Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre
1978
PRESENTATA
Il
21 luglio 1978 è stata depositata al Consiglio regionale piemontese la
proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione
delle unità locali di tutti i servizi» (1).
Le
firme raccolte, debitamente autenticate e munite dei certificati elettorali, sono
state 13.167 (ne erano sufficienti 8.000).
Per
la raccolta delle firme si sono tenuti centinaia di dibattiti in moltissime
città piccole e grandi del Piemonte, dibattiti che hanno consentito di
discutere con i cittadini, con le forze sociali, con alcuni attivisti
sindacali e amministratori locali, sui problemi relativi
alla riorganizzazione degli enti locali? alla
sanità, all'assistenza e alla formazione degli operatori sanitari e assistenziali.
I
primi tre firmatari della proposta di legge, sono stati i presentatori della
stessa al Consiglio regionale, e sono: Giuseppe Reburdo,
presidente delle ACLI di Torino; Cesare Delpiano, segretario generale della CISL di Torino; Bianca
Guidetti Serra, avvocato.
Alla
proposta di legge di iniziativa popolare hanno dato la
loro adesione le seguenti organizzazioni e persone fisiche: segreterie
regionali CISL e UIL; segreterie provinciali CISL e UIL di Torino; segreterie
provinciali ospedalieri FISOCISL e UIL-UISAO di Torino; Ezio Gallina, presidente
regionale delle ACLI; Giorgio Perinetti,
presidente del comitato provinciale torinese dell'associazione italiana cultura
e sport (AICS) di Torino; Alfredo Morabito,
presidente del comitato provinciale del centro sportivo italiano di Torino;
Carmelina Nicola, segretaria provinciale ACLI-ENARS di Torino; Comitato
didattico della scuola superiore di servizio sociale della Provincia di
Torino; Operatori dell'ufficio distrettuale di servizio sociale per i
minorenni di Torino; Assemblea donne ASM; Emilio Germano, presidente della
sezione minorenni della corte d'appello di Torino.
Contro
l'iniziativa popolare si è schierata invece la Commissione sicurezza sociale
della Federazione torinese del PCI che, pur richiesta di un incontro-confronto
con i promotori della proposta di legge, incontro non concesso, ha creduto
bene di non dare la propria adesione, diramando una
nota ai propri militanti per indirizzare il loro orientamento in senso
negativo, anche a titolo personale.
Poiché
crediamo utile, al di là di ogni polemica, una completa
informazione pubblichiamo:
-
la relazione della proposta di legge;
-
il testo;
-
la nota del PCI;
-
le prese di posizione di Cesare Delpiano e di Bianca Guidetti Serra;
- le precisazioni del Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base (CSA);
come stimolo alla
discussione per la realizzazione di quelle strutture necessarie e non ancora
attuate nel nostro paese.
RELAZIONE
Da quando, nel 1975, assieme ad
altre forze democratiche (partiti ed organizzazioni), abbiamo portato avanti
la proposta di legge nazionale di iniziativa popolare
su «Competenze regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli
enti assistenziali» molte cose sono cambiate.
Tra l'altro
Hanno fatto seguito a questo primo
intervento la legge regionale n. 39 del 1977 che ha iniziato a delegare ai
Comuni, invitandoli a consorziarsi, alcune competenze, sia pure a nostro avviso,
in modo settoriale, ed altre iniziative legislative su una non larga serie di
problemi (consultori, anziani, minori, ecc.).
Bisogna anche dire però che ancora
vi è uno stacco tra le intenzioni anche espresse con atti formali e la loro
realizzazione: molti Comuni stentano a consorziarsi, in città i nuovi servizi
decentrati hanno difficoltà a trovare una linea omogenea di intervento,
anche perché manca ancora il loro referente più importante e cioè il Consiglio
di quartiere.
Soprattutto questo processo di
cambiamento avviene senza che i cittadini e le forze sociali siano
sufficientemente coinvolti e informati, e questo dato è stato ampiamente
confermato nei dibattiti e nelle manifestazioni che abbiamo organizzato in
questi mesi.
D'altra parte gli obiettivi del
nostro impegno in questa materia (iniziata nel 1970 con il convegno «Emarginazione
- disadattamento - superamento dell'assistenza; autogestione e ruolo degli
enti locali») sono sempre stati non tanto di
razionalizzazione dei servizi ma, soprattutto, di trasformazione dello Stato e
di costruzione di un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni.
Queste considerazioni e
l'approvazione del DPR 616 nel luglio 1977, che completa il trasferimento
delle funzioni alle Regioni ed ai Comuni, dando loro importantissimi compiti
in molti campi, ma soprattutto in quello della sanità e assistenza, ha fatto
nascere in noi l'esigenza di proporre una iniziativa
di largo respiro che consentisse sia di fare una sintesi organica di quanto
avevamo elaborato in questi anni, sia di allargare e approfondire il dibattito
e avviare iniziative su questi problemi.
Da ciò, utilizzando la possibilità
offerta dallo Statuto regionale, è nata la proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazione
dei servizi sanitari ed assistenziali e costituzione delle Unità locali di
tutti i servizi», attorno alla quale nei sei mesi previsti per la raccolta
delle firme si sono sviluppati in tutto il Piemonte centinaia di dibattiti e di
manifestazioni popolari che hanno coinvolto migliaia di cittadini: lavoratori,
donne, anziani, giovani, amministratori, operatori della scuola e dei servizi,
ecc. Interessante notare la larghissima e fattiva adesione e collaborazione
di parrocchie, gruppi giovanili e organizzazioni cattoliche, comunità di base,
che si sono messi al di fuori di ogni integralismo nella linea di una
riqualificazione della tradizione cattolica in questo campo, da vivere in senso
laico in un nuovo rapporto con l'organizzazione dello Stato.
Dobbiamo dire
che l'interesse è stato tale che, nonostante il travagliato momento politico
che abbiamo attraversato, abbiamo abbondantemente superato il numero di 8000
firme richieste per la presentazione della proposta di legge.
Come ricordavamo
precedentemente, con il 1° gennaio 1978 sono state trasferite alle Regioni ed
ai Comuni praticamente tutte le competenze assistenziali; con l'entrata in
vigore della riforma sanitaria e comunque a partire dal 1° gennaio 1979 alle
Regioni ed ai Comuni saranno attribuiti tutti i compiti in materia di sanità.
Ciò è stato stabilito dal D.P.R. n. 616 «Attuazione della
legge 382». Competenze sono già state da tempo affidate alle Regioni nel
campo ospedaliero, sanitario ed assistenziale.
Inoltre vi sono Comuni e Comunità montane che da molti anni gestiscono
servizi sanitari (vaccinazioni, medicina scolastica, controlli vari, ecc.) e assistenziali (assistenza economica, domiciliare, ecc.).
Solo nel campo della sanità e
dell'assistenza il D.P.R. n. 616 «Attuazione della legge 382» prevede lo
scioglimento di 20-30.000 enti: ECA, patronati scolastici e loro consorzi
provinciali, IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza) escluse quelle che «svolgono in modo precipuo attività
inerenti la sfera educativo-religiosa», Consorzi
provinciali antitubercolari, ecc.
Altri enti sono stati sciolti con altre leggi, come ad esempio le mutue e le casse mutue malattia.
Situazione attuale
È nota a tutti la
situazione caotica in cui da lunga data si trovano i servizi sanitari ed
assistenziali, situazione che si può così riassumere:
a) per la sanità:
- accentramento e quindi cattiva
distribuzione di personale, strutture ed attrezzature;
- lentezza ed inefficienza dei
servizi;
- proliferazione
dei centri di potere, come nei casi di creazione di primariati solo per favorire
la carriera di medici;
- moltiplicazione
delle mansioni e delle categorie del personale medico e paramedico;
- situazione di monopolio nella
formazione di personale sia a livello professionale che universitario;
- degenze inutili o protratte oltre
le necessità;
- carenza
di interventi extra-ospedalieri e cioè domiciliari, ambulatoriali e poliambulatoriali;
- mancanze gravi e spesso assenza totale di interventi riabilitativi.
b) per l'assistenza:
- finalità di emarginazione
individuale, familiare e sociale e spesso anche di segregazione in istituti o
manicomi;
- compiti di sostituzione
emarginante alle carenze dei settori fondamentali del
vivere civile e sociale: disoccupazione e sottoccupazione, pensioni
inadeguate, selettività della scuola dell'obbligo, mancanza di abitazioni e di
servizi culturali e ricreativi, rifiuto del settore sanitario - e in
particolare di quello ospedaliero - ad intervenire nei confronti dei cronici,
in violazione alle leggi vigenti, ecc.;
- mancata qualificazione del
personale, soprattutto di quello in servizio presso gli istituti di ricovero;
- ricovero di assistiti
in istituti, spesso situati lontano dal luogo di provenienza o residenza dei
familiari ed a volte addirittura situati in altre regioni.
Tutto ciò comporta non solo evidenti
gravissimi e spesso irreparabili danni alle persone (vedi
ad esempio l'elevata mortalità materna al momento del parto), ma
determina anche un rigonfiamento delle spese, sprechi degli impianti, delle
attrezzature, dell'utilizzazione del personale specializzato ed inoltre un
carico - spesso non indifferente - di spese per gli utenti e per le famiglie
che devono integrare l'assistenza ospedaliera, diurna e notturna, con
l'assunzione in proprio di personale più o meno preparato;
- pagare costi elevati per
l'assistenza domiciliare;
- sopportare alti
costi e notevoli disagi per assistere i familiari ricoverati lontano;
- pagare alte spese per i farmaci
non ammessi, usando spesso malamente quelli prescrivibili;
- assumere in proprio le spese di assistenza in istituti (fino a 450.000 lire al mese!)
conseguenti a non ammissioni o dimissioni illecite da parte degli ospedali nei
confronti di cronici e di lungodegenti.
Mancanza di interventi preventivi
Tuttavia l'aspetto più preoccupante
nel campo della sanità e dell'assistenza è la
mancanza quasi assoluta di interventi preventivi, diretti cioè ad eliminare se
possibile o almeno a ridurre le cause di malattia, di disadattamento e di
emarginazione. Nel settore della sanità solo recentemente sono state avviate
alcune iniziative di prevenzione nei luoghi di lavoro con la costituzione
delle unità di base. Per quanto concerne l'assistenza una reale prevenzione,
realizzabile a tempi brevi, consiste nel mettere a disposizione í servizi fondamentali non assistenziali: inserimento
prescolastico, scolastico e lavorativo degli handicappati, attenzione
particolare ai bisogni ed ai problemi dell'infanzia e della giovinezza con
interventi individuali e collettivi fin dalla nascita e messa a disposizione di
spazi di gioco e socializzazione e di attrezzature sportive che consentano un
sereno sviluppo fisico e psichico dei bambini (è una esigenza questa dello
sport e della socializzazione dentro e fuori la scuola, che è emersa con
particolare forza nel dibattito di questi mesi, sottolineando ancora una volta
la necessità di una gestione unitaria dei problemi), alloggi individuali e
collettivi dell'edilizia economica e popolare per anziani, handicappati,
genitori soli con figli, ricovero in ospedale (e non in istituti di
assistenza) dei malati cronici bisognosi di cure sanitarie non praticabili a
domicilio o ambulatorialmente, ecc.
Partecipazione
Finora la tutela della salute
fisica, psichica e sociale è stata delegata agli amministratori ed ai tecnici
con i tristi risultati che conosciamo. È invece necessario prima di tutto che i
cittadini si diano da fare per entrare in possesso
delle informazioni e degli strumenti adeguati per poter rivendicare i servizi
necessari e controllare il loro funzionamento.
Condizione essenziale per ottenere una idonea tutela della propria salute fisica e psichica e
per evitare ogni forma di emarginazione sociale è la partecipazione dei
cittadini e cioè la loro organizzazione (nelle forme che í cittadini stessi
ritengono più opportune) per conoscere quel che avviene, per elaborare le
richieste, per discutere le iniziative da prendere, per lottare, per ottenere
le cose richieste, per controllare come funzionano i servizi e per verificare
se i soldi sono spesi nell'interesse dei cittadini stessi.
Per una partecipazione effettiva
delle forze sociali e della popolazione alla individuazione
delle esigenze, delle priorità e delle risposte, al fine di realizzare non solo
adeguati interventi nei casi di malattia o di bisogno, ma soprattutto un
benessere fisico, psichico, sociale ed ambientale, allo stesso tempo
individuale e collettivo, è indispensabile, ma non sufficiente, il consenso
delle forze sociali e della popolazione.
La partecipazione presuppone invece
un metodo di governo che punti nel coinvolgimento reale (non subordinato alle
istituzioni) delle forze sociali e della popolazione.
È un metodo del quale oggi non è
possibile definire tutto in base alle esperienze acquisite, ma di cui si
possono individuare alcuni elementi di fondo:
- autonomia delle forze sociali e
loro rapporto dialettico e costruttivo con le istituzioni, autonomia che deve
essere voluta dai movimenti di base e che deve essere
riconosciuta dalle istituzioni;
- processo di
scambio delle informazioni fra le istituzioni, le forze sociali ed i cittadini;
- messa a
disposizione delle forze sociali, da parte delle istituzioni, degli strumenti
necessari per la loro attività e per i rapporti con i lavoratori ed i cittadini.
Una delle condizioni per l'autonomia
delle forze sociali può essere individuata nella non gestione da parte di
queste forze di attività amministrative.
Con la cogestione, infatti, le
capacità di intervento delle forze sociali verrebbero
ad essere notevolmente ridotte perché assorbite dall'esercizio del potere,
dagli obblighi di gestione e vincolate dalle leggi, dai regolamenti e dalla burocrazia.
Inoltre lo stesso Sindacato, per la
contrastante posizione di gestore di servizi e di rappresentante dei
lavoratori nei confronti dell'ente cogestito, verrebbe a trovarsi nella contraddittoria situazione di essere
nello stesso tempo parte e controparte.
Su questi temi il dibattito e
l'approfondimento vanno comunque sviluppati e
verificati anche rispetto alle reali aspettative della popolazione e quindi
degli utenti dei servizi e tenendo anche canto dei processi di cambiamento da
innescare dentro le istituzioni stesse.
Altra importante condizione per una
partecipazione incisiva è la presenza del minor numero possibile di enti incaricati di provvedere alla gestione dei servizi
sanitari, assistenziali, abitativi, precolastici e
scolastici, ricreativi, culturali, ecc. a cui si deve aggiungere una loro gestione
trasparente ed aperta di controllo popolare.
Competenze dello
Stato, delle Regioni e delle Unità locali
In materia di sanità e di assistenza lo Stato (Governo e Parlamento) ha conservato
le funzioni di programmazione e di finanziamento: resta dunque una
controparte importante per il potere che ha di condizionare le Regioni ed i Comuni
e pertanto le esigenze della popolazione.
Alle Regioni spettano invece compiti
di legislazione specifica, programmazione regionale, coordinamento, indirizzo,
vigilanza e finanziamento (in parte).
La gestione dei servizi sanitari ed
assistenziali è invece attribuita dal D.P.R. n. 616 alle Unità locali.
Unità locali di tutti
i servizi
Con la legge della Regione Piemonte
n. 41 del 9 luglio 1976 sono stati individuati gli ambiti territoriali delle
Unità locali dei servizi, definite «il complesso integrato di tutti i servizi
di base» e pertanto non solo di quelli sanitari e assistenziali, come
prevede, contraddittoriamente con quanto sopra riportato, la legge regionale n.
39 dell'8 agosto 1977.
Per individuare il tipo di Unità locale, di cui all'articolo 2 di questa proposta di
legge regionale, si è tenuto conto di quanto segue:
- evitare la proliferazione degli
organi di governo locale;
- consentire la massima
partecipazione possibile dei cittadini;
- rendere operante, anche a livello
istituzionale, il collegamento e l'interdipendenza fra servizi sanitari ed assistenziali e gli altri settori della vita sociale;
- avere, al
livello più vicino possibile ai cittadini, una struttura in grado di
assicurare da un lato i servizi necessari per la popolazione e dall'altro lato di essere un
vero e proprio organo di governo.
A questo riguardo occorre tener
conto dell'attuale frammentaria situazione dei Comuni
piemontesi, come risulta dalla seguente tabella tratta dai dati del censimento
della popolazione del 1971:
Classi popolazione Numero Comuni Popolazione complessiva
infer. ai 3.000 abitanti 1.011 1.007.634
da 3.001 a 5.000 83 330.438
da 5.001 a 10.000 63 443.182
da 10.001 a 20.000 23 326.519
da 20.001 a 50.000 21 656.081
da 50.001 a 100.000 5 297.380
da 100.001 a 1.000.000 2 203.111
oltre 1.000.000 1 1.167.968
totali 1.209 4.432.313
Di qui la
necessità di raggruppare i Comuni piccoli (Consorzi fra Comuni) e di ripartire
il Comune di Torino in quartieri.
Sempre allo scopo di avere la
massima semplificazione degli enti locali, l'organo di governo delle Unità
locali deve essere
Ciò vale per le Comunità montane Val
Pellice e Val Chisone.
In ogni caso, sempre per il motivo
suddetto, è necessario arrivare ad avere la massima corrispondenza possibile
fra Comunità montane ed Unità locali, per cui si
chiede alla Regione di avviare le conseguenti iniziative.
Appare chiaro da queste notazioni
che non c'è contrapposizione fra le enunciazioni generali
della proposta di legge di iniziativa popolare (v. art. 1) e la legge 39 (art.
2), anzi c'è una coincidenza assoluta.
L'iniziativa popolare è invece un
approfondimento e un completamento della legge 39, incentrati su indicazioni
specifiche, indispensabili sia per evitare vuoti di intervento,
sia per avere un quadro di riferimento complessivo.
Urgente costituzione
degli organi di governo delle Unità locali
La gestione dei
servizi a livello delle Unità locali, stabilita dal D.P.R. n. 616 e dalle leggi regionali n.
41/76 e 39/77, non può ovviamente avere inizio se non dopo la costituzione dei
relativi organi di governo e cioè dei Consorzi fra
Comuni e l'attribuzione delle funzioni relative alle due Comunità montane (Val
Pellice e Val Chisone) coincidenti con le Unità
locali.
Per il Comune di Torino si tratta di
andare alla rapida costituzione operativa e funzionale dei 23 Consigli di
quartiere che, stante il deplorabile rinvio delle
elezioni al 1980, fino a questa data non potranno essere eletti direttamente
dai cittadini.
Poiché senza i Consorzi (ne sono
previsti 51 per il Piemonte) e per Torino senza i Consigli di quartiere, non
possono essere assicurati i servizi indispensabili per i cittadini, nella proposta
di legge regionale di iniziativa popolare nel caso in
cui tutti i mezzi democratici possibili si sono dimostrati insufficienti od
inutili, se ne chiede la costituzione obbligatoria.
La costituzione degli organi di
governo delle Unità locali di tutti i servizi é
urgente ed indispensabile anche per:
- evitare vuoti di
intervento come ad esempio sta avvenendo da oltre due anni a seguito
dello scioglimento dell'ONMI. Ora poi il problema è più grave poiché gli enti
sanitari ed assistenziali da sopprimere nel Piemonte in base al D.P.R. n. 616,
e ad altre leggi dello Stato sono oltre 3.000;
- impedire un processo
di degradazione dell'esistente e rendere invece possibile una pronta
utilizzazione di strutture, attrezzature, beni e personale;
- avviare l'informazione sanitaria e
sociale alla popolazione, compresa quella relativa ai
farmaci;
- affrontare in termini precisi e
concreti la formazione di base e permanente, la riqualificazione,
l'aggiornamento e, occorrendo, la riconversione degli operatori sanitari e
sociali;
- assicurare i
necessari interventi preventivi, curativi e riabilitativi (compresi quelli rivolti
agli handicappati fisici, psichici e sensoriali) a livello domiciliare, ambulatoriale e poliambulatoriale ed avviare agli ospedali solo i casi
necessari;
- incominciare a dimettere dagli
istituti di assistenza i ricoverati (minori, anziani,
handicappati) dopo aver predisposto gli interventi, le strutture ed i servizi
alternativi.
Ospedali
I principali obiettivi da
raggiungere sono:
- l'eliminazione della distinzione
fra ospedali regionali, provinciali e zonali;
- il collegamento reale
dell'attività extraospedaliera con quella ospedaliera;
- la creazione dei dipartimenti,
incominciando da quelli di emergenza e accettazione.
Al fine di salvaguardare la
specificità degli interventi ed i problemi di salute pubblica
all'interno delle strutture ospedaliere relative ad un determinato territorio,
si richiede l'avvio della trasformazione degli ospedali esistenti in modo che
possano accogliere e fornire i necessari interventi non solo a tutti gli
ammalati acuti, compresi i casi psichiatrici, infettivi, ecc., ma anche ai
lungodegenti ed ai cosiddetti cronici. Una struttura di questo tipo, per quanto
possibile onnicomprensiva, assicurerebbe a tutti la massima
vicinanza possibile al territorio di provenienza ed eviterebbe la creazione di
sedi staccate o di strutture di tipo ospedale psichiatrico, cronicario,
ospedale geriatrico o simili. Tale indicazione di
principio non presuppone ovviamente che tutti gli ospedali abbiano
le singole specialità.
A maggior ragione le eventuali
strutture ospedaliere di nuova costruzione dovranno essere progettate in un
modo completamente diverso da quanto avveniva in
passato.
Il criterio generale che dovrà
sovrintendere al ricovero in ospedale non potrà più
essere quello di orientare il cittadino a qualsiasi struttura, ma quello di
prevedere le strutture secondo le esigenze dei cittadini nel loro territorio:
pertanto nei casi di ricovero ospedaliero, salvo particolari urgenze e casi
similari, è da prevedersi la precedenza assoluta per i residenti nel
territorio di competenza.
Organizzazione interna
dell'Unità locale
Per quanto concerne l'organizzazione
interna dell'Unità locale, si prevede la suddivisione del suo territorio in
aree, denominate compartimenti, comprendenti dai 5.000 ai 10.000 abitanti.
Tale suddivisione viene
ritenuta indispensabile per una attività di base dei servizi sanitari ed
assistenziali svolta in modo da dare una risposta globale alle esigenze della
popolazione e da assicurare la pluridisciplinarietà e
collegialità degli interventi.
A livello di ciascun compartimento è
prevista, come obiettivo da raggiungere, una unica équipe sanitaria ed
assistenziale con compiti di:
- gestione operativa di tutte le
attività sanitarie ed assistenziali del compartimento,
attraverso gli interventi domiciliari ed ambulatoriali di prevenzione, cura e
riabilitazione, con azione di filtro verso gli ospedali e le strutture specialistiche;
- rinvio ad altre
strutture (poliambulatori, ospedali) dei soggetti
non trattabili in zona;
- raccolta ed invio alle sedi di elaborazione e ritrasmissione
dei dati agli operatori, alle forze sociali ed alla popolazione;
- informazione socio-sanitaria;
- favorire la partecipazione delle
forze sociali, della popolazione residente nel compartimento
e dei lavoratori della zona.
In ogni compartimento gli interventi
dell'équipe sanitaria ed
assistenziale sono svolti a livello domiciliare, ambulatoriale pubblico
(sede dell'équipe), ambulatoriale del medico e presso
le sedi comunitarie (scuola, lavoro, ecc.).
Nelle équipes
di compartimento sono previsti, in prima approssimazione, quale personale a
tempo pieno: medici generici, pediatri, infermieri, psicologi, assistenti
sociali, collaboratori familiari, amministrativi. È
inoltre prevista nel compartimento la presenza a tempo parziale di specialisti
quali ad esempio: medico ortopedico, medico
psichiatra, terapisti della riabilitazione, ecc.
Tutti questi operatori dovrebbero
operare a tempo pieno a livello dell'Unità locale. Inoltre gli operatori,
secondo í loro ruoli professionali, dovranno:
1) avere la possibilità di operare,
compatibilmente con il loro orario di lavoro, anche nei poliambulatori
e negli ospedali;
2) avere la
possibilità di un aggiornamento scientifico e professionale;
3) seguire i propri pazienti nei
vari momenti di intervento.
In ciascuna Unità
locale (o al massimo in due Unità locali confinanti con basso numero di popolazione)
è previsto un poliambulatorio al quale siano inviati i casi che esigono
dotazioni strumentali e personale specializzato in grado di assicurare quegli
interventi che non possono essere effettuati a livello di compartimento.
Nei poliambulatori
possono essere previsti alcuni posti letto per
assicurare gli interventi di «ospedale diurno».
In prima approssimazione le altre
attività dei poliambulatori potrebbero essere ad
esempio: radiologia, laboratori di analisi, pronto
soccorso non specializzato, piccola chirurgia, riabilitazione per gli
interventi non effettuabili a domicilio o nel compartimento socio-sanitario.
Formazione degli operatori
sanitari e sociali
L'obiettivo finale della
programmazione da parte della Regione nella formazione degli
operatori sanitari ed assistenziali esige che
sue attuali competenze la formazione
del personale necessario. Esige inoltre l'attribuzione alle Unità locali della
gestione di questi corsi e scuole.
Questa delega alle Unità locali
consente:
- l'uniformità dei
criteri di formazione in base agli indirizzi nazionali e alla programmazione
regionale;
- la verifica costante della
rispondenza della formazione con le esigenze reali della popolazione;
- il coinvolgimento della
popolazione e delle forze sociali nel processo formativo;
- l'unificazione
degli organi responsabili della formazione e la precisa individuazione delle
sedi formative;
- l'avvio del processo di verifica sulla interscambiabilità dei ruoli.
Nello stesso tempo è necessario che
il Comune di Torino e le Unità locali di tutti i
servizi affrontino urgentemente e concretamente il problema della formazione
di base e permanente degli operatori sanitari e sociali e in particolare la
riqualificazione, l'aggiornamento e la riconversione del numerosissimo
personale dei 3.000 enti di cui il D.P.R. prevede lo scioglimento.
Comprensori
Con la legge regionale n. 41 del 4
giugno 1975 sono stati istituiti in Piemonte 15 comprensori quali organi
decentrati della Regione con compiti di programmazione e di coordinamento delle
attività di competenza degli enti locali.
I Consiglieri dei comprensori
vengono designati fra i consiglieri comunali e provinciali con elezione di
secondo grado.
Il rapporto tra Unità locali e
comprensori è quello risultante dalla seguente
tabella:
Comprensori |
Consiglieri |
Unità locali |
Abitanti a1 31-12-77 |
Torino |
122 |
39 |
2.115.940 |
Ivrea |
60 |
2 |
130.786 |
Pinerolo |
60 |
3 |
118.708 |
Vercelli |
61 |
2 |
120.070 |
Biella |
60 |
2 |
196.138 |
Borgosesia |
41 |
2 |
86.012 |
Novara |
80 |
4 |
300.773 |
Verbania |
60 |
3 |
189.425 |
Cuneo |
60 |
3 |
146.387 |
Savigliano |
GO |
3 |
146.387 |
Alba |
61 |
2 |
147.541 |
Mondovì |
40 |
2 |
93.080 |
Asti |
60 |
2 |
208.444 |
Alessandria |
80 |
6 |
402.738 |
Casale |
62 |
1 |
102.533 |
Regione Piemonte |
967 |
76 |
4.516.582 |
Come risulta
dalla tabella vi è una netta sproporzione tra il comprensorio di Torino e gli
altri.
Risulta inoltre che l'istituzione dei
comprensori è avvenuta senza tener conto delle Unità locali: infatti il
comprensorio di Casale Monferrato coincide con
l'Unità locale e non si comprende la ragione per cui vi debbano essere due
organi di governo per lo stesso territorio.
Vi è però da osservare che, anche a
seguito dell'accordo di governo che prevede un unico organo intermedio fra il
Comune e
A nostro avviso
questo dibattito deve tener conto anche delle Comunità montane e soprattutto
delle Unità locali di tutti i servizi.
Non vi è inoltre da escludere che il
dibattito in corso sull'organo intermedio fra Comuni e Regioni non giunga alla conclusione che tale organo debba essere
individuato proprio nell'Unità locale di tutti i servizi.
Conclusioni
La proposta di legge che presentiamo
alla attenzione del Consiglio regionale non pretende
certo di essere «il meglio» prodotto in questo campo né di essere esaustiva di
tutti i problemi. Ha invece, e lo sappiamo, molte lacune e lascia aperti grossi
problemi.
In alcune parti essa contiene
indicazioni che sono di carattere generale inserite
però poiché le giudicavamo politicamente rilevanti (come l'art. 2 riguardante
l'Unità locale di tutti i servizi). Alcuni problemi non sono stati trattati come
quello dei rapporti tra Unità locale e privati (case di cura, laboratori di analisi, istituti di ricovero) anche perché tali nodi
dovranno essere sciolti con le riforme della sanità e dell'assistenza
attualmente in discussione in Parlamento. Non è affrontato, come abbiamo già
detto, il problema del rapporto tra Unità locali e comprensori.
Ma la nostra intenzione non era e non
è quella di dire tutto e tutto giusto, era ed è più modesta e nello stesso
tempo più ambiziosa.
Era ed è di
offrire uno strumento che consentisse di far uscire dalla quasi clandestinità
i problemi dei nuovi servizi socio-sanitari e di ampliare il dibattito ed il
confronto in modo non generico ma concreto e capillare sui servizi e sugli
interventi che devono essere messi in atto dalla Regione e dalle Unità locali.
E questo si è rilevato un obiettivo giusto perché in questi sei mesi abbiamo
trovato una grande disinformazione, spesso anche da
parte degli Amministratori locali, ma un altrettanto grande interesse e
desiderio di conoscere, partecipare, vedere finalmente cambiate le cose in
questo campo.
Ma soprattutto, in questo momento di
profonda crisi economica e di valori, in cui corriamo il rischio ancora una
volta di essere espropriati anche dalla politica, ci interessava
dare ai lavoratori, ai cittadini, ai gruppi di base, alle forze sociali e
sindacali, una occasione in più per «fare politica» e far «contare» sui
problemi concreti e verificabili nel vivo della vita quotidiana.
Siamo certi che il Consiglio
regionale coglierà in pieno il profondo significato politico e culturale di questa iniziativa attuata utilizzando uno degli
strumenti di partecipazione che esso stesso ha messo a disposizione.
Per parte nostra la consideriamo un
avvio di mobilitazione e continueremo ad essere parte attiva per quanto ci
compete come forza di base, per far sì che le attese e le speranze che abbiamo
contribuito ad aprire anche con questa iniziativa,
abbiamo risposta positiva.
Continueremo a lavorare, soprattutto
nei Comuni, nelle zone, nei quartieri, per la riorganizzazione dei servizi,
contro la disgregazione sociale, per la
trasformazione in senso più democratico dello Stato e per la costruzione di un
nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni.
Proponenti, firmatari e promotori ci
auguriamo che il Consiglio regionale piemontese vorrà discutere al più presto
e approvare l'allegata proposta di legge di iniziativa
popolare, in modo che la delega delle funzioni alle Unità locali di tutti i
servizi e la definizione dei criteri di programmazione, finanziamento e
gestione delle attività sanitarie e assistenziali e quelle relative alla
formazione di base e permanente degli operatori costituiscano un organico
quadro di riferimento diretto a soddisfare i reali indifferibili interessi dei
singoli e della collettività.
Ma al di là delle
sorti della proposta di legge riteniamo che attese e speranze aperte con questa
iniziativa non possano essere eluse e attendano dalla Regione e dai Comuni,
risposte, atti, realizzazioni, concrete e visibili, che diano il segno di una
profonda volontà di trasformazione della convivenza civile.
TESTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE DI
INIZIATIVA POPOLARE
Art. 1. - I servizi sanitari e assistenziali di competenza della Regione Piemonte, dei
Comuni e delle Comunità montane devono essere istituiti e organizzati in modo
da:
- rispondere alle esigenze delle
persone, famiglie e comunità;
- intervenire per
la prevenzione e rimozione delle cause di malattia e di disadattamento;
- assicurare gli interventi curativi
e riabilitativi a livello domiciliare, ambulatoriale, poliambulatoriale,
consultoriale e ospedaliero a tutte le persone che ne
necessitano, comprese quelle definite malate
croniche;
- garantire a tutti i cittadini,
compresi quelli handicappati, la fruizione dei normali
servizi sanitari, prescolastici, scolastici, abitativi, culturali, ricreativi
o di altro genere esistenti o da istituire nell'ambito della zona di residenza
dei cittadini, evitando qualsiasi forma di segregazione, di esclusione e di
beneficenza;
- provvedere al reinserimento
sociale delle persone ricoverate in istituti;
- assicurare la formazione di base e
permanente, l'aggiornamento e la riqualificazione degli operatori addetti alle
attività sopra indicate.
Art. 2. - AI fine
di evitare una gestione della sanità e dell'assistenza separata dagli altri servizi
e allo scopo di consentire ad un unico organo di governo locale di intervenire
negli altri settori della vita sociale,
A tal fine, entro il termine sopra
indicato,
Art. 3. - La gestione dei servizi sanitari
e assistenziali è attuata con la partecipazione delle forze sindacali e
sociali operanti nel territorio, le quali definiscono autonomamente le forme organizzative
idonee per l'attuazione del controllo popolare sulle scelte politiche,
programmatiche ed operative della Regione e degli enti preposti alla gestione
dei servizi.
Art. 4. - La gestione dei
servizi di cui all'art. 1 è assicurata, ai sensi del D.P.R. n. 616 del 24-71977 dal Comune di Torino e dai suoi 23 Consigli di
quartiere, dalle Comunità montane coincidenti con le Unità locali e dai Consorzi
fra Comuni. Spettano inoltre agli organismi suddetti:
- il controllo delle istituzioni
pubbliche e private operanti nel campo della sanità, dell'assistenza
e della formazione degli operatori sanitari e sociali per quanto attiene le competenze
attribuite alla Regione ed agli enti locali.
- le nomine di
competenza regionale degli amministratori delle istituzioni di cui sopra. Entro quattro mesi dall'entrata in
vigore della presente (proposta di) legge i Comuni devono provvedere alla costituzione
dei Consorzi i cui membri devono essere scelti fra i Consiglieri comunali del
territorio. Entro la stessa data il Comune di Torino
deve provvedere alla istituzione dei propri organi di decentramento.
In caso di mancata attuazione di
quanto sopra disposto, vi provvederà
I Comuni e le Comunità montane
devono mettere a disposizione degli organismi di cui al primo comma del
presente articolo il proprio personale, le strutture,
le attrezzature ed i fondi relativi alla sanità, all'assistenza ed alla formazione
degli operatori sanitari e sociali.
In materia di sanità, assistenza e
formazione degli operatori sanitari e sociali restano
alla Regione le funzioni di programmazione, d'indirizzo, di coordinamento, di
vigilanza e di finanziamento.
Il personale dei servizi sanitari e
assistenziali deve operare a tempo pieno, comprendendo in questo le attività
di studio, ricerca e aggiornamento.
Al personale proveniente dallo
scioglimento degli enti, IPAB comprese, sono assicurati la conservazione del
posto di lavoro ed il trattamento salariale e
normativo in godimento. In ogni caso devono essere garantiti i livelli stabiliti
dai contratti collettivi di lavoro. Il personale è messo a disposizione della
Regione; entro sessanta giorni è assegnato alle Unità locali di tutti i
servizi previa contrattazione con le organizzazioni
sindacali per essere inquadrato in osservanza dei contratti collettivi di
lavoro.
Il personale religioso che opera,
anche tramite convenzioni, nelle IPAB da almeno un anno è inserito, su richiesta ed entro il 31-12-1978, nei ruoli organici
ordinari e occorrendo soprannumerari dell'ente con la qualifica corrispondente
al lavoro svolto, sempre che l'interessato sia in possesso dei titoli di studio
corrispondenti.
Fino all'entrata in vigore della
legge di riforma della finanza locale, la gestione finanziaria delle attività di assistenza viene contabilizzata separatamente ed i beni
degli ECA e delle IPAB conservano la destinazione ai servizi di assistenza
sociale anche nel caso di loro trasformazione patrimoniale.
Art. 5. - I servizi sanitari e assistenziali, organizzati a livello delle Unità locali di
cui alla legge n. 41 del 9-7-1976, provvedono ad assicurare le necessarie
prestazioni preventive, curative, riabilitative e sociali di tipo domiciliare,
ambulatoriale, consultoriale, poliambulatoriale
e ospedaliero alla popolazione residente e, per quanto concerne l'ambiente di
lavoro, ai lavoratori del territorio.
I servizi sanitari e assistenziali assicurano altresì, con modalità
organizzative e operative di piena integrazione con le altre attività, le prestazioni:
- di medicina
scolastica di cui ai D.P.R. 11-21961 n. 264 e 22-11-1967 n. 1518;
- di assistenza
medico-psichica, compresi gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi
agli handicappati fisici, psichici e sensoriali e la fornitura di protesi;
- consultoriali
di cui alla legge della Regione Piemonte n. 39 del
9-7-1976.
Gli interventi sanitari e assistenziali possono comprendere anche le attività svolte
dai servizi di fabbrica a seguito di accordi conclusi fra le organizzazioni dei
sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Al fine di assicurare la necessaria
funzionalità, l'Unità locale può essere suddivisa in sottozone, in ciascuna
delle quali opera un gruppo di operatori sanitari e
assistenziali in grado di fornire le prestazioni di base preventive, curative,
riabilitative e sociali.
Art. 6. - Gli interventi di prevenzione
sono diretti:
a) nel campo sanitario alla individuazione nel territorio e nei luoghi di lavoro
dei rischi di malattie, all'assunzione di tutti i dati derivanti dalle
indagini suddette al fine della loro elaborazione epidemiologica e alla
trasmissione alle forze sindacali e sociali e alla popolazione;
b) nel campo assistenziale
alla individuazione delle situazioni di segregazione (ricovero in istituti) e
delle cause di emarginazione nei settori del lavoro e della vita sociale
(istituzioni prescolastiche e scolastiche, attività ricreative e culturali,
abitazione, trasporti, barriere architettoniche ecc.).
Nell'ambito delle competenze
regionali, gli interventi comprendono altresì l'eliminazione delle suddette situazioni, rischi e cause mediante idonei
provvedimenti legislativi e operativi.
Art. 7. - Le prestazioni
curative e sociali, sanitarie e assistenziali, fornite a livello
domiciliare e ambulatoriale hanno lo scopo di:
- assicurare una adeguata
risposta alle situazioni di malattie e di disadattamento individuale,
familiare e sociale;
- costituire un filtro nei confronti
dei poliambulatori e dei ricoveri in ospedale e in
istituti di assistenza.
Ai poliambulatori
sono inviati i casi che esigono dotazioni strumentali e personale specializzato
in grado di assicurare gli interventi non praticabili a livello domiciliare e
ambulatoriale.
Nei poliambulatori
possono essere previsti alcuni posti letto per
assicurare gli interventi che richiedono un ricovero diurno limitato. I
ricoveri ospedalieri devono avvenire solo tramite i dipartimenti di emergenza e di accettazione.
Art. 8. - Il Comune di Torino ed i 23
Consigli di quartiere della città stessa, i Consorzi e le Comunità montane
coincidenti con le Unità locali devono assicurare gli interventi di competenza
in base alle seguenti priorità:
- interventi preventivi indicati
all'art. 6;
- assistenza economica ordinaria e
straordinaria da erogare in base a criteri e
parametri prefissati;
- assistenza domiciliare
comprendente le prestazioni di aiuto domestico,
infermieristiche, riabilitative ed educative;
- segnalazione all'autorità
giudiziaria minorile, ai sensi delle leggi vigenti,
dei minori in situazione di abbandono materiale e morale (ved.
legge sull'adozione speciale n. 431 del 5-6-1967) e di
quelli per i quali è necessario l'intervento del tribunale per i minorenni e
del giudice tutelare; attività derivanti da provvedimenti dell'autorità
giudiziaria minorile;
- affidamenti educativi di minori, affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di handicappati
adulti e di anziani presso famiglie, persone e nuclei parafamiliari composti
da due o più volontari o in comunità alloggio gestite dalle Unità locali o autogestite;
- ricovero, nella fase transitoria,
in istituti di assistenza previamente autorizzati a
funzionare e aventi strutture e personale adeguati e situati nel territorio di
residenza dei soggetti interessati, salvo loro diversa richiesta.
Gli interventi assistenziali
sono assicurati, in particolare, fino al loro reinserimento sociale:
- ai minori, agli
handicappati adulti ed agli anziani in situazione di bisogno economico e/o
sociale;
- alle persone
colpite da catastrofe o da calamità naturali escluso il primo soccorso;
- ai rifugiati, ai
profughi e ai rimpatriati, esclusa la prima assistenza;
- alle famiglie dei carcerati e alle
vittime del delitto;
- agli ex carcerati;
- ai minorenni
soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili, nell'ambito delle
competenze civili e amministrative (rieducative);
- alle prostitute ed ex prostitute;
- alle persone tossico-dipendenti e
assimilabili ai sensi della legge n. 685 del 22-12-1975.
Il Comune di Torino, le Comunità montane coincidenti con le Unità locali ed i
Consorzi provvedono a richiedere le rivalse agli
interessati ed ai parenti tenuti a provvedervi, solo nei casi di ricovero in
istituto, di affidamento, di inserimento e di accoglimento in comunità
alloggio ed in base a criteri e parametri prefissati tenendo conto dei
redditi.
Art. 9. -
- ricoverati in ospedali e istituti;
- strutture, servizi, attrezzature e
personale socio-sanitario;
- dati
epidemiologici e ogni altro elemento necessario per una corretta informazione
sociosanitaria.
L'accesso a tali dati è consentito
in qualsiasi momento agli organi di cui sopra e, escluse le parti coperte dal
segreto di ufficio ai sensi delle leggi vigenti, alle
forze sindacali e sociali.
Art. 10. -
Le Province, previ
accordi con gli enti interessati e le organizzazioni sindacali, provvederanno a mettere a disposizione delle Unità locali il
personale, le strutture, le attrezzature e gli stanziamenti relativi alle
attività sanitarie e assistenziali trasferite, comprese quelle relative agli
handicappati fisici e psichici.
Art. 11. - Il Comune di Torino, le Comunità
montane coincidenti con le Unità locali ed i Consorzi assumono le iniziative
necessarie per l'inserimento di persone volontarie nelle attività sanitarie e assistenziali che non richiedono prestazioni da attribuire
alla competenza di personale qualificato e specializzato.
Alle persone volontarie sono
rimborsate, se richieste, le spese vive sostenute purché previamente autorizzate.
Art. 12. - A partire dall'entrata
in vigore della presente (proposta di) legge, il ricovero in istituzioni di
assistenza è consentito solamente previo parere favorevole delle Unità locali
tenute a provvedere.
Le Unità locali, fatte salve le
rivalse di cui all'art. 8, provvedono direttamente al pagamento delle rette di
loro competenza alle istituzioni di assistenza.
Non è ammessa alcuna
altra forma di contributo diretto o indiretto alle istituzioni di assistenza
da parte della Regione, dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane e
dei Consorzi.
Art. 13. - Come misura preventiva degli
infortuni e per facilitare la vita di relazione degli handicappati,
Agli edifici appaltati o già
costruiti devono essere apportate le possibili conformi
varianti. I piani urbanistici ed i regolamenti edilizi devono essere
modificati entro un anno dall'entrata in vigore della
presente (proposta di) legge per dare applicazione a quanto previsto dal presente
articolo.
Art. 14. -
Il piano ospedaliero dovrà inoltre
prevedere che, nei casi di ricovero in ospedale, salvo particolari urgenze,
sia data precedenza assoluta ai residenti nel territorio di competenza.
Il piano ospedaliero deve pertanto:
- individuare i livelli
organizzativi e funzionali ottimali della attività di
diagnosi e cura ospedaliera in rapporto alle richieste degli utenti;
- adeguare i servizi ospedalieri
agli ambiti territoriali di utenza, attraverso
l'unificazione amministrativa e tecnica degli ospedali situati in una Unità
locale e, occorrendo, in uno stesso comprensorio;
- assicurare
l'integrazione degli ospedali con le altre strutture sanitarie esistenti nel
territorio;
- riorganizzare gli ospedali
mediante l'istituzione dei dipartimenti, realizzando prioritariamente quelli di emergenza e accettazione di primo e secondo livello;
- avviare il
processo per l'eliminazione delle sezioni distaccate degli ospedali comprese
quelle destinate a lungodegenti o cronici;
- prevedere la
chiusura degli ospedali inidonei ed esuberanti rispetto alle necessità del
territorio e di quelli aventi una percentuale di letti occupati inferiore al 50 per
cento del totale dei posti disponibili, assicurando al personale il posto di
lavoro, i diritti acquisiti e concordando con le organizzazioni sindacali la
mobilità del personale stesso;
- l'amministrazione e la gestione
degli enti ospedalieri devono essere assicurate dalle Unità locali di tutti i
servizi dei territori di competenza.
Art. 15. - Entro sei mesi dall'entrata in
vigore della presente (proposta di) legge il Comune di Torino, i Consorzi e le
Comunità montane coincidenti con le Unità locali, previ
confronti con le forze sindacali e sociali e tempestiva trasmissione alle stesse di tutte le informazioni richieste,
presentano alla Giunta regionale il piano dei servizi sanitari e assistenziali
del territorio di competenza.
I piani suddetti devono comprendere:
- il censimento delle strutture,
attrezzature e personale esistenti;
- la strutturazione
ottimale dei servizi sanitari e assistenziali esistenti;
- la strutturazione
ottimale in dipartimenti e servizi degli ospedali del territorio e le
ripartizioni dei posti letto, tenendo conto delle indicazioni del piano
ospedaliero;
- i servizi da istituire, con
precisazione dei tempi e modalità;
- le necessità in
personale e in termini di formazione di base e permanente, aggiornamento,
riqualificazione e riconversione, con le relative indicazioni di tempi e
strumenti;
- le spese di investimento
e di gestione.
Art. 16. - Ricevuti i piani di cui all'art.
15,
Il piano, i cui contenuti, tempi e
finanziamenti sono vincolanti per
Art. 17. - Entro la data di cui all'articolo
precedente,
Il piano deve essere rispondente ai
seguenti principi:
- coincidenza degli obiettivi della
formazione con gli obiettivi della programmazione
sanitaria e assistenziale;
- adeguamento del gettito delle
iniziative formative alle necessità di sviluppo e trasformazione dei servizi e
alle capacità di assorbimento delle strutture
sanitarie e assistenziali;
- innalzamento
delle basi culturali e scientifiche degli operatori allo stato delle
conoscenze; - apertura della formazione in senso polivalente,
interdisciplinare e di gruppo;
- integrazione delle attività
culturali e scientifiche con le attività pratiche;
- frequenza alle
iniziative di formazione permanente, riqualificazione, aggiornamento e riconversione
nell'orario di lavoro;
- priorità della prevenzione
sanitaria e sociale;
- capacità di recepire
gli apporti collaborativi e/o critici delle forze sindacali e sociali e della
popolazione;
- messa a disposizione degli
strumenti per la più ampia mobilità del personale in
relazione alle esigenze;
- definizione dei
centri di formazione e delle procedure di programmazione locale e di funzionamento
applicabili per centri operanti per due o più Unità locali;
- definizione delle modalità di
collaborazione dei docenti e dell'altro personale utilizzabile, stabilendo
tassativamente che quelli scelti fra il personale dei servizi sanitari e assistenziali deve essere di ruolo e a tempo pieno;
- definizione delle iniziative di aggiornamento tecnico e scientifico del personale
docente;
- definizione delle norme
concernenti la revoca delle autorizzazioni concesse
prima dell'entrata in vigore del piano regionale per la formazione e
concernenti l'istituzione di corsi o scuole per operatori sanitari e
assistenziali;
- messa a carico del bilancio
regionale dei finanziamenti relativi alla istituzione
e funzionamento dei centri di formazione.
Il piano, i cui contenuti, tempi e
finanziamenti sono vincolanti per
Art. 18. - Le competenze attualmente
attribuite ad enti sono esercitate, a partire dal loro scioglimento, dalla
Regione e dalle Unità locali di tutti i servizi in base a quanto disposto dalla
presente (proposta di) legge.
Art. 19. -
Art. 20. - Per le spese di
istituzione e di primo avviamento dei Consorzi,
Per i finanziamenti dei piani di cui
agli articoli 14, 15, 16 e 17,
NOTA DEL PCI DEL 14-2-1978
Come i compagni sapranno,
l'8-8-1977 il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato la legge
regionale n. 39 «Riorganizzazione e gestione dei
servizi sanitari e socio-assistenziali». L'esigenza primaria cui la legge
regionale intende far fronte risulta quella diretta
ad individuare un momento unitario di
direzione dei servizi socio-sanitari, momento unitario che coinvolga
direttamente i Comuni ed i loro organi di amministrazione.
L'esigenza di tale unitarietà, che
ha trovato analogo riscontro nel recente D.P.R. 616, attuativo
della legge n. 382, è il presupposto di una gestione economicamente valida del
settore sia in considerazione dei notevoli elementi di frammentarietà e settorialità degli interventi, sia in quanto la situazione
economica generale rende improponibile un incremento dei costi complessivi del
settore.
La risposta
istituzionale della legge 39 al problema della realizzazione di un momento politico
unitario di direzione del settore socio-sanitario è costituita dalla previsione
di Consorzi fra Comuni (per quanto
riguarda le Unità locali extra-Torino) e dalla previsione del decentramento (per quanto attiene a
Torino).
Come ci si è mossi a livello
istituzionale, fino a questo momento, per consentire la rapida attuazione della
legge e quindi l'entrata in funzione degli organi di
gestione delle Unità locali?
Si sono tenute due giornate di
lavoro, promosso dalla V Commissione del Consiglio regionale, che hanno visto la partecipazione di tutti i 15
comprensori del Piemonte.
Perché
i comprensori?
Ai comitati comprensoriali sono
attribuiti, ai sensi dell'art. 16 della legge 39, compiti di promozione e di
coordinamento ed ai sensi del successivo art. 17 compiti di indirizzo
nella fase di predisposizione ed attuazione dei programmi zonali unitari ed
integrati di gestione dei servizi.
L'iniziativa politica dei
comprensori, pertanto, potrà realisticamente svilupparsi in un arco di tempo che assicuri comunque il funzionamento dei
Consorzi e la conseguente strumentazione degli stessi per l'anno 1979.
Ciò comporta la
realizzazione definitiva del consorziamento entro il
maggio 1977 (approvazione degli statuti dei consorzi da parte di tutti i
comuni delle ULS extra-Torino); entro luglio
Per quanto riguarda
Inoltre, proprio in questi giorni si
stanno tenendo, nelle 16 ULS del Comprensorio torinese, gli incontri della V
Commissione comprensoriale con i Comuni delle ULS per accelerare al massimo il
processo di consorziamento e per rispettare i tempi
fissati. I tempi sono (come si vede) assai stretti, ma
ragionevoli, se si può contare sull'immediato impegno di tutti i soggetti
coinvolti.
Il complesso delle cose fin qui
esposte dimostra ampiamente che esiste un impegno consistente a livello
istituzionale (e a livello politico, almeno per
quanto attiene al nostro Partito) per far sì che alla data del 1-1-1979 le ULS
possano funzionare a pieno regime.
In questo contesto
(che non è certo di attendismo o di passività da parte della Regione, del
Comprensorio, dei Comuni) si è inserita nelle ultime settimane una iniziativa
promossa dal C.S.A. (Coordinamento Sanità ed
Assistenza fra i movimenti di base) che ha sede presso il Coordinamento dei
quartieri di Via Assietta.
Al C.S.A.
aderiscono, tra le altre, le ACLI, il Coordinamento dei comitati di quartiere,
il Gruppo Abele, l'Unione Italiana Ciechi, l'Unione
per la lotta contro l'emarginazione sociale.
Tale iniziativa consiste in una proposta di legge regionale di iniziativa popolare che ha per scopo la «Riorganizzazione
dei servizi sanitari ed assistenziali e costituzione
delle Unità locali di tutti i servizi».
In base ad un disposto dello Statuto
regionale piemontese per poter presentare una proposta di legge d'iniziativa
popolare occorrono 8.000 firme, che appunto in questi giorni vengono raccolte
in varie località di Torino e Provincia dagli aderenti al Comitato.
Molte sarebbero le osservazioni da
fare nel merito della proposta di
legge (c'è la proposta: di costituire l'Unità locale di tutti i servizi - assetto del territorio, urbanistica, assistenza
scolastica, istruzione artigianale e professionale, agricoltura e foreste,
viabilità, acquedotti, fiere e mercati, navigazione lacuale e fluviale ecc. - e
quindi di istituire un solo organo di
governo; di costituire obbligatoriamente
il consorzio fra comuni ed il decentramento a Torino: nel caso che i comuni non
adempiano a questo disposto,
A questo punto ci pare utile
osservare che:
1) la proposta di legge ci pare
sostanzialmente improponibile ed inaccettabile dal punto di vista
istituzionale in quanto:
a) non prevede nessun
coinvolgimento attivo e nessun ruolo per quanto riguarda
b) attraverso la proposta di consorziamento obbligatorio e della eventuale
nomina di un commissario regionale, non si tiene conto del ruolo dei Comuni,
delle loro peculiarità e della loro
storia e si crede di poter superare con un atto d'imperio una serie di
difficoltà, che invece vanno superate con un lavoro politico paziente e
costruttivo. Inoltre ci pare che emerga una visione tecnocratica del Consorzio
dei Comuni, tesa ad espropriare gli stessi delle deleghe loro spettanti (legge
39, DPR 616) a favore del Consorzio stesso. Per non
parlare del «Commissario Regionale» che rimanda ad una soluzione «prefettizia»
di problemi che sono squisitamente politici.
2) La proposta di legge tende a riproporre una visione della ULS (unico organo di gestione
per tutti i servizi) impraticabile dal punto di vista pratico, come già
dimostra del resto la difficoltà di avviare il processo gestionale anche solo
per i servizi socio-sanitari.
Inoltre, viene
risollevata la questione di un piano
ospedaliero, cosa che è politicamente inaccettabile dal momento che si
riproporrebbe ancora una volta la centralità dell'ospedale.
Al contrario il problema è quello di
varare al più presto, da parte della Regione, un piano socio-sanitario
complessivo che al suo interno contempli elementi di programmazione ospedaliera
(cosa che del resto si sta già facendo: infatti il gruppo che elabora il piano
socio-sanitario ha già elaborato i primi due documenti A e B relativi alla
metodologia e ai servizi di base, e si accinge ad affrontare appunto la parte
riguardante la programmazione ospedaliera. I primi due documenti sono stati
inviati ai Comprensori ed ai Comuni, i quali dovranno discuterli) (3).
Il dato più preoccupante dal punto di vista squisitamente politico,
ci pare però essere quello (presente almeno in alcuni aderenti al C.S.A., in particolare la
componente più legata a Santanera) di una volontà di contrapposizione alla
legge regionale n. 39 e agli atti politico-istituzionali che si vanno
compiendo in queste settimane e che venivano illustrati precedentemente.
La posizione delle ACLI è più
mediata: da parte loro viene detto esplicitamente che
non esiste volontà oppositrice alla legge regionale e che la loro adesione
all'iniziativa del C.S.A. è motivata dalla necessità di
suscitare dibattito e partecipazione attiva da parte della popolazione.
Come comportarci?
Intanto c'è da dire subito che
occorre:
1) orientare tutti
i nostri compagni delle sezioni e quelli che lavorano attivamente nei Comitati
di quartiere perché non aderiscano alla raccolta delle firme (né a titolo
personale, né come sezioni di partito);
2) impedire il più
possibile un utilizzo strumentale dei comitati di quartiere a tale fine;
3) essere disponibili e farci noi
stessi promotori di incontri, dibattiti, nelle
sezioni e nei quartieri su tutta la tematica: sarebbe sbagliato chiudersi a
riccio e rifiutare di confrontarci sul faticoso processo di costruzione delle
ULS, che implica (al di fuori di qualsiasi strumentalizzazione) una
discussione ampia e il più possibile corretta.
A tale fine si propone alle zone di
Partito (per quanto è possibile) di fare riunioni di compagni impegnati nei
quartieri, segretari di sezione, compagni delle Commissioni sicurezza sociale
al fine di chiarire maggiormente tutta la materia, al di là
di quanto possa essere consentito da questa nota schematica. Per queste
riunioni sarà garantita la presenza di un compagno della Commissione sicurezza
sociale.
DICHIARAZIONE DI CESARE DELPIANO: PERCHÉ HO FIRMATO
Si sta rischiando una stagnazione,
non solo generale, sulla annosa questione della
riforma sanitaria e dell'assistenza, per cui il Sindacato si batte o deve
battersi a fondo nella sua piena autonomia.
Abbiamo bisogno dunque di rilanciare
anche dal basso, con una articolazione più puntuale,
l'iniziativa, la partecipazione, una dialettica nel merito.
Sotto questo aspetto
il Sindacato può trovare anche se non delle collimanze
perfette, delle convergenze in questa sua iniziativa ed azione.
La presentazione di un progetto di
legge di iniziativa popolare per la riorganizzazione
dei servizi e la costituzione dei consorzi a livello territoriale assolve
dunque a questo duplice ruolo: di sviluppare una articolazione a livello regionale,
una dialettica che tiri fuori dalla «morta gora» la questione sanitaria ed
assistenziale e del decentramento in senso generale e di trovare convergenze o
almeno di prepararle tra forze sociali.
La mia firma a questo progetto vuole
solo essere un contributo all'assunzione da parte dello stesso sindacato di questi
ruoli e convergenze perché lo stesso Sindacato discuta e disponga nella sua
autonomia il proprio impegno e mobilitazione.
Ritengo che costituisca un errore
legato ad una schematizzazione ed a chiusure precostituite, a «piccole» difese
di «parrocchie», sterili e improduttive, cercare di stroncare con direttive o
parole d'ordine, discutibili, la ripresa e l'allargamento di un dibattito con
intenti costruttivi, quale è quello provocato dal
progetto di iniziativa popolare che non è sostitutivo di quanto si vuol fare
ma integrativo, problematico e di rilancio.
La mia adesione (sono tra i primi
firmatari del progetto) partendo dal quadro generale e dalla
articolazione dell'iniziativa mira sostanzialmente al decentramento di
compiti e funzioni, considera il trasferimento di competenze e personale dallo
Stato agli Enti locali: legge 386, 70, 349 e ultima 392 con i relativi decreti
attuativi.
Esistono ritardi, contraddizioni
degli Enti locali, di natura oggettiva ma anche
soggettiva e politica, in direzione di una trasformazione per la prevenzione,
cura, riabilitazione dei servizi sanitari ed assistenziali nel territorio.
Premendo con il progetto di iniziativa popolare si compie un doveroso atto di
«partecipazione» e di non delega in bianco. Questo atto dovrebbe essere
esaltato non messo a tacere.
Ciò può evitare che si prosegua oltretutto
in frettolose e spesso «vuote» assemblee di sola iniziativa degli Enti locali,
che si concludono spesso con la esaltazione delle
autonomie degli enti senza ulteriore costrutto.
L'iniziativa popolare con il gusto
del dibattito e della partecipazione che suscita costituisce un punto di
confronto, di incontro che va utilizzato; può
rimettere in moto anche una ricerca, uno studio fra la popolazione e gli
amministratori; ripropone inoltre una programmazione in concreto da parte
della stessa Regione, ancora carente in questo senso.
Accanirsi a
soffocarla, ad escluderla come un elemento fastidioso, peggio antagonistico, ancora
se ciò viene con argomenti faziosi o che mostrano tutto come in funzione di un anti inconsistente per creare paratie stagne, non è molto
intelligente. È
ammettere a parole ogni contributo pluralistico per negarlo in fatto, è
sentirsi portatori di un perfezionismo che non accetta discussione, nemmeno chiarimenti.
Si rischia di cadere così in quella arroganza tanto
discussa e negativa.
Tale atteggiamento va dunque
respinto anche come metodo oltreché per il contenuto
che può provocare.
Anche ciò ci fa convinti nella ragione
del nostro impegno.
LETTERA DI BIANCA GUIDETTI SERRA
La Commissione sicurezza sociale
della Federazione torinese del Partito Comunista Italiano il 14 febbraio
Il documento offre occasione per
alcune considerazioni di metodo in un momento in cui, si sostiene, la
«partecipazione» è elemento determinante per la realizzazione
delle riforme istituzionali e, per l'argomento che interessa, per quello
dell'assistenza e della sanità.
Pacifico che un partito possa dare indicazioni ai suoi membri circa la linea
politica scelta sui vari argomenti.
L'informazione da cui l'indicazione
nasce, però, deve essere esatta in primo luogo, si crede, perché diretta «ai
compagni» e perché può comprendere giudizi ed informazioni su altre
organizzazioni o persone che, all'interno del partito, non hanno voce e solo
per caso, come nella specie, sono venute a conoscenza
della circolare stessa.
Non ci si riferisce ai contenuti
criticati della proposta che (come tutti i contenuti) possono
essere sempre discussi, modificabili e... soprattutto non condivisi. Anche se
è da ricordare che tali contenuti ricalcano soluzioni già accettate da
rappresentanti del P.C.I. con l'adesione alla precedente proposta di legge di iniziativa popolare nazionale nel 1975.
Per venire all'argomento.
Il CSA dopo l'emanazione del DPR 616
(attuativo della legge 382/76) interessato, per sua finalità istitutiva, alla
riforma assistenziale chiese alla Regione, in persona
del Presidente e degli Assessori interessati, un incontro per conoscere gli
orientamenti regionali in materia (20 settembre 1977).
Analoga domanda rivolse al Comune di
Torino (10 ottobre 1977).
Tale incontro, per quanto riguarda
Il CSA organizzò contemporaneamente
un seminario con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e diversi
operatori socio-assistenziali. In questa occasione
venne avanzata per la prima volta la proposta di dare vita ad un movimento di
sollecitazione dell'opinione pubblica e delle autorità su questo tema con una «Proposta
di iniziativa popolare in materia socio-sanitaria» e
ciò quale contributo reale dei movimenti di base per una corretta attuazione
del DPR 616. Il seminario fu aperto a tutte le forze politiche e sociali
interessate.
Del progetto vennero
redatte tre successive stesure discusse all'interno delle rispettive organizzazioni
e poi dal CSA nel suo complesso che ne approvò la redazione definitiva nel dicembre
1977.
Contemporaneamente per favorire la
discussione e ricevere contributi partecipativi da tutte le parti, la bozza di
progetto venne inviata a tutti i membri del Comitato
promotore per la proposta di legge nazionale di iniziativa popolare del 1975.
Per quanto riguarda
il P.C.I. l'incontro, ripetutamente richiesto, fu fissato per il 16 dicembre
'77. Il rappresentante del partito s'impegnò a promuovere una riunione
sull'argomento a breve termine, con la presenza dell'Assessore interessato e
del rappresentante regionale del partito (o di chi da esso
delegato).
L'incontro fissato per il 12 gennaio
1978 venne rinviato e non più riconvocato.
Anche in questa occasione
malgrado ripetuti solleciti. Quindi non ci fu alcuna
possibilità di discussione. Analoghe iniziative furono assunte nei confronti di altri partiti (PSI e DP) con esiti vari.
Tale sviluppo degli avvenimenti
viene ricordato per sottolineare che non in «antagonismo»,
o come si sostiene nella circolare per mera «contrapposizione alla legge
regionale», ma con sincero interesse partecipativo l'azione è stata portata
avanti. Ma la circolare ha dimenticato altro elemento
che pare essenziale.
Nella relazione introduttiva al progetto
è un capitoletto dal titolo: «Limiti della proposta» che dice, tra l'altro:
«... La proposta di legge di iniziativa popolare ha
principalmente lo scopo di avviare un dibattito più concreto e più capillare
sui servizi sanitari e assistenziali e sugli interventi che devono essere messi
in atto dalla Regione e dalle Unità locali».
«La proposta è dunque aperta al
contributo critico di quanti vorranno intervenire...».
«Comunque i
proponenti ed i firmatari si augurano che il Consiglio regionale del Piemonte
vorrà tener conto di quanto risulta dalla proposta di legge di iniziativa
popolare nonché dei contributi anche critici che emergeranno nel corso della
raccolta delle firme, ossia vorrà considerare l'iniziativa, che i movimenti di
base hanno assunto, nel suo reale significato di stimolo a provvede alla
realizzazione delle strutture previste dalle leggi più volte citate avendo di
mira i reali indifferibili interessi della collettività».
Tali precisazioni sono come ignorate
dalla circolare che ne trae, in più, conclusioni in netto contrasto. È scritto infatti: «il dato più preoccupante dal punto di vista
squisitamente politico, ci pare però essere quello (presente almeno in alcuni
aderenti al CSA, in particolare la componente più legata a Santanera)
di una volontà di contrapposizione alla legge regionale n. 39 e agli atti
politico-istituzionali che si vanno compiendo in queste settimane e che venivano
illustrati precedentemente».
Questa mi pare essere la parte più
grave di tutta la circolare, che altera il significato dell'iniziativa.
In base a quale scritto o dichiarazione
pubblica o privata i redattori o redattore della circolare giungono a questa
conclusione?
Come riescono
a distinguere l'apporto della componente dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione
sociale da quella delle ACLI?
Ma queste osservazioni sono aspetto
secondario.
Ciò che sembra più grave è l'accusa,
che per tale non può non essere intesa, con la quale si conclude
per giungere a dare indicazioni sul da farsi e cioè: «orientare tutti i nostri
compagni delle sezioni e quelli che lavorano attivamente nei comitati di quartiere
perché non aderiscano» all'iniziativa e cioè non firmino la proposta di legge.
L'accusa discende da questa frase: «impedire il più possibile un utilizzo strumentale
dei comitati di quartiere a tale fine».
Essa è grave non solo perché i
termini sono chiaramente denigratori, ma perché sembrano esprimere una volontà
di apporre grave ostacolo, se non una barriera, all'uso democratico delle
istituzioni pubbliche e popolari quando vengano
utilizzate (non strumentalizzate) per iniziative non previste o, anche,
dissenzienti da quelle ufficiali.
PRECISAZIONI DEL C.S.A.
Partecipazione o esclusiva
ricerca del consenso?
In merito alla proposta di legge
regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei
servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle
Unità locali di tutti i servizi» vi sono state diverse valutazioni e prese di
posizioni che stanno a dimostrare l'importanza della iniziativa assunta da un
gruppo di forze di base.
Intendiamo con la presente
affrontare nel metodo e nel merito la presa di posizione della Commissione
sicurezza sociale della Federazione torinese del
P.C.I. che ha emanato il 14-2-78 una nota interna «riservata» che contiene discutibili
orientamenti ai quadri dirigenti periferici. Alcuni di questi riguardano:
1) «orientare tutti i nostri compagni delle sezioni e quelli che lavorano
attivamente nei Comitati di quartiere perché non aderiscano alla raccolta
delle firme né a titolo personale, né come sezioni di partito»;
2) «impedire il più possibile un utilizzo strumentale
dei Comitati di quartiere a tale fine»;
3) «il dato più preoccupante dal punto di vista squisitamente politico, ci
pare però essere quello (presente almeno in alcuni aderenti al C.S.A., in particolare la
componente più legata a Santanera) di una volontà di
contrapposizione alla legge regionale n. 39 e agli atti politico-istituzionali
che si vanno compiendo in queste settimane e che venivano illustrati precedentemente.
La posizione delle ACLI è più mediata: da parte loro viene
detto esplicitamente che non esiste volontà oppositrice alla legge regionale e
che la loro adesione all'iniziativa del C.S.A. è motivata
dalla necessità di suscitare dibattito e partecipazione attiva da parte della
popolazione».
Quest'ultimo punto evidenzia un
atteggiamento che va respinto essendo tutte le organizzazioni e i gruppi
promotori dell'iniziativa di legge popolare responsabilmente impegnati nel considerare la proposta di legge come elemento che
contribuisce a stimolare un dibattito che sino a questo momento è rimasto
limitato agli «addetti ai lavori».
L'obiettivo che ci proponiamo è
quello di contribuire a rendere questo importante
momento di riforma dei servizi socio-assistenziali e sanitari, partecipato e
gestito democraticamente nei termini più ampi possibili.
Quindi nessuno, e tanto meno tutte
le organizzazioni promotrici, intende contrapporsi alle linee regionali (anche se queste possono e debbono essere
discusse e verificate coinvolgendo settori più ampi di quelli sino ad oggi
interessati); si vuole anzi con la proposta in discussione apportare un
contributo arricchente e stimolante ed aperto alle più ampie verifiche.
Osservazioni di merito
Nella nota è scritto che «molte sarebbero le osservazioni da fare nel
merito della proposta di legge»,
ma poi sono avanzate solamente le seguenti critiche :
1) la proposta sarebbe inutile in
quanto prevederebbe le stesse cose della legge
regionale n. 39 dell'8-8-1977;
2) l'unità locale di tutti i servizi
sarebbe impraticabile «come già dimostra
del resto la difficoltà di avviare il processo gestionale
anche solo per i servizi socio-sanitari»;
3) la proposta «non prevede nessun coinvolgimento attivo e nessun ruolo per quanto
riguarda le Province ed i Comprensori»;
4) con il consorziamento
obbligatorio «non si tiene conto del
ruolo dei Comuni, delle loro peculiarità e della loro
storia»;
5) la previsione del Commissario in
caso di mancata costituzione del consorzio rimanderebbe
«ad una soluzione prefettizia di problemi
che sono squisitamente politici»;
6) la proposta di un piano ospedaliero
transitorio sarebbe «politicamente
inaccettabile dal momento che si riprodurrebbe ancora
una volta la centralità dell'ospedale».
Enunciazioni comuni
Non c'è contrapposizione fra le
enunciazioni generali della proposta di legge di iniziativa
popolare (v. art. 1) e la legge 39 (art. 2); anzi c'è una coincidenza
assoluta.
L'iniziativa popolare è invece un
approfondimento e un completamento della legge 39, incentrati su indicazioni
specifiche, indispensabili sia per evitare vuoti di intervento,
sia per avere un quadro di riferimento complessivo (gli articoli relativi sono
17 su 20).
Queste indicazioni sono proposte
alle forze politiche, sindacali e sociali e alla popolazione per una
discussione la più ampia e approfondita possibile.
Un obiettivo così impegnativo
dovrebbe essere considerato importante dalla stessa maggioranza
regionale troppe volte costretta ad elaborare progetti nel chiuso degli uffici
senza poter usufruire della possibilità di partecipazione e di consultazioni
previste dallo statuto regionale (v. l'art. 2 sulla partecipazione) e dalla
propria legge n. 43 del 19-8-1977 il cui art. 2 prevede che
Difficoltà oggettive e non hanno
sino ad ora portato ad una applicazione superficiale
delle norme partecipative previste.
Unità locale di tutti
i servizi
Mentre siamo coscienti delle
difficoltà da superare per avviare il processo di
costituzione delle U.L.S., pare però essere
discutibile considerare impraticabile questo obiettivo.
Si deve invece fare un preciso
sforzo per mantenere ben fermo l'obiettivo finale (l'U.L.S.)
pur considerando necessario procedere a tappe.
La necessità e l'urgenza dell'Unità
locale di tutti i servizi sono sottolineate anche da
Luigi Berlinguer, professore di diritto
amministrativo dell'Università di Firenze, che nella relazione tenuta al
Convegno di Roma del 23/25-1-78 indetto dall'Istituto Gramsci
sul tema «Programmazione, autonomia, partecipazione -
Un nuovo ordinamento dei poteri locali» ha affermato quanto segue: «La consapevolezza che il pulviscolo
comunale resta un buon alleato del centralismo, e che
l'inadeguatezza delle attrezzature dei piccoli Comuni ha costituito finora un
comodo alibi contro una più decisa politica di deleghe e attribuzioni di nuove
funzioni agli enti locali, ha portato il legislatore a prefigurare ed incoraggiare
un meccanismo di collegamento e di associazione fra i Comuni che loro consenta
di attrezzarsi a dovere.
Il
2° comma dell'art. 25 di quel decreto (n.d.r. D.P.R. 616) introduce un principio istituzionale nuovo:
l'ambito territoriale adeguato all'erogazione dei
servizi sociali e sanitari e invita Regioni e Comuni a ridisegnare la mappa
territoriale periferica del paese, ad individuare queste aree ottimali e
promuovere associazioni intercomunali nelle forme dovute, nel rispetto dell'autonomia
e della democrazia rappresentativa, secondo l'inderogabile principio della polisettorialità. Gli attuali consorzi, che parcellizzano
l'amministrazione in ambiti settoriali, e pertanto separati ed incomunicanti, hanno fatto il loro tempo,
lascino ora il passo a nuovi organismi deputati a coprire contestualmente il
più ampio raggio di competenze (...).
Abbiamo
bisogno di realizzare in tempi ragionevolmente brevi una rete di Comuni
associati che - assieme ai Comuni singoli - disegni nella realtà sociale ed
istituzionale italiana aree omogenee coincidenti, coperte da una razionale e
moderna attrezzatura per l'organizzazione del servizi
(scolastici, socio-sanitari, etc.) e per un intervento nell'economia.
Questi
strumenti istituzionali, lo sforzo comune che li
sorreggerà in sede politica, diverranno un potente motore non solo del rapporto
con le comunità amministrate ma nei confronti di tutto il paese, per la forza
che alle realtà comunali deriverà dal superamento della tradizionale frammentazione
e del tradizionale isolamento voluti dalla politica delle classi dirigenti e
dello Stato accentrato.
Area ottimale di servizi e di
gestione amministrativa, quindi, che - mi preme precisare subito - non ha
niente a che fare con l'ente intermedio, ma piuttosto con l'ente Comune. Si
potrà con essa dimostrare l'inconsistenza delle
resistenze ad uno spedito e deciso procedere delle deleghe e delle attribuzioni
ai Comuni nel campo dei servizi ma anche in quello dell'economia; si potrà
approvare una legge di principi sulle autonomie locali che ponga finalmente il
Comune - singolo o associato su un'area ottimale di intervento - al centro
della realtà istituzionale italiana, che ne faccia un protagonista autentico
dell'Italia moderna.
Ecco
una via davvero praticabile per uscire dalle secche della crisi».
Inoltre la proposta politica
dell'Unità locale di tutti i servizi era stata fatta
propria dalla Regione Piemonte con la legge 41 il cui art. 4 precisa che «la gestione è unica per tutti i servizi
compresi nell'Unità locale».
Nella relazione della Giunta
regionale relativa alla legge suddetta era scritto che le Unità locali
dovevano garantire «l'organizzazione unitaria
e la direzione politico-amministrativa dei servizi di base prescolastici, scolastici, culturali, abitativi, sociali e sanitari».
La posizione della Regione relativa all'Unità locale di tutti i servizi è poi stata
contraddetta dalla legge 39 (che riguarda solo sanità e assistenza) e dalla
legge sull'urbanistica n. 56 del 5-12-77 (positiva per molti aspetti) in cui
non sono nemmeno citate le Unità locali ed i Consigli di quartiere.
Infine va osservato che il
regolamento dei Consigli di quartiere approvato dal
Consiglio comunale di Torino l'1-2-77 (e cioè prima del DPR 616) attribuisce
ai Consigli stessi funzioni non solo deliberative in materia di sanità e
assistenza, ma anche per la gestione delle scuole materne, degli asili nido,
delle attività parascolastiche, dei centri civici, dei servizi sportivi e
ricreativi, del patrimonio comunale, ecc.
Province e Comprensori
Pare assai semplicistico affermare,
senza le necessarie specificazioni e chiarimenti a monte,
la necessità del «coinvolgimento attivo
delle Province». Infatti va ribadito il loro
urgente superamento e l'utilizzo di personale e strutture per la messa in moto
degli strumenti gestionali (ULS) e programmatori (Comprensori?) già previsti
da leggi nazionali e regionali in vigore.
Questo ci pare un modo serio per
realizzare servizi unitari ed efficienti.
Circa i comprensori poi la proposta
di iniziativa popolare non li esclude, e la relazione
indica la necessità che nei dibattiti che saranno organizzati per la raccolta
delle firme si discuta sull'organo intermedio precisando, nel caso in cui lo si
ritenesse necessario, ruolo, funzioni, ambito territoriale di competenza,
organi di governo, ecc.
Obbligatorietà dei
Consorzi
La richiesta del Consorzio
obbligatorio non va assolutamente intesa come «un atto di imperio».
Risponde invece alla inderogabile necessità dei
cittadini, ai quali le istituzioni devono rispondere, di avere servizi idonei
alle loro esigenze, servizi che non possono essere adeguatamente assicurati
dagli attuali troppo piccoli o troppo grandi Comuni.
Dall'1-1-78 sono state trasferiti
alle Regioni, ai Comuni ed alle Unità locati praticamente
tutti i compiti di assistenza, quelli relativi alla formazione di base e
permanente degli operatori sanitari e sociali e decine di altre funzioni.
In Piemonte ben 1011 Comuni su 1209
hanno una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti: che cosa possono garantire,
da soli, ai loro cittadini in termini di efficienza e
funzionalità?
L'esperienza dell'ONMI e dell'ECA,
lo stato pietoso delle condotte mediche, la disorganicità, l'insufficienza e il
disorientamento dei cittadini di fronte al problema della difesa della loro
salute non sono sufficienti a stimolare organismi territoriali
sovracomunali (o sottocomunali nel caso di Torino)
organizzatori di servizi adeguati?
Siamo convinti che le riforme non si
possono fare se non si garantisce un miglioramento degli interventi.
Quanto prevede la legge regionale n.
39 che non stabilisce alcun limite di tempo per la costruzione dei Consorzi ci
pare insufficiente. Interessante e qualificato è certamente l'impegno assunto
dalla maggioranza regionale di sollecitare, attraverso i Comprensori, i Comuni
a costituire rapidamente i previsti consorziamenti.
Questa è una linea che va perseguita anche se
parallelamente riteniamo necessario procedere ad una stimolante opera dal
basso, tra i cittadini, tra i lavoratori.
La nomina di un Commissario
regionale, prevista dalla proposta di iniziativa
popolare nel caso di inattività dei Comuni, non è quindi una «soluzione prefettizia»,
ma l'unica possibilità concessa dalle leggi vigenti di arrivare al consorziamento dopo aver esperito tutti i tentativi necessari a cui anche noi siamo impegnati.
La sostituzione dei Comuni
inadempienti da parte della Regione non è comunque una
indicazione estemporanea: essa è prevista infatti da molte leggi regionali
(Toscana, Emilia Romagna, Umbria, ecc.), anche se vanno fatti tutti gli sforzi
possibili di convincimento e pressione per non dover applicarla. L'applicazione
di questa norma rimane quindi l'ultima strada da percorrere.
Piano ospedaliero
transitorio
Il piano ospedaliero transitorio
viene richiesto, nella proposta di iniziativa
popolare, non allo scopo di affermare la centralità dell'ospedale (è
sufficiente leggere gli art. 5, 6, 7, 14, 15 e 17), ma per evitare che
Conclusioni
Già il lavoro preparatorio per la
proposta di legge regionale di iniziativa popolare ha
consentito l'effettuazione (da dicembre a febbraio) di decine e decine di
dibattiti, ha permesso un vasto scambio di informazioni fra le forze sindacali
e sociali e la popolazione. Non vi è stato alcun episodio che indichi una
contrapposizione con la maggioranza della Regione, mentre sono state sempre ribadite le precise ed inequivocabili gravi responsabilità
della D.C. e dei centri di potere ad essa collegati.
Sono emerse anche significative
posizioni uguali o vicine a quelle della maggioranza regionale (v. ad es. la questione relativa alla nomina dei
Consigli di quartiere di Torino) e puntualmente divergenti con quelle della
D.C.
Certamente, come d'altronde è ovvio
per organizzazioni autonome e impegnate nel sociale, sono anche stati
dibattuti i limiti della legislazione regionale, le carenze
della Giunta nei confronti di una reale partecipazione (non sufficiente
informazione, interruzione delle consultazioni, tendenze tecnocratiche) e le
contraddizioni esistenti in alcuni comportamenti concreti.
Si è quindi sempre proceduto con
spirito critico ma con intenti costruttivi, legati evidentemente al grado di esperienza e informazione acquisite, e chiaramente
alternativi ai metodi ed ai contenuti espressi in questi 30 anni dalla D.C.
È ovvio che le organizzazioni che
fanno parte del C.S.A. sono pienamente disponibili a
qualsiasi confronto in tutte le zone e città dov'è possibile, pronti a
modificare ove qualcosa si mostrasse sbagliato, ma
fermi nel confermare l'obiettivo della partecipazione come elemento essenziale
del loro essere e del loro impegno.
(1) L'iniziativa
popolare è stata promossa dal Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base, di cui fanno parte le seguenti organizzazioni: ACLI, AIAS
(Associazione italiana assistenza spastici), ANFAA (Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie), ANFFAS (Associazione nazionale famiglie di
fanciulli subnormali), Centro Maran Atà, CIPE (Centro informazioni politiche ed economiche),
Comitato per l'integrazione scolastica degli handicappati, Coordinamento
autogestione handicappati, Coordinamento dei comitati di quartiere, Gruppo
Abele, Unione italiana ciechi, ULCES (Unione per la lotta contro l'emarginazione
sociale).
(2) Alla data del
31-8-1978 gli statuti consortili approvati dal Consiglio regionale erano 3 su
51 (n.d.r.).
(3) Alla data del
31-8-1978 il piano socio-sanitario regionale non è ancora stato elaborato (n.d.r.).
www.fondazionepromozionesociale.it