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ESIGENZE DEGLI ASSISTITI E TENTATIVI PER IL SALVATAGGIO DEGLI ENTI E DELLE IPAB |
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Come abbiamo già avuto occasione di rilevare (1), il DPR 616 pone delle limitazioni preoccupanti: sono escluse dal trasferimento ai Comuni le IPAB che «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa», e gli articoli 113, 114 e 115 consentono la privatizzazione degli enti pubblici nazionali e interregionali e dei relativi patrimoni. In questo modo si viene a compromettere in modo definitivo ogni possibilità di un trasferimento globale delle competenze alle Regioni e ai Comuni, né si può sperare, almeno nell'attuale situazione politica, in un radicale cambiamento a seguito della riforma dell'assistenza, ammesso che essa venga approvata. Cambiamenti sono ancora più improbabili dopo la presentazione da parte del Governo del progetto di riforma dell'assistenza, che al momento di andare in stampa non è ancora stato depositato in Parlamento. Tentativi di salvataggio delle IPAB Contro la soppressione delle IPAB si sono scatenate, fin dal momento dell'elaborazione del DPR 616, le forze più conservatrici. Nel tentativo di salvare il salvabile, si è sostenuto, fra l'altro, che dovevano essere dichiarate estinte esclusivamente «in caso di inutilità dell'istituzione e di inadeguatezza dei fini patrimoniali» (art. 15 della proposta di legge DC, presentata il 24-5-'77 alla Camera dall'on. Cassanmagnago). Per tutte le altre IPAB, enti pubblici a tutti gli effetti in forza dell'esplicita dichiarazione dell'art. 1 del RD 30-12-1923, n. 2841, la proposta DC prevede addirittura la privatizzazione. Così si esprime infatti il 2° comma dell'art. 13 del progetto Cassanmagnago: «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che per l'attività assistenziale svolta e per l'efficiente organizzazione strumentale e di personale, possono, anche con idonee trasformazioni, garantire, singolarmente ovvero mediante funzioni con altre istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza aventi analoghi fini e caratteristiche, il perseguimento dei propri scopi di aderenza ai principi di cui alla presente legge, rientrano nella disciplina delle personalità giuridiche private». In tal modo le IPAB con situazioni debitorie verrebbero trasferite alle Unità locali, quelle con dotazioni patrimoniali - si tratta di circa 9000 enti con beni per molte centinaia di miliardi - diventerebbero private! Da ogni parte scatta l'operazione salvataggio delle IPAB. Al Convegno di Firenze dell'8-9 aprile 1978 «Per un autentico pluralismo nella libertà» (2) il relatore Sandulli, già Presidente della Corte Costituzionale, con acrobatici arzigogoli sostiene che «l'articolo (25 del DPR 616, n.d.r.) non attribuisce ai Comuni, né ad alcun altro Ente, le ulteriori funzioni eventualmente esercitate dalle IPAB in aggiunta a quelle di assistenza e beneficenza (o addirittura in luogo di esse)». Inoltre, secondo Sandulli, «moltissime IPAB svolgono, sempre per statuto, attività di istruzione ed educazione a pagamento e con finalità di lucro», «molte sono pure quelle che hanno assunto a pagamento e con finalità di lucro, in base a apposite convenzioni (e generalmente al di là delle previsioni statutarie), la gestione di servizi assistenziali (orfanotrofi, asili nido, asili, gerontocomi) posti dalla legge dai rispettivi statuti a carico di altri enti o da questi volontariamente addossatisi: si tratta - aggiunge Sandulli - di gestioni di nulla differenti da quelle assunte, sempre a titolo pattizio, in casi analoghi, da enti religiosi, da case private, da enti pubblici diversi dalle IPAB» (3). In questo modo l'ex Presidente della Corte costituzionale salva le IPAB rientranti nelle categorie di cui sopra dichiarando che non potrebbero essere soppresse ed i patrimoni e il personale non dovrebbe essere trasferito ai Comuni. Un altro tentativo di svuotamento del DPR 616 riguarda l’esclusione dello scioglimento delle IPAB «che svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa», tentativo che viene perseguito con una serie di interpretazioni e di iniziative per far rientrare in questo ambito il maggior numero possibile di istituzioni. L'organo dell'UNEBA, Nuova proposta, n. 2, febbraio 1978, sostiene che «il criterio generale interpretativo dell'attività di un ente è, dunque, quello che prende in esame innanzi tutto lo statuto e gli atti costitutivi e che completa il giudizio con la verifica dell'attività svolta. Perciò l'indicazione del decreto n. 616 deve essere letta in questo senso, non dando esclusivo valore all'attività svolta, ma legando questa ai fini previsti dagli originari statuti e dalle modificazioni eventualmente apportate nel corso degli anni». Su questa linea la Curia arcivescovile di Torino, sull'esempio delle altre diocesi, ha costituito una «Commissione che fa capo al vescovo, con il compito di vagliare, sul piano pastorale, se l'IPAB può essere considerata "segno" della Comunità Ecclesiale e al tempo stesso di svolgere un'opera di sostegno e di consulenza per la predisposizione dell'opportuna documentazione». La Curia di Torino ha pertanto inviato una lettera a tutti i Consigli di amministrazione delle IPAB per invitare quelle «che ritengono di dover essere esclusi dal trasferimento ai Comuni in base all'art. 25 del DPR 616» a «preparare una documentazione atta a comprovare il possesso dei requisiti», documentazione che viene elencata come segue: «finalità espresse nelle tavole di fondazione; finalità indicate dallo statuto (con riferimento anche alla eventuale evoluzione dello statuto); presenza nel consiglio di persone nominate dalla autorità ecclesiastica o comunque rappresentative del mondo religioso; personale religioso impegnato e suo ruolo nella gestione delle attività dell'ente; attività formativo-religiosa svolta in passato e al presente contestualmente alla erogazione del servizio educativo, scolastico, assistenziale, mirante a qualificarlo nel suo orientamento e nei suoi valori di fondo; eventuali obblighi di culto, nonché eventuali clausole testamentarie da cui risulti che, nel caso di estinzione dell'opera pia o di una destinazione diversa dai fini espressi dalla volontà del fondatore, il patrimonio passi ad ente ecclesiastico; rapporti con la comunità cristiana: se l'Opera è considerata e vive come opera religiosa; eventuali dichiarazioni dell'autorità ecclesiastica (possibilmente del Vescovo) sul contenuto o caratterizzazione religiosa dell'attività promossa dall'ente; eventuale riconoscimento giuridico a norma del can. 100 del codice di diritto canonico». Ma più grave è il tentativo di confondere volutamente le idee della gente, dando l'impressione che il previsto scioglimento delle IPAB sia un attacco all'iniziativa privata. Così nell'informazione la sigla IPAB viene erroneamente interpretata come «Istituti privati di assistenza e beneficenza» invece di «Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza», oppure invece che alle IPAB viene fatto riferimento alle Opere pie, per far credere che si tratti di enti religiosi. Ugualmente grave è la strumentalizzazione del personale degli enti di cui il DPR 616 prevede lo scioglimento, e in particolare quello delle IPAB, strumentalizzazione che viene condotta da più parti tacendo leva sull'incertezza della nuova situazione lavorativa e sugli eventuali privilegi raggiunti. Da anni noi sosteniamo invece che è necessario recuperare tutte le esperienze positive acquisite dal personale, ma non è ammissibile che il personale stesso - avuta la garanzia reale della conservazione del posto di lavoro e dei livelli salariali e normativi conquistati - ostacoli la riforma e l'istituzione dei servizi alternativi. E questo ricupero delle esperienze del personale non riguarda solo quello in ruolo, ma tutti gli operatori che prestano comunque la loro attività presso Enti o IPAB, compreso quello religioso convenzionato. Per questo nella proposta di legge regionale piemontese di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi» (4) è stato previsto all'art. 4 quanto segue: «Il personale religioso che opera, anche tramite convenzioni, nelle IPAB da almeno un anno è inserito, su richiesta ed entro il 31-12-1978, nei ruoli organici ordinari e occorrendo sopranumerari dell'ente con la qualifica corrispondente al lavoro svolto, sempre che l'interessato sia in possesso dei titoli di studio corrispondenti». Esigenze delle persone assistite Abbiamo riportato queste dichiarazioni non solo perché i lettori siano informati della situazione, ma perché vorremmo che si rilevasse come nelle innumerevoli iniziative (convegni, articoli, dichiarazioni, ecc.), mai le forze che vogliono la conservazione delle IPAB abbiano fatto riferimento alle esigenze delle persone assistite. Crediamo di aver illustrato su questa rivista, e anche con esempi concreti, il ruolo di emarginazione che svolge l'assistenza ed i danni deleteri dell'istituzionalizzazione di bambini, handicappati e anziani. Uno degli strumenti di segregazione - e certamente il più importante - sono le IPAB operanti nel settore assistenziale. Né vale a modificare questo dato di fatto, la considerazione che vi sono IPAB che non svolgono attività di ricovero (pensiamo ad esempio a quelle che gestiscono asili nido e scuole materne). Nelle iniziative assunte per la creazione di servizi alternativi sempre e dovunque, in ogni zona d'Italia, i dirigenti delle IPAB e delle organizzazioni ad esse collegate - tutti, salvo alcune rarissime eccezioni - sono intervenuti per boicottare le prestazioni più rispondenti alle necessità dei cittadini: servizi primari non assistenziali, assistenza economica e domiciliare, adozione speciale; affidamenti e inserimenti, comunità alloggio (5). Ricordiamo - a titolo esemplificativo ma significativo - la reazione dell'organo ufficiale dell'UNEBA, Nuova proposta (n. 11, novembre '75) al progetto Falcucci di inserimento degli handicappati nella scuola normale, che così si esprimeva: «E' chiaro, anche se non espresso esplicitamente, che la politica di integrazione totale consegue ad una impostazione ideologica di deistituzionalizzazione e di pubblicizzazione dei servizi socio-asssitenziali-educativi che impedirebbero quindi, in tale ambito, un democratico pluralismo di interventi e mira in ultima analisi a bloccare ed abolire l'iniziativa privata». Dunque la difesa delle IPAB viene portata avanti per conservare gli istituti, per continuare ad associare all'assistenza le tradizionali caratteristiche di isolamento delle persone in difficoltà, dal contesto sociale con la loro segregazione in istituti di ricovero. Conclusioni Le notizie che arrivano dalle due Commissioni istituite a seguito del DPR 616 (sia quella per gli enti di cui alla tabella B, sia l'altra per le IPAB) non sono per nulla rassicuranti. Il termine per il trasferimento delle funzioni degli enti e delle IPAB, stabilito dall'art. 113 del DPR 616 per il 31-3-1978, non è stato rispettato. Neppure rispettata è stata la data del 31-12-'77 per il trasferimento alle Regioni ed ai Comuni del personale e dei finanziamenti statali relativi alle funzioni trasferite dal DPR 616. Vi è inoltre il rischio che si ripeta l'accordo DC-PCI, intervenuto in occasione della discussione sul DPR 616, che ha consentito il salvataggio delle IPAB con attività educativo-religiosa, la privatizzazione di enti pubblici e dei relativi patrimoni e che si rinnovi l'intesa dei due suddetti partiti in base alla quale l'art. 38 del progetto di riforma sanitaria, approvato dalla Commissione sanità della Camera, prevede quanto segue: «E' riconosciuta la funzione delle associazioni di volontariato liberamente costituite aventi la finalità di concorrere al conseguimento dei fini istituzionali del servizio sanitario nazionale. Tra le associazioni di volontariato di cui al comma precedente sono ricomprese anche le istituzioni a carattere associativo, le cui attività si fondano, a norma di statuto, su prestazioni volontarie e personali dei soci. Dette istituzioni, se attualmente riconosciute come IPAB, sono escluse dal trasferimento di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. A tale fine le predette istituzioni avanzano documentata istanza al presidente della giunta regionale che procede, sentito il consiglio comunale ove ha sede l'istituzione, con proprio decreto, a dichiarare l'esistenza delle condizioni previste nel comma precedente. Di tale decreto viene data notizia alla commissione di cui al sesto comma dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. Sino all'entrata in vigore della legge di riforma dell'assistenza pubblica, le istituzioni restano disciplinate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modifiche e integrazioni. I rapporti fra le unità sanitarie locali e le associazioni del volontariato ai fini del loro concorso alle attività sanitarie pubbliche sono regolati da apposite convenzioni nell'ambito della programmazione e della legislazione sanitaria regionale». Questa situazione è resa ancora più preoccupante da prese di posizione regionali che costituiscono un arretramento notevole rispetto alle posizioni espresse alcuni anni fa. Ad esempio la Giunta della Regione Emilia-Romagna, nella seduta del 28 giugno 1977, ha deliberato all'unanimità di proporre al Consiglio regionale l'adozione di «Direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative di vigilanza e di controllo sulle istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e la protezione della maternità, dell'infanzia e dei minori delegate dalla Regione Emilia-Romagna ai Consorzi socio-sanitari per i servizi sanitari e sociali». Come è stato ampiamente messo in evidenza (6), nella delibera suddetta «il modello di istituto che viene proposto è una istituzione totale, senza alcun dubbio» (7). Ora proprio questa delibera è stata assunta come base di lavoro dalla Regione Piemonte per definire i criteri di autorizzazione preventiva a funzionare degli istituti. Per tener conto di come le iniziative delle Regioni, e ancor più quelle dei Comuni, siano scarse o nulle si legga l'articolo pubblicato in questo numero «Giudici minorili - DPR 616 e proposte di legge sull'adozione speciale e ordinaria, affiliazione e affidamenti». Da tutto quello che abbiamo scritto e ripetuto, purtroppo, salvo che le Regioni ed i Comuni modifichino radicalmente le passate e attuali posizioni di disinteresse, si deduce che ben poco di positivo è stato portata a termine. Anzi vi è da temere - il che sarebbe estremamente grave per gli assistiti, ma anche pericoloso sul piano politico - un arretramento rispetto alle prestazioni, tanto e giustamente criticate, fornite dagli enti soppressi o di cui è previsto lo scioglimento. L'esperienza nei riguardi dell'ex ONMI è significativa anche se riguardava un numero limitato di assistiti. Ora invece si tratta di tutto il settore assistenziale (le competenze sono state trasferite dall'1-1-1978 per cui in molte Regioni quasi tutto il vuoto di intervento è già in atto) e fra pochi mesi, e cioè a partire dall'1-1-1979, la situazione riguarderà anche tutto il campo dei servizi sanitari. Di fronte all'attuale situazione, per molti aspetti preoccupante, si possono assumere due posizioni: di rinuncia, magari cercando di giustificarla con atteggiamenti qualunquisti, tanto non c'è niente da fare, o di impegno e di lotta. A ciascuno assumere le proprie responsabilità: forze politiche, amministrazioni regionali e locali, sindacati e operatori, movimenti di base e cittadini.
(1) V. l'editoriale del n. 39 di Prospettive assistenziali. (2) Il convegno è stato promosso dalle seguenti organizzazioni: Azione cattolica, Caritas, Centro cattolico studi sociali, Comunione e liberazione, Centro italiano femminile, Conferenza italiana superiori maggiori, Compagnia della carità, Comitato diocesano per il coordinamento dei gruppi giovanili, Conferenza nazionale delle Misericordie d'Italia, Donatori Sangue Fratres, Equipaggi della speranza, Federazione regionale formazione e orientamento professionale, Federazione istituti di istruzione dipendenti dall'autorità ecclesiastica (FIDAE), Federazione italiana scuole materne (FISM), Gruppi Maria Cristina, Movimento cristiano lavoratori, Movimento dei focolari, Opera villaggi per la gioventù, Rinascita cristiana, S. Vincenzo de' Paoli, UNEBA, Unione superiore maggiori italiani, Unione cattolica insegnanti medi. (3) Da Adista, n. 1172, 1173 e 1174. (4) V. Prospettive assistenziali, n. 40. Il testo definitivo della proposta presenta alcune modifiche marginali rispetto a quello pubblicato nel n. 40. (5) Vedi l’editoriale del n. 34 di Prospettive assistenziali. (6) V. l'articolo «La lotta contro l'emarginazione dei minori non è più un obiettivo prioritario?» di A. Palmanari, F. Carugati e G. Selleri, apparso su Prospettive sociali e sanitarie, n. 20 del 15-11-1977. (7) Ibidem. |
Prospettive assistenziali
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