Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno
1978
RICERCA
SULL'EMARGINAZIONE COATTA IN MANICOMIO NELLA PROVINCIA DI TORINO
EQUIPE PSICHIATRICA DI SETTIMO
TORINESE (1)
PREMESSA
I fondamenti ideologici della legge
1904, di cui da tempo gli operatori di Torino, partecipi
delle lotte e della contestazione manicomiale del 1968, richiedono
l'abrogazione, sono da ricercarsi nella logica repressiva ed emarginante di una
società divisa in classi e dominata dal profitto.
Le persone per varie ragioni
disadattate e devianti devono essere escluse e represse nell'interesse
sociale della classe dominante. Ogni possibile segno di protesta sociale
implicito nella devianza psichica viene rifiutato ed
espulso dal contesto dei «sani» e delegato alla gestione da parte di «tecnici»
in apposite strutture segreganti.
Infatti la legge 1904 si basa su:
1) emarginazione
coatta all'insegna di una pericolosità sociale o pubblico scandalo sempre
discutibili;
2) difesa della
società mediante esclusione del deviante sacrificato all'interesse sociale;
3) repressione della crisi e risposta
custodialistica ai bisogni che essa potrebbe
rivelare;
4) apparente possibilità di
conciliare custodia e cura, quindi mistificazione perché sono due realtà antitetiche;
5) gestione
necessariamente istituzionale, secondo parametri autoritari e gerarchici
tipici della società
esterna, degli emarginati;
6) negazione di qualsiasi forma di
controllo non tecnocratico o burocratico ma democratico,
negazione di qualsiasi forma di partecipazione sociale alla gestione del
ricovero.
I suddetti elementi sono tutti
incompatibili con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione per ogni
cittadino, e soprattutto risultano in contrasto con
una linea alternativa di intervento nel campo della salute mentale.
Deve essere attuata una politica assistenziale fondata su una serie di elementi antitetici
non solo rispetto ai fondamenti politico-culturale della legge 1904 e relativo
regolamento di esecuzione del 1909, ma anche rispetto alla legge 431 del 1968.
Oggi va negata ogni validità alla
creazione di centri di igiene mentale che o sanciscono
una dicotomia assistenziale tra territorio e manicomio, o, come il recente
tentativo di Vercelli, vogliono essere emanazione del manicomio (industria
fondata sulla degradazione umana) e centri di potere clientelare.
Va negata validità anche alla
politica di «settore» sostenuta intorno agli anni settanta, ma successivamente superata, in quanto rappresenta ancora una
visione ospedalocentrica e una operatività
psichiatrica del tutto scollegata dagli altri servizi.
Il fondamento ideologico-politico
su cui si basa una reale alternativa alla logica
repressiva ed emarginante propria della legge 1904, è la negazione di
qualsiasi struttura segregante e l'affermazione che la risposta ai bisogni e
alle contraddizioni che la crisi della salute mentale di determinati
individui evidenzia, va ricercata nel vivo del tessuto sociale e risolta quindi
nella libertà.
Alla istituzione più o meno repressiva va
sostituito il gruppo operativo (équipe) il cui obiettivo
principale è la lotta contro la repressione e la emarginazione. La risposta
istituzionale ai bisogni è del tutto secondaria
rispetto alla necessità di stabilire rapporti interpersonali liberatori
(accettazione, analisi, comprensione) tra équipe e il
deviante portatore di contraddizioni eminentemente sociali.
L'équipe
deve avere da un lato sufficiente potere terapeutico
per intervenire nelle varie situazioni (facoltà di accesso ai vari istituti di
cura o ricovero, nei luoghi di lavoro, scuola, caseggiato e tessuto sociale in
genere), dall'altro deve poter essere sempre controllata e controllabile
nella sua operatività dalle forze sociali del territorio (ente locale,
organizzazioni sindacali, utenti, partiti politici). Il mandato sociale dell'équipe psichiatrica di zona, destinata ad integrarsi
con gli altri servizi dell'Unità locale, è primariamente quello di fare da
filtro a ogni emarginazione.
L'ASSISTENZA
PSICHIATRICA IN PROVINCIA DI TORINO: DAL CENTRO DI IGIENE MENTALE ALLE ÉQUIPES
DI ZONA
Torino, come altre città italiane,
ha conosciuto negli anni '68-70 una profonda crisi nel campo dell'assistenza
psichiatrica. La contestazione da parte di gruppi di operatori
psichiatrici, di forze sociali e di associazioni, del movimento studentesco,
ha evidenziato lo stato di paurosa arretratezza in cui si trovava il manicomio
di Torino, che ospitava nel 1968 4.508 degenti, 2.290 uomini e 2.218 donne,
suddivisi in cinque diverse «Case». Da allora ha preso l'avvio un lento e faticoso
movimento innovatore (comunità terapeutiche all'interno,
liberalizzazione, dimissione di molti emarginati, soprattutto di coloro
che manifestamente erano stati esclusi per ragioni socio-economiche). Questo
processo di demanicomializzazione e liberalizzazione
consente di dire che oggi la popolazione manicomiale
si è praticamente dimezzata rispetto al 1968 (2.175 degenti, 1.208 uomini e
967 donne al 31-12-1977). Inoltre un censimento nel
Scopo della presente ricerca è però essenzialmente verificare come è stata costruita
l'alternativa alla emarginazione manicomiale nel corso dell'ultimo decennio, e
come i servizi territoriali impiantati dalla Provincia di Torino abbiano potuto
filtrare i ricoveri in manicomio e controllare i tradizionali canali di
ricovero. Inoltre, per difficoltà pratiche, essa si limita alla considerazione
della emarginazione più grave, la cosiddetta «psichiatria
pesante», quella che oggi ancora si compie in base alla legge 1904, e cioè in
base ad una dichiarazione di pericolosità sociale o di scandalo. Tuttavia
sembra utile ricordare brevemente le linee di una politica assistenziale
alternativa al manicomio espresse dalla Provincia di Torino nel corso degli
ultimi decenni, per facilitare la valutazione complessiva dei dati che presentiamo.
Nel 1958
Non c'è dubbio che il C.I.M. abbia svolto nel corso degli anni, e sino alla sua
estinzione (1975-76) quando è stato smembrato e decentrato per essere
assorbito nella rete dei servizi psichiatrici di zona, una considerevole mole di lavoro prevalentemente ambulatoriale. Ma, sul piano della emergenza più grave ed acuta, tale organismo,
centralizzato, non è mai stato in grado (tra l'altro per carenza di strutture
alternative) di svolgere un'azione di filtro nei confronti del manicomio (ne è
prova il progressivo gonfiarsi del manicomio nonostante l'incremento del lavoro
del C.I.M. nel decennio 1958-68). Anzi, per varie
ragioni, il C.I.M. finì per assolvere la funzione di
reclutamento nella istituzione psichiatrica. Negli
anni 1963-
Negli ultimi due anni la nuova
Amministrazione si è trovata a fronteggiare, spesso impotente, una situazione
molto difficile. Il manicomio si è rafforzato e il suo smantellamento, premessa
per il potenziamento dell'alternativa extraospedaliera,
appare sempre più problematico.
Negli anni 1969-70
Sono - alla data
dell'estate 1977 - aperti al pubblico, per quanto la maggior parte incompleti
del personale necessario, 35 presidi ambulatoriali in 35 zone, ambito delle
future U.L. Nelle 35 équipes
operano 37
medici dipendenti dagli ospedali psichiatrici e 30 dipendenti dalla Provincia.
Mentre i primi prestano servizio parziale (qualcuno anche solo due o tre ore,
in media circa undici ore settimanali) perché impegnati ancora nel servizio
ospedaliero, i secondi coprono un tempo medico quasi
doppio (in media 27 ore settimanali caduno). Operano
sei psicologi dipendenti dall'Opera pia per un totale di 84 ore settimanali, e
23 psicologi della Provincia, per un totale di 775 ore settimanali. 15 sono le
assistenti sociali dipendenti dall'Opera pia (450 ore settimanali complessive)
e 27 le assistenti sociali dipendenti dalla Provincia
(per un totale di 1080 ore settimanali). Le assistenti sanitarie visitatrici
sono a carico dell'Opera pia (30 ore settimanali) e
In totale operano nei servizi
extraospedalieri gestiti dalla Provincia (a norma del Protocollo d'intesa del
1973) alla data già citata 206 operatori degli ospedali psichiatrici e 126
della Provincia; quindi in tutto 332 persone per 9.994,5 ore settimanali.
In manicomio operano invece in
totale:
- medici .......................................... 86
- psicologi ......................................... 7
- assistenti sociali ........................... 15
- infermieri ..................................... 544
- infermiere .................................... 587
- inservienti ..................................... 20
- inservienti di sezione .................... 112
- ausiliari ....................................... 478
- amministrativi ................................ 71
TOTALE ...................................... 1920
In confronto ad un operatore esterno
vi sono circa 6 persone che gestiscono l'esclusione.
COSTO GLOBALE
Ospedali
psichiatrici + servizi extraospedalieri + servizi paraospedalieri: Torino L. 5.846 per abitante di cui:
- costo servizi ospedali
psichiatrici .......... L. 4.688 per abit.
- costo servizi extraospedalieri ................ L. 777
per abit.
- costo servizi paraospedalieri ................. L. 609
per abit.
(dati della Regione
Piemonte, 1976).
Questi dati confermano
l'insufficiente presenza di operatori nelle zone
rispetto al massiccio impiego sancito dalla Legge 431 all'interno del manicomio.
Il costo dell'emarginazione psichiatrica è esorbitante.
Se è vero che il numero degli
operatori esterni per ciascuna delle zone esaminate è certamente esiguo
rispetto ai compiti loro assegnati, si deve poi ancora considerare che una
parte di essi è assorbita dal servizio ospedaliero
(reparti aperti di Chieri. Ivrea, Pinerolo) e che la loro distribuzione sul territorio, in
mancanza di un piano organico di intervento, è
estremamente disomogenea e talora del tutto irrazionale (maggior concentrazione
in ambiti meno significativi). È certamente arduo, allo stato attuale,
verificare l'operatività delle varie équipes
psichiatriche. La precedente Amministrazione provinciale, ostacolata nei suoi
programmi (costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico a Grugliasco,
potenziamento del C.I.M. e dei reparti neuropsichiatrici aperti in ospedali civili, settore TO-centro) si era limitata a subire l'iniziativa spesso
volontaristica di operatori sostenuti dalle organizzazioni
sindacali di categoria, senza organizzare una alternativa di servizi di zona
sulla base di validi criteri operativi. Gli accordi del luglio '73 furono in
alcune occasioni risolti con la copertura «simbolica» di talune zone. La nuova
Amministrazione provinciale ha tentato, nei primi mesi del 1977, di attuare la
verifica operativa delle varie équipes, senza
peraltro riuscire fino ad oggi a precisare le principali linee di intervento alle quali tutti i servizi di zona dovrebbero
adeguarsi.
DATI STATISTICI
A) Dati di carattere
generale
Nell'anno oggetto della presente
ricerca (1976) sono stati effettuati complessivamente
negli ospedali psichiatrici di Torino 2.479 ricoveri. Di questi
955 coatti (per pericolosità in base alla legge 1904) e 1.042 volontari (in
base alla legge 1968). Va notato che 300 sono state le riammissioni in base a semplice certificato medico (di pericolosità)
perché la dimissione era avvenuta solo per «miglioramento». Infine ben 156 sono
stati i «rintracci da evasione» disposti in base alla legge
1904 che esige il rintraccio e il riaccompagnamento
in manicomio delle persone che vi erano custodite coattivamente e che ne sono
fuggite. Ciò che manca al totale segnalato è dovuto a 25 trasferimenti e a un art. 53 (4).
In sintesi ben 1.411 ricoveri sono
avvenuti in base alla pericolosità, coattivamente (legge 1904) e
Le nostre considerazioni vertono su
920 persone ricoverate «d'autorità» e «d'urgenza», sulla
scorta di una dichiarazione medica di pericolosità e di una conseguente
ordinanza di ricovero dell'autorità di P.S. (questore per la città di Torino;
sindaco per i Comuni), e pertanto scortate dalla forza pubblica in occasione
della loro andata forzata in manicomio.
B) Categorie di
persone emarginate
Sesso
Se si considera il sesso per le tre
principali fasce di età:
- 1ª età prescolare, scolare e pre-lavorativa (1-17 anni) ;
- 2ª età
lavorativa (18-60 anni);
- 3ª età pensionabile
(ultrasessantenni),
si hanno i seguenti valori
percentuali:
- 1ª fascia: 2 maschi e 3 femmine;
- 2ª fascia: 459 maschi (67,8%) e
218 femmine (32,2%) = 81,3%;
- 3ª fascia: 71 maschi (47%) e 80
femmine (53%) = 16,1%.
Dunque si evidenzia una prevalenza
maschile per la totalità della popolazione (63,9%). Considerando le fasce di età, appare significativa la prevalenza maschile (oltre
il doppio) per l'età lavorativa, e la prevalenza di donne per l'età oltre i 60
anni.
Mancando dati
ulteriori circa le condizioni lavorative, si può soltanto affermare che
la donna sembra genericamente più protetta contro l'emarginazione manicomiale
se in età lavorativa, un po' meno dell'uomo se oltre.
Zona di nascita
Considerando tre
grandi raggruppamenti: Nord, Centro, Sud e Isole, si hanno le seguenti percentuali:
|
maschi |
femmine |
- Nord |
59,8 |
68,6 |
- Centro |
4,4 |
4,2 |
- Sud e Isole |
35,8 |
27,2 |
Emerge l'incidenza del dato
immigratorio (circa 1/2 di immigrati dal Sud e Isole)
con lieve prevalenza maschile.
Se si analizza la situazione del
Nord, si può constatare che l'11,2% del totale sono di
Torino città, il 20,2% (cioè quasi il doppio) sono della provincia. Va ancora
segnalato il peso dell'immigrazione dal Veneto (11,3%) pari ai dati di Torino
città.
Questi dati andrebbero tuttavia
rapportati alla incidenza delle due fasce immigratorie
(Veneto e Sud-Isole) sulla totalità della popolazione, per verificare più a
fondo l'incidenza del dato immigratorio sull'emarginazione manicomiale. Sarebbe pure interessante verificare questi dati in rapporto
all'età.
Residenza
Da un punto di vista
socio-urbanistico abbiamo considerato i seguenti raggruppamenti di zona:
zona |
popolazione
globale |
ricoveri |
‰ |
|
|
|
|
Centro storico |
245.882 |
137 |
0,56 |
Crocetta e collina |
152.082 |
67 |
0,44 |
Torino Sud -Mirafiori |
471.404 |
127 |
0,27 |
Torino Est |
327.209 |
158 |
0,48 |
Totale Torino |
1.196.577 |
489 |
0,41 |
1s cintura |
640.738 |
209 |
0,33 |
2ª cintura |
560.771 |
122 |
0,22 |
Totale generale |
2.395.086 |
820 |
0,34 |
N.B.- 100 casi non hanno
potuto essere presi in considerazione per questa fase della ricerca.
Considerazioni
Per la città si evidenzia una incidenza di ricoveri coatti decisamente maggiore per
il centro storico (sede di alloggiamenti di fortuna per la prima immigrazione
nonché per molti ex ricoverati ospitati provvisoriamente presso pensioni)
rispetto alle altre zone. All'altro polo si deve considerare la zona di Torino
Sud, con una significativa bassa incidenza di ricoveri.
Un altro dato evidente è la
progressiva diminuzione della incidenza dei ricoveri
dal centro alla periferia (0,41 per la città, 0,33 per la prima cintura, 0,22
per la restante provincia) . Ciò conferma il peso delle contraddizioni
socio-economiche sulla emarginazione. Nella «città»
prevalgono i traumi del difficile inurbamento (non sono pochi i casi prelevati
sia al loro primo arrivo alla stazione di Porta Nuova, sia in occasione di
rifiuti al foglio di via obbligatorio), dello sradicamento da un lato e della
difficoltà ad inserirsi nel ritmo produttivo o nella comunità cittadina, con il
suo clima efficientistico e consumistico; d'altro
lato si inaspriscono le situazioni di crisi familiare
e sociale e si scompensano le situazioni esistenziali più fragili.
EMARGINAZIONE: MODALITÀ E PROCESSO
A) Canali di emarginazione
Elencando i principali canali di emarginazione in ordine decrescente rispetto alla
frequenza dei casi emarginati, e considerando i due sessi separatamente si
hanno le seguenti percentuali:
|
maschi |
femmine |
- pronto soccorso dell'ospedale
civile |
42,1 |
30,6 |
- guardia medica permanente |
26,2 |
24,4 |
- medici privati |
18,1 |
26,2 |
- ufficiale sanitario |
11,5 |
13,8 |
- istituti e cliniche privati |
1,5 |
2,9 |
- ambulatori psichiatrici di zona |
0,6 |
2,1 |
Risulta evidente come sia essenzialmente il
servizio pubblico (pronto soccorso e guardia medica permanente) al quale pervengono
i casi in crisi, e che in linea teorica dovrebbe filtrare le richieste, quello
che dà il più grosso contributo alla emarginazione manicomiale (68,3% dei maschi
e 55% delle femmine). Vi contribuiscono ragioni diverse e complesse; tra queste
sicuramente la completa assenza di un servizio di consulenza
psichiatrica collegato a questi canali, la mancanza di una visione alternativa
alla emarginazione negli operatori medici di questi servizi, ancora la
mancanza di reali possibilità di sistemazioni alternative delle persone in
crisi ed infine il disimpegno degli operatori delle équipes
psichiatriche di zona che dovrebbero prendere in carico in modo alternativo e
non emarginante la situazione acuta. Non si può del resto dimenticare che gli
utenti che vengono emarginati sono in genere o
totalmente privi di potere contrattuale (disoccupati, invalidi, ecc.) o - in
quanto mutuati - come tali (esclusi dall'assistenza psichiatrica) già
predestinati alla emarginazione in manicomio.
Sono anche relativamente alti i dati
dell'emarginazione compiuta da medici privati e da ufficiali sanitari, ma questi dati vanno interpretati soprattutto nel
senso che - fuori dell'area cittadina - non esistendo pronti soccorsi e
guardie mediche permanenti che in rare occasioni, si ricorre appunto
all'ufficiale sanitario o al medico generico.
Decisamente basso invece il dato relativo alle
cliniche private e agli istituti privati. Ricordiamo che in provincia di
Torino funzionano 5 case di cura private: Villa Augusta a Bruino
(1014 ricoveri nel 1976) ; Villa Cristina a Savonera (2039 ricoveri nel 1976) ; Villa di salute a Trofarello (484 ricoveri nel 1976) ; Villa Patrizia a Piossasco (420 ricoveri nel 1976) e Ville Turina Amione a San Maurizio
Canavese (914 ricoveri nel 1976).
Si ha pertanto un totale di 4.871
ricoveri (ovviamente non coatti) rispetto ai 2.479 ricoveri
manicomiali. Il travaso dei casi più gravi dalla casa di cura (luogo di emarginazione meno grave perché non all'insegna della
pericolosità e pertanto meno stigmatizzante nell'attuale sociocultura) al
manicomio (luogo della tradizionale emarginazione prevalentemente coatta
secondo la legge 1904) è certamente molto diminuito nel corso degli ultimi
anni, se si considerano le cifre che abbiamo prima riportato. Desta invece
preoccupazione il fatto che la meno grave emarginazione in casa di cura
aumenta di anno in anno (5.804 ricoveri nel 1975 per
le 7 case di cura della regione e 5.950 per il 1976). Ciò evidenzia la linea
della progressiva privatizzazione della assistenza
psichiatrica in parallelo alla difficoltà di organizzare il servizio pubblico
e l'alternativa al ricovero (anche alla emarginazione in casa di cura)
mediante presidi territoriali.
Se ai dati suesposti si aggiungono i
circa 420 posti dell'Istituto psichiatrico Fatebenefratelli (5) di San Maurizio Canavese (ove esiste un
reparto accettazione e la possibilità di ricovero coatto) e la possibile
utilizzazione delle altre case di cura di San Giorgio di Viverone
(223 ricoveri nel 1976) e San Michele di Bra (755
ricoveri nel 1976), si può affermare che il settore privato dell'assistenza
istituzionale psichiatrica contribuisce oggi ben poco a gonfiare il manicomio,
ma è esso stesso in florida espansione.
Si può avanzare
l'ipotesi, suffragata dai dati suesposti, che la contestazione
manicomiale del 1968 e le denunce della situazione di carenze assistenziali
abbia contribuito da un lato al sorgere di una assistenza alternativa sul
territorio, ma d'altro lato a gonfiare gli istituti di cura privati (la cui gestione
e i cui livelli di assistenza non sono stati verificati sino ad ora).
Da queste considerazioni va distinto
il peso dei ricoveri da istituti (essenzialmente case di riposo per la
vecchiaia) e Cottolengo. Questi istituti, che
tradizionalmente contribuivano ad alimentare il manicomio, ricoverano oggi
molto meno.
Se si analizzano i dati totali, non
suddivisi per sesso, le percentuali sono le seguenti:
- Istituto geriatrico di Corso
Casale |
0,2 |
- Altri istituti per anziani |
0,7 |
- Ospedale Cottolengo |
0,5 |
- Totale |
1,4 |
- Cliniche private |
1,8 (0,7 da Villa Cristina) |
-
Cliniche private
Infine il dato relativo
ai servizi di zona già citato, che è dell'1,1% se riferito alla
casistica totale senza distinzione di sesso, potrebbe essere interpretato in
modo ottimistico. Vi ostano però alcune ragioni:
1) i medici che vi prestano servizio
(37 contro 30) sono dipendenti dell'ospedale psichiatrico e come tali non
possono redigere certificati di internamento;
2) mancano nella nostra ricerca i
dati comparativi sui ricoveri volontari eventualmente incoraggiati dalle
stesse équipes di zona (fenomeno del reclutamento da
parte dei servizi territoriali, tipico di molte fasi di tali servizi, specie in
mancanza di una chiara linea di lotta contro l'emarginazione assunta dagli
operatori esterni);
3) mancano dati sull'eventuale
ricorso ad altri agenti di emarginazione, dato che gli
operatori medici esterni non avendo il potere di farlo o quando non intendono
farlo direttamente, usano i tradizionali canali di ricovero pubblici (P.S., Guardia medica permanente).
B) L'etichettatura
«scientifica» come pretesto per la emarginazione
Elenchiamo in ordine decrescente le
principali etichettature diagnostiche riscontrate:
- agitazione psicomotoria |
25,5% |
- etilismo |
15,7% |
- alienazione mentale |
12,3% |
- schizofrenia |
9,7% |
- forme senili |
8,7% |
- forme depressive |
4,6% |
- eccitamento maniacale |
3,5% |
- epilessia |
1,2% |
- oligofrenia |
1,2% |
- altre diagnosi imprecise |
17,8% |
Se ne deduce la netta prevalenza di etichettatura del tipo agitazione psicomotoria o alienazione
mentale, di estrema imprecisione e genericità (37,8%), che sommata alla
imprecisione e confusione di altre etichettature (in cui si mescolano concetti
differenti, termini impropri e definizioni descrittive del comportamento, ecc.)
dà un totale di 55,6% etichettature completamente prive di una qualsiasi
validità scientifica. Le altre, che sono indicate nella tabella, si riferiscono
in termini meramente descrittivi, a una certa
tipologia tradizionale collaudata per una certa utilità pratica, ma la cui
scientificità è discutibile.
Se si considera il sesso, si può
ancora notare una netta prevalenza di forme etiliche per i maschi (19,5%
contro il 9,3% di donne). Al contrario prevalgono per
le donne coatte le forme senili (12,8% contro il 6,3% di uomini). È risaputo
che nell'attuale società prevale l'etilismo tra gli uomini, e non desta
meraviglia che questo continui a verificarsi per i ricoveri coatti in manicomio.
La prevalenza di donne senili
ricoverate coatte può essere spiegata con la maggior percentuale di donne che
raggiungono l'età senile rispetto agli uomini; inoltre la perdita di autosufficienza che la senilità comporta è meno tollerata
per le donne e ne accresce il rischio di emarginazione.
Infine merita di essere segnalata la
bassa incidenza di handicappati psicofisici (0,9% i maschi, 1,5% le femmine)
che contrasta colla relativa frequenza con cui queste persone venivano internate in passato e sono tuttora presenti. diventate lungodegenti nel corso degli anni, all'interno dei
vari reparti manicomiali. Questo
dato, indubbiamente positivo, se da un
lato può essere dovuto all'incremento e al potenziamento delle istituzioni
private in questo campo, è probabilmente anche imputabile all'affermarsi
progressivo di una cultura nuova, meno emarginante e volta all'inserimento di
questi soggetti (vedi politica scolastica a favore dell'inserimento).
In conclusione si deve osservare la
marcata arretratezza «culturale» in campo psichiatrico di troppi operatori
medici, i quali da un lato si limitano a riflettere nei loro interventi e
certificati la cultura emarginante della società in cui vivono,
dall'altro sono la prova della insufficiente preparazione universitaria,
incapace sino ad oggi di formare ad una analisi «scientifica» seria della
devianza, e costretta invece a fornire la tradizionale copertura pseudoscientifica come pretesto per l'esclusione.
Citiamo, a titolo esemplificativo,
alcuni certificati medici:
- il 19-3-1976 un tale viene ricoverato coattivamente in manicomio perché
giudicato pericoloso, ma con l'indicazione «per accertamenti e cure» come se si
trattasse di un qualsiasi ospedale e non di una pesante emarginazione:
- il 18-4-1976 nel certificato di
ricovero coatto si dichiara: «non è possibile trattenerlo in questo ospedale perché in clinica psichiatrica non viene
accettato»;
- il 21-4-1976 il
motivo del ricovero è così indicato: «rifiuta le terapie dei ricoveri precedenti»;
- il 29-4-1976 viene
ricoverata una donna di 84 anni. Il medico di paese ha dovuto compilare un formulario,
dove, alla domanda: «modo di invasione della pazzia,
se improvvisa o preceduta da prodromi», risponde: «agitazione, insonnia. Si
sente sola». Si tratta infatti di una vedova il cui
marito è deceduto in O.P. per malattia mentale imprecisata;
- da una lontana valle della
provincia, il giorno 11-2-1976 viene ricoverata una
donna; il certificato medico parla di «crisi cefalalgiche
con aggressività».
Sono poi numerosi i certificati in
cui si accenna semplicemente alla pericolosità senza
nemmeno abbozzare una diagnosi o dare elementi almeno presunti che avallino la
pericolosità stessa. In parecchi certificati il motivo di
fondo per cui si chiede il ricovero è che uno «è già stato ricoverato
più volte» (riciclaggio).
C) La pericolosità a
sé o agli altri o il pubblico scandalo come pretesto per la emarginazione
coatta (ricoveri urgenti)
Ricordiamo che la legge del 14
febbraio 1904 dal titolo «Disposizioni e regolamento sui manicomi e sugli
alienati», legge fondamentalmente repressiva, con pochi elementi «garantisti» e
molti invece di criminalizzazione del «malato di mente» si apre con questo articolo: «Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone
affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a
sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo, e non siano e non possano
essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi».
Se è vero che è ormai vicino il
giorno dell'abrogazione di detta legge, è pur vero
che sino ad oggi essa è egregiamente servita a emarginare in manicomi,
all'insegna di una pericolosità presunta, più che «esistente» come vorrebbe la
legge, una elevata quantità di cittadini.
La stessa legge
1904 prevede due
forme di ricovero coatto: una torma ordinaria di ricovero, «chiesta dai parenti, tutori, o protutori...
o da chiunque altro nell'interesse degli infermi e della società» e
autorizzata «in via provvisoria, dal
pretore sulla presentazione di un certificato e di un atto di notorietà...».
A tale procedura in pratica non si è mai, o quasi mai fatto
ricorso nel corso degli anni. Infatti la seconda
procedura a cui la legge permette di far ricorso, quella «in caso di urgenza» è
assai più sbrigativa, perché l'ordinanza di ricovero, cui segue l'accompagnamento
forzoso in manicomio da parte delle forze dell'ordine, viene emessa sulla base
di un semplice «certificato medico». Nella nostra casistica
un solo caso, su quasi 1.000 coatti, è stato ricoverato con simile procedura.
L'urgenza per la sua semplicità, è dunque la regola.
Esaminando i certificati medici, su
920 ricoveri coatti urgenti del 76, si hanno i dati seguenti:
- pericolosi a sé |
7,9% |
- pericolosi agli altri |
11,6% |
- pericolosi a sé e agli altri |
75,2% |
- di pubblico scandalo |
0,3% |
- certificato incompleto |
4,9% |
- ricovero ordinario |
0,1% |
Si evidenzia dunque che nella
stragrande maggioranza dei casi (75%) viene indicata
una pericolosità a sé e agli altri del tutto generica. Per abbreviare ancora
la già sbrigativa procedura di certificazione, nella maggioranza dei casi sono
usati moduli dove la formula è già stampata, e il sanitario che compila il
certificato può cavarsela con pochissime parole, del tipo delle etichettature
pseudoscientifiche prima ricordate. Il «quindi risulta pericoloso a sé e agli altri» è già standardizzato e
burocratizzato. Del tutto inutilmente perciò il regolamento sui manicomi e
sugli alienati del 1909 prescrive, all'art. 39, che «il certificato medico deve attestare: a) l'indole della
infermità mentale, indicando in sintesi l'origine, il decorso di essa;
b) i fatti specifici enunciati in modo chiaro e particolareggiato, dai quali
si deduca la manifesta tendenza dell'individuo a commettere violenza contro se
stesso o contro gli altri od a riuscire di pubblico scandalo; c) la necessità
di ricoverare il malato in manicomio... ecc.».
Il procedimento di
emarginazione è molto più spedito, dal momento che nella maggioranza dei
casi alla genericità di formule del tipo «agitazione psicomotoria» od
«alienazione mentale» corrisponde ancora una più marcata genericità della
pericolosità.
Se si aggiunge il
fatto che non arrivano al 20% i casi in cui il medico ha fornito
elementi per alludere ad una pericolosità più definita (7,9% a sé; 11,6% agli
altri) o il pubblico scandalo (0,3%) ed infine si considera quasi il 5% di
certificati addirittura incompleti, perché vi manca o l'indicazione chiara
della pericolosità, o l'indicazione dell'urgenza, o la etichettatura diagnostica,
se ne deduce che nell'80% dei casi, la legge stessa, già repressiva, è stata se
non violata certamente interpretata dai medici in senso semplificativo,
a favore certo di una emarginazione sbrigativa. Risulta
ovvio che quasi sempre la pericolosità è presunta, non verificata, e la sua
constatazione è lasciata all'arbitrio di un solo medico per lo più inesperto e
non competente. Perciò il medico finisce - forse inconsapevolmente - per
assolvere il suo mandato sociale di agente
dell'esclusione, colla copertura ideologica, incontrollabile, di compiere la
emarginazione ed avviare la eventuale carriera di stigmatizzato propria dello
psichiatrizzato, «nell'interesse dell'infermo e
della società», come è regolarmente scritto nel modulo di ordinanza. Ma è chiaro l'interesse della società che emargina; quello
dell'escluso è presunto, non accertato: né l'escluso, oggetto della
manipolazione medica cui segue l'atto giuridico, ha alcun potere contrattuale
per opporsi alla violenza emarginante esercitata sempre contro di lui all'atto del ricovero, appunto coatto, coercitivo.
Del resto, tranne i casi, pochi
(7,9%) di pericolosità a sé presunta od accertata, nei quali il provvedimento
sanitario-giuridico di emarginazione si compie apparentemente nell'interesse
del singolo, per preservarne la incolumità personale
e difenderlo da una eventuale autoaggressione, in
quasi tutti gli altri prevale la genericità di una pericolosità agli altri,
dunque sociale, il più delle volte soltanto presunta. Tutt'altro
che conciliati nella formula mistificatoria «nell'interesse dell'infermo e
della società» risulta invece evidente l'antagonismo
di interessi tra individuo e società, col sacrificio del deviante che come
tale è in rotta con il suo ambiente sociale, a favore della collettività,
dell'ordine pubblico. Basta un semplice, frettoloso e superficiale certificato
medico per imprimere il marchio di «infermo» (di «mente» si intende)
che non sarà facile in seguito cancellare. Questo è comunque,
o dovrebbe essere, il compito dei medici che hanno l'obbligo di gestire
l'emarginato: sancire «in nome della scienza» questa grave stigmatizzazione
che ha ripercussioni sociali (data la attuale cultura ancora dominante) note e
certamente gravi e pesanti per gli interessati (sino al 1968 iscritti nel
casellario penale).
D) Le tappe del
processo di emarginazione all'interno del manicomio
per sancire od escludere dal punto di vista medico-giuridico la «malattia di
mente» e la «pericolosità». Il procedimento «scientifico» dell'esclusione
Come cancellare o sancire il marchio
di psichiatrizzato, una volta varcata la porta del manicomio? Le tappe attraverso le quali, una volta
avviato mediante il ricovero coatto ed urgente, si continua il processo di esclusione, sono le seguenti: a) l'accettazione; b)
l'osservazione; c) la cura; d) la conclusione diagnostica finale (cui segue
l'uscita cioè la dimissione, oppure l'accettazione definitiva e la ulteriore
emarginazione nei reparti di lungodegenti, cioè la cronicizzazione) .
Vediamo meglio, sul piano della
degenza nella istituzione psichiatrica, il susseguirsi
del processo «scientifico» destinato a sancire o rimuovere la esclusione.
Raccontiamo brevemente come
l'escluso è sin dall'inizio in completa balia del medico, e come questi
esercita il suo potere ed assolve le sue responsabilità.
a) Accettazione all'ingresso
L'emarginato deve avere le carte in
regola per essere accettato dal medico di guardia: i documenti validi sono il
certificato medico e l'ordinanza della Questura o del Sindaco del paese che hanno provocato il suo internamento coatto. Può essere
rifiutato dal medico di guardia:
1) perché i documenti sono
incompleti, non corretti, scaduti. Nella nostra casistica, relativa a 920
ricoveri coatti in manicomio nel 1976, è stata evidenziata una percentuale del
4,6% di ricoveri in cui il medico di guardia non ha inteso esercitare il suo
potere di verifica, e per ragioni che si ignorano ha
invece benevolmente accettato l'emarginato anche senza «le carte in regola»;
2) perché il sanitario di guardia
rifiuta di essere complice della esclusione. Si tratta
di una posizione coraggiosa, che nel corso degli ultimi anni è assunta dai
medici di guardia con una frequenza crescente, che induce all'immediato rifiuto
di ricovero nella misura in cui risulta palese la non pericolosità (vecchiette,
bevitori, ecc.) ;
3) perché, cogli strumenti
«scientifici» derivanti dalla propria esperienza e capacità professionale o
specialistica, il medico di guardia è in grado di esercitare una consulenza e
di dichiararsi di parere contrario a quello del sanitario che ha avviata la emarginazione del soggetto. In tal caso il medico
compie una breve osservazione, raccoglie dati, e dimette il deviante anche
dopo pochissimo tempo dall'ingresso, cioè esercita
una vera «consulenza». Non si può tuttavia sorvolare sul fatto che questa
consulenza sia esercitata in «manicomio»; questo fatto
non è privo di risonanze negative per l'interessato. Si pensi al trauma e alla
violenza dell'essere preso controvoglia, spesso con forza, talora con l'inganno,
e forzatamente accompagnato (scortato) in manicomio. Si pensi a come la
famiglia dell'emarginato, o il caseggiato, o l'ambiente di lavoro
in cui è esplosa la crisi di follia ha vissuto e continua a vivere dopo la
dimissione, anche se rapida, il fatto che sia stato «portato in manicomio». Si
pensi comunque alla difficoltà che incontra chi è
stato emarginato anche solo per poche ore, a scrollarsi di dosso la «vergogna
sociale» che ciò comporta. Inoltre il «viaggio in manicomio» si accompagna
spesso ad una pubblicizzazione, data la clamorosità che in genere comporta (e gli organi di stampa
non mancano di ben orchestrarne gli elementi di maggior scandalosità
spesso a scapito della veridicità stessa). Non così il «viaggio di ritorno»
nella comunità, che pur significando una immediata o
rapida smentita della presunta pericolosità, avviene generalmente in modo
nascosto, intimo e privato. L'esordio è pubblico, la conclusione privata.
A nostro parere dovrebbe essere compito tassativo degli operatori di
zona provvedere, in termini di analisi-comprensione
del deviante in rapporto al suo ambiente, alla sua piena riabilitazione di fronte a quelle stesse persone (parenti, amici,
coinquilini, compagni di lavoro, ecc.) che hanno assistito o partecipato alla
sua emarginazione. L'atto terapeutico essenziale è appunto quello di fargli
riacquistare il suo valore sociale.
Per dare un'idea quantitativa del
fenomeno, nella nostra ricerca su 920 coatti nel 1976, il 4% è stato dimesso
prima delle 24 ore e il 5,7% entro le 24 ore; quindi in circa il 10% dei casi
si è verificata una delle tre ipotesi prima citate.
Ne deriva che una consulenza esercitata prima, e in modo
efficace ed adeguato a livello dei cariali di ricovero (guardia medica
permanente e pronto soccorso) avrebbe evitato il 10%
delle emarginazioni coatte della nostra casistica! Riprenderemo queste
considerazioni nelle conclusioni e verifica dei servizi di zona.
b) Accettazione e
ricovero
È quanto avviene oggi ancora nella maggioranza dei casi, dal momento che se è estremamente
facile e superficiale presupporre la
pericolosità (come si è visto) è assai difficile, e talora arduo, escluderla, come richiede la legge per
la dimissione.
Dovrebbe essere esaminata a fondo la
situazione di crisi dell'emarginato, presunto «infermo» per trarre da essa indicazioni sul tipo di aggressività (e quindi di
potenziale pericolosità) legata alla particolare situazione personale. Ma
questo tipo di analisi presuppone una serie di
condizioni che in pratica non possono essere presenti:
1) che il deviante che ha appena
sperimentato su di sé la violenza dei «sani» si apra ad un rapporto
chiarificatore basato sulla fiducia negli operatori della istituzione.
Come è possibile, dal momento che l'emarginato coatto
li coglie come gestori del potere escludente e repressivo implicito nella
coazione stessa? Tutt'al più il deviante può fingere di fronte alla violenza
istituzionale, cercando di adattarsi il più rapidamente possibile alle regole
istituzionali, e recitare la parte del «buono», «mite», ben adattato e perciò
non pericoloso che gli consentirà di ottenere in premio una rapida dimissione.
Il suo comportamento «ruffiano» sarà infatti servito
ad eliminare l'ansia della responsabilità che la legge 1904 impone al medico,
non certo a placare le sue angosce personali, che rispunteranno intatte e
irrisolte dopo la dimissione;
2) una seconda condizione sarebbe
che il deviante, soprattutto se ricoverato coatto in occasione di una crisi di aggressività, possa continuare a vivere (in ambiente
protetto) la sua situazione di crisi il più liberamente possibile,
estrinsecando in tal modo le problematiche stesse che ne sono all'origine. Ma ciò in pratica non accade mai in un manicomio, perché,
accolto nella promiscuità di un reparto accettazione, le sue crisi e la sua
aggressività turbano - anche qui come fuori - l'ordine e la relativa quiete del
reparto. Dunque ancora e sempre nell'interesse degli altri emarginati, che
hanno già a loro volta subito questo trattamento, il deviante in crisi deve
«essere sedato», cioè represso in tutte le sue più
significative estrinsecazioni vitali, anche se abnormi. Oggi il metodo di elezione è la repressione farmacologica,
che in talune occasioni di crisi più clamorose e tumultuose raggiunge forme
vicine all'annientamento (camicia di forza chimica) anche se le tradizionali
contenzioni fisiche sono sparite. Agenti di questa repressione sono i medici,
ma spesso il personale paramedico poco preparato a reggere l'ansia che la realtà angosciosa del deviante in crisi suscita
attorno a lui, esige la repressione-sedazione. Così
l'operazione di occultamento farmacologico
permetterà di dimettere «sedata» una persona che sul piano personale non ha
fatto alcuna esperienza di comprensione di sé, ma si è semplicemente sfogata
ed è stata in egual misura punita. Punizione
richiesta spesso dai parenti, avallata dal personale. Ma
allora, che cosa veramente può essere «osservato» e capito da parte degli
operatori? Non potendosi verificare nella prassi manicomiale del ricovero
coatto, della cura-custodia (antinomia irriducibile e inconciliabile) né la
fiducia del rapporto cogli operatori né la libertà di estrinsecare
una crisi, l'osservazione «scientifica» voluta dalla legge 1904 per un periodo
massimo di 30 giorni si compie in modo estremamente ambiguo e contraddittorio.
c) Osservazione
Sulla scientificità di un metodo
basato sulla fugacità di talune osservazioni, su colloqui i cui risultati sono
poco dialettizzabili data la
situazione di potere zero in cui si trova il coatto e le difficoltà di
compiere indagini extraospedaliere micro e macro
sociali che soltanto la difficile pratica sociale esterna consente, si debbono
avanzare seri dubbi. Si potrebbe pensare che il metodo oggettivante della
«osservazione» centrata sull'emarginato isolato dal suo contesto
sociale, renda lungo e difficile il periodo di osservazione stessa. Invece
nonostante la manifesta inadeguatezza del metodo usato il
numero delle osservazioni di breve durata è piuttosto considerevole.
Infatti nella nostra ricerca, su 920 coatti
nel 1976:
4,0% sono dimessi prima delle 20 ore
5,7% sono dimessi entro le 24 ore
4,0% sono dimessi entro due giorni
2,7% sono dimessi entro tre giorni
1,3% sono dimessi entro quattro giorni
2,1% sono dimessi entro cinque giorni
2,3% sono dimessi entro sei giorni
2,0% sono dimessi entro sette giorni
1,7% sono dimessi entro otto giorni.
Quindi il 16,1% è stato dimesso dopo
una osservazione breve (entro otto giorni). Questo
dato sale al 25,8% se si somma alle osservazioni brevissime (consulenze) di
meno di 24 ore.
Dunque, almeno una persona su
quattro avrebbe potuto essere sottratta alla emarginazione
coatta se fosse stato compiuto in zona un minimo intervento alternativo al
ricovero o di consulenza o di presa in carico corretta. La pericolosità
presunta all'atto del ricovero viene praticamente smentita da questi ricoveri
brevi, o comunque ne viene dimostrata la fugacità.
d) La cura
Esula certamente
dalle possibilità della presente indagine socio-statistica sulla emarginazione il dato della
cura. Tuttavia gli operatori che hanno condotto questa ricerca hanno alle loro
spalle una lunga pratica di manicomio, anche-se da anni operano nel territorio,
e oggi ancora molti di loro hanno occasione di verificare spesso la attuale prassi manicomiale. Pertanto saranno esposte brevemente alcune considerazioni sulla cura
riservata agli emarginati in manicomio. Senza dubbio il problema della cura,
in una istituzione deputata per legge alla gestione di
esclusi-coatti, è mal posto. La tradizionale antitesi
tra custodia e cura, tra repressione e liberazione, oggi ancora rende ambigua
e mistificante qualsiasi operazione all'interno del manicomio. Poiché oggi viene posto l'accento (per esempio anche nell'attuale
progetto di legge di riforma sanitaria) sulla «continuità terapeutica» al
momento del ricovero, è su questo, e non sul già discusso aspetto psicocontentivo e sedativo delle cure psichiatriche che
intendiamo soffermarci.
Il termine «continuità terapeutica»,
mutuato dalla politica assistenziale di «settore», dovrebbe
alludere al fatto che lo stesso gruppo operativo (équipe)
garantisce la continuità di intervento allo stesso utente sia fuori che dentro
l'ospedale (psichiatrico). Questo ha significato il superamento in positivo della tradizionale separatezza
tra luogo deputato alla esclusione (manicomio), e l'ambiente esterno (come la
situazione torinese sino al 1971). Se si attua la continuità
terapeutica l'utente che ha già stabilito un rapporto di fiducia con operatori
di una équipe, non viene da questi abbandonato e
affidato alla gestione repressiva dell'istituzione manicomiale. Tuttavia, se
attuata come politica di «settore» e non come reale alternativa
al manicomio, quindi appunto secondo il modello francese, la continuità
terapeutica è gravida di elementi mistificatori che si intende denunciare:
1) il luogo della continuità
terapeutica intraospedaliera è luogo di pesante
emarginazione ed esclusione, e come tale antiterapeutico; quale terapia può
dunque esservi continuata?;
2) la violenza implicita se non
esplicita in ogni ricovero coatto, ha infranto e certamente reso critico il
preesistente rapporto di fiducia con l'équipe
curante;
3) la persona coatta è di fatto gestita per 24 ore su 24 da personale interno
della istituzione. Si tratta di operatori legati alla
situazione e alle dinamiche tipiche del reparto chiuso (repressione, attività
tese a realizzare un veloce e buon adattamento istituzionale, farmaci usati a
scopo essenzialmente sedativo). Le ipotesi di intervento
«alternativo» e non repressivo da parte delle équipes
di zona si scontrano per lo più col «manicomialismo»
dell'infermo, a meno che il manicomialismo di cui la
stessa équipe esterna è ancora portatrice non si
allei con l'ideologia degli operatori interni, condizionati dalla violenza
istituzionale stessa;
4) l'ospedalizzazione, eufemismo nel
caso della emarginazione manicomiale, non può in questo
caso essere considerata un normale episodio di «malattia» e di «cura», per le
sue caratteristiche particolari di repressione e di violenza nonché di stigmatizzazione. Come è dunque
possibile usarla come parte integrante di una continuità terapeutica?
Soltanto lo smantellamento del
manicomio, l'uso da parte delle équipes di zona di strutture alternative non psichiatriche e non emarginanti
consentirà di attuare veramente la continuità terapeutica. Proprio a ciò
allude il recente progetto di riforma sanitaria (art. 30) che segna anche la
fine della visione ospedalocentrica dell'intervento
psichiatrico.
e) La conclusione diagnostica finale
Il periodo di «osservazione» si conclude per le persone emarginate coatte di solito anche
prima dei trenta giorni concessi dalla legge 1904. Generalmente avviene una
sorta di assoluzione per insufficienza di prove, e cioè
un giudizio medico di «non competenza di ricovero». Talora il ricovero
continua con la trasformazione da coatto a «volontario»
consentita dall'art. 4 della legge psichiatrica 431 del 1968. Ciò
significa che il «malato di mente» internato secondo la legge manicomiale del
1904, continua ad essere emarginato nello stesso reparto, ma in modo apparentemente
più dignitoso: è ora considerato consenziente al ricovero, «paziente
psichiatrico» curato in ospedale psichiatrico
(secondo la terminologia più moderna propria della legge del 1968).
Per la diagnosi si ricorre comunque, in modo più o meno ambiguo, alla vecchia
etichettatura (quella stessa alla quale ci si è riferiti nel corso di questa
ricerca per le «principali forme diagnostiche all'ingresso»). Si tratta dei
concetti descrittivi e classificatori della psichiatria tedesca kraepeliniana fine '800.
Del resto a ciò sono costretti anche
i medici più innovatori, perché la nuova psichiatria ha prodotto la lotta alla emarginazione e la cura nella libertà e nella comunità,
non certamente un nuovo e aggiornato sistema di etichette.
Tuttavia queste etichette più o meno mistificatorie a cui si fa ricorso a norma di
legge, si aggiungono e si sommano costantemente alla stigmatizzazione
propria della emarginazione manicomiale, facendo del malato «di mente» una
sorta di deviante cronico, e per la cultura dominante oggi ancora (anche
medica) uno che non guarisce più, esposto a ricadute, un invalido psichico che
dovrà curarsi per tutta la vita, che dovrà dipendere dagli psichiatri, dalle
case di cura o ospedali psichiatrici, o nella migliore delle ipotesi dagli
psicofarmaci.
Questo per non dire della profonda
angoscia, spesso all'origine di ricadute e di gravi crisi di disperazione, che
la scoperta di essere portatore di una «malattia
mentale» comporta per l'interessato, soprattutto oggi che abbondano le enciclopedie
mediche e i mezzi televisivi che spiegano meglio il tragico significato delle
etichette psichiatriche tradizionali, mentre è ancora troppo debole la voce
demistificante della nuova psichiatria o della antipsichiatria.
Ed infine non si dimentichi che
anche coloro che sono stati dimessi per non
competenza, cioè assolti, continuano a ricordare angosciosamente l'esperienza
del ricovero come fanno le persone che sono state incarcerate senza essere
colpevoli (in attesa di giudizio).
f) La dimissione o il
passaggio alla lungodegenza
La nostra ricerca indica che, su 920
emarginati coatti nel 1976, il 74,2% ha subito una osservazione
superiore agli otto giorni. Manchiamo di dati relativi al
protrarsi della degenza. Sulla scorta dei dati parziali e di verifiche
personali di qualcuno di noi, possiamo comunque
affermare che oggi, come già nel 1976, sono relativamente pochi i casi che
permangono emarginati in manicomio oltre il limite dei trenta giorni. Si
tratta allora prevalentemente di casi non psichiatrici (senili,
handicappati anche fisici, persone senza casa e lavoro, ecc.).
La tendenza attuale, di trattare
queste persone nello stesso reparto accettazione che le ha accolte al loro
ingresso, se da un lato ne impedisce la cronicizzazione intesa come passaggio
ai reparti di lungodegenti, dall'altro ha finito per alterare la fisionomia del
reparto accettazioni, accentuandovi la promiscuità di persone
ma soprattutto di problemi (situazioni psichiatriche acute, situazioni
meramente socio-economiche, persone bisognevoli solo di assistenza geriatrica,
ecc.) e pertanto rendere sempre più difficile qualsiasi tipo di operatività.
Un tempo invece il reparto di accettazione alimentava gli altri reparti, selezionando
gli emarginati, che venivano distribuiti nelle sezioni secondo vari tipi di
«gravità», sancita dai medici. Ne derivava uno schema di distribuzione simile
ad una catena di montaggio ma inverso rispetto alla logica produttivistica. Più
ci si allontanava dall'origine (il bel reparto accettazione), peggiori erano i
reparti (più luridi come strutture murarie e più intasati di cronici
deteriorati dalla lunga istituzionalizzazione); in genere il reparto peggiore
era anche l'ultimo della tragica catena distributiva del lager manicomiale, quello adiacente «all'uscita per il camino» cioè la camera
mortuaria, che concretizzava la produzione manicomiale.
Certamente oggi l'accettazione fa
generalmente da filtro verso la ulteriore emarginazione
(passaggio a lungodegenza): lo testimoniano la diminuzione
della popolazione manicomiale complessiva, che continua a decrescere di anno
in anno dal 1968. Questo fatto è dovuto da un lato
alla politica di dimissioni, talora anche solo di travaso in altri istituti
para-manicomiali, ma certamente anche al mancato «rifornimento» ai reparti
cronici da parte delle varie accettazioni (zonizzate).
Un altro elemento che deve essere valutato è la tendenza attuale a dimettere
più facilmente, spezzettando i ricoveri, tendenza che la
minore responsabilizzazione degli operatori medici consentita dalla
legge del 1968 favorisce (art. 4), oltre ad una evidente difesa dei diritti
dell'interessato.
ÉQUIPES PSICHIATRICHE DI ZONA: FILTRO
ALL'EMARGINAZIONE?
A) Verifica
dell'azione di filtro da parte dei presidi socio-sanitari extra-ospedalieri e
in modo particolare delle équipes psichiatriche di zona
istituite dalla Provincia
Una serie successiva di elaborazioni è approdata nel corso dell'ultimo decennio
a un piano regionale e definitivo di zonizzazione della provincia di Torino e
di tutta la regione. Il comune di Torino è oggi suddiviso in
23 zone, corrispondenti ai quartieri, e futuro ambito delle unità locali.
Il restante territorio provinciale è suddiviso in altre 21 zone (agglomerati di
Comuni), ambito di future U.L. In tutto quindi 44
zone. Già abbiamo ricordato nella parte introduttiva che, a
partire dall'inizio del
Nelle tabelle che seguono sono
esposti in sintesi i dati più significativi: la zona
e per la città, anche il quartiere corrispondente, il numero di abitanti per
zona, e correlativamente, il numero di ricoveri
coatti desunti dalla nostra casistica rapportato a 1.000 abitanti. Inoltre
sempre per ciascuna zona, la presenza o meno dell'équipe
psichiatrica dotata di ambulatorio o di altri presidi
psichiatrici.
La lettura critica e la comparazione
di questi dati rappresenta la parte conclusiva e crediamo più originale della
presente ricerca, che come abbiamo già ricordato nelle premesse, si sforza di
contribuire soprattutto alla verifica della reale incidenza nella lotta
all'emarginazione psichiatrica coatta dei servizi di zona alternativi gestiti attualmente dalla Provincia di Torino.
a) Situazione di
Torino città nel 1976:
U.L. |
Quartiere |
Abitanti |
R.
coatti % |
Equipe |
Presidi
territoriali |
1 |
Centro |
67.472 |
1,08 |
si |
ambulatorio |
2 |
S. Salvario |
51.381 |
0,48 |
si |
ambulatorio - ospedale diurno - centro socioterapico |
3 |
Crocetta |
54.297 |
0,63 |
si |
ambulatorio |
4 |
S. Paolo |
42.114 |
0,36 |
si |
ambulatorio |
5 |
Cenisia |
58.093 |
0,19 |
si |
ambulatorio |
6 |
S. Donato |
64.208 |
0,36 |
si |
ambulatorio |
7 |
Aurora |
56.109 |
0,46 |
si |
ambulatorio - gruppo attività ricreative gruppo attività ricreative |
8 |
Vanchiglia |
46.741 |
0,56 |
si |
ambulatorio |
9 |
Nizza Millefonti |
41.158 |
0,61 |
si |
ambulatorio |
10 |
Lingotto |
65.359 |
0,05 |
si |
ambulatorio |
11 |
S. Rita |
80.136 |
0,44 |
si |
ambulatorio |
12 |
Mirafiori Nord |
58.225 |
0,17 |
si |
ambulatorio |
13 |
Pozzo Strada |
71.874 |
0,19 |
si |
ambulatorio |
14 |
Parella |
60.455 |
0,31 |
si |
ambulatorio - centro diagnostico |
15 |
Vallette |
51.842 |
0,21 |
si |
ambulatorio |
16 |
M. Campagna |
49.529 |
0,32 |
si |
ambulatorio |
17 |
B. Vittoria |
50.712 |
0,47 |
si |
ambulatorio |
18 |
B. Milano |
59.845 |
0,55 |
si |
ambulatorio - casa-famiglia interzonale |
19 |
Falchera |
32.287 |
0,59 |
collegata alla Zona 20 alla Zona 2020 |
|
20 |
R. Parco |
36.253 |
0,80 |
si |
ambulatorio |
21 |
M. Pilone |
18.121 |
0,11 |
collegata alla Zona 8 |
|
22 |
Cavoretto |
28.283 |
0,21 |
collegata alla Zona 2 |
|
23 |
Mirafiori Sud |
52.113 |
0,12 |
si |
ambulatorio |
Come sì può notare dalla tabella, la
percentuale di ricoveri coatti, riferiti a mille abitanti, varia sensibilmente
per ogni zona. Massima al centro (oltre il doppio della media cittadina, che è
dello 0,41‰), molto bassa nelle due zone collinari (U.L.
21 e U.L. 22). La più bassa incidenza si nota nella
zona Lingotto (U.L. 10 - 0,05) e, generalmente, nei
quartieri di TO Sud Mirafiori (U.L.
12 e U.L. 23) e nei quartieri adiacenti (U.L. 5, U.L. 13, U.L. 14) corrispondenti al centro-ovest.
Osservando in maniera più
dettagliata le due situazioni estreme si può
constatare che tutta la zona sud ha un indice di ricoveri coatti sensibilmente
minore delle altre, mentre il centro storico ha un indice di emarginazione
molto elevato al confronto. Questi dati saranno successivamente
confrontati con altri elementi (composizione delle équipes,
tempo medico, esistenza di particolari canali di ricovero in zona). Si possono però già fare alcune affermazioni:
1) poiché tutte le zone cittadine risultano «coperte» da una équipe
psichiatrica, non è possibile ritenere che la maggiore incidenza di emarginazione
coatta per talune zone sia dovuta all'assenza del servizio. Se mai si constata
che le due zone collinari (U.L. 21 e U.L. 22) che fanno riferimento ad ambulatori di altre zone (U.L. 8 e U.L. 2) hanno una bassa incidenza di ricoveri coatti. Né si
può affermare che le due équipes di riferimento U.L. 8 e U.L. 2 abbiano una particolare efficacia nel lavoro di protezione contro
il ricovero (filtro) dal momento che hanno entrambi un indice di emarginazione
coatta piuttosto elevato. È quindi molto probabile, anche se non verificabile coi dati della presente ricerca, che i dati relativi alla
zona collinare siano imputabili l ceto sociale (collina come luogo residenziale
delle classi più agiate e con un residuo di piccoli coltivatori diretti) ;
2) il dato complessivo della zona TO
sud, che presenta la minore incidenza di emarginazione
coatta, potrebbe essere spiegato col fatto che tale zona (Mirafiori,
Lingotto) è per eccellenza la zona FIAT, anche se non mancano altri importanti
stabilimenti del grande complesso torinese in altre zone della città e cintura,
con una concentrazione di popolazione relativamente giovane, per cui la stabilità
lavorativa è certamente fattore di integrazione. Sul basso tasso di emarginazione coatta incide il fatto che la devianza
viene da tempo incanalata verso le case di cura private, particolarmente aperte
agli utenti FIAT.
- nativi del nord 49,1%
- nativi del centro 8,8%
- nativi del sud e isole 42,1 %
e confermano la consistenza
dell'ondata immigratoria tipica della situazione torinese, anche se la quota
di meridionali emarginata coattivamente è di poco eccedente la media cittadina
(38,7% di meridionali ricoverati coattivamente);
3) il dato complessivo relativo al
centro storico è significativamente il più elevato (1,08 ogni mille
abitanti!). È questa la zona dove 'prevalgono
notoriamente le contraddizioni socio-urbanistiche, la zona dove più si
raccolgono i devianti futuri emarginati, la zona dove prevalgono le
sistemazioni precarie sia di lavoratori delle campagne, sia di immigrati, zona
che la popolazione agiata torinese abbandona sempre di più a favore di altre
sistemazioni residenziali.
Se si confrontano con i dati già
segnalati per
Per quanto concerne i dati
complessivi delle zone centro (U.L. 1, U.L. 5, U.L. 6 e U.L. 7) vi sono:
- nativi del nord 54,0%
- nativi del centro 7,3%
- nativi del sud e isole 38,7%
La quota significativamente più alta
a carico dei settentrionali, superata soltanto dalla zona Crocetta collina
(69,4%) e dalla prima cintura (73,1%) e dalla seconda cintura
(88,9%) non fa che rispecchiare l'andamento storico degli insediamenti
migratori. Relativamente al centro storico restano
ovviamente radicate in zona soprattutto persone anziane, precari, a debole potere
contrattuale (anche se indigene) e pertanto a più alto rischio di
emarginazione.
b) Situazione di Torino
provincia nel 1976:
U.L. |
Comune
sede di équipe |
Abitanti |
R.
coatti % |
Equipe |
Presidi
territoriali |
24 |
Collegno |
76.679 |
0,39 |
si |
ambulatorio |
25 |
Rivoli |
54.659 |
0,35 |
si |
ambulatorio |
26 |
Pianezza |
59.433 |
0,32 |
si |
ambulatorio |
27 |
S.
Maurizio C. |
70.887 |
0,32 |
- |
- |
28 |
Settimo
Torinese |
68.130 |
0,12 |
si |
ambulatorio |
29 |
S. Mauro |
29.793 |
0,23 |
si |
ambulatorio |
30 |
Chieri |
56.854 |
0,28 |
si |
ambulatorio - reparto neuropsichiatr. |
31 |
Carmagnola |
25.634 |
0,66 |
- |
- |
32 |
Moncalieri |
75.691 |
0,30 |
- |
- |
33 |
Nichelino |
66.579 |
0,23 |
- |
- |
34 |
Orbassano |
56.399 |
0,57 |
- |
- |
35 |
Giaveno |
22.682 |
0,18 |
- |
- |
36 |
Avigliana/Susa |
71.352 |
0,50 |
- |
- |
37 |
Lanzo |
26.133 |
0,27 |
- |
- |
38 |
Castellamonte |
57.670 |
0,21 |
si |
ambulatorio |
39 |
Chivasso |
68.080 |
0,22 |
si |
ambulatorio |
40 |
Ivrea |
53.840 |
0,37 |
si |
ambulatorio - reparto neuropsich.
- centro pre-dimissioní |
|
|
|
|
|
|
41 |
Caluso |
88.888 |
0,06 |
- |
- |
42 |
Perosa |
40.858 |
0,07 |
- |
- |
43 |
Torre Pellice |
21.777 |
0,41 |
si |
ambulatorio |
44 |
Pinerolo |
109.501 |
0,10 |
si |
ambulatorio - reparto neuropsichiatr. |
Qui si impongono
alcune considerazione molto semplici:
1) la media delle emarginazioni
coatte per mille abitanti è di 0,33 per la prima cintura e di 0,22 per il resto
della provincia. Ciò conferma con evidenza il decrescere del rischio di emarginazione dal centro alla periferia del territorio
provinciale (centro urbano, periferia agricola e montana) ;
2) se si considera il luogo di
nascita delle persone emarginate coatte nel 1976, si hanno i seguenti dati:
prima cintura (U.L.
24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34) :
nord 73,1%
centro 2,0%
sud e isole 24,9%
resto provincia (U.L.
35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44) :
nord 88,9%
centro 0,0%
sud e isole 11,1%
Ciò conferma come due fattori, il
radicamento nel territorio di origine e il tipo di
lavoro (più agricolo) si oppongono alla emarginazione;
3) se si considera la diversità, qui
evidente, tra zone coperte dal servizio psichiatrico extraospedaliero e le
zone che - per lo meno nel 1976 ne erano prive - si
hanno i seguenti dati:
prima cintura:
zone con équipes 0,28‰ ricoveri coatti
zone senza 0,41‰ ricoveri coatti
resto provincia:
zone con équipes 0,26‰ ricoveri
coatti zone senza 0,21‰ ricoveri coatti
Se ne potrebbe dedurre che, almeno
per la prima cintura, l'azione di filtro contro la emarginazione
coatta esercitata dalle équipes psichiatriche si fa
sentire; non così per le altre zone della restante provincia. Ma queste possibili considerazioni vanno meglio analizzate;
4) per quanto concerne la prima cintura,
il dato significativamente più basso si ha per
Per le restanti zone appaiono significativamente elevate le emarginazioni coatte della U.L. 31 (Carmagnola) e U.L. 34 (Orbassano) entrambe
sprovviste di servizi, più vicine alla media le altre;
5) l'unica zona dotata oltre che di ambulatorio anche di un reparto neuropsichiatrico
aperto (Chieri) si discosta di poco (0,28%) dalla media
della prima cintura (0,33). Ciò significa probabilmente che lo sforzo degli
operatori di quel servizio è stato concentrato su altri obiettivi più che non
sull'azione di filtro, pur avendo a disposizione un reparto con un esiguo
numero di posti letto (16).
B) Composizione delle équipes di zona e protezione esercitata sulla
emarginazione coatta in manicomio
Nella tabella che segue, relativa a
Torino città, sono esposti successivamente i dati
relativi alla zona, al numero di medici operanti nelle équipes
(viene segnalata la insufficienza di tempo medico qualora risulti inferiore al
minimo invocato dalle Organizzazioni sindacali CGIL - CISL - UIL ed AMOPI in un
documento del luglio 1976, cioè 25 ore settimanali), il numero delle assistenti
sociali e sanitarie, educatori, infermieri, psicologi ed infine viene indicata
la provenienza degli operatori delle équipes
psichiatriche. 11 primo dato è per mille dei ricoveri coatti per ciascuna U.L.
Tabella Torino città.
Composizione équipe psichiatrica:
‰ |
U.L. |
Medico |
Ore |
Ass. soc. |
Ass. san. |
Educatori |
infermieri |
Psicologi |
Provenienza |
1,08 |
1 |
2 |
11½ |
1 |
- |
- |
5 |
1 |
O.P. |
0,48 |
2 |
2 |
|
2 |
- |
- |
9 |
- |
inf. O.P. |
0,63 |
3 |
1 |
8 |
1 |
1 |
2+2 |
- |
1+1 aiut. |
Prov. CIM |
0,36 |
4 |
2 |
|
2 |
2 |
- |
- |
1 |
Prov. CIM |
0,19 |
5 |
1 |
15 |
- |
- |
- |
6 |
- |
O.P. |
0,36 |
6 |
1 |
10 |
1 |
_ |
- |
2 |
- |
O.P. |
0,46 |
7 |
1 |
20 |
1 |
- |
2+11 |
5 |
- |
O.P. |
0,56 |
8 |
1 |
15 |
1 |
_ |
- |
5 |
1 |
O.P. |
0,61 |
9 |
1 |
|
2 |
- |
2 |
- |
1 |
O.P. |
0,05 |
10 |
3 |
22 |
1 |
- |
- |
3 |
1 aiut. |
O.P. |
0,44 |
11 |
2 |
8 |
1 |
- |
- |
5 |
- |
O.P. |
0,17 |
12 |
2 |
|
1 |
- |
2 |
5 |
- |
O.P. |
0,19 |
13 |
1 |
|
1 |
- |
- |
- |
- |
Prov. CIM |
0,31 |
14 |
2 |
|
- |
2 |
- |
- |
1 + 1 aiut. |
Prov. CIM |
0,21 |
15 |
3 |
10 |
1 |
- |
- |
3 |
- |
O.P. |
0,32 |
16 |
1 |
10 |
1 |
- |
- |
- |
1 vol. |
O.P. |
0,47 |
17 |
2 |
22 |
1 |
- |
- |
4 |
1 |
O.P. |
0,55 |
18 |
2 |
|
1 |
- |
- |
7 |
1 |
O.P. |
0,59 |
19 |
1 |
|
1 |
- |
- |
5 |
- |
O.P. |
0,80 |
20 |
U.L. |
19 |
|
|
|
|
|
|
0,11 |
21 |
U.L. |
8 |
|
|
|
|
|
|
0,21 |
22 |
U.L. |
2 |
|
|
|
|
|
|
0,12 |
23 |
2 |
14 |
1 |
|
|
5 |
1 |
O.P. |
N.B. - Gli spazi bianchi nella casella del tempo medico sono
superiori alle 25 ore settimanali.
Emerge chiaramente dalla tabella la
disastrata situazione dell'assistenza psichiatrica territoriale, la distribuzione certamente irrazionale, quasi a caso dei
vari operatori. Segnaliamo tra i molti alcuni elementi più significativi:
1) la maggioranza delle équipes cittadine è composta da
personale «distaccato» a norma del protocollo d'intesa del luglio 1973 al quale
si è fatto cenno nelle premesse, cioè proveniente dal manicomio. Data la
situazione intraospedaliera psichiatrica che prevede
un organico di molti infermieri (1 per tre posti letto secondo la legge 1968),
di medici (circa 3 ogni 125 posti letto), di poche assistenti sociali (1 ogni
cento posti letto) e pochissimi psicologi (1 per ospedale secondo la legge del
'68), non ci si deve meravigliare se le équipes di zona rispecchiano questa composizione e una
certa analogia con la situazione del personale del reparto. Si è infatti proprio cercato di utilizzare il personale già esistente,
trovatosi esuberante (il personale paramedico soprattutto) parallelamente al
decongestionamento della popolazione manicomiale dal
Si deve allora ritenere che l'impiego
di personale a provenienza manicomiale, lungi dal favorire
la lotta all'emarginazione, abbia invece esportato ideologia custodialistica? Che l'uscita dal manicomio abbia
disincentivato gli operatori a intraprendere azione di
filtro («fuga dal manicomio») ? Che la composizione delle équipes
di minima prevista dal protocollo sia così carente da
frustrare ogni valida possibilità operativa? Che la
scarsità di tecnici qualificati (medici-psicologi) renda difficile o
impossibile l'azione di filtro?
Queste domande saranno riprese nella
parte conclusiva. Tuttavia un primo elemento di verifica
è subito possibile. Se si considera l'équipe più
dotata di operatori e mezzi,
2) se si considerano le équipes che si sono formate dallo smembramento dei C.I.M. (U.L. 3, U.L. 4, U.L. 13, U.L. 14) si nota in esse la completa
mancanza di infermieri (che pertanto risultano tutti di provenienza
manicomiale) a favore di altri operatori (educatori specializzati, assistenti
sanitarie, psicologi). Su quattro équipes, si può
soltanto segnalare che l'équipe più dotata di operatori,
3) un cenno a parte meritano gli
«educatori» (provenienti dalla Provincia e dallo smantellamento
dell'Istituto Mainero) inseriti in 4 équipes, e gli psicologi inseriti in 11 équipes. Questi operatori danno certamente un indispensabile contributo alla multidisciplinarietà
dell'équipe, e ne allargano considerevolmente il
campo dei possibili interventi. Ma, nella fase attuale, e con la legislazione
tuttora vigente (1904) il potere di emarginare (e
probabilmente anche quello di opporsi con successo alla emarginazione) resta
ai medici. Ed è piuttosto impressionante notare la esiguità
del tempo medico nella maggioranza delle équipes (12
su 20). Anzi, su 16 équipes in cui operano medici del
manicomio, ben 11 presentano una più o meno grave
carenza di tempo medico. La ragione principale di questo fatto è da ricercarsi
nell'impegno che tutti questi medici conservano in ospedale psichiatrico
(gestione dei reparti manicomiali e gravosi turni di guardia per i non
primari). Il lavoro d'insieme, di gruppo, si fa così problematico,
frammentario, le possibilità di intervento medico si riducono e concentrano
spingendo i medici ad operare secondo un modello ambulatoriale sempre più simile
al deprecabile modello «mutualistico».
Tabella Torino
provincia. Composizione équipe psichiatrica:
‰ |
U.L. |
Comune |
Medico |
Ore |
Ass. soc. |
Ass. san. |
Educ. |
Inferm. |
Psicologi |
Provenienza |
0,39 |
24 |
Collegno |
6 |
|
1 |
1 |
- |
6 |
1 + A |
O.P. |
0,35 |
25 |
Rivoli |
3 |
|
- |
- |
- |
(10) 5 |
- |
0. P. |
0,32 |
26 |
Venaria |
1 |
12 |
- |
- |
- |
3 |
- |
0, P. |
0,32 |
27 |
Ciriè |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,12 |
28 |
Settimo |
1 |
25 |
1 |
|
|
5 |
- |
O.P. |
0,23 |
29 |
S. Mauro |
1 |
25 |
- |
|
|
4 |
1 +A |
O.P. |
0,28 |
30 |
Chieri |
4 |
|
3 |
|
|
- |
1 |
Prov. |
0,66 |
31 |
Carmagnola |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,30 |
32 |
Moncalieri |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,23 |
33 |
Nichelino |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,57 |
34 |
Orbassano |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,18 |
35 |
Giaveno |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,50 |
36 |
Avigliana/Susa |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,27 |
37 |
Lanzo |
- |
|
- |
|
|
|
|
|
0,21 |
38 |
Cuorgné/ Castellamonte |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
1 |
? |
2 |
|
1 erg. |
- |
- |
Prov. |
|
0,22 |
39 |
Chivasso |
1 |
8 |
1 |
|
- |
3 |
- |
O.P. |
0,37 |
40 |
Ivrea |
7 |
|
8 |
|
- |
- |
2+8 op. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
2 psic. |
Prov. |
0,06 |
41 |
Caluso |
- |
|
|
|
|
|
|
|
0,07 |
42 |
Perosa |
- |
|
|
|
|
|
|
|
0,41 |
43 |
Torre Pellice |
1 |
? |
- |
1 |
- |
- |
1 |
Prov. e |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
C. Montana |
0,10 |
44 |
Pinerolo |
7 |
|
3 |
- |
- |
- |
1 |
Prov. |
La tabella precedente, relativa alla
Provincia, non fa che dimostrare come la situazione delle équipes
di zona (insediamento, numero operatori) sia ancora peggiorativa rispetto alla
già disastrata situazione cittadina evidenziata.
Per la prima cintura (U.L. 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34) si trovano impiantate sei équipes
(cinque le zone scoperte). Di queste, cinque équipes
sono state formate da operatori staccati dal manicomio a norma del protocollo di intesa del 1973. Una sola, quella di Chieri,
era già stata allestita direttamente dalla Provincia negli anni precedenti e
dotata di un repartino ospedaliero aperto. Non pare
tuttavia che la possibilità di usufruire di un presidio ospedaliero abbia
determinato una particolare azione di filtro nei confronti della
emarginazione coatta, se non in misura modesta. Il confronto con le zone
sguarnite di équipes, dimostra infine valori molto
diversi per
Le équipes,
se presenti, hanno una composizione che o si avvicina
o supera il concetto di équipe di minima; ma anche
questo non sembra determinare una particolare azione di filtro, tranne che per
Se poi si considera il resto della
provincia, cinque zone sono prive di qualsiasi servizio psichiatrico zonale.
Per le altre cinque zone la situazione è molto
diversa: Ivrea ha un servizio ricco di presidi diversi (ospedale, centro di predimissione) e un numero relativamente elevato di medici
e psicologi, ma un indice di emarginazione coatta relativamente elevato (0,37);
Pinerolo ha un elevato numero di medici e dispone di
un reparto neuropsichiatrico aperto, e l'indice di
emarginazione coatta è molto basso (0,10); Cuorgné è
dotata di un servizio che pare molto fragile, come quello di Torre Pellice, ma la differenza coatta fra le due zone è
notevole, e decisamente minore per la prima.
Se infine si considerano le zone
scoperte, zone limitrofe, come Giaveno
e Avigliana-Susa presentano indici molto differenti. Chivasso, con una équipe parziale
e con poche ore mediche, presenta valori piuttosto bassi. Infine le U.L. 41 e 42 hanno valori quasi insignificanti. È dunque estremamente difficile, alla luce di questi dati, invocare
come determinanti la presenza e la composizione ottimale di équipes
psichiatriche nella azione di filtro contro il ricovero coatto. Comunque gli elementi di cui disponiamo per la presente
ricerca sono insufficienti per una approfondita verifica.
C) Le équipes psichiatriche di zona e la presenza dei canali di emarginazione sul territorio. Dati e considerazioni.
Intendo per «canali» di emarginazione quel presidio, o quella struttura che ha il
potere di selezionare degli utenti e di promuovere la emarginazione coatta in
manicomio a norma della legge psichiatrica del
Equipe Canale di emarginazione Coatti
U. L. 1 Guardia medica permanente 24,6%
Ospedale
San Giovanni Vecchio 2,0%
U.L. 3 Ospedale
Mauriziano 1,1%
C.I.M. 0,5%
U.L. 6 Pronto
soccorso Maria Vittoria 2,3%
Ospedale
Maria Vittoria 0,8%
U.L. 7 Astanteria
Martini - via Cigna 2,2%
Ospedale
Cottolengo 0,5%
U.L. 9 Ospedale
Molinette 10,0%
Pronto
soccorso Molinette 4,0%
C.T.O. 0,2%
Sant'Anna 0,1%
U.L. 11 Ospedale
Militare 3,0%
U.L. 13 Astanteria
Martini - via Tofane 0,5%
U.L. 21 Istituto
Geriatrico - corso Casale 0,2%
U.L. 23 Istituto
Ferrante Aporti 0,1%
U.L. 24 Casa
di cura Villa Cristina 0,7%
U.L. 30 Istituto
Eremo 0,1%
U.L. 34 Ospedale
San Luigi 0,5%
U.L. 38 Istituto
Fatebenefratelli 0,1%
U.L. 40 Ospedale
Civile di Ivrea 2,2%
Totale 55,7%
La tabella suddetta dà idea
eloquente dei principali canali di ricovero quasi la metà dei ricoveri
considerati nella tabella sono a carico della Guardia
medica permanente (24,6%) che ha sede nella zona dell'équipe
U.L. 1, anche se opera in tutta la città. L'ospedale
Maggiore (Molinette) ricovera il 10% dei casi
esaminati.
Evidentemente le équipes
di zona non sono in grado di agire in modo efficace sui canali indicati, né
sono state messe in grado di farlo fino al momento attuale.
Manca una precisa linea di intervento, ma soprattutto
la esiguità delle loro forze (si noti per es. la composizione dell'équipe U.L. 1 colle sue 11½ ore mediche! o
della U.L. 9 priva di infermieri!) non consente nemmeno
di tentare interventi di presenza e consulenza specifica nelle strutture o nei
presidi sanitari nei quali prende l'avvio il processo di emarginazione coatta.
Se ne deduce, e lo vedremo meglio nelle conclusioni, che il potere politicoamministrativo
non ha inteso o comunque non ha potuto assumere con la
fermezza e i mezzi necessari l'azione di filtro e di protezione contro la
emarginazione coatta in manicomio, né dare alle équipes
tale mandato antiistituzionale né fornire loro uomini
e mezzi necessari.
Il dato di per sé relativamente
esiguo dei casi emarginati coatti da parte delle équipes
di zona (1,1%) nulla dice se non rapportato ai dati su esposti, che testimoniano
la impotenza attuale dei servizi di zona nei confronti
delle condizioni emarginanti.
EMARGINAZIONE: IL RUOLO DEI MEDICI
La legge 1904 nelle sue modalità già
ricordate affida ai medici in base ad una qualsiasi presumibile forma di
pericolosità o di pubblico scandalo il potere di decidere ed avviare il
processo di esclusione.
Redatto il certificato medico che sottolinei anche l'urgenza, il potere giuridico lo avalla
automaticamente. La possibilità che la persona in corso di emarginazione
o dopo, ricoverata, si appelli e impugni il procedimento, è prevista dalla
legge 1904 nei suoi aspetti «garantisti», ma è del tutto remota, poco usata.
Dunque il potere del medico affidatogli dalla legge 1904, quello della emarginazione coatta, è pressoché totale, non soggetto
né a controllo né a verifica. È inoltre il potere di un solo medico, che
agisce individualmente e con responsabilità del tutto personale. Se si
aggiunge ancora che per il ricovero, sancito dal medico e «ordinato» dall'Autorità
(Questore, Sindaco) basta da parte del sanitario un
«sospetto» anche modesto di pericolosità, mentre per la dimissione dal
manicomio il direttore deve, accertata la
malattia» dichiarare il miglioramento o la guarigione, si può ben
vedere come l'escluso è preso in trappola, non diversamente dall'indiziato di
reato non accertato cui occorre l'obbligo di provare la sua innocenza.
La lettura di vecchie cartelle è la
più tragica testimonianza di come l'enorme potere del medico
sia stato esercitato soprattutto in passato senza possibilità di appello e
controllo. Persone entrate in manicomio alcuni decenni fa, quando ancora
prevaleva l'idea della incurabilità e inguaribilità, vi sono rimaste e o sono morte o se ancora
vive testimoniano oggi con la loro distruzione fisica ma soprattutto morale
quale sia stata la violenza istituzionale subita. Ciò che più oggi indigna è il
vedere come sia bastato a volte un tenue sospetto, un lieve indizio di
«alienazione mentale» per avviare una esclusione mai
più terminata. E di quale pericolosità dovrebbe parlarsi nel caso delle molte
centinaia di persone ricuperate al lavoro nero in manicomio, riconosciute di fatto non pericolose nel momento che maneggiavano arnesi
da lavoro di vario tipo, e proprio perché «utili» mai più considerate per la
dimissione?
Questo solo per
accennare alle conseguenze dell'esercizio di potere medico emarginante che ha
prodotto innumerevoli «carriere di malato di mente».
Nei 920 casi che abbiamo considerato
in questa ricerca sono 394 i medici che hanno operato
come agenti della emarginazione coatta in manicomio. Ma la cifra si restringe
in maniera considerevole se si valutano soltanto i sanitari che hanno effettuato almeno un certo numero di ricoveri: ad es. 16
medici hanno effettuato nel
Restringendo ancora le nostre
considerazioni ai soli medici che hanno effettuato più
di dieci ricoveri all'anno, si ha la cifra di 9 sanitari che hanno effettuato
ben 187 ricoveri coatti, cioè il 20,3% del totale.
Riportiamo nella tabellina
seguente i dati essenziali di questi ultimi, l'età, il numero di emarginazioni coatte avallate nel 1976 e la struttura in
cui hanno operato e dalla quale è partita l'emarginazione.
Medico |
Età |
Ricoveri coatti nel '76 |
Struttura in cui opera |
L. |
27 |
11 |
Guardia medica permanente |
L. |
31 |
34 |
Guardia medica permanente |
S. |
44 |
15 |
Guardia medica permanente |
M. |
29 |
30 |
Guardia medica permanente |
A. |
50 |
13 |
Guardia medica permanente |
C. |
28 |
11 |
Guardia medica permanente |
D. |
54 |
27 |
Ospedale Militare |
D. |
42 |
19 |
Ospedale Militare |
G. |
28 |
27 |
Pronto soccorso neurologia |
Manchiamo di elementi
per approfondire l'analisi di questi agenti della emarginazione coatta in
manicomio. Sembra tuttavia che il fattore età, che potrebbe alludere ad una
formazione medica più tradizionale o meno e quindi una cultura diversa, non abbia importanza alcuna. È invece evidente che questi
sanitari sono certamente condizionati dalla struttura in cui operano (v. tabella
suddetta). Non altrimenti dai medici che la legge
Certo al momento
attuale, secondo la legge 1904 il medico che opera in una struttura pubblica
agisce completamente solo, incontrollato e incontrollabile, perché giustificato
sempre da motivi di «urgenza». Infatti la possibilità
garantita dalla legge 1904 del ricovero «ordinario» non è di fatto mai attuata.
Sappiamo anche che nella prassi agisce pressato da esigenze che nulla hanno a
che vedere con la realtà di una vera problematica psichiatrica (necessità di
liberare posti-letto nella
istituzione intasata, rifiuto nelle strutture civili di accettazione del farsi
carico di casi acuti, pregiudizi diversi di familiari o di operatori
dell'ospedale civile spaventati e impreparati, ecc.).
Del come il medico tenti di dare una
copertura «scientifica» al procedimento di emarginazione,
il più delle volte senza riuscirci, abbiamo già parlato a proposito dei
certificati di ricovero all'ingresso, ed anche citato alcuni esempi. In tale
prospettiva il medico non fa che ricalcare su di sé, e interpretare
realizzandolo, il bisogno sociale oggi ancora
dominante, di emarginare il deviante psichico.
Le idee della società dominante sono
anche quelle della classe medica, la «cultura» è la stessa, l'esigenza di
giustificare con argomentazioni razionali e «scientifiche» il bisogno, soprattutto
emotivo, di escludere il deviante dal tessuto sociale,
uguale.
CONCLUSIONI
Questa ricerca, per
quanto condotta con elaborazione dei dati mediante calcolatore elettronico,
è certamente incompleta, perché per quanto estesa a tutti i ricoveri coatti
del 1976 (920 casi), non ha potuto tener conto né della emarginazione
volontaria in manicomio né di quella nelle case di cura private.
Il fatto che una équipe, quella della U.L. 28, se ne sia assunto il compito (autocommittenza della ricerca) è dovuto all'assenza di una
programmazione di ricerca più organica che tenga conto delle équipes di zona, e della loro operatività specifica.
D'altra parte ci è sembrato essenziale dare un
contributo, sia pure parziale, di stimolo alla verifica dell'azione di filtro
al manicomio da parte dei servizi alternativi psichiatrici di zona, compito che
l'équipe di Settimo ha giudicato prioritario nel
corso degli ultimi anni. Né crediamo di essere la
sola équipe ad esserci mossa in questa direzione.
Dobbiamo riconoscere che
Il fatto che non sia stato possibile
confrontare i dati dei ricoveri coatti in manicomio con i ricoveri volontari è semplicemente dovuto alla impossibilità
materiale della nostra équipe di svolcere
anche questo lavoro.
Per quanto concerne i ricoveri nelle
case di cura e istituti, mancano - a nostra conoscenza - al momento
attuale i dati per zone (U.L.), e quindi la
possibilità di verificare l'azione di filtro dell'équipe
psichiatrica nei confronti di queste istituzioni.
Infine la verifica della operatività delle stesse équipes
di zona compiuta dall'Amministrazione provinciale (Assessorato alla sanità)
all'inizio dQ11977 non ha consentito una organica ed esauriente raccolta di
dati su cui fondare un'analisi dell'impegno alla lotta contro l'emarginazione
compiuta dalle varie équipes.
Proprio nel momento in cui la
possibilità di un referendum abrogativo della legge 1904 prospetta in Italia
l'urgenza di una riforma psichiatrica inserita in un organico progetto di
riforma sanitaria, ci sembra che il nostro contributo, fondato sull'analisi
della più grave forma di emarginazione, quella
coatta, possa essere di qualche utilità.
Abbiamo potuto dimostrare infatti che:
1) la «pericolosità» cui si allude
nei certificati medici di internamento è estremamente
generica, imprecisa, pretestuosa. Lo dimostrano il 75% di certificati
superficiali e generici, nonché il 5% di certificati
addirittura incompleti;
2) la etichettatura
medico-psichiatrica che dovrebbe giustificare la pericolosità e il conseguente
ricovero coatto, è tale da non avere alcun valore scientifico nel 55% dei casi
considerati, ed è comunque vaga e imprecisa in quasi tutti i restanti casi;
3) la durata dei ricoveri coatti
stessi, brevissimi (10% dimessi prima o entro le 24 ore) o brevi (16% dimessi
entro 2-8 giorni) sono la dimostrazione di una notevole fugacità - qualora sia
mai esistita - della pericolosità *presunta all'ingresso del manicomio.
Sono tutti elementi che - uniti alla evidente antiterapeuticità di
ogni ricovero coatto, cioè fondamentalmente repressivo - come abbiamo cercato
di dimostrare, dovrebbero indurre a considerare con molta cautela il «trattamento
sanitario obbligatorio» previsto per le «malattie mentali» dal nuovo disegno
di legge e relativo stralcio di legge sull'assistenza psichiatrica.
Dovrebbe essere chiaro che - se si
vuol parlare veramente di una assistenza psichiatrica
nuova, e se questa deve rispettare i diritti del cittadino - non può mai essere
fatto ricorso a strutture segreganti di nessun genere.
Abbiamo pure ricordato che
l'emarginazione coatta, procedimento di estrema
gravità, repressivo, emarginante e certamente degradante per chi ne è oggetto,
può essere compiuto da un solo medico senza possibilità di verifica e controllo
all'insegna dell'urgenza. Il potere medico di emarginare
che la legge 1904 non ancora abrogata assegna è enorme, mostruoso.
Il trattamento sanitario
obbligatorio qualora dovesse rendersi necessario (e
per la psichiatria sono veramente pochi i casi di reale pericolosità) deve
essere attuato sotto la piena responsabilità del gruppo operativo (équipe) e verificato dalle forze sociali del territorio
(rappresentanti della U.L.).
Mai può essere delegato ad un solo
medico, o essere ridotto a fatto puramente «tecnico». La nostra ricerca, non a
caso, è stata orientata sulle possibilità operative delle équipes
di zona e sul tentativo di verificare la loro azione di filtro alla emarginazione coatta in manicomio. Riteniamo infatti che questo, della difesa del cittadino dalla
emarginazione psichiatrica (non solo coatta ma sotto qualunque forma) sia e debba
essere obiettivo assolutamente prioritario e qualificantte
per ogni gruppo operativo.
Certamente oggi - e i dati che
abbiamo riferito lo dimostrano ampiamente - tutte le équipes di zona sono
incomplete, particolarmente carenti di tempo medico, mancanti di strutture
alternative. Abbiamo ricordato che il personale deputato a gestire l'esclusione
manicomiale (senza citare quello delle case di cura e istituzioni
paramanicomiali private che gestisce forme poco meno
gravi di esclusione) è allo stato attuale preponderante rispetto all'esigua
schiera di operatori impegnati nei servizi alternativi gestiti dalla
Provincia. Ricordiamo che 1920 persone gestiscono circa 2.000 esclusi in
manicomio, contro 206 operatori distaccati ai servizi di zona (a tempo pieno i
soli infermieri) e gli altri 126 operatori dipendenti direttamente dalla
Provincia. Se si considerano i costi, solo il 13% della spesa psichiatrica
provinciale è relativa ai servizi alternativi. Non si
può certo ragionevolmente pensare che con questo rapporto di forze il manicomio
possa essere smantellato e i servizi alternativi possano svolgere con
efficacia i loro compiti di riabilitazione, cura e prevenzione.
Questi dati testimoniano l'estrema
difficoltà di erodere al manicomio personale per i servizi di zona, di spostare
l'asse dell'assistenza dall'ospedale sul territorio, in ultima analisi di togliere
il potere ad una istituzione segregante fondata e
mantenuta da interessi un tempo clientelari e oggi corporativi. Ma implicano
anche la necessità che gli organi politico-amministrativi
competenti (Regione, Provincia) inducano le équipes
di zona a privilegiare l'impegno alla dimissione e riabilitazione degli
emarginati in manicomio per contribuire in tal modo al suo smantellamento
(per fasce di bisogni: senili, handicappati, autosufficienti dimissibili, «psichiatrici»).
I dati della nostra ricerca indicano
che, nel 1976, ma crediamo oggi ancora, poiché poche situazioni
sono migliorate e cambiate per evidenti gravi difficoltà politiche,
organizzative e di bilancio, l'azione di filtro delle 31 équipes
psichiatriche di zona esistenti è complessivamente molto scarso, spesso
assente. Infatti 920 emarginazioni coatte significano
mediamente oltre 20 ricoveri per zona, che probabilmente avrebbero potuto
essere in larga misura evitati con interventi alternativi.
Si possono tuttavia indicare alcune
possibili, ed urgenti, linee di intervento:
1) dal momento che
l'emarginazione coatta, la più grave, quella per cui oggi si intende invocare
il trattamento obbligatorio, risulta massima al centro e decresce verso la
periferia del territorio provinciale, debbono essere potenziate le équipes sulla base di questa indicazione;
2) l'azione delle équipes di Torino città sui principali istituti da cui
parte la emarginazione (Guardia medica permanente,
Pronto Soccorso, Ospedali) è probabilmente inesistente, certamente scarsa.
Deve essere verificata, e si deve:
a) potenziare le équipes
di zona;
b) stabilire dei collegamenti tra
queste e i canali di ricovero del proprio ambito territoriale (consulenze,
pronto intervento, reperibilità) ;
3) tutte le équipes
vanno comunque potenziate, perché largamente
insufficienti rispetto ai loro compiti. Al momento attuale
paiono essenziali i seguenti:
a) azione di filtro contro ogni tipo
di emarginazione, ma prioritariamente quella
manicomiale;
b) riabilitazione e reinserimento
degli attuali degenti in manicomio (smantellamento) ;
c) gestione alternativa delle
situazioni psichiche acute (crisi) sul territorio o comunque
in strutture di zona aperte e non segreganti;
4) la formazione degli operatori
deve portare a tempi brevi al superamento di ogni
elemento di custodialismo, di cui sono portatori invece sia operatori
distaccati dal manicomio dove hanno svolto per troppi anni appunto mansioni di
custodia, sia gli operatori di altra provenienza che non si sono mai misurati
nella lotta antiistituzionale e sono poco
sensibilizzati al danno che la emarginazione produce.
La demistificazione della
pericolosità dei devianti psichici, la gestione il più possibile libera sul
territorio, sono l'altro aspetto più qualificante della formazione degli
operatori di zona. Ciò prima di ogni
altro elemento di formazione «tecnica» più specifico e particolareggiato.
In ogni caso la psichiatria
alternativa, se deve essere tale, è fondata non già su strutture segreganti o comunque su risposte istituzionali e protettive ai bisogni,
ma sulla presenza attiva e radicata dei gruppi operativi sul territorio, il
cui fondamento ideologico sia prioritariamente la lotta all'emarginazione e la
risposta non repressiva ai bisogni.
Questi gruppi operativi devono però
poter contare su una rete di strutture alternative aperte (es. comunità,
centri di incontro, ecc.) e devono agire in modo
integrato con gli operatori degli altri servizi territoriali. Nella fase attuale occorre anche un coordinamento tra le varie équipes.
Infine la loro operatività deve
essere concordata con le forze sociali e politiche delle U.L.
e dalle stesse costantemente controllate.
Ci auguriamo che questa ricerca
possa essere stimolo e contributo ad un dibattito tra operatori,
amministratori, politici, e forze sociali.
(1) Gli operatori
dell'équipe dell'U.L. 28:
Enrico Pascal, Germana Massucco,
Vittorio Leone, Sergio Longo, Aldo Losa, Salvatore Vivona, Antonello
Lanteri, Tiziana Milani che
hanno compiuto la presente ricerca ringraziano per l'attiva collaborazione il
sig. Pronzato, per la consulenza tecnica, il
direttore prof. G. Gamna, per l'elaborazione
elettronica dei dati il dr. F.
Cavallo.
Si ringraziano
inoltre il Presidente e il Consiglio di amministrazione
degli Ospedali psichiatrici e l'Assessore alla sanità della Provincia di Torino
per la cortese messa a disposizione del materiale di ricerca.
Un particolare
ringraziamento va al Sindaco di Settimo, all'Assessore e a tutti gli altri operatori
dei Servizi sociali dell'Ente locale che ne hanno incoraggiato e permesso la realizzazione.
(2) Si tratta
dell'IPAB Opera pia Ospedali psichiatrici che gestisce i manicomi di Collegno, Grugliasco e Savonera.
(3) Il testo è stato
riportato nel n. 23 di Prospettive
assistenziali.
(4) L'art. 53 della
legge del 1904 prevede questa modalità di ricovero volontario.
(5) Si tratta di un
istituto privato.
www.fondazionepromozionesociale.it