Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre 1978

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

PROPOSTE DI LEGGE DI RIFORMA DELL'ADOZIONE

 

Negli ultimi numeri di questa rivista (vedi P.A. n. 40, 41, 42), ampio spazio è stato dato alla presentazione e al commento delle due pro­poste di legge (DC, PCI) per la modifica della legge sull'adozione speciale, e per la introdu­zione di norme sull'affidamento familiare.

Il CIAI condivide le critiche che a questi pro­getti sono state mosse dall'ANFAA e sottolinea la necessità che le modifiche alla attuale legisla­zione portino all'elevazione dell'età degli adot­tabili con adozione legittimante da 8 a 18 anni, e all'abolizione degli istituti dell'adozione tradi­zionale e dell'affiliazione.

Una gravissima lacuna riscontrata in entram­bi i progetti di legge è l'assoluta mancanza di norme tese a regolamentare l'adozione di bam­bini stranieri da parte di genitori italiani (unica eccezione è l'acquisizione della cittadinanza ita­liana da parte di minori stranieri adottati con adozione legittimante da persone di tale citta­dinanza prevista da entrambi i progetti. Tale di­ritto è d'altronde già contemplato dall'art. 5 del­la legge 431/67).

Sembra questa una lacuna ancor più grave se si considera che anche in Italia le adozioni in­ternazionali stanno attualmente registrando un notevole incremento. Se da un lato questo dato è indice positivo di una maggior maturazione collettiva nei confronti dei problemi dell'infan­zia sola e del superamento del mito del sangue e del tabù della razza e del colore, d'altro canto si deve constatare che l'adozione di un bambino straniero viene spesso considerata come alter­nativa alla difficoltà sempre crescente di repe­rire un bambino italiano o come una scappatoia per ottenere un bambino anche senza essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge ita­liana. Sempre più numeroso è infatti il numero di minori che arrivano in Italia attraverso pri­vati, grazie alla collaborazione più o meno in buona fede di qualche religioso o di qualche avvocato compiacente e che finiscono presso famiglie o persone singole che non presentano garanzie atte a offrire al minore un sano svilup­po psico-fisico e che non sono in possesso di quei requisiti legali richiesti dalla legge 431/67, che a nostro avviso è a tutt'oggi l'unico istituto atto a garantire a tutti gli effetti il minore stra­niero.

È perciò indispensabile che nella modifica all'attuale legislazione si inserisca una norma che preveda espressamente che le coppie che inten­dono adottare un minore di nazionalità stranie­ra, debbano, prima dell'arrivo del bambino in Italia, aver seguito la medesima procedura lega­le richiesta per l'adozione di bambini italiani e aver ottenuto dal competente Tribunale per i minorenni la relativa dichiarazione di idoneità.

Si ritiene inoltre necessario che la delibera­zione dei provvedimenti di adozione di minori stranieri a favore di cittadini italiani (per quei paesi ove la legislazione preveda che l'adozione debba essere finalizzata in loco), venga pronun­ciata dal Tribunale per i minorenni di residenza degli adottandi e non, come avviene attualmen­te, dalle Corti d'appello. Un provvedimento in tal senso è di estrema necessità e urgenza, perché le Corti d'appello si limitano a esaminare gli aspetti puramente tecnico-legali, tralascian­do tutta quella parte (motivazioni che spingono i richiedenti all'adozione, valutazione dell'idonei­tà psico-fisica degli adottanti, studio delle ca­ratteristiche del minore, ecc.) che rivestono una importanza ancora maggiore in caso di adozione di un bambino straniero, adozione che comporta obbiettivamente problemi maggiori di quanto li comporti l'adozione di un bambino italiano. Ne­cessità ancora più grande è quella che queste adozioni siano seguite attentamente durante il periodo immediatamente susseguente all'arrivo in Italia del bambino. E, a nostro parere, è il Tribunale per i minorenni, attraverso l'ente da lui incaricato (l'unità locale dei servizi) l'unico organo atto a garantire lo svolgimento di tale servizio.

Si ritiene che quanto detto sopra sia il mini­mo indispensabile per una regolamentazione dell'adozione internazionale, anche se non suffi­ciente. Forte infatti è l'esigenza che si arrivi al­la definizione di una Convenzione mondiale sulla legislazione in materia di adozione e adozione internazionale, come richiesto alle Nazioni Uni­te dalla Conferenza mondiale sull'adozione e l'affidamento familiare (Milano, 1971).

Le uniche due Convenzioni esistenti in cam­po internazionale (che oltretutto interessano solamente i Paesi europei) sono la Convenzione dell'Aja che oltre a contenere principi ormai superati e non più accettabili, è rimasta lettera morta e la Convenzione europea in materia di a­dozione che, pur contenendo dei principi validi, non fa menzione alcuna al problema della rego­lamentazione dell'adozione fra Stati.

La richiesta inviata alle Nazioni Unite è fino ad ora sfociata nell'invio ai Governi degli Stati membri, di un questionario per la raccolta di «informazioni recenti sulle politiche, i program­mi e le leggi riguardanti la protezione dei mi­nori suscettibili di essere adottati o di essere affidati a famiglie» e nell'autorizzazione da par­te del Consiglio economico-sociale delle Nazio­ni Unite a organizzare un Comitato di esperti (Comitato che a tutt'oggi non è ancora stato convocato) per lo studio del problema.

Auspichiamo che in occasione del prossimo Anno internazionale del bambino, indetto dalle Nazioni Unite per il 1979, la questione possa avere dei positivi sviluppi.

 

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