere concor­data con le forze sociali e politiche delle U.L. e dalle stesse costantemente controllate.

Ci auguriamo che questa ricerca possa essere stimolo e contributo ad un dibattito tra operatori, amministratori, politici, e forze sociali.

 

 

 

(1) Gli operatori dell'équipe dell'U.L. 28: Enrico Pascal, Germana Massucco, Vittorio Leone, Sergio Longo, Aldo Losa, Salvatore Vivona, Antonello Lanteri, Tiziana Milani che hanno compiuto la presente ricerca ringraziano per l'attiva collabo­razione il sig. Pronzato, per la consulenza tecnica, il direttore prof. G. Gamna, per l'elaborazione elettronica dei dati il dr. F. Cavallo.

Si ringraziano inoltre il Presidente e il Consiglio di amministrazione degli Ospedali psichiatrici e l'Assessore alla sanità della Provincia di Torino per la cortese messa a disposizione del materiale di ricerca.

Un particolare ringraziamento va al Sindaco di Settimo, all'Assessore e a tutti gli altri operatori dei Servizi sociali dell'Ente locale che ne hanno incoraggiato e permesso la realizzazione.

(2) Si tratta dell'IPAB Opera pia Ospedali psichiatrici che gestisce i manicomi di Collegno, Grugliasco e Savonera.

(3) Il testo è stato riportato nel n. 23 di Prospettive assistenziali.

(4) L'art. 53 della legge del 1904 prevede questa modalità di ricovero volontario.

(5) Si tratta di un istituto privato.

 

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