Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre 1978

 

 

PRESENTATA LA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE PIEMONTESE DI INIZIATIVA POPOLARE «RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E ASSISTENZIALI E COSTITUZIONE DELLE UNITA' LOCALI DI TUTTI I SERVIZI»

 

 

Il 21 luglio 1978 è stata depositata al Consi­glio regionale piemontese la proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazio­ne dei servizi sanitari e assistenziali e costitu­zione delle unità locali di tutti i servizi» (1).

Le firme raccolte, debitamente autenticate e munite dei certificati elettorali, sono state 13.167 (ne erano sufficienti 8.000).

Per la raccolta delle firme si sono tenuti cen­tinaia di dibattiti in moltissime città piccole e grandi del Piemonte, dibattiti che hanno consen­tito di discutere con i cittadini, con le forze so­ciali, con alcuni attivisti sindacali e amministra­tori locali, sui problemi relativi alla riorganizza­zione degli enti locali? alla sanità, all'assistenza e alla formazione degli operatori sanitari e assi­stenziali.

I primi tre firmatari della proposta di legge, sono stati i presentatori della stessa al Consi­glio regionale, e sono: Giuseppe Reburdo, presi­dente delle ACLI di Torino; Cesare Delpiano, se­gretario generale della CISL di Torino; Bianca Guidetti Serra, avvocato.

Alla proposta di legge di iniziativa popolare hanno dato la loro adesione le seguenti organiz­zazioni e persone fisiche: segreterie regionali CISL e UIL; segreterie provinciali CISL e UIL di Torino; segreterie provinciali ospedalieri FISO­CISL e UIL-UISAO di Torino; Ezio Gallina, presi­dente regionale delle ACLI; Giorgio Perinetti, presidente del comitato provinciale torinese dell'associazione italiana cultura e sport (AICS) di Torino; Alfredo Morabito, presidente del comi­tato provinciale del centro sportivo italiano di Torino; Carmelina Nicola, segretaria provinciale ACLI-ENARS di Torino; Comitato didattico della scuola superiore di servizio sociale della Pro­vincia di Torino; Operatori dell'ufficio distrettua­le di servizio sociale per i minorenni di Torino; Assemblea donne ASM; Emilio Germano, pre­sidente della sezione minorenni della corte d'ap­pello di Torino.

Contro l'iniziativa popolare si è schierata in­vece la Commissione sicurezza sociale della Fe­derazione torinese del PCI che, pur richiesta di un incontro-confronto con i promotori della pro­posta di legge, incontro non concesso, ha credu­to bene di non dare la propria adesione, dira­mando una nota ai propri militanti per indirizza­re il loro orientamento in senso negativo, anche a titolo personale.

Poiché crediamo utile, al di là di ogni polemi­ca, una completa informazione pubblichiamo:

- la relazione della proposta di legge;

- il testo;

- la nota del PCI;

- le prese di posizione di Cesare Delpiano e di Bianca Guidetti Serra;

- le precisazioni del Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base (CSA);

come stimolo alla discussione per la realizza­zione di quelle strutture necessarie e non ancora attuate nel nostro paese.

 

 

RELAZIONE

 

Da quando, nel 1975, assieme ad altre forze democratiche (partiti ed organizzazioni), abbia­mo portato avanti la proposta di legge nazionale di iniziativa popolare su «Competenze regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali» molte cose sono cambiate.

Tra l'altro la Regione Piemonte ha approvato la legge n. 41 nel 1976 che ha stabilito gli ambiti territoriali delle Unità locali, definendole come «Unità di tutti i servizi» realizzando così quella linea politica, per la quale anche noi c'eravamo tanto impegnati, della risposta unitaria ai biso­gni dei cittadini, considerati come «persone» e non come «assistiti», che è premessa indispen­sabile per attuare la prevenzione, razionalizzare gli interventi e superare la logica assistenziale.

Hanno fatto seguito a questo primo interven­to la legge regionale n. 39 del 1977 che ha ini­ziato a delegare ai Comuni, invitandoli a consor­ziarsi, alcune competenze, sia pure a nostro av­viso, in modo settoriale, ed altre iniziative le­gislative su una non larga serie di problemi (consultori, anziani, minori, ecc.).

Bisogna anche dire però che ancora vi è uno stacco tra le intenzioni anche espresse con atti formali e la loro realizzazione: molti Comuni stentano a consorziarsi, in città i nuovi servizi decentrati hanno difficoltà a trovare una linea omogenea di intervento, anche perché manca ancora il loro referente più importante e cioè il Consiglio di quartiere.

Soprattutto questo processo di cambiamento avviene senza che i cittadini e le forze sociali siano sufficientemente coinvolti e informati, e questo dato è stato ampiamente confermato nei dibattiti e nelle manifestazioni che abbiamo or­ganizzato in questi mesi.

D'altra parte gli obiettivi del nostro impegno in questa materia (iniziata nel 1970 con il con­vegno «Emarginazione - disadattamento - supe­ramento dell'assistenza; autogestione e ruolo degli enti locali») sono sempre stati non tanto di razionalizzazione dei servizi ma, soprattutto, di trasformazione dello Stato e di costruzione di un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni.

Queste considerazioni e l'approvazione del DPR 616 nel luglio 1977, che completa il trasfe­rimento delle funzioni alle Regioni ed ai Comu­ni, dando loro importantissimi compiti in molti campi, ma soprattutto in quello della sanità e assistenza, ha fatto nascere in noi l'esigenza di proporre una iniziativa di largo respiro che con­sentisse sia di fare una sintesi organica di quan­to avevamo elaborato in questi anni, sia di al­largare e approfondire il dibattito e avviare ini­ziative su questi problemi.

Da ciò, utilizzando la possibilità offerta dallo Statuto regionale, è nata la proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazio­ne dei servizi sanitari ed assistenziali e costitu­zione delle Unità locali di tutti i servizi», attor­no alla quale nei sei mesi previsti per la raccolta delle firme si sono sviluppati in tutto il Piemonte centinaia di dibattiti e di manifestazioni popo­lari che hanno coinvolto migliaia di cittadini: lavoratori, donne, anziani, giovani, amministra­tori, operatori della scuola e dei servizi, ecc. In­teressante notare la larghissima e fattiva ade­sione e collaborazione di parrocchie, gruppi gio­vanili e organizzazioni cattoliche, comunità di base, che si sono messi al di fuori di ogni inte­gralismo nella linea di una riqualificazione della tradizione cattolica in questo campo, da vivere in senso laico in un nuovo rapporto con l'orga­nizzazione dello Stato.

Dobbiamo dire che l'interesse è stato tale che, nonostante il travagliato momento politico che abbiamo attraversato, abbiamo abbondantemen­te superato il numero di 8000 firme richieste per la presentazione della proposta di legge.

Come ricordavamo precedentemente, con il 1° gennaio 1978 sono state trasferite alle Re­gioni ed ai Comuni praticamente tutte le compe­tenze assistenziali; con l'entrata in vigore della riforma sanitaria e comunque a partire dal 1° gennaio 1979 alle Regioni ed ai Comuni saranno attribuiti tutti i compiti in materia di sanità. Ciò è stato stabilito dal D.P.R. n. 616 «Attuazione della legge 382». Competenze sono già state da tempo affidate alle Regioni nel campo ospedalie­ro, sanitario ed assistenziale. Inoltre vi sono Co­muni e Comunità montane che da molti anni ge­stiscono servizi sanitari (vaccinazioni, medicina scolastica, controlli vari, ecc.) e assistenziali (assistenza economica, domiciliare, ecc.).

Solo nel campo della sanità e dell'assistenza il D.P.R. n. 616 «Attuazione della legge 382» prevede lo scioglimento di 20-30.000 enti: ECA, patronati scolastici e loro consorzi provinciali, IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e be­neficenza) escluse quelle che «svolgono in mo­do precipuo attività inerenti la sfera educativo-­religiosa», Consorzi provinciali antitubercolari, ecc.

Altri enti sono stati sciolti con altre leggi, co­me ad esempio le mutue e le casse mutue ma­lattia.

 

Situazione attuale

È nota a tutti la situazione caotica in cui da lunga data si trovano i servizi sanitari ed assi­stenziali, situazione che si può così riassumere:

a) per la sanità:

- accentramento e quindi cattiva distribu­zione di personale, strutture ed attrezzature;

- lentezza ed inefficienza dei servizi;

- proliferazione dei centri di potere, come nei casi di creazione di primariati solo per favo­rire la carriera di medici;

- moltiplicazione delle mansioni e delle ca­tegorie del personale medico e paramedico;

- situazione di monopolio nella formazione di personale sia a livello professionale che uni­versitario;

- degenze inutili o protratte oltre le neces­sità;

- carenza di interventi extra-ospedalieri e cioè domiciliari, ambulatoriali e poliambulato­riali;

- mancanze gravi e spesso assenza totale di interventi riabilitativi.

b) per l'assistenza:

- finalità di emarginazione individuale, fami­liare e sociale e spesso anche di segregazione in istituti o manicomi;

- compiti di sostituzione emarginante alle carenze dei settori fondamentali del vivere ci­vile e sociale: disoccupazione e sottoccupazio­ne, pensioni inadeguate, selettività della scuola dell'obbligo, mancanza di abitazioni e di servizi culturali e ricreativi, rifiuto del settore sanitario - e in particolare di quello ospedaliero - ad intervenire nei confronti dei cronici, in viola­zione alle leggi vigenti, ecc.;

- mancata qualificazione del personale, so­prattutto di quello in servizio presso gli istituti di ricovero;

- ricovero di assistiti in istituti, spesso si­tuati lontano dal luogo di provenienza o residen­za dei familiari ed a volte addirittura situati in altre regioni.

Tutto ciò comporta non solo evidenti gravissi­mi e spesso irreparabili danni alle persone (ve­di ad esempio l'elevata mortalità materna al mo­mento del parto), ma determina anche un rigon­fiamento delle spese, sprechi degli impianti, del­le attrezzature, dell'utilizzazione del personale specializzato ed inoltre un carico - spesso non indifferente - di spese per gli utenti e per le famiglie che devono integrare l'assistenza ospe­daliera, diurna e notturna, con l'assunzione in proprio di personale più o meno preparato;

- pagare costi elevati per l'assistenza domi­ciliare;

- sopportare alti costi e notevoli disagi per assistere i familiari ricoverati lontano;

- pagare alte spese per i farmaci non am­messi, usando spesso malamente quelli pre­scrivibili;

- assumere in proprio le spese di assistenza in istituti (fino a 450.000 lire al mese!) conse­guenti a non ammissioni o dimissioni illecite da parte degli ospedali nei confronti di cronici e di lungodegenti.

 

Mancanza di interventi preventivi

Tuttavia l'aspetto più preoccupante nel cam­po della sanità e dell'assistenza è la mancanza quasi assoluta di interventi preventivi, diretti cioè ad eliminare se possibile o almeno a ridur­re le cause di malattia, di disadattamento e di emarginazione. Nel settore della sanità solo re­centemente sono state avviate alcune iniziative di prevenzione nei luoghi di lavoro con la costi­tuzione delle unità di base. Per quanto concerne l'assistenza una reale prevenzione, realizzabile a tempi brevi, consiste nel mettere a disposizio­ne í servizi fondamentali non assistenziali: in­serimento prescolastico, scolastico e lavorativo degli handicappati, attenzione particolare ai bi­sogni ed ai problemi dell'infanzia e della giovi­nezza con interventi individuali e collettivi fin dalla nascita e messa a disposizione di spazi di gioco e socializzazione e di attrezzature sportive che consentano un sereno sviluppo fisico e psi­chico dei bambini (è una esigenza questa dello sport e della socializzazione dentro e fuori la scuola, che è emersa con particolare forza nel dibattito di questi mesi, sottolineando ancora una volta la necessità di una gestione unitaria dei problemi), alloggi individuali e collettivi dell'edilizia economica e popolare per anziani, han­dicappati, genitori soli con figli, ricovero in o­spedale (e non in istituti di assistenza) dei ma­lati cronici bisognosi di cure sanitarie non pra­ticabili a domicilio o ambulatorialmente, ecc.

 

Partecipazione

Finora la tutela della salute fisica, psichica e sociale è stata delegata agli amministratori ed ai tecnici con i tristi risultati che conosciamo. È invece necessario prima di tutto che i cittadi­ni si diano da fare per entrare in possesso delle informazioni e degli strumenti adeguati per po­ter rivendicare i servizi necessari e controllare il loro funzionamento.

Condizione essenziale per ottenere una ido­nea tutela della propria salute fisica e psichica e per evitare ogni forma di emarginazione socia­le è la partecipazione dei cittadini e cioè la loro organizzazione (nelle forme che í cittadini stes­si ritengono più opportune) per conoscere quel che avviene, per elaborare le richieste, per di­scutere le iniziative da prendere, per lottare, per ottenere le cose richieste, per controllare come funzionano i servizi e per verificare se i soldi sono spesi nell'interesse dei cittadini stessi.

Per una partecipazione effettiva delle forze sociali e della popolazione alla individuazione delle esigenze, delle priorità e delle risposte, al fine di realizzare non solo adeguati interventi nei casi di malattia o di bisogno, ma soprattutto un benessere fisico, psichico, sociale ed am­bientale, allo stesso tempo individuale e collet­tivo, è indispensabile, ma non sufficiente, il con­senso delle forze sociali e della popolazione.

La partecipazione presuppone invece un me­todo di governo che punti nel coinvolgimento reale (non subordinato alle istituzioni) delle for­ze sociali e della popolazione.

È un metodo del quale oggi non è possibile definire tutto in base alle esperienze acquisite, ma di cui si possono individuare alcuni elemen­ti di fondo:

- autonomia delle forze sociali e loro rappor­to dialettico e costruttivo con le istituzioni, au­tonomia che deve essere voluta dai movimenti di base e che deve essere riconosciuta dalle istituzioni;

- processo di scambio delle informazioni fra le istituzioni, le forze sociali ed i cittadini;

- messa a disposizione delle forze sociali, da parte delle istituzioni, degli strumenti neces­sari per la loro attività e per i rapporti con i lavoratori ed i cittadini.

Una delle condizioni per l'autonomia delle forze sociali può essere individuata nella non ge­stione da parte di queste forze di attività am­ministrative.

Con la cogestione, infatti, le capacità di inter­vento delle forze sociali verrebbero ad essere notevolmente ridotte perché assorbite dall'eser­cizio del potere, dagli obblighi di gestione e vincolate dalle leggi, dai regolamenti e dalla bu­rocrazia.

Inoltre lo stesso Sindacato, per la contrastan­te posizione di gestore di servizi e di rappre­sentante dei lavoratori nei confronti dell'ente cogestito, verrebbe a trovarsi nella contraddit­toria situazione di essere nello stesso tempo parte e controparte.

Su questi temi il dibattito e l'approfondimento vanno comunque sviluppati e verificati anche ri­spetto alle reali aspettative della popolazione e quindi degli utenti dei servizi e tenendo anche canto dei processi di cambiamento da innescare dentro le istituzioni stesse.

Altra importante condizione per una parteci­pazione incisiva è la presenza del minor numero possibile di enti incaricati di provvedere alla gestione dei servizi sanitari, assistenziali, abita­tivi, precolastici e scolastici, ricreativi, cultu­rali, ecc. a cui si deve aggiungere una loro ge­stione trasparente ed aperta di controllo popo­lare.

 

Competenze dello Stato, delle Regioni e delle Unità locali

In materia di sanità e di assistenza lo Stato (Governo e Parlamento) ha conservato le fun­zioni di programmazione e di finanziamento: re­sta dunque una controparte importante per il po­tere che ha di condizionare le Regioni ed i Co­muni e pertanto le esigenze della popolazione.

Alle Regioni spettano invece compiti di legi­slazione specifica, programmazione regionale, coordinamento, indirizzo, vigilanza e finanzia­mento (in parte).

La gestione dei servizi sanitari ed assisten­ziali è invece attribuita dal D.P.R. n. 616 alle Unità locali.

 

Unità locali di tutti i servizi

Con la legge della Regione Piemonte n. 41 del 9 luglio 1976 sono stati individuati gli ambiti territoriali delle Unità locali dei servizi, definite «il complesso integrato di tutti i servizi di ba­se» e pertanto non solo di quelli sanitari e assi­stenziali, come prevede, contraddittoriamente con quanto sopra riportato, la legge regionale n. 39 dell'8 agosto 1977.

Per individuare il tipo di Unità locale, di cui all'articolo 2 di questa proposta di legge regiona­le, si è tenuto conto di quanto segue:

- evitare la proliferazione degli organi di go­verno locale;

- consentire la massima partecipazione pos­sibile dei cittadini;

- rendere operante, anche a livello istituzio­nale, il collegamento e l'interdipendenza fra ser­vizi sanitari ed assistenziali e gli altri settori della vita sociale;

- avere, al livello più vicino possibile ai cit­tadini, una struttura in grado di assicurare da un lato i servizi necessari per la popolazione e dall'altro lato di essere un vero e proprio organo di governo.

A questo riguardo occorre tener conto dell'at­tuale frammentaria situazione dei Comuni pie­montesi, come risulta dalla seguente tabella tratta dai dati del censimento della popolazione del 1971:

 

Classi popolazione                                Numero Comuni            Popolazione complessiva

infer. ai 3.000 abitanti                                  1.011                               1.007.634

da 3.001                a   5.000                             83                                  330.438

da 5.001                a   10.000                           63                                  443.182

da 10.001              a   20.000                           23                                  326.519

da 20.001              a   50.000                           21                                  656.081

da 50.001              a   100.000                           5                                  297.380

da 100.001            a   1.000.000                        2                                  203.111

oltre 1.000.000                                                  1                               1.167.968

totali                                                          1.209                               4.432.313

 

Di qui la necessità di raggruppare i Comuni piccoli (Consorzi fra Comuni) e di ripartire il Comune di Torino in quartieri.

Sempre allo scopo di avere la massima sem­plificazione degli enti locali, l'organo di governo delle Unità locali deve essere la Comunità mon­tana nel caso di coincidenza fra Unità locale e Comunità montana.

Ciò vale per le Comunità montane Val Pel­lice e Val Chisone.

In ogni caso, sempre per il motivo suddetto, è necessario arrivare ad avere la massima cor­rispondenza possibile fra Comunità montane ed Unità locali, per cui si chiede alla Regione di avviare le conseguenti iniziative.

Appare chiaro da queste notazioni che non c'è contrapposizione fra le enunciazioni genera­li della proposta di legge di iniziativa popolare (v. art. 1) e la legge 39 (art. 2), anzi c'è una coincidenza assoluta.

L'iniziativa popolare è invece un approfondi­mento e un completamento della legge 39, in­centrati su indicazioni specifiche, indispensa­bili sia per evitare vuoti di intervento, sia per avere un quadro di riferimento complessivo.

 

Urgente costituzione degli organi di governo delle Unità locali

La gestione dei servizi a livello delle Unità locali, stabilita dal D.P.R. n. 616 e dalle leggi re­gionali n. 41/76 e 39/77, non può ovviamente avere inizio se non dopo la costituzione dei re­lativi organi di governo e cioè dei Consorzi fra Comuni e l'attribuzione delle funzioni relative al­le due Comunità montane (Val Pellice e Val Chi­sone) coincidenti con le Unità locali.

Per il Comune di Torino si tratta di andare al­la rapida costituzione operativa e funzionale dei 23 Consigli di quartiere che, stante il deplora­bile rinvio delle elezioni al 1980, fino a questa data non potranno essere eletti direttamente dai cittadini.

Poiché senza i Consorzi (ne sono previsti 51 per il Piemonte) e per Torino senza i Consigli di quartiere, non possono essere assicurati i servizi indispensabili per i cittadini, nella pro­posta di legge regionale di iniziativa popolare nel caso in cui tutti i mezzi democratici possi­bili si sono dimostrati insufficienti od inutili, se ne chiede la costituzione obbligatoria.

La costituzione degli organi di governo delle Unità locali di tutti i servizi é urgente ed indi­spensabile anche per:

- evitare vuoti di intervento come ad esem­pio sta avvenendo da oltre due anni a seguito dello scioglimento dell'ONMI. Ora poi il proble­ma è più grave poiché gli enti sanitari ed assi­stenziali da sopprimere nel Piemonte in base al D.P.R. n. 616, e ad altre leggi dello Stato sono oltre 3.000;

- impedire un processo di degradazione dell'esistente e rendere invece possibile una pron­ta utilizzazione di strutture, attrezzature, beni e personale;

- avviare l'informazione sanitaria e sociale alla popolazione, compresa quella relativa ai farmaci;

- affrontare in termini precisi e concreti la formazione di base e permanente, la riqualifi­cazione, l'aggiornamento e, occorrendo, la ricon­versione degli operatori sanitari e sociali;

- assicurare i necessari interventi preven­tivi, curativi e riabilitativi (compresi quelli ri­volti agli handicappati fisici, psichici e sensoria­li) a livello domiciliare, ambulatoriale e poliam­bulatoriale ed avviare agli ospedali solo i casi necessari;

- incominciare a dimettere dagli istituti di assistenza i ricoverati (minori, anziani, handi­cappati) dopo aver predisposto gli interventi, le strutture ed i servizi alternativi.

 

Ospedali

I principali obiettivi da raggiungere sono:

- l'eliminazione della distinzione fra ospe­dali regionali, provinciali e zonali;

- il collegamento reale dell'attività extra­ospedaliera con quella ospedaliera;

- la creazione dei dipartimenti, incomincian­do da quelli di emergenza e accettazione.

Al fine di salvaguardare la specificità degli interventi ed i problemi di salute pubblica all'in­terno delle strutture ospedaliere relative ad un determinato territorio, si richiede l'avvio della trasformazione degli ospedali esistenti in modo che possano accogliere e fornire i necessari in­terventi non solo a tutti gli ammalati acuti, com­presi i casi psichiatrici, infettivi, ecc., ma anche ai lungodegenti ed ai cosiddetti cronici. Una struttura di questo tipo, per quanto possibile onnicomprensiva, assicurerebbe a tutti la mas­sima vicinanza possibile al territorio di prove­nienza ed eviterebbe la creazione di sedi stac­cate o di strutture di tipo ospedale psichiatrico, cronicario, ospedale geriatrico o simili. Tale in­dicazione di principio non presuppone ovvia­mente che tutti gli ospedali abbiano le singole specialità.

A maggior ragione le eventuali strutture o­spedaliere di nuova costruzione dovranno esse­re progettate in un modo completamente diverso da quanto avveniva in passato.

Il criterio generale che dovrà sovrintendere al ricovero in ospedale non potrà più essere quello di orientare il cittadino a qualsiasi struttura, ma quello di prevedere le strutture secondo le esi­genze dei cittadini nel loro territorio: pertanto nei casi di ricovero ospedaliero, salvo particolari urgenze e casi similari, è da prevedersi la pre­cedenza assoluta per i residenti nel territorio di competenza.

 

Organizzazione interna dell'Unità locale

Per quanto concerne l'organizzazione interna dell'Unità locale, si prevede la suddivisione del suo territorio in aree, denominate compartimen­ti, comprendenti dai 5.000 ai 10.000 abitanti.

Tale suddivisione viene ritenuta indispensabi­le per una attività di base dei servizi sanitari ed assistenziali svolta in modo da dare una rispo­sta globale alle esigenze della popolazione e da assicurare la pluridisciplinarietà e collegialità degli interventi.

A livello di ciascun compartimento è prevista, come obiettivo da raggiungere, una unica équi­pe sanitaria ed assistenziale con compiti di:

- gestione operativa di tutte le attività sani­tarie ed assistenziali del compartimento, attra­verso gli interventi domiciliari ed ambulatoriali di prevenzione, cura e riabilitazione, con azione di filtro verso gli ospedali e le strutture spe­cialistiche;

- rinvio ad altre strutture (poliambulatori, o­spedali) dei soggetti non trattabili in zona;

- raccolta ed invio alle sedi di elaborazione e ritrasmissione dei dati agli operatori, alle for­ze sociali ed alla popolazione;

- informazione socio-sanitaria;

- favorire la partecipazione delle forze so­ciali, della popolazione residente nel comparti­mento e dei lavoratori della zona.

In ogni compartimento gli interventi dell'équi­pe sanitaria ed assistenziale sono svolti a li­vello domiciliare, ambulatoriale pubblico (sede dell'équipe), ambulatoriale del medico e presso le sedi comunitarie (scuola, lavoro, ecc.).

Nelle équipes di compartimento sono previsti, in prima approssimazione, quale personale a tempo pieno: medici generici, pediatri, infermie­ri, psicologi, assistenti sociali, collaboratori fa­miliari, amministrativi. È inoltre prevista nel com­partimento la presenza a tempo parziale di spe­cialisti quali ad esempio: medico ortopedico, medico psichiatra, terapisti della riabilitazione, ecc.

Tutti questi operatori dovrebbero operare a tempo pieno a livello dell'Unità locale. Inoltre gli operatori, secondo í loro ruoli professionali, dovranno:

1) avere la possibilità di operare, compatibil­mente con il loro orario di lavoro, anche nei poliambulatori e negli ospedali;

2) avere la possibilità di un aggiornamento scientifico e professionale;

3) seguire i propri pazienti nei vari momenti di intervento.

In ciascuna Unità locale (o al massimo in due Unità locali confinanti con basso numero di po­polazione) è previsto un poliambulatorio al qua­le siano inviati i casi che esigono dotazioni stru­mentali e personale specializzato in grado di as­sicurare quegli interventi che non possono esse­re effettuati a livello di compartimento.

Nei poliambulatori possono essere previsti alcuni posti letto per assicurare gli interventi di «ospedale diurno».

In prima approssimazione le altre attività dei poliambulatori potrebbero essere ad esempio: radiologia, laboratori di analisi, pronto soccorso non specializzato, piccola chirurgia, riabilitazio­ne per gli interventi non effettuabili a domicilio o nel compartimento socio-sanitario.

 

Formazione degli operatori sanitari e sociali

L'obiettivo finale della programmazione da par­te della Regione nella formazione degli opera­tori sanitari ed assistenziali esige che la Regio­ne stessa provveda a programmare in base alle

sue attuali competenze la formazione del perso­nale necessario. Esige inoltre l'attribuzione alle Unità locali della gestione di questi corsi e scuole.

Questa delega alle Unità locali consente:

- l'uniformità dei criteri di formazione in ba­se agli indirizzi nazionali e alla programmazione regionale;

- la verifica costante della rispondenza della formazione con le esigenze reali della popola­zione;

- il coinvolgimento della popolazione e delle forze sociali nel processo formativo;

- l'unificazione degli organi responsabili del­la formazione e la precisa individuazione delle sedi formative;

- l'avvio del processo di verifica sulla inter­scambiabilità dei ruoli.

Nello stesso tempo è necessario che il Comu­ne di Torino e le Unità locali di tutti i servizi affrontino urgentemente e concretamente il pro­blema della formazione di base e permanente degli operatori sanitari e sociali e in particolare la riqualificazione, l'aggiornamento e la riconver­sione del numerosissimo personale dei 3.000 enti di cui il D.P.R. prevede lo scioglimento.

 

Comprensori

Con la legge regionale n. 41 del 4 giugno 1975 sono stati istituiti in Piemonte 15 compren­sori quali organi decentrati della Regione con compiti di programmazione e di coordinamento delle attività di competenza degli enti locali.

I Consiglieri dei comprensori vengono desi­gnati fra i consiglieri comunali e provinciali con elezione di secondo grado.

Il rapporto tra Unità locali e comprensori è quello risultante dalla seguente tabella:

 

Comprensori

Consiglieri

Unità

locali

Abitanti

a1 31-12-77

Torino

122

39

2.115.940

Ivrea

60

2

130.786

Pinerolo

60

3

118.708

Vercelli

61

2

120.070

Biella

60

2

196.138

Borgosesia

41

2

86.012

Novara

80

4

300.773

Verbania

60

3

189.425

Cuneo

60

3

146.387

Savigliano

GO

3

146.387

Alba

61

2

147.541

Mondovì

40

2

93.080

Asti

60

2

208.444

Alessandria

80

6

402.738

Casale

62

1

102.533

Regione Piemonte

967

76

4.516.582

 

Come risulta dalla tabella vi è una netta spro­porzione tra il comprensorio di Torino e gli altri.

Risulta inoltre che l'istituzione dei compren­sori è avvenuta senza tener conto delle Unità locali: infatti il comprensorio di Casale Monfer­rato coincide con l'Unità locale e non si com­prende la ragione per cui vi debbano essere due organi di governo per lo stesso territorio.

Vi è però da osservare che, anche a seguito dell'accordo di governo che prevede un unico organo intermedio fra il Comune e la Regione, vi è un dibattito in corso sul ruolo delle Province (che i proponenti dell'iniziativa popolare riten­gono debba essere soppressa con trasferimento delle funzioni sanitarie e assistenziali e relativi operatori alle Unità locali di tutti i servizi) e dei comprensori.

A nostro avviso questo dibattito deve tener conto anche delle Comunità montane e soprat­tutto delle Unità locali di tutti i servizi.

Non vi è inoltre da escludere che il dibattito in corso sull'organo intermedio fra Comuni e Regioni non giunga alla conclusione che tale or­gano debba essere individuato proprio nell'Unità locale di tutti i servizi.

 

Conclusioni

La proposta di legge che presentiamo alla at­tenzione del Consiglio regionale non pretende certo di essere «il meglio» prodotto in questo campo né di essere esaustiva di tutti i problemi. Ha invece, e lo sappiamo, molte lacune e lascia aperti grossi problemi.

In alcune parti essa contiene indicazioni che sono di carattere generale inserite però poiché le giudicavamo politicamente rilevanti (come l'art. 2 riguardante l'Unità locale di tutti i ser­vizi). Alcuni problemi non sono stati trattati co­me quello dei rapporti tra Unità locale e privati (case di cura, laboratori di analisi, istituti di ricovero) anche perché tali nodi dovranno es­sere sciolti con le riforme della sanità e dell'as­sistenza attualmente in discussione in Parlamen­to. Non è affrontato, come abbiamo già detto, il problema del rapporto tra Unità locali e com­prensori.

Ma la nostra intenzione non era e non è quella di dire tutto e tutto giusto, era ed è più modesta e nello stesso tempo più ambiziosa.

Era ed è di offrire uno strumento che consen­tisse di far uscire dalla quasi clandestinità i problemi dei nuovi servizi socio-sanitari e di ampliare il dibattito ed il confronto in modo non generico ma concreto e capillare sui servizi e sugli interventi che devono essere messi in at­to dalla Regione e dalle Unità locali. E questo si è rilevato un obiettivo giusto perché in questi sei mesi abbiamo trovato una grande disinfor­mazione, spesso anche da parte degli Ammini­stratori locali, ma un altrettanto grande inte­resse e desiderio di conoscere, partecipare, ve­dere finalmente cambiate le cose in questo campo.

Ma soprattutto, in questo momento di profon­da crisi economica e di valori, in cui corriamo il rischio ancora una volta di essere espropriati anche dalla politica, ci interessava dare ai lavo­ratori, ai cittadini, ai gruppi di base, alle forze sociali e sindacali, una occasione in più per «fare politica» e far «contare» sui problemi concreti e verificabili nel vivo della vita quoti­diana.

Siamo certi che il Consiglio regionale coglie­rà in pieno il profondo significato politico e cul­turale di questa iniziativa attuata utilizzando uno degli strumenti di partecipazione che esso stes­so ha messo a disposizione.

Per parte nostra la consideriamo un avvio di mobilitazione e continueremo ad essere parte attiva per quanto ci compete come forza di ba­se, per far sì che le attese e le speranze che abbiamo contribuito ad aprire anche con questa iniziativa, abbiamo risposta positiva.

Continueremo a lavorare, soprattutto nei Co­muni, nelle zone, nei quartieri, per la riorganiz­zazione dei servizi, contro la disgregazione so­ciale, per la trasformazione in senso più demo­cratico dello Stato e per la costruzione di un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni.

Proponenti, firmatari e promotori ci auguria­mo che il Consiglio regionale piemontese vorrà discutere al più presto e approvare l'allegata proposta di legge di iniziativa popolare, in mo­do che la delega delle funzioni alle Unità locali di tutti i servizi e la definizione dei criteri di programmazione, finanziamento e gestione del­le attività sanitarie e assistenziali e quelle rela­tive alla formazione di base e permanente degli operatori costituiscano un organico quadro di riferimento diretto a soddisfare i reali indifferi­bili interessi dei singoli e della collettività.

Ma al di là delle sorti della proposta di legge riteniamo che attese e speranze aperte con que­sta iniziativa non possano essere eluse e atten­dano dalla Regione e dai Comuni, risposte, atti, realizzazioni, concrete e visibili, che diano il se­gno di una profonda volontà di trasformazione della convivenza civile.

 

 

TESTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

 

Art. 1. - I servizi sanitari e assistenziali di com­petenza della Regione Piemonte, dei Comuni e delle Comunità montane devono essere istituiti e organizzati in modo da:

- rispondere alle esigenze delle persone, fa­miglie e comunità;

- intervenire per la prevenzione e rimozione delle cause di malattia e di disadattamento;

- assicurare gli interventi curativi e riabilita­tivi a livello domiciliare, ambulatoriale, poliam­bulatoriale, consultoriale e ospedaliero a tutte le persone che ne necessitano, comprese quel­le definite malate croniche;

- garantire a tutti i cittadini, compresi quelli handicappati, la fruizione dei normali servizi sa­nitari, prescolastici, scolastici, abitativi, cultu­rali, ricreativi o di altro genere esistenti o da istituire nell'ambito della zona di residenza dei cittadini, evitando qualsiasi forma di segregazio­ne, di esclusione e di beneficenza;

- provvedere al reinserimento sociale delle persone ricoverate in istituti;

- assicurare la formazione di base e perma­nente, l'aggiornamento e la riqualificazione degli operatori addetti alle attività sopra indicate.

 

Art. 2. - AI fine di evitare una gestione della sanità e dell'assistenza separata dagli altri ser­vizi e allo scopo di consentire ad un unico or­gano di governo locale di intervenire negli altri settori della vita sociale, la Regione provvederà entro un anno dall'entrata in vigore della pre­sente (proposta di) legge a costituire l'Unità lo­cale di tutti i servizi.

A tal fine, entro il termine sopra indicato, la Regione delega agli organi di cui all'art. 4 e ne riordina le funzioni inerenti le attività gestibili a livello delle Unità locali di tutti i servizi e ri­guardanti le seguenti materie: assetto del terri­torio, urbanistica, assistenza scolastica, istruzio­ne artigiana e professionale, musei e bibliote­che, agricoltura e foreste, artigianato, lavori pubblici, turismo e industria alberghiera, viabili­tà, acquedotti, tranvie e linee automobilistiche, navigazione e porti lacuali, fiere e mercati, ac­que minerali e termali, cave e torbiere, prote­zione della fauna.

 

Art. 3. - La gestione dei servizi sanitari e assi­stenziali è attuata con la partecipazione delle forze sindacali e sociali operanti nel territorio, le quali definiscono autonomamente le forme or­ganizzative idonee per l'attuazione del controllo popolare sulle scelte politiche, programmatiche ed operative della Regione e degli enti preposti alla gestione dei servizi.

La Regione, gli organismi preposti alla gestio­ne dei servizi, i Comuni, le Comunità montane, le Province e gli enti dipendenti dalla Regione o da essa controllati sono tenuti a trasmettere tempestivamente alle forze sindacali e sociali copia delle proposte di deliberazione, degli atti e ogni altra informazione richiesta.

 

Art. 4. - La gestione dei servizi di cui all'art. 1 è assicurata, ai sensi del D.P.R. n. 616 del 24-7­1977 dal Comune di Torino e dai suoi 23 Consigli di quartiere, dalle Comunità montane coinciden­ti con le Unità locali e dai Consorzi fra Comuni. Spettano inoltre agli organismi suddetti:

- il controllo delle istituzioni pubbliche e pri­vate operanti nel campo della sanità, dell'assi­stenza e della formazione degli operatori sanita­ri e sociali per quanto attiene le competenze at­tribuite alla Regione ed agli enti locali.

- le nomine di competenza regionale degli amministratori delle istituzioni di cui sopra. Entro quattro mesi dall'entrata in vigore della presente (proposta di) legge i Comuni devono provvedere alla costituzione dei Consorzi i cui membri devono essere scelti fra i Consiglieri comunali del territorio. Entro la stessa data il Comune di Torino deve provvedere alla istituzio­ne dei propri organi di decentramento.

In caso di mancata attuazione di quanto sopra disposto, vi provvederà la Regione tramite un commissario speciale designato dal Consiglio regionale.

La Regione provvederà a stabilire rapporti con le Comunità montane, le relative popolazioni e le forze sindacali e sociali operanti nel territo­rio per concordare, anche tramite unificazioni e ridefinizioni degli ambiti territoriali, l'organico collegamento fra Comunità montane e Unità lo­cali di tutti i servizi.

I Comuni e le Comunità montane devono met­tere a disposizione degli organismi di cui al pri­mo comma del presente articolo il proprio per­sonale, le strutture, le attrezzature ed i fondi relativi alla sanità, all'assistenza ed alla forma­zione degli operatori sanitari e sociali.

In materia di sanità, assistenza e formazione degli operatori sanitari e sociali restano alla Regione le funzioni di programmazione, d'indi­rizzo, di coordinamento, di vigilanza e di finan­ziamento.

Il personale dei servizi sanitari e assistenzia­li deve operare a tempo pieno, comprendendo in questo le attività di studio, ricerca e aggiorna­mento.

Al personale proveniente dallo scioglimento degli enti, IPAB comprese, sono assicurati la conservazione del posto di lavoro ed il tratta­mento salariale e normativo in godimento. In ogni caso devono essere garantiti i livelli stabi­liti dai contratti collettivi di lavoro. Il personale è messo a disposizione della Regione; entro ses­santa giorni è assegnato alle Unità locali di tutti i servizi previa contrattazione con le organizza­zioni sindacali per essere inquadrato in osser­vanza dei contratti collettivi di lavoro.

Il personale religioso che opera, anche tramite convenzioni, nelle IPAB da almeno un anno è inserito, su richiesta ed entro il 31-12-1978, nei ruoli organici ordinari e occorrendo soprannu­merari dell'ente con la qualifica corrispondente al lavoro svolto, sempre che l'interessato sia in possesso dei titoli di studio corrispondenti.

Fino all'entrata in vigore della legge di rifor­ma della finanza locale, la gestione finanziaria delle attività di assistenza viene contabilizzata separatamente ed i beni degli ECA e delle IPAB conservano la destinazione ai servizi di assisten­za sociale anche nel caso di loro trasformazione patrimoniale.

 

Art. 5. - I servizi sanitari e assistenziali, orga­nizzati a livello delle Unità locali di cui alla leg­ge n. 41 del 9-7-1976, provvedono ad assicurare le necessarie prestazioni preventive, curative, riabilitative e sociali di tipo domiciliare, ambula­toriale, consultoriale, poliambulatoriale e ospe­daliero alla popolazione residente e, per quanto concerne l'ambiente di lavoro, ai lavoratori del territorio.

I servizi sanitari e assistenziali assicurano al­tresì, con modalità organizzative e operative di piena integrazione con le altre attività, le pre­stazioni:

- di medicina scolastica di cui ai D.P.R. 11-2­1961 n. 264 e 22-11-1967 n. 1518;

- di assistenza medico-psichica, compresi gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi agli handicappati fisici, psichici e sensoriali e la for­nitura di protesi;

- consultoriali di cui alla legge della Regio­ne Piemonte n. 39 del 9-7-1976.

Gli interventi sanitari e assistenziali possono comprendere anche le attività svolte dai servizi di fabbrica a seguito di accordi conclusi fra le organizzazioni dei sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Al fine di assicurare la necessaria funzionalità, l'Unità locale può essere suddivisa in sottozone, in ciascuna delle quali opera un gruppo di ope­ratori sanitari e assistenziali in grado di fornire le prestazioni di base preventive, curative, ria­bilitative e sociali.

 

Art. 6. - Gli interventi di prevenzione sono diretti:

a) nel campo sanitario alla individuazione nel territorio e nei luoghi di lavoro dei rischi di ma­lattie, all'assunzione di tutti i dati derivanti dalle indagini suddette al fine della loro elaborazione epidemiologica e alla trasmissione alle forze sindacali e sociali e alla popolazione;

b) nel campo assistenziale alla individuazione delle situazioni di segregazione (ricovero in isti­tuti) e delle cause di emarginazione nei settori del lavoro e della vita sociale (istituzioni pre­scolastiche e scolastiche, attività ricreative e culturali, abitazione, trasporti, barriere architet­toniche ecc.).

Nell'ambito delle competenze regionali, gli in­terventi comprendono altresì l'eliminazione del­le suddette situazioni, rischi e cause mediante idonei provvedimenti legislativi e operativi.

 

Art. 7. - Le prestazioni curative e sociali, sani­tarie e assistenziali, fornite a livello domiciliare e ambulatoriale hanno lo scopo di:

- assicurare una adeguata risposta alle si­tuazioni di malattie e di disadattamento indivi­duale, familiare e sociale;

- costituire un filtro nei confronti dei poliam­bulatori e dei ricoveri in ospedale e in istituti di assistenza.

Ai poliambulatori sono inviati i casi che esi­gono dotazioni strumentali e personale specializ­zato in grado di assicurare gli interventi non pra­ticabili a livello domiciliare e ambulatoriale.

Nei poliambulatori possono essere previsti al­cuni posti letto per assicurare gli interventi che richiedono un ricovero diurno limitato. I ricoveri ospedalieri devono avvenire solo tramite i dipar­timenti di emergenza e di accettazione.

 

Art. 8. - Il Comune di Torino ed i 23 Consigli di quartiere della città stessa, i Consorzi e le Co­munità montane coincidenti con le Unità locali devono assicurare gli interventi di competenza in base alle seguenti priorità:

- interventi preventivi indicati all'art. 6;

- assistenza economica ordinaria e straordi­naria da erogare in base a criteri e parametri prefissati;

- assistenza domiciliare comprendente le prestazioni di aiuto domestico, infermieristiche, riabilitative ed educative;

- segnalazione all'autorità giudiziaria mino­rile, ai sensi delle leggi vigenti, dei minori in situazione di abbandono materiale e morale (ved. legge sull'adozione speciale n. 431 del 5-6-1967) e di quelli per i quali è necessario l'intervento del tribunale per i minorenni e del giudice tute­lare; attività derivanti da provvedimenti dell'au­torità giudiziaria minorile;

- affidamenti educativi di minori, affidamen­ti assistenziali di interdetti, inserimenti di han­dicappati adulti e di anziani presso famiglie, per­sone e nuclei parafamiliari composti da due o più volontari o in comunità alloggio gestite dal­le Unità locali o autogestite;

- ricovero, nella fase transitoria, in istituti di assistenza previamente autorizzati a funzio­nare e aventi strutture e personale adeguati e situati nel territorio di residenza dei soggetti in­teressati, salvo loro diversa richiesta.

Gli interventi assistenziali sono assicurati, in particolare, fino al loro reinserimento sociale:

- ai minori, agli handicappati adulti ed agli anziani in situazione di bisogno economico e/o sociale;

- alle persone colpite da catastrofe o da ca­lamità naturali escluso il primo soccorso;

- ai rifugiati, ai profughi e ai rimpatriati, e­sclusa la prima assistenza;

- alle famiglie dei carcerati e alle vittime del delitto;

- agli ex carcerati;

- ai minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili, nell'ambito delle competenze civili e amministrative (rieducative);

- alle prostitute ed ex prostitute;

- alle persone tossico-dipendenti e assimila­bili ai sensi della legge n. 685 del 22-12-1975. Il Comune di Torino, le Comunità montane coincidenti con le Unità locali ed i Consorzi prov­vedono a richiedere le rivalse agli interessati ed ai parenti tenuti a provvedervi, solo nei casi di ricovero in istituto, di affidamento, di inseri­mento e di accoglimento in comunità alloggio ed in base a criteri e parametri prefissati te­nendo conto dei redditi.

 

Art. 9. - La Regione Piemonte, in accordo con il Comune di Torino, le Comunità montane coin­cidenti con le Unità locali ed i Consorzi, deve istituire un sistema informativo permanente in grado di fornire in modo continuo i dati aggior­nati concernenti:

- ricoverati in ospedali e istituti;

- strutture, servizi, attrezzature e personale socio-sanitario;

- dati epidemiologici e ogni altro elemento necessario per una corretta informazione socio­sanitaria.

L'accesso a tali dati è consentito in qualsiasi momento agli organi di cui sopra e, escluse le parti coperte dal segreto di ufficio ai sensi delle leggi vigenti, alle forze sindacali e sociali.

 

Art. 10. - La Regione assumerà le necessarie iniziative promozionali affinché, mediante accor­di fra gli enti interessati, le funzioni sanitarie e assistenziali attribuite delle leggi vigenti alle Province siano svolte dalle Unità locali di tutti i servizi.

Le Province, previ accordi con gli enti interes­sati e le organizzazioni sindacali, provvederanno a mettere a disposizione delle Unità locali il personale, le strutture, le attrezzature e gli stan­ziamenti relativi alle attività sanitarie e assisten­ziali trasferite, comprese quelle relative agli handicappati fisici e psichici.

 

Art. 11. - Il Comune di Torino, le Comunità montane coincidenti con le Unità locali ed i Con­sorzi assumono le iniziative necessarie per l'in­serimento di persone volontarie nelle attività sanitarie e assistenziali che non richiedono pre­stazioni da attribuire alla competenza di perso­nale qualificato e specializzato.

Alle persone volontarie sono rimborsate, se richieste, le spese vive sostenute purché previa­mente autorizzate.

 

Art. 12. - A partire dall'entrata in vigore della presente (proposta di) legge, il ricovero in isti­tuzioni di assistenza è consentito solamente pre­vio parere favorevole delle Unità locali tenute a provvedere.

Le Unità locali, fatte salve le rivalse di cui all'art. 8, provvedono direttamente al pagamento delle rette di loro competenza alle istituzioni di assistenza.

Non è ammessa alcuna altra forma di contri­buto diretto o indiretto alle istituzioni di assi­stenza da parte della Regione, dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane e dei Con­sorzi.

 

Art. 13. - Come misura preventiva degli infor­tuni e per facilitare la vita di relazione degli handicappati, la Regione dispone i necessari in­terventi affinché gli edifici pubblici o aperti al pubblico, le istituzioni prescolastiche, scolasti­che, ricreative, culturali o comunque di interes­se sociale, di nuova edificazione siano costruite in conformità del D.M. 18-12-1975, dell'art. 27 della legge 30-3-1971 n. 118 e in osservanza della circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15-6-1968 riguardanti l'eliminazione delle bar­riere architettoniche.

Agli edifici appaltati o già costruiti devono essere apportate le possibili conformi varianti. I piani urbanistici ed i regolamenti edilizi de­vono essere modificati entro un anno dall'entra­ta in vigore della presente (proposta di) legge per dare applicazione a quanto previsto dal pre­sente articolo.

 

Art. 14. - La Regione, previ confronti con le forze sindacali e sociali e tempestiva trasmissio­ne alle stesse di tutte le informazioni necessa­rie, predisporrà entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente (proposta di) legge il pia­no ospedaliero transitorio con precisazione dei mezzi, strumenti e tempi per la trasformazione degli ospedali esistenti e per la costruzione di quelli nuovi occorrenti, affinché essi siano in gra­do di accogliere e fornire i necessari interventi non solo agli acuti, compresi i casi psichiatrici e infettivi, ma anche ai lungodegenti e ai cronici bisognosi di cure sanitarie non praticabili a do­micilio o in ambulatorio.

Il piano ospedaliero dovrà inoltre prevedere che, nei casi di ricovero in ospedale, salvo par­ticolari urgenze, sia data precedenza assoluta ai residenti nel territorio di competenza.

Il piano ospedaliero deve pertanto:

- individuare i livelli organizzativi e funzio­nali ottimali della attività di diagnosi e cura o­spedaliera in rapporto alle richieste degli utenti;

- adeguare i servizi ospedalieri agli ambiti territoriali di utenza, attraverso l'unificazione amministrativa e tecnica degli ospedali situati in una Unità locale e, occorrendo, in uno stesso comprensorio;

- assicurare l'integrazione degli ospedali con le altre strutture sanitarie esistenti nel terri­torio;

- riorganizzare gli ospedali mediante l'isti­tuzione dei dipartimenti, realizzando prioritaria­mente quelli di emergenza e accettazione di primo e secondo livello;

- avviare il processo per l'eliminazione delle sezioni distaccate degli ospedali comprese quel­le destinate a lungodegenti o cronici;

- prevedere la chiusura degli ospedali ini­donei ed esuberanti rispetto alle necessità del territorio e di quelli aventi una percentuale di letti occupati inferiore al 50 per cento del totale dei posti disponibili, assicurando al personale il posto di lavoro, i diritti acquisiti e concordando con le organizzazioni sindacali la mobilità del personale stesso;

- l'amministrazione e la gestione degli enti ospedalieri devono essere assicurate dalle Unità locali di tutti i servizi dei territori di compe­tenza.

 

Art. 15. - Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente (proposta di) legge il Comune di Torino, i Consorzi e le Comunità montane coin­cidenti con le Unità locali, previ confronti con le forze sindacali e sociali e tempestiva trasmissio­ne alle stesse di tutte le informazioni richieste, presentano alla Giunta regionale il piano dei servizi sanitari e assistenziali del territorio di competenza.

I piani suddetti devono comprendere:

- il censimento delle strutture, attrezzature e personale esistenti;

- la strutturazione ottimale dei servizi sani­tari e assistenziali esistenti;

- la strutturazione ottimale in dipartimenti e servizi degli ospedali del territorio e le ripar­tizioni dei posti letto, tenendo conto delle indi­cazioni del piano ospedaliero;

- i servizi da istituire, con precisazione dei tempi e modalità;

- le necessità in personale e in termini di formazione di base e permanente, aggiornamen­to, riqualificazione e riconversione, con le rela­tive indicazioni di tempi e strumenti;

- le spese di investimento e di gestione.

 

Art. 16. - Ricevuti i piani di cui all'art. 15, la Giunta Regionale entro i tre mesi successivi, previ confronti con le forze sindacali e sociali e tempestiva trasmissione alle stesse di tutte le informazioni richieste, predispone il piano regio­nale per i servizi sanitari e assistenziali, il qua­le deve essere conforme agli obiettivi indicati nella presente (proposta di) legge e deve tenere conto dei piani presentati dalle Unità locali.

Il piano, i cui contenuti, tempi e finanziamenti sono vincolanti per la Regione, gli Enti locali e gli organismi finanziati o controllati dalla Re­gione, è approvato dal Consiglio regionale.

 

Art. 17. - Entro la data di cui all'articolo pre­cedente, la Giunta regionale, previ confronti con le forze sindacali e sociali e tempestiva trasmis­sione alle stesse di tutte le informazioni richie­ste, predispone il piano regionale per la forma­zione di base e permanente, la riqualificazione, l'aggiornamento e la riconversione del personale sanitario e assistenziale, esclusa la formazione universitaria e post-universitaria.

Il piano deve essere rispondente ai seguenti principi:

- coincidenza degli obiettivi della formazio­ne con gli obiettivi della programmazione sani­taria e assistenziale;

- adeguamento del gettito delle iniziative formative alle necessità di sviluppo e trasfor­mazione dei servizi e alle capacità di assorbi­mento delle strutture sanitarie e assistenziali;

- innalzamento delle basi culturali e scienti­fiche degli operatori allo stato delle conoscenze; - apertura della formazione in senso poliva­lente, interdisciplinare e di gruppo;

- integrazione delle attività culturali e scien­tifiche con le attività pratiche;

- frequenza alle iniziative di formazione per­manente, riqualificazione, aggiornamento e ri­conversione nell'orario di lavoro;

- priorità della prevenzione sanitaria e so­ciale;

- capacità di recepire gli apporti collabora­tivi e/o critici delle forze sindacali e sociali e della popolazione;

- messa a disposizione degli strumenti per la più ampia mobilità del personale in relazione alle esigenze;

- definizione dei centri di formazione e delle procedure di programmazione locale e di funzio­namento applicabili per centri operanti per due o più Unità locali;

- definizione delle modalità di collaborazione dei docenti e dell'altro personale utilizzabile, stabilendo tassativamente che quelli scelti fra il personale dei servizi sanitari e assistenziali deve essere di ruolo e a tempo pieno;

- definizione delle iniziative di aggiornamen­to tecnico e scientifico del personale docente;

- definizione delle norme concernenti la re­voca delle autorizzazioni concesse prima dell'entrata in vigore del piano regionale per la formazione e concernenti l'istituzione di corsi o scuole per operatori sanitari e assistenziali;

- messa a carico del bilancio regionale dei finanziamenti relativi alla istituzione e funzio­namento dei centri di formazione.

Il piano, i cui contenuti, tempi e finanziamenti sono vincolanti per la Regione, gli Enti locali e gli organismi finanziati o controllati dalla Re­gione, è approvato dal Consiglio regionale.

 

Art. 18. - Le competenze attualmente attribui­te ad enti sono esercitate, a partire dal loro scioglimento, dalla Regione e dalle Unità locali di tutti i servizi in base a quanto disposto dalla presente (proposta di) legge.

 

Art. 19. - La Regione, entro sei mesi dall'en­trata in vigore della presente (proposta di) leg­ge definirà, previ confronti con le forze sindaca­li e sociali e tempestiva trasmissione alle stesse di tutte le informazioni necessarie, i criteri per la ripartizione dei finanziamenti regionali alle Unità locali. I criteri stessi saranno definiti te­nendo conto della popolazione residente, dell'ampiezza del territorio, del livello dei servizi esistenti e delle risorse disponibili.

 

Art. 20. - Per le spese di istituzione e di primo avviamento dei Consorzi, la Regione provvede ad erogare a ciascuno di essi la somma di L. ..........

Per i finanziamenti dei piani di cui agli arti­coli 14, 15, 16 e 17, la Regione provvede median­te lo stanziamento di L. .......... per il 1978 e di L. .......... per gli anni seguenti.

 

 

NOTA DEL PCI DEL 14-2-1978

 

Come i compagni sapranno, l'8-8-1977 il Con­siglio regionale del Piemonte ha approvato la legge regionale n. 39 «Riorganizzazione e ge­stione dei servizi sanitari e socio-assistenziali». L'esigenza primaria cui la legge regionale in­tende far fronte risulta quella diretta ad indivi­duare un momento unitario di direzione dei ser­vizi socio-sanitari, momento unitario che coin­volga direttamente i Comuni ed i loro organi di amministrazione.

L'esigenza di tale unitarietà, che ha trovato analogo riscontro nel recente D.P.R. 616, attuati­vo della legge n. 382, è il presupposto di una gestione economicamente valida del settore sia in considerazione dei notevoli elementi di fram­mentarietà e settorialità degli interventi, sia in quanto la situazione economica generale rende improponibile un incremento dei costi comples­sivi del settore.

La risposta istituzionale della legge 39 al pro­blema della realizzazione di un momento politi­co unitario di direzione del settore socio-sani­tario è costituita dalla previsione di Consorzi fra Comuni (per quanto riguarda le Unità locali extra-Torino) e dalla previsione del decentra­mento (per quanto attiene a Torino).

Come ci si è mossi a livello istituzionale, fino a questo momento, per consentire la rapida at­tuazione della legge e quindi l'entrata in funzio­ne degli organi di gestione delle Unità locali?

Si sono tenute due giornate di lavoro, promos­so dalla V Commissione del Consiglio regiona­le, che hanno visto la partecipazione di tutti i 15 comprensori del Piemonte.

 

Perché i comprensori?

Ai comitati comprensoriali sono attribuiti, ai sensi dell'art. 16 della legge 39, compiti di pro­mozione e di coordinamento ed ai sensi del suc­cessivo art. 17 compiti di indirizzo nella fase di predisposizione ed attuazione dei programmi zo­nali unitari ed integrati di gestione dei servizi.

L'iniziativa politica dei comprensori, pertanto, potrà realisticamente svilupparsi in un arco di tempo che assicuri comunque il funzionamento dei Consorzi e la conseguente strumentazione degli stessi per l'anno 1979.

Ciò comporta la realizzazione definitiva del consorziamento entro il maggio 1977 (approva­zione degli statuti dei consorzi da parte di tutti i comuni delle ULS extra-Torino); entro luglio 1978 l'approvazione da parte del Consiglio re­gionale degli statuti (2); entro ottobre 1978 l'e­lezione degli organi di gestione.

Per quanto riguarda la Città di Torino, è noto ai compagni l'impegno a far sì che vengano ri­mossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono l'elezione di 2° grado (ma con gli ampi poteri stabiliti dalla legge) dei Consigli di quartiere e che vengano approvate le delibere quadro.

Inoltre, proprio in questi giorni si stanno te­nendo, nelle 16 ULS del Comprensorio torinese, gli incontri della V Commissione comprensoria­le con i Comuni delle ULS per accelerare al massimo il processo di consorziamento e per rispettare i tempi fissati. I tempi sono (come si vede) assai stretti, ma ragionevoli, se si può contare sull'immediato impegno di tutti i sog­getti coinvolti.

Il complesso delle cose fin qui esposte dimo­stra ampiamente che esiste un impegno consi­stente a livello istituzionale (e a livello politi­co, almeno per quanto attiene al nostro Partito) per far sì che alla data del 1-1-1979 le ULS pos­sano funzionare a pieno regime.

In questo contesto (che non è certo di atten­dismo o di passività da parte della Regione, del Comprensorio, dei Comuni) si è inserita nelle ultime settimane una iniziativa promossa dal C.S.A. (Coordinamento Sanità ed Assistenza fra i movimenti di base) che ha sede presso il Coor­dinamento dei quartieri di Via Assietta.

Al C.S.A. aderiscono, tra le altre, le ACLI, il Coordinamento dei comitati di quartiere, il Grup­po Abele, l'Unione Italiana Ciechi, l'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale.

Tale iniziativa consiste in una proposta di leg­ge regionale di iniziativa popolare che ha per scopo la «Riorganizzazione dei servizi sanitari ed assistenziali e costituzione delle Unità locali di tutti i servizi».

In base ad un disposto dello Statuto regionale piemontese per poter presentare una proposta di legge d'iniziativa popolare occorrono 8.000 firme, che appunto in questi giorni vengono rac­colte in varie località di Torino e Provincia da­gli aderenti al Comitato.

Molte sarebbero le osservazioni da fare nel merito della proposta di legge (c'è la proposta: di costituire l'Unità locale di tutti i servizi - as­setto del territorio, urbanistica, assistenza sco­lastica, istruzione artigianale e professionale, a­gricoltura e foreste, viabilità, acquedotti, fiere e mercati, navigazione lacuale e fluviale ecc. - e quindi di istituire un solo organo di governo; di costituire obbligatoriamente il consorzio fra comuni ed il decentramento a Torino: nel caso che i comuni non adempiano a questo disposto, la Regione provvede alla nomina di un Commis­sario speciale; di varare, da parte della Regione, un piano ospedaliero, ecc. ecc.).

A questo punto ci pare utile osservare che:

1) la proposta di legge ci pare sostanzialmen­te improponibile ed inaccettabile dal punto di vista istituzionale in quanto:

a) non prevede nessun coinvolgimento atti­vo e nessun ruolo per quanto riguarda la Provin­cia ed i Comprensori e quindi viene, di fatto, negata la funzione programmatoria dei Com­prensori nella formazione dei piani socio-sa­nitari;

b) attraverso la proposta di consorziamen­to obbligatorio e della eventuale nomina di un commissario regionale, non si tiene conto del ruolo dei Comuni, delle loro peculiarità e della loro storia e si crede di poter superare con un atto d'imperio una serie di difficoltà, che invece vanno superate con un lavoro politico paziente e costruttivo. Inoltre ci pare che emerga una vi­sione tecnocratica del Consorzio dei Comuni, te­sa ad espropriare gli stessi delle deleghe loro spettanti (legge 39, DPR 616) a favore del Con­sorzio stesso. Per non parlare del «Commissa­rio Regionale» che rimanda ad una soluzione «prefettizia» di problemi che sono squisita­mente politici.

2) La proposta di legge tende a riproporre una visione della ULS (unico organo di gestione per tutti i servizi) impraticabile dal punto di vista pratico, come già dimostra del resto la difficol­tà di avviare il processo gestionale anche solo per i servizi socio-sanitari.

Inoltre, viene risollevata la questione di un piano ospedaliero, cosa che è politicamente inaccettabile dal momento che si riproporrebbe ancora una volta la centralità dell'ospedale.

Al contrario il problema è quello di varare al più presto, da parte della Regione, un piano so­cio-sanitario complessivo che al suo interno contempli elementi di programmazione ospeda­liera (cosa che del resto si sta già facendo: in­fatti il gruppo che elabora il piano socio-sanita­rio ha già elaborato i primi due documenti A e B relativi alla metodologia e ai servizi di base, e si accinge ad affrontare appunto la parte ri­guardante la programmazione ospedaliera. I pri­mi due documenti sono stati inviati ai Compren­sori ed ai Comuni, i quali dovranno discuterli) (3).

Il dato più preoccupante dal punto di vista squisitamente politico, ci pare però essere quel­lo (presente almeno in alcuni aderenti al C.S.A., in particolare la componente più legata a San­tanera) di una volontà di contrapposizione alla legge regionale n. 39 e agli atti politico-istituzio­nali che si vanno compiendo in queste settima­ne e che venivano illustrati precedentemente.

La posizione delle ACLI è più mediata: da par­te loro viene detto esplicitamente che non esi­ste volontà oppositrice alla legge regionale e che la loro adesione all'iniziativa del C.S.A. è motivata dalla necessità di suscitare dibattito e partecipazione attiva da parte della popolazione.

 

Come comportarci?

Intanto c'è da dire subito che occorre:

1) orientare tutti i nostri compagni delle se­zioni e quelli che lavorano attivamente nei Co­mitati di quartiere perché non aderiscano alla raccolta delle firme (né a titolo personale, né come sezioni di partito);

2) impedire il più possibile un utilizzo stru­mentale dei comitati di quartiere a tale fine;

3) essere disponibili e farci noi stessi pro­motori di incontri, dibattiti, nelle sezioni e nei quartieri su tutta la tematica: sarebbe sbagliato chiudersi a riccio e rifiutare di confrontarci sul faticoso processo di costruzione delle ULS, che implica (al di fuori di qualsiasi strumentalizza­zione) una discussione ampia e il più possibile corretta.

A tale fine si propone alle zone di Partito (per quanto è possibile) di fare riunioni di compagni impegnati nei quartieri, segretari di sezione, compagni delle Commissioni sicurezza sociale al fine di chiarire maggiormente tutta la materia, al di là di quanto possa essere consentito da questa nota schematica. Per queste riunioni sa­rà garantita la presenza di un compagno della Commissione sicurezza sociale.

 

 

DICHIARAZIONE DI CESARE DELPIANO: PERCHÉ HO FIRMATO

 

Si sta rischiando una stagnazione, non solo generale, sulla annosa questione della riforma sanitaria e dell'assistenza, per cui il Sindacato si batte o deve battersi a fondo nella sua piena autonomia.

Abbiamo bisogno dunque di rilanciare anche dal basso, con una articolazione più puntuale, l'iniziativa, la partecipazione, una dialettica nel merito.

Sotto questo aspetto il Sindacato può trovare anche se non delle collimanze perfette, delle convergenze in questa sua iniziativa ed azione.

La presentazione di un progetto di legge di iniziativa popolare per la riorganizzazione dei servizi e la costituzione dei consorzi a livello territoriale assolve dunque a questo duplice ruo­lo: di sviluppare una articolazione a livello re­gionale, una dialettica che tiri fuori dalla «mor­ta gora» la questione sanitaria ed assistenziale e del decentramento in senso generale e di tro­vare convergenze o almeno di prepararle tra forze sociali.

La mia firma a questo progetto vuole solo es­sere un contributo all'assunzione da parte dello stesso sindacato di questi ruoli e convergenze perché lo stesso Sindacato discuta e disponga nella sua autonomia il proprio impegno e mo­bilitazione.

Ritengo che costituisca un errore legato ad una schematizzazione ed a chiusure precostituite, a «piccole» difese di «parrocchie», sterili e im­produttive, cercare di stroncare con direttive o parole d'ordine, discutibili, la ripresa e l'allar­gamento di un dibattito con intenti costruttivi, quale è quello provocato dal progetto di inizia­tiva popolare che non è sostitutivo di quanto si vuol fare ma integrativo, problematico e di ri­lancio.

La mia adesione (sono tra i primi firmatari del progetto) partendo dal quadro generale e dal­la articolazione dell'iniziativa mira sostanzial­mente al decentramento di compiti e funzioni, considera il trasferimento di competenze e per­sonale dallo Stato agli Enti locali: legge 386, 70, 349 e ultima 392 con i relativi decreti at­tuativi.

Esistono ritardi, contraddizioni degli Enti lo­cali, di natura oggettiva ma anche soggettiva e politica, in direzione di una trasformazione per la prevenzione, cura, riabilitazione dei servizi sanitari ed assistenziali nel territorio.

Premendo con il progetto di iniziativa popolare si compie un doveroso atto di «partecipazione» e di non delega in bianco. Questo atto dovrebbe essere esaltato non messo a tacere.

Ciò può evitare che si prosegua oltretutto in frettolose e spesso «vuote» assemblee di sola iniziativa degli Enti locali, che si concludono spesso con la esaltazione delle autonomie degli enti senza ulteriore costrutto.

L'iniziativa popolare con il gusto del dibattito e della partecipazione che suscita costituisce un punto di confronto, di incontro che va utiliz­zato; può rimettere in moto anche una ricerca, uno studio fra la popolazione e gli amministra­tori; ripropone inoltre una programmazione in concreto da parte della stessa Regione, ancora carente in questo senso.

Accanirsi a soffocarla, ad escluderla come un elemento fastidioso, peggio antagonistico, an­cora se ciò viene con argomenti faziosi o che mostrano tutto come in funzione di un anti in­consistente per creare paratie stagne, non è molto intelligente. È ammettere a parole ogni contributo pluralistico per negarlo in fatto, è sentirsi portatori di un perfezionismo che non accetta discussione, nemmeno chiarimenti. Si rischia di cadere così in quella arroganza tanto discussa e negativa.

Tale atteggiamento va dunque respinto anche come metodo oltreché per il contenuto che può provocare.

Anche ciò ci fa convinti nella ragione del no­stro impegno.

 

 

LETTERA DI BIANCA GUIDETTI SERRA

 

La Commissione sicurezza sociale della Fe­derazione torinese del Partito Comunista Italia­no il 14 febbraio 1978 ha inviato ai compagni una «Nota riservata sulla proposta di legge re­gionale di iniziativa popolare» promossa dal coordinamento sanità e assistenza fra gruppi di base e sostenuta da «Controcittà».

Il documento offre occasione per alcune con­siderazioni di metodo in un momento in cui, si sostiene, la «partecipazione» è elemento de­terminante per la realizzazione delle riforme isti­tuzionali e, per l'argomento che interessa, per quello dell'assistenza e della sanità.

Pacifico che un partito possa dare indicazioni ai suoi membri circa la linea politica scelta sui vari argomenti.

L'informazione da cui l'indicazione nasce, pe­rò, deve essere esatta in primo luogo, si crede, perché diretta «ai compagni» e perché può comprendere giudizi ed informazioni su altre organizzazioni o persone che, all'interno del par­tito, non hanno voce e solo per caso, come nella specie, sono venute a conoscenza della circolare stessa.

Non ci si riferisce ai contenuti criticati della proposta che (come tutti i contenuti) possono essere sempre discussi, modificabili e... soprat­tutto non condivisi. Anche se è da ricordare che tali contenuti ricalcano soluzioni già accettate da rappresentanti del P.C.I. con l'adesione alla precedente proposta di legge di iniziativa popo­lare nazionale nel 1975.

Per venire all'argomento.

Il CSA dopo l'emanazione del DPR 616 (attua­tivo della legge 382/76) interessato, per sua fi­nalità istitutiva, alla riforma assistenziale chie­se alla Regione, in persona del Presidente e de­gli Assessori interessati, un incontro per cono­scere gli orientamenti regionali in materia (20 settembre 1977).

Analoga domanda rivolse al Comune di Torino (10 ottobre 1977).

Tale incontro, per quanto riguarda la Regione, non è mai stato fissato.

Il CSA organizzò contemporaneamente un se­minario con la partecipazione delle organizzazio­ni sindacali e diversi operatori socio-assistenzia­li. In questa occasione venne avanzata per la prima volta la proposta di dare vita ad un movi­mento di sollecitazione dell'opinione pubblica e delle autorità su questo tema con una «Propo­sta di iniziativa popolare in materia socio-sani­taria» e ciò quale contributo reale dei movimen­ti di base per una corretta attuazione del DPR 616. Il seminario fu aperto a tutte le forze poli­tiche e sociali interessate.

Del progetto vennero redatte tre successive stesure discusse all'interno delle rispettive organizzazioni e poi dal CSA nel suo complesso che ne approvò la redazione definitiva nel di­cembre 1977.

Contemporaneamente per favorire la discus­sione e ricevere contributi partecipativi da tutte le parti, la bozza di progetto venne inviata a tutti i membri del Comitato promotore per la proposta di legge nazionale di iniziativa popola­re del 1975.

Per quanto riguarda il P.C.I. l'incontro, ripe­tutamente richiesto, fu fissato per il 16 dicem­bre '77. Il rappresentante del partito s'impegnò a promuovere una riunione sull'argomento a bre­ve termine, con la presenza dell'Assessore in­teressato e del rappresentante regionale del par­tito (o di chi da esso delegato).

L'incontro fissato per il 12 gennaio 1978 ven­ne rinviato e non più riconvocato.

Anche in questa occasione malgrado ripetuti solleciti. Quindi non ci fu alcuna possibilità di discussione. Analoghe iniziative furono assunte nei confronti di altri partiti (PSI e DP) con esi­ti vari.

Tale sviluppo degli avvenimenti viene ricor­dato per sottolineare che non in «antagoni­smo», o come si sostiene nella circolare per mera «contrapposizione alla legge regionale», ma con sincero interesse partecipativo l'azione è stata portata avanti. Ma la circolare ha dimen­ticato altro elemento che pare essenziale.

Nella relazione introduttiva al progetto è un capitoletto dal titolo: «Limiti della proposta» che dice, tra l'altro: «... La proposta di legge di iniziativa popolare ha principalmente lo scopo di avviare un dibattito più concreto e più capil­lare sui servizi sanitari e assistenziali e sugli interventi che devono essere messi in atto dalla Regione e dalle Unità locali».

«La proposta è dunque aperta al contributo critico di quanti vorranno intervenire...».

«Comunque i proponenti ed i firmatari si au­gurano che il Consiglio regionale del Piemonte vorrà tener conto di quanto risulta dalla proposta di legge di iniziativa popolare nonché dei contri­buti anche critici che emergeranno nel corso della raccolta delle firme, ossia vorrà conside­rare l'iniziativa, che i movimenti di base hanno assunto, nel suo reale significato di stimolo a provvede alla realizzazione delle strutture pre­viste dalle leggi più volte citate avendo di mira i reali indifferibili interessi della collettività».

Tali precisazioni sono come ignorate dalla cir­colare che ne trae, in più, conclusioni in netto contrasto. È scritto infatti: «il dato più preoccu­pante dal punto di vista squisitamente politico, ci pare però essere quello (presente almeno in alcuni aderenti al CSA, in particolare la compo­nente più legata a Santanera) di una volontà di contrapposizione alla legge regionale n. 39 e agli atti politico-istituzionali che si vanno compiendo in queste settimane e che venivano illustrati precedentemente».

Questa mi pare essere la parte più grave di tutta la circolare, che altera il significato dell'ini­ziativa.

In base a quale scritto o dichiarazione pubbli­ca o privata i redattori o redattore della circo­lare giungono a questa conclusione?

Come riescono a distinguere l'apporto della componente dell'Unione per la lotta contro l'e­marginazione sociale da quella delle ACLI?

Ma queste osservazioni sono aspetto secon­dario.

Ciò che sembra più grave è l'accusa, che per tale non può non essere intesa, con la quale si conclude per giungere a dare indicazioni sul da farsi e cioè: «orientare tutti i nostri compagni delle sezioni e quelli che lavorano attivamente nei comitati di quartiere perché non aderisca­no» all'iniziativa e cioè non firmino la proposta di legge. L'accusa discende da questa frase: «impedire il più possibile un utilizzo strumen­tale dei comitati di quartiere a tale fine».

Essa è grave non solo perché i termini sono chiaramente denigratori, ma perché sembrano esprimere una volontà di apporre grave ostacolo, se non una barriera, all'uso democratico delle istituzioni pubbliche e popolari quando vengano utilizzate (non strumentalizzate) per iniziative non previste o, anche, dissenzienti da quelle ufficiali.

 

 

PRECISAZIONI DEL C.S.A.

 

Partecipazione o esclusiva ricerca del consenso?

In merito alla proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle Uni­tà locali di tutti i servizi» vi sono state diverse valutazioni e prese di posizioni che stanno a di­mostrare l'importanza della iniziativa assunta da un gruppo di forze di base.

Intendiamo con la presente affrontare nel me­todo e nel merito la presa di posizione della Commissione sicurezza sociale della Federazio­ne torinese del P.C.I. che ha emanato il 14-2-78 una nota interna «riservata» che contiene discu­tibili orientamenti ai quadri dirigenti periferici. Alcuni di questi riguardano:

1) «orientare tutti i nostri compagni delle se­zioni e quelli che lavorano attivamente nei Co­mitati di quartiere perché non aderiscano alla raccolta delle firme né a titolo personale, né come sezioni di partito»;

2) «impedire il più possibile un utilizzo stru­mentale dei Comitati di quartiere a tale fine»;

3) «il dato più preoccupante dal punto di vista squisitamente politico, ci pare però essere quel­lo (presente almeno in alcuni aderenti al C.S.A., in particolare la componente più legata a San­tanera) di una volontà di contrapposizione alla legge regionale n. 39 e agli atti politico-istitu­zionali che si vanno compiendo in queste setti­mane e che venivano illustrati precedentemente. La posizione delle ACLI è più mediata: da parte loro viene detto esplicitamente che non esiste volontà oppositrice alla legge regionale e che la loro adesione all'iniziativa del C.S.A. è moti­vata dalla necessità di suscitare dibattito e par­tecipazione attiva da parte della popolazione».

Quest'ultimo punto evidenzia un atteggiamen­to che va respinto essendo tutte le organizza­zioni e i gruppi promotori dell'iniziativa di legge popolare responsabilmente impegnati nel con­siderare la proposta di legge come elemento che contribuisce a stimolare un dibattito che sino a questo momento è rimasto limitato agli «addet­ti ai lavori».

L'obiettivo che ci proponiamo è quello di con­tribuire a rendere questo importante momento di riforma dei servizi socio-assistenziali e sani­tari, partecipato e gestito democraticamente nei termini più ampi possibili.

Quindi nessuno, e tanto meno tutte le orga­nizzazioni promotrici, intende contrapporsi alle linee regionali (anche se queste possono e deb­bono essere discusse e verificate coinvolgendo settori più ampi di quelli sino ad oggi interes­sati); si vuole anzi con la proposta in discussio­ne apportare un contributo arricchente e stimo­lante ed aperto alle più ampie verifiche.

 

Osservazioni di merito

Nella nota è scritto che «molte sarebbero le osservazioni da fare nel merito della proposta di legge», ma poi sono avanzate solamente le seguenti critiche :

1) la proposta sarebbe inutile in quanto preve­derebbe le stesse cose della legge regionale n. 39 dell'8-8-1977;

2) l'unità locale di tutti i servizi sarebbe im­praticabile «come già dimostra del resto la dif­ficoltà di avviare il processo gestionale anche solo per i servizi socio-sanitari»;

3) la proposta «non prevede nessun coinvol­gimento attivo e nessun ruolo per quanto riguar­da le Province ed i Comprensori»;

4) con il consorziamento obbligatorio «non si tiene conto del ruolo dei Comuni, delle loro peculiarità e della loro storia»;

5) la previsione del Commissario in caso di mancata costituzione del consorzio rimandereb­be «ad una soluzione prefettizia di problemi che sono squisitamente politici»;

6) la proposta di un piano ospedaliero transi­torio sarebbe «politicamente inaccettabile dal momento che si riprodurrebbe ancora una volta la centralità dell'ospedale».

 

Enunciazioni comuni

Non c'è contrapposizione fra le enunciazioni generali della proposta di legge di iniziativa po­polare (v. art. 1) e la legge 39 (art. 2); anzi c'è una coincidenza assoluta.

L'iniziativa popolare è invece un approfondi­mento e un completamento della legge 39, in­centrati su indicazioni specifiche, indispensabili sia per evitare vuoti di intervento, sia per avere un quadro di riferimento complessivo (gli arti­coli relativi sono 17 su 20).

Queste indicazioni sono proposte alle forze politiche, sindacali e sociali e alla popolazione per una discussione la più ampia e approfondita possibile.

Un obiettivo così impegnativo dovrebbe esse­re considerato importante dalla stessa maggio­ranza regionale troppe volte costretta ad elabo­rare progetti nel chiuso degli uffici senza poter usufruire della possibilità di partecipazione e di consultazioni previste dallo statuto regionale (v. l'art. 2 sulla partecipazione) e dalla propria legge n. 43 del 19-8-1977 il cui art. 2 prevede che la Giunta nella fase di elaborazione della pro­grammazione deve garantire «l'autonomo appor­to dei sindacati dei lavoratori, delle organizza­zioni di categoria, degli organismi economici e delle altre forze sociali».

Difficoltà oggettive e non hanno sino ad ora portato ad una applicazione superficiale delle norme partecipative previste.

 

Unità locale di tutti i servizi

Mentre siamo coscienti delle difficoltà da su­perare per avviare il processo di costituzione delle U.L.S., pare però essere discutibile consi­derare impraticabile questo obiettivo.

Si deve invece fare un preciso sforzo per man­tenere ben fermo l'obiettivo finale (l'U.L.S.) pur considerando necessario procedere a tappe.

La necessità e l'urgenza dell'Unità locale di tutti i servizi sono sottolineate anche da Luigi Berlinguer, professore di diritto amministrativo dell'Università di Firenze, che nella relazione tenuta al Convegno di Roma del 23/25-1-78 in­detto dall'Istituto Gramsci sul tema «Program­mazione, autonomia, partecipazione - Un nuovo ordinamento dei poteri locali» ha affermato quanto segue: «La consapevolezza che il pulvi­scolo comunale resta un buon alleato del centra­lismo, e che l'inadeguatezza delle attrezzature dei piccoli Comuni ha costituito finora un como­do alibi contro una più decisa politica di deleghe e attribuzioni di nuove funzioni agli enti locali, ha portato il legislatore a prefigurare ed inco­raggiare un meccanismo di collegamento e di associazione fra i Comuni che loro consenta di attrezzarsi a dovere.

Il 2° comma dell'art. 25 di quel decreto (n.d.r. D.P.R. 616) introduce un principio istituzionale nuovo: l'ambito territoriale adeguato all'eroga­zione dei servizi sociali e sanitari e invita Re­gioni e Comuni a ridisegnare la mappa territo­riale periferica del paese, ad individuare queste aree ottimali e promuovere associazioni inter­comunali nelle forme dovute, nel rispetto dell'autonomia e della democrazia rappresentativa, secondo l'inderogabile principio della polisetto­rialità. Gli attuali consorzi, che parcellizzano l'amministrazione in ambiti settoriali, e pertan­to separati ed incomunicanti, hanno fatto il loro tempo, lascino ora il passo a nuovi organismi deputati a coprire contestualmente il più ampio raggio di competenze (...).

Abbiamo bisogno di realizzare in tempi ragio­nevolmente brevi una rete di Comuni associati che - assieme ai Comuni singoli - disegni nella realtà sociale ed istituzionale italiana aree omogenee coincidenti, coperte da una razionale e moderna attrezzatura per l'organizzazione del servizi (scolastici, socio-sanitari, etc.) e per un intervento nell'economia.

Questi strumenti istituzionali, lo sforzo comu­ne che li sorreggerà in sede politica, diverranno un potente motore non solo del rapporto con le comunità amministrate ma nei confronti di tut­to il paese, per la forza che alle realtà comunali deriverà dal superamento della tradizionale fram­mentazione e del tradizionale isolamento voluti dalla politica delle classi dirigenti e dello Stato accentrato.

Area ottimale di servizi e di gestione ammi­nistrativa, quindi, che - mi preme precisare subito - non ha niente a che fare con l'ente in­termedio, ma piuttosto con l'ente Comune. Si potrà con essa dimostrare l'inconsistenza delle resistenze ad uno spedito e deciso procedere delle deleghe e delle attribuzioni ai Comuni nel campo dei servizi ma anche in quello dell'eco­nomia; si potrà approvare una legge di principi sulle autonomie locali che ponga finalmente il Comune - singolo o associato su un'area otti­male di intervento - al centro della realtà isti­tuzionale italiana, che ne faccia un protagonista autentico dell'Italia moderna.

Ecco una via davvero praticabile per uscire dalle secche della crisi».

Inoltre la proposta politica dell'Unità locale di tutti i servizi era stata fatta propria dalla Re­gione Piemonte con la legge 41 il cui art. 4 pre­cisa che «la gestione è unica per tutti i servizi compresi nell'Unità locale».

Nella relazione della Giunta regionale relati­va alla legge suddetta era scritto che le Unità locali dovevano garantire «l'organizzazione uni­taria e la direzione politico-amministrativa dei servizi di base prescolastici, scolastici, cultura­li, abitativi, sociali e sanitari».

La posizione della Regione relativa all'Unità locale di tutti i servizi è poi stata contraddetta dalla legge 39 (che riguarda solo sanità e assi­stenza) e dalla legge sull'urbanistica n. 56 del 5-12-77 (positiva per molti aspetti) in cui non sono nemmeno citate le Unità locali ed i Con­sigli di quartiere.

Infine va osservato che il regolamento dei Con­sigli di quartiere approvato dal Consiglio comu­nale di Torino l'1-2-77 (e cioè prima del DPR 616) attribuisce ai Consigli stessi funzioni non solo deliberative in materia di sanità e assistenza, ma anche per la gestione delle scuole materne, degli asili nido, delle attività parascolastiche, dei centri civici, dei servizi sportivi e ricreativi, del patrimonio comunale, ecc.

 

Province e Comprensori

Pare assai semplicistico affermare, senza le necessarie specificazioni e chiarimenti a mon­te, la necessità del «coinvolgimento attivo del­le Province». Infatti va ribadito il loro urgente superamento e l'utilizzo di personale e strutture per la messa in moto degli strumenti gestionali (ULS) e programmatori (Comprensori?) già pre­visti da leggi nazionali e regionali in vigore.

Questo ci pare un modo serio per realizzare servizi unitari ed efficienti.

Circa i comprensori poi la proposta di inizia­tiva popolare non li esclude, e la relazione in­dica la necessità che nei dibattiti che saranno organizzati per la raccolta delle firme si discuta sull'organo intermedio precisando, nel caso in cui lo si ritenesse necessario, ruolo, funzioni, ambito territoriale di competenza, organi di go­verno, ecc.

 

Obbligatorietà dei Consorzi

La richiesta del Consorzio obbligatorio non va assolutamente intesa come «un atto di impe­rio». Risponde invece alla inderogabile necessi­tà dei cittadini, ai quali le istituzioni devono ri­spondere, di avere servizi idonei alle loro esi­genze, servizi che non possono essere adegua­tamente assicurati dagli attuali troppo piccoli o troppo grandi Comuni.

Dall'1-1-78 sono state trasferiti alle Regioni, ai Comuni ed alle Unità locati praticamente tut­ti i compiti di assistenza, quelli relativi alla for­mazione di base e permanente degli operatori sanitari e sociali e decine di altre funzioni.

In Piemonte ben 1011 Comuni su 1209 hanno una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti: che cosa possono garantire, da soli, ai loro cittadini in termini di efficienza e funzionalità?

L'esperienza dell'ONMI e dell'ECA, lo stato pietoso delle condotte mediche, la disorganicità, l'insufficienza e il disorientamento dei cittadini di fronte al problema della difesa della loro salu­te non sono sufficienti a stimolare organismi ter­ritoriali sovracomunali (o sottocomunali nel ca­so di Torino) organizzatori di servizi adeguati?

Siamo convinti che le riforme non si possono fare se non si garantisce un miglioramento de­gli interventi.

Quanto prevede la legge regionale n. 39 che non stabilisce alcun limite di tempo per la co­struzione dei Consorzi ci pare insufficiente. In­teressante e qualificato è certamente l'impegno assunto dalla maggioranza regionale di solleci­tare, attraverso i Comprensori, i Comuni a co­stituire rapidamente i previsti consorziamenti. Questa è una linea che va perseguita anche se parallelamente riteniamo necessario procedere ad una stimolante opera dal basso, tra i cittadi­ni, tra i lavoratori.

La nomina di un Commissario regionale, pre­vista dalla proposta di iniziativa popolare nel ca­so di inattività dei Comuni, non è quindi una «soluzione prefettizia», ma l'unica possibilità concessa dalle leggi vigenti di arrivare al con­sorziamento dopo aver esperito tutti i tentativi necessari a cui anche noi siamo impegnati.

La sostituzione dei Comuni inadempienti da parte della Regione non è comunque una indi­cazione estemporanea: essa è prevista infatti da molte leggi regionali (Toscana, Emilia Romagna, Umbria, ecc.), anche se vanno fatti tutti gli sforzi possibili di convincimento e pressione per non dover applicarla. L'applicazione di que­sta norma rimane quindi l'ultima strada da per­correre.

 

Piano ospedaliero transitorio

Il piano ospedaliero transitorio viene richie­sto, nella proposta di iniziativa popolare, non allo scopo di affermare la centralità dell'ospe­dale (è sufficiente leggere gli art. 5, 6, 7, 14, 15 e 17), ma per evitare che la Regione sia co­stretta a continuare ad investire miliardi in fi­nanziamenti ad ospedali che devono essere chiu­si (v. i finanziamenti all'ospedale di Pra Catinat - 1 miliardo e mezzo all'anno) o per la creazione di strutture superate (come ospedali geriatrici e per lungodegenti) o per l'ampliamento di ospe­dali in zone con posti letto esuberanti.

 

Conclusioni

Già il lavoro preparatorio per la proposta di legge regionale di iniziativa popolare ha consen­tito l'effettuazione (da dicembre a febbraio) di decine e decine di dibattiti, ha permesso un vasto scambio di informazioni fra le forze sin­dacali e sociali e la popolazione. Non vi è stato alcun episodio che indichi una contrapposizione con la maggioranza della Regione, mentre sono state sempre ribadite le precise ed inequivoca­bili gravi responsabilità della D.C. e dei centri di potere ad essa collegati.

Sono emerse anche significative posizioni u­guali o vicine a quelle della maggioranza regio­nale (v. ad es. la questione relativa alla nomina dei Consigli di quartiere di Torino) e puntual­mente divergenti con quelle della D.C.

Certamente, come d'altronde è ovvio per or­ganizzazioni autonome e impegnate nel sociale, sono anche stati dibattuti i limiti della legisla­zione regionale, le carenze della Giunta nei con­fronti di una reale partecipazione (non sufficien­te informazione, interruzione delle consultazio­ni, tendenze tecnocratiche) e le contraddizioni esistenti in alcuni comportamenti concreti.

Si è quindi sempre proceduto con spirito cri­tico ma con intenti costruttivi, legati evidente­mente al grado di esperienza e informazione ac­quisite, e chiaramente alternativi ai metodi ed ai contenuti espressi in questi 30 anni dalla D.C.

È ovvio che le organizzazioni che fanno parte del C.S.A. sono pienamente disponibili a qual­siasi confronto in tutte le zone e città dov'è pos­sibile, pronti a modificare ove qualcosa si mo­strasse sbagliato, ma fermi nel confermare l'o­biettivo della partecipazione come elemento es­senziale del loro essere e del loro impegno.

 

 

 

(1) L'iniziativa popolare è stata promossa dal Coordina­mento sanità e assistenza fra i movimenti di base, di cui fanno parte le seguenti organizzazioni: ACLI, AIAS (Asso­ciazione italiana assistenza spastici), ANFAA (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), ANFFAS (Asso­ciazione nazionale famiglie di fanciulli subnormali), Centro Maran Atà, CIPE (Centro informazioni politiche ed econo­miche), Comitato per l'integrazione scolastica degli handi­cappati, Coordinamento autogestione handicappati, Coordi­namento dei comitati di quartiere, Gruppo Abele, Unione italiana ciechi, ULCES (Unione per la lotta contro l'emargi­nazione sociale).

 

(2) Alla data del 31-8-1978 gli statuti consortili approvati dal Consiglio regionale erano 3 su 51 (n.d.r.).

 

(3) Alla data del 31-8-1978 il piano socio-sanitario regio­nale non è ancora stato elaborato (n.d.r.).

 

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