Prospettive assistenziali, n. 44, ottobre-dicembre
1978
Editoriale
GLI
ANZIANI DEFINITI CRONICI VENGONO CALPESTATI NEI LORO DIRITTI
Negli
ultimi anni larghi strati dell'opinione pubblica sono stati sollecitati a porsi
in posizione critica per quel che riguarda l'istituzionalizzazione. Si è così
operato in una prospettiva alternativa agli istituti: l'adozione dei bambini
abbandonati invece del ricovero in istituto, l'inserimento scolastico e
lavorativo e sociale degli handicappati, la legge di chiusura dei manicomi, una
prevenzione sanitaria e sociale nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Sono
state avviate anche alcune iniziative nei riguardi degli anziani
autosufficienti: assegnazione di alloggi della edilizia
economica e popolare (V. leggi n. 865 del 22 ottobre 1971 e n. 513 dell'8
agosto 1977), contributi economici ordinari diretti ad assicurare il minimo
vitale e straordinari diretti a coprire particolari esigenze (1), l'aiuto domestico, l'assistenza infermieristica domiciliare oltre che
ambulatoriale, le comunità alloggio inserite nel normale contesto abitativo.
Questa
sollecitazione, che è seguita alla lotta di alcuni gruppi, ha portato a
risultati molto positivi, anche se c'è ancora moltissimo da fare per arrivare
a una situazione soddisfacente per l'utenza, soprattutto per quanto concerne
l'eliminazione delle cause che provocano le richieste di assistenza.
Ma
nel campo degli anziani definiti cronici, poco è stato fatto e i problemi
restano tutti da risolvere. Si tratta di un grande numero di persone che, se
l'andamento dell'età media crescerà, aumenterà ancora.
Non
si è fatto nulla per alleviare le sofferenze e curare la salute di questi
cittadini che sono i più indifesi, a causa del decadimento fisico e psichico;
spesso abbandonati a loro stessi perché soli (2) o ignorati dai loro familiari. Anzi proprio perché bisognosi di cure e
di assistenza vengono fatti oggetto di speculazione dagli istituti di
assistenza sia privati che pubblici. Tra questi le IPAB che per politica di
prestigio e di potere clientelare non solo cercano di sopravvivere, ma di
accrescere il loro campo di azione, strumentalizzando spesso la dedizione del
personale laico o religioso e sfruttando il più delle volte un personale
sottopagato, insufficiente, senza preparazione alcuna e sovente anche privo di
una sistemazione lavorativa stabile e perciò sottoposto a minacce e ricatti, in
contrasto con l'obiettivo di benessere e di salute dei ricoverati.
Questa
posizione degli istituti di assistenza trova complicità nell'inerzia e nella
totale indifferenza del Governo, del Parlamento, delle Amministrazioni
regionali e locali; così che le aspirazioni ad una gestione dei servizi
sanitari in funzione degli interessi reali della popolazione, ripetutamente
manifestate a livello verbale, non solo non hanno trovato soddisfazione ma sono
state sistematicamente contraddette.
In
particolare la situazione sanitaria nei confronti della patologia della
vecchiaia è gravemente carente.
Una
mutualità frantumata per categorie e differenziata per prestazioni, una
politica di prestigio e di potere di numerose amministrazioni ospedaliere, una degenerazione mercantile della classe medica, una
pratica medica sempre più differenziata secondo il censo dei pazienti non è
certo portata a recepire i bisogni dei più deboli.
A
questa categoria appartengono gli anziani cronici poveri (quelli che godono di
appoggi o protezione potranno sfuggire a certe condizioni di emarginazione).
Nell'organizzazione
ospedaliera vengono dimessi o non ammessi perché di solito non graditi ai
medici mutualistici o specialistici troppo occupati negli aspetti burocratici
e tecnici della malattia, e poco attenti al valore etico ed umano della
persona, e neppure graditi dal personale paramedico ed infermieri che vedono
nei cronici solo un aggravio delle loro mansioni. Nello stesso tempo con una assistenza sanitaria che non riesce a far fronte ai suoi
compiti di segnalare, prevenire, curare e riabilitare, saranno sempre gli
stessi anziani che vedranno accelerato il loro decadimento fisico e psichico
così da esser costretti al ricovero in cronicario. Qui l'istituzionalizzazione,
carente di un accertamento operativo verso i problemi personali, emarginandoli
dalla loro vita di sempre con gli altri, sarà un ulteriore elemento per
l'aggravamento delle loro condizioni.
Prevenzione
Ne
deriva una prima considerazione: anche gli interventi contro la cronicità non
possono essere disgiunti da una lotta contro l'emarginazione e la
segregazione. Non basta quindi mettere in atto una serie di servizi
di prevenzione nei riguardi degli anziani, se questi
interventi servono solo ad isolare l'anziano e non ad aiutare ad una piena
realizzazione della propria personalità. Occorre quindi che la prevenzione sia
di tutti e per tutti e cioè diretta ad assicurare « il massimo benessere
fisico, psichico e sociale » secondo la famosa definizione dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità.
Prevenire
significa porsi l'obiettivo dell'eliminazione delle cause che provocano
malattie, handicap, disadattamento, emarginazione.
La prevenzione non è pertanto un intervento
esclusivamente o prevalentemente sanitario e deve attenuare gli ostacoli
sociali: riguarda perciò tutti i settori sociali: lavoro, casa, scuola,
cultura, assetto del territorio, ecc. (3).
Provvedimenti nei
confronti dei cronici
Oggi
le persone definite croniche (si tratta soprattutto di anziani, ma lo stesso
problema si pone anche nei riguardi degli handicappati) sono sbattute (è la
parola che esprime più compiutamente quel che avviene) fuori dagli ospedali o
non vi sono ammesse anche quando esse hanno bisogno di cure non praticabili a
domicilio o in ambulatorio.
Si
ritengono illegittimi i provvedimenti di dimissione o di non ammissione
operati dagli Enti Ospedalieri nei confronti degli anziani definiti cronici
perché:
1) già l'On. Vigorelli nella relazione al Senato
sulla legge 4 agosto 1955 n. 692, «Estensione dell'assistenza di malattia ai
pensionati di invalidità e vecchiaia» commentando l'art. 3 («... tale
assistenza spetta senza limiti di durata nei casi di malattie specifiche della
vecchiaia») mise in evidenza come dato di fatto che la «condizione fisica dei
pensionati richiede prestazioni sanitarie del tutto particolari, almeno per
quanto riguarda la durata dell'erogazione delle prestazioni medesime»;
2) con il decreto del Ministero del lavoro 21 dicembre 1956 «Determinazione
delle malattie da considerarsi specifiche della vecchiaia» vennero determinate
le malattie «specifiche» della vecchiaia per l'applicazione dell'art. 3 legge 4
agosto 1955 n. 692 e fu ribadito che «le manifestazioni morbose di cui al
precitato elenco sono assistibili senza limiti di durata, dopo l'età pensionabile,
purché siano suscettibili di cure ambulatoriali e domiciliari. Per tali forme
morbose è analogamente concessa l'assistenza ospedaliera, quando gli
accertamenti diagnostici, le cure mediche e chirurgiche non siano normalmente
praticabili a domicilio, ma richiedano apprestamenti tecnici e scientifici
ospedalieri».
A
giustificazione delle dimissioni e delle non ammissioni al ricovero
ospedaliero, gli Enti ospedalieri ritengono (arbitrariamente) obbligatoria
l'applicazione dell'art. 3 legge 4 agosto 1955 n. 692 per i soli casi di
malattie acute.
Risulta
evidente l'arbitrarietà dell'applicazione dell'articolo di cui sopra, in
quanto:
a) è ben vero che esisteva (circolare del 1953 n. 34 dell'I.N.A.M.) una
disciplina sull'assistenza mutualistica che fondava, tra l'altro, sulla
distinzione tra malattie «acute» e «croniche» il regolamento delle diverse
prestazioni sanitarie dovute. Ma, a ben interpretare la circolare, risulta
chiaramente che tale distinzione fu un parametro puramente cronologico-medico.
Con la definizione di cronicità non si volle assolutamente statuire un nuovo
criterio per stabilire chi avesse, o meno, la
possibilità di avvalersi di un diritto all'assistenza, diritto che la legge 692
del 1955 attribuisce a tutti indistintamente.
b) La legge n. 692 volle infatti chiaramente
eliminare (e così innovare alle precedenti prassi) ogni distinzione tra le
varie forme e stadi di malattie statuendo il principio della «assistenza senza
limiti di durata» (4-5); non sarebbe
quindi possibile, neppure volendolo, far conciliare due disposizioni di per se
stesse opposte e contrastanti (quali la circolare I.N.A.M. e la legge numero
692).
c) Il D.M. 21-12-1956, che stabilisce quali siano le malattie da
considerarsi specifiche della vecchiaia, statuisce al 3° comma che «l'assistenza
ospedaliera è analogamente (“senza limiti di durata”) concessa quando gli
accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non siano normalmente
praticabili a domicilio ma richiedano apprestamenti tecnici o scientifici
ospedalieri».
Obblighi degli Enti
ospedalieri
Ne
deriva che il diritto al ricovero ospedaliero « senza limiti di durata » non è condizionato
da alcun requisito di «acuzie» della malattia, bensì dal requisito della
necessità di cure od accertamenti «non normalmente praticabili a domicilio».
In
altre parole, nasce l'obbligo per gli Enti ospedalieri in relazione al
ricovero, o meno, di utilizzare un criterio che ben supera e annulla quello
della semplice constatazione medica dello «stadio» della malattia, li criterio della necessità (6), infatti comprende una valutazione complessiva delle condizioni del
malato che parte dalla considerazione dello stato morboso per involgere, poi,
fattori di diversa e complessa natura, quali ad esempio, la possibilità o
meno, a seconda delle strutture sanitarie e sociali e delle condizioni
soggettive, economiche, familiari del malato di proseguire le cure in via
ambulatoriale o domiciliare (7). In
definitiva il concetto di «cronico» non è più da valutarsi come «malattia a
lungo decorso non guaribile», ma come malattia che implica una valutazione
dell'individuo nella sua globalità fisica, psichica, sociale.
Il
cronico non dovrebbe più essere un «deposito» e un peso per gli ospedali, né
un cliente temporaneo con pessimo trattamento.
A
ben vedere l'introduzione di questo nuovo concetto della necessità ha forse
voluto anche ricordare che le affezioni del vecchio divengono più o meno
invalidanti sia in relazione al tipo di lesione sia, e soprattutto, in rapporto
al trattamento realizzato, alla tempestività e continuatività
dell'attuazione delle pratiche riabilitative. Infatti un adeguato trattamento
ospedaliero può prevenire la cronicizzazione e quel deterioramento psichico
che si verifica nei vari istituti per i vecchi (8).
Alla
luce di queste considerazioni e di quanto stabilito dal D.M. 21-12-1956 e
dall'art. 41 legge 12-1-1968 n. 132, appaiono ancora più illegittime le
dimissioni dei malati anziani «cronici» quando non sia valutata la «necessità»
del ricovero e considerata la possibilità, da valutare in relazione alle
condizioni reali esistenti, di poter praticare le cure a domicilio o in ambulatorio.
È
da notare quanto il requisito giustificativo del ricovero, «stato di
necessità», sia ancor più incidente «oggi» nel caso di persone affette da
malattie specifiche della vecchiaia: il ricovero è, infatti, quasi sempre,
l'unica alternativa alla possibilità di usufruire o di cure «normalmente praticabili»
a domicilio, o quanto meno di altre forme assistenziali pubbliche.
d) Infatti gli anziani affetti da malattie «croniche», che dovrebbero
poter usufruire maggiormente del diritto all'assistenza gratuita pubblica,
come ogni altro ammalato, nonostante che la legge n. 692/1955 li abbia resi
titolari di un particolare diritto e privilegio nei confronti degli altri
assistiti, vengono troppo spesso e troppo presto abbandonati perché dimessi
dagli ospedali arbitrariamente, senza avere a disposizione alternative
assistenziali pubbliche. Sono costretti, così, una volta dimessi dagli
ospedali, a ricorrere ad istituti di assistenza, il più delle volte a proprie
spese (9).
Ciò
è in contrasto non solo con tutto quanto detto fin d'ora, ma con diverse leggi
relative agli enti ospedalieri che più volte ribadiscono il «diritto» per il
«cronico» ed il «lungodegente» ad un'assistenza ospedaliera pubblica. Statuisce
la legge 12-2-1968 n. 132 art. 1: «L'assistenza ospedaliera pubblica è svolta a
favore di tutti i cittadini...». Art. 2: «Sono Enti
ospedalieri gli Enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero e
alla cura degli infermi». Art. 3: «Le istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficienza e gli altri Enti pubblici, che al
momento di entrata in vigore della presente legge, provvedono esclusivamente
al ricovero e alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto Enti
ospedalieri. Sono pure costituiti in Enti ospedalieri tutti gli ospedali appartenenti
ad Enti pubblici che abbiano come scopo oltre l'assistenza ospedaliera anche
finalità diverse». Art. 20: «Gli ospedali sono
generali e speciali, per
lungodegenti e per convalescenti». Art.
22: «Sono ospedali generali quelli dotati di distinte divisioni di medicina generale,
di chirurgia generale ... geriatria e per ammalati lungodegenti, salvo che ad alcune di dette specialità non
provvedano ospedali specializzati
viciniori». Art. 25: «Gli ospedali per lungodegenti e per convalescenti sono classificati come ospedali di zona o
provinciali in relazione alle indicazioni del piano regionale ospedaliero ...
Gli ospedali per lungodegenti e per
convalescenti devono, inoltre, possedere ogni altro servizio previsto per le
corrispondenti categorie degli ospedali generali, in quanto necessari alla specifica natura dell'ospedale». Art.
29: «Ciascuna regione provvede a programmare i propri interventi nel settore
ospedaliero ... ed indica la previsione degli interventi regionali relativi
all'impianto di nuovi ospedali, alla trasformazione, ammodernamento o
soppressione degli ospedali esistenti in relazione al fabbisogno dei posti letto
distinti per acuti, cronici, convalescenti, lungodegenti ...». Viene infine
ribadito all'art. 14 «Le norme concernenti l'ordinamento interno dei servizi
dovranno disciplinare: a) l'ammissione e dimissione degli infermi ispirandosi
al principio della obbligatorietà del ricovero nel
caso in cui ne sia accertata la necessità ...».
Le
prestazioni ospedaliere dovute a favore dei cronici e lungodegenti vengono
ribadite nel D.M. 13-8-1969, ove sono più volte nominate divisioni e sezioni
per lungodegenti nella previsione di un quadro di una rete ospedaliera che
assicuri ogni forma di assistenza in relazione alle esigenze della popolazione.
Infine,
di notevole importanza è la legge 17-81974 n. 386, la quale precisa all'art.
12: «I compiti in materia di assistenza ospedaliera degli Enti anche
previdenziali che gestiscono forme di assistenza contro le malattie, nonché
delle casse mutue anche aziendali, comunque denominati e strutturati, sono
trasferiti alle Regioni a statuto ordinario .., le
quali erogano le relative prestazioni in forma diretta e senza limiti di durata
agli iscritti e rispettivi familiari avvalendosi degli Enti ospedalieri, nonché
a seguito di convenzioni, delle cliniche ed istituti universitari, degli
istituti di ricovero e di cura ...».
Questa nuova legge non solo
dimostra l'esattezza di quanto affermato da noi finora, ma fa cadere ogni
eventuale problema interpretativo di tutte le leggi ad essa precedenti.
Infatti, l'art. 12 legge 1974 evolve ed amplia il concetto stesso di
«assistenza senza limiti di durata» non circoscrivendolo più (come nella legge
n. 692/1955) alle sole persone in età pensionabile. Finalmente viene
esplicitamente previsto e statuito un diritto di tutti ad un'assistenza
ospedaliera, senza alcuna discriminazione!
Pertanto,
alla luce di questa nuova disposizione legislativa, appare ancora più illegittimo il voler sostenere che qualora il soggetto non
sia più suscettibile di recupero (cioè cronico) l'ospedale non ha più obblighi
né competenza di somministrare mezzi terapeutici.
Per
non scordare, poi, che quanto sinora affermato «giuridicamente», è altrettanto
valido da un punto di vista medico. Il diritto all'assistenza ospedaliera non
può non essere relativo a tutti, sempreché la cura non possa essere fornita a
domicilio o in ambulatorio.
Ogni
malattia è sempre suscettibile di cure anche se si
tratta di malattie inguaribili. Non esiste malattia di fronte alla quale non si
possa prescrivere una terapia efficace, suscettibile cioè di provocare un
effetto: l'efficacia terapeutica non va confusa con la guaribilità.
Voler
sostenere poi, che l'assistenza deve essere limitata «alle manifestazioni
acute del morbo», costituisce anche un apprezzamento atecnico
degli stessi fini della medicina.
A
conclusione ribadiamo, dunque, l'evidente illegittimità dell'operato degli Enti
ospedalieri che non accettano di ricoverare o dimettono le persone dichiarate
«croniche».
Per
quanto concerne i contenuti dei servizi sanitari e assistenziali, facciamo
riferimento alla proposta di legge regionale di iniziativa popolare n. 347
«Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle
unità locali di tutti i servizi», presentata al Consiglio regionale piemontese
il 21 luglio 1978 con 13.000 firme (10).
Proposte di intervento
Proponiamo
ai movimenti di base interessati di sollecitare ovunque sia possibile
iniziative ed interventi perché siano riconosciuti agli anziani cronici
i diritti sanciti dalle leggi vigenti: azione informativa pubblica (volantini,
articoli su giornali, radio e televisioni di Stato e private), informazioni
specifiche nei confronti degli interessati e dei loro parenti, degli operatori
sanitari degli ospedali e del territorio, degli Amministratori regionali e
comunali, dei Sindacati dei lavoratori.
Nei
casi in cui queste o altre iniziative non portino a risultati concreti,
riteniamo che non siano da escludere ricorsi alla Magistratura sia su casi
specifici di persone illegittimamente dimesse dagli ospedali, sia
sull'arbitrio di giustificazioni di dimissioni o non ammissioni.
Il
problema è, a nostro avviso, molto urgente perché se, come speriamo, entrerà
presto in funzione la riforma sanitaria si può consolidare l'illegale prassi
attuale che, calpestando i diritti degli anziani ammalati cronici, contribuirà
a favorire lo sviluppo degli istituti privati di assistenza.
Inoltre
il passaggio delle IPAB ai Comuni (11) può portare a un
sovraccarico di personale assistenziale: di qui la necessità di porre al Sindacato
il problema della mobilità non solo all'interno del settore assistenziale per
i servizi alternativi al ricovero, ma di estenderla al settore sanitario.
Seminario
Su
questo tema
Prospettive assistenziali è disponibile
ad organizzare un seminario di studio aperto ai movimenti di base, ai
sindacalisti e agli operatori.
Il
seminario, che potrebbe rappresentare la continuazione di quello tenutosi a
Caselle di Salaiole (Firenze) nei giorni 11, 12 e 13
novembre 1977 sul tema «Dagli attuali disservizi sociosanitari alle unità
locali di tutti i servizi», potrebbe aver luogo nel mese di maggio.
Coloro
che sono interessati all'iniziativa sono pregati di scrivere a Prospettive
assistenziali - Via Artisti 34, Torino, o di telefonare al numero (011)
(1) Si veda in questo
numero la delibera del Comune di Torino.
(2) Si tenga conto
che i nuclei familiari composti da una sala persona sono, in una città attiva
come Torino, ben 141.627 sul totale di 471.040 nuclei e cioè il 30%; la popolazione
complessiva di Torino è di 1.181.853 abitanti (dati relativi al 31-12-1977).
(3) Sul piano
istituzionale questa posizione porta alla richiesta dell'Unità locale di tutti
i servizi di base.
(4) Relazione dell'on.
Vigorelli, art. 3 della legge 692: «La condizione
fisica dei pensionati richiede, peraltro, prestazioni sanitarie del tutto
particolari, almeno per quanto riguarda la durata dell'erogazione e delle
prestazioni medesime. (È più che evidente che non ha
senso parlare di stato acuto o cronico in relazione alle malattie tipiche della
vecchiaia in quanto la maggior parte di esse è di per sé "non suscettibile
di recupero o guarigione"). È da una visione umanitaria di tali situazioni
che è scaturita la formulazione dell'art. 3, il quale... rimuove qualsiasi
limite di durata per le malattie specifiche della vecchiaia».
(5) V. anche C. Stato
Ad - Gen. 22 novembre 1971 «Le malattie specifiche della vecchiaia sono
assistibili senza limiti di durata purché dopo l'età pensionabile».
(6) Criterio ribadito
dall'art. 41 legge 12-1-1968 n. 132 il quale per determinare l'ammissione e
dimissione degli infermi, stabilisce il principio della «obbligatorietà» del
ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità.
(7) V. anche la
sentenza del Tribunale di Savona del 31 maggio 1958: «Il ricovero deve essere
necessario soggettivamente e non oggettivamente, perché l'ammalato non è in
grado di discutere la diagnosi del dottore e nemmeno sono in grado di farlo a
distanza di tempo i medici dell'INAM e tanto meno i suoi dipendenti del ramo
amministrativo, in quanto anche una malattia che normalmente può essere curata
in casa può rendere necessario il ricovero del malato in ospedale». Foro It.
1959/1859.
(8) Le sindromi
psichiche da disadattamento (in istituti) recano con sé notevoli manifestazioni
negative: dalla regressione, alla perdita dell'autosufficienza, all'accentuato
decadimento fisico, alla comparsa di atteggiamenti aggressivi, reattivi,
depressivi.
(9) Ricordiamo che la
maggior parte di questi istituti di ricovero per i vecchi, anche se annessi
alle opere ospedaliere, hanno rette piuttosto alte. Molte case di cura hanno,
infatti, favorito sempre più il ricovero dei vecchi malati cronici per poter
fruire delle rette elevate; alcuni istituti sono ridotti a veri e propri
cronicari.
(10) V. Prospettive assistenziali, n. 43.
(11) Dovrebbe essere
evidente che le IPAB che gestiscono istituti di ricovero per anziani non
«svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo religiosa» e
che perciò dovrebbero essere trasferite tutte alle regioni e ai comuni.