Prospettive assistenziali, n. 44, ottobre-dicembre
1978
Notizie
CERIMONIA D'ALTRI TEMPI
Riceviamo
dalla nostra sezione di Salerno e pubblichiamo per sottolineare
ancora una volta la mancanza di interventi diretti a ridurre l'istituzionalizzazione
dei minori.
Il picchetto d'onore (tre giovani
inappuntabili in divisa scura, berretto a visiera, guanti bianchi) s'irrigidì
sull'attenti alla comparsa del gruppetto delle autorità nel cortiletto
d'ingresso; solo l'enorme tricolore, che uno di loro impugnava fieramente per
l'asta, dondolava pigro sotto il sole.
Solo allorquando l'elaborato rito
della presentazione dei numerosi invitati ebbe termine e tutto il gruppo si
mosse per accedere al salone dove si sarebbe svolta la
parte più importante della cerimonia, il picchetto - captato un eloquente
sguardo dell'istruttore - si sciolse per andare ad aggregarsi alla banda che
attendeva nel cortile interno.
Nel lungo e vasto camerone, le personalità e gli invitati furono fatti
accomodare intorno al tavolo centrale e lungo le pareti, rispettando rigorosamente
l'importanza delle funzioni da ciascuno rivestite.
Indi il vecchio Presidente, con voce
piana e sommessa, solo a tratti chiaramente percettibile a tutti, lesse il discorso di prammatica rivolgendosi stranamente
solo alla massima delle autorità presenti.
Erano parole di benvenuto
ma non mancavano i cenni storici sulla vita dell'istituzione; erano
parole di compiaciuta esaltazione per quanto finora realizzato ma non
mancavano velate richieste di sovvenzioni e di appoggi.
Prima che alcuno dei presenti avesse tempo di ringraziare, il Presidente invitò tutto il
gruppo a seguirlo nello spiazzo adiacente dove, a suo dire, «i ragazzi erano in
ansiosa attesa di porgere il loro benvenuto agli illustri graditissimi ospiti».
Sonori, marziali squilli di tromba contrassegnarono trionfalmente l'ingresso delle autorità e
scroscianti battimani le accompagnarono mentre passavano in rassegna i 225
ragazzi ordinatamente schierati con i loro assistenti per tutta la lunghezza
del terrazzo.
Erano tutti in divisa: i ragazzi
della banda in vestito e cravatta nera e camicia bianca; gli altri in pantaloni
blu e maglietta a righe, gialle quelli della sede centrale, azzurre quelli
della sede distaccata.
All'altra estremità del piazzale,
accanto alla pedana fornita di microfono, vi fu un certo scambio di
complimenti fra le numerose personalità su chi dovesse
salirvi e parlare per primo ma il Presidente, da accorto e consumato regista
quale finora si era mostrato, regolamentò subito e senza incertezze presenze e
precedenze.
I vari discorsi
che si succedettero: di ringraziamento «per la calorosa accoglienza», di congratulazione
«per la straordinaria efficienza dimostrata», di assicurazione circa «il
nostro doveroso impegno di assicurare continuità all'opera» furono
doverosamente e sapientemente punteggiati dai caldi applausi dei ragazzi che
ad un tratto, con manovra perfettamente diretta ed eseguita, si disposero in
entusiastico semicerchio intorno al palco degli oratori mentre il fotografo,
finalmente giunto, lampeggiava frenetico.
La cerimonia si concluse,
come di dovere, con una visita guidata degli impianti e delle attrezzature
(accanto alle quali i ragazzi addetti si erano fulmineamente precipitati) e
con un ricco rinfresco riservato, ovviamente, solo ai più illustri fra gli ospiti.
Questa rigorosa e dettagliata
cronistoria non è - come a prima vista si potrebbe pensare - il resoconto della
visita di qualche Altezza Reale e delle personalità al seguito ad una delle
tante caserme, nel periodo glorioso dell'Unità d'Italia.
È più semplicemente la cronaca
recentissima di una cerimonia che si è svolta all'Orfanotrofio Maschile «Umberto I» di Salerno, dal volgo designato ancora come «il
Serraglio» come, con malcelata compiacenza, ha ricordato sorridendo il
Presidente dell'Ente, il Cav. Gran Croce Comm. Alfonso Menna, da più di vent'anni alla sua guida.
Gli altri protagonisti erano: il
Presidente della Giunta Regionale Campana, Avv. Gaspare Russo;
il neo-Sindaco di Salerno, dott. Bruno Ravera. Tutti
e tre della D.C., ma forse è
inutile specificarlo!
Silenziosi
comprimari: Assessori e Consiglieri vari della Regione, della Provincia, del
Comune; rappresentanti sindacali; esponenti politici.
Indispensabili ma taciturne
comparse: alcuni vegliardi componenti del Consiglio di
Amministrazione; il personale tutto dell'Istituto, elegante e composto (dal
Rettore ai custodi al cappellano, dagli impiegati agli istitutori alle
cuoche). Coro ineliminabile ma strumentalizzabile: duecentoventicinque minori
dai 5 ai 19 anni di cui «102 a carico della Regione» come orgogliosamente ha
fatto notare il Presidente Menna e «dei quali - ha soggiunto - noi,
contrariamente ad altri istituti, ci occupiamo da quando
sono piccoli fino a che diventano maggiorenni» ed anche dopo, aggiungiamo noi,
perché capita sovente che essi, avendo perduto ormai ogni contatto con la
famiglia, rimangono nell'istituto come operai o istitutori.
Questa meticolosa rappresentazione,
secondo quanto debitamente preannunziato da giornali, radio e televisioni
locali, doveva esprimere «un programma di potenziamento delle strutture per
l'assistenza ai minori» (sic!).
Alle allibite orecchie di un
gruppetto di nostri soci che, inattesi ospiti, si erano presentati all'interessante appuntamento sperando di ascoltare dalla
viva voce dei più diretti responsabili, i rivoluzionari progetti di riforma
che gli Enti Locali territoriali (in ottemperanza al disposto del D.P.R. n. 616
e in conformità allo spirito della legge 382) avevano in mente di realizzare
per questa mastodontica sorpassata struttura, sono invece giunte frasi
agghiaccianti nella loro totale assurdità, nel loro
completo disancoramento dalla realtà nazionale quali: «questa benefica istituzione
che onora tuttora Salerno»; «il fiore all'occhiello della nostra città»; «quest'opera
grandiosa e filantropica, forse la migliore d'Italia, certo del Mezzogiorno»;
«abbiamo vivamente pregato il Comm. Menna, che voleva
rassegnare le dimissioni, a continuare nella sua benemerita fatica»; e via
discorrendo di questo passo.
Recentemente sui muri della nostra
città, allorché il Tribunale condannò 45 femministe ree di aver chiamato
«nazista» un professore universitario che nelle chiese conduceva una terroristica
propaganda antiabortista, comparvero
dei manifesti con la scritta: «Fate fermare il Mondo, il Tribunale
di Salerno vuol scendere!».
Nel caso in questione, per
Da siffatti enti, da siffatte
persone era forse assurdamente irragionevole attendersi dichiarazioni
obiettive e realistiche che, senza minimamente sminuire quanto finora ottenuto
da questo e similari istituti, senza nulla togliere all'impegno delle persone
che in essi e per essi hanno lungamente operato,
prospettassero parimenti modi nuovi di gestire il settore assistenziale, indicassero
persone nuove, più specificamente preparate a tali delicate funzioni;
additassero più soddisfacenti traguardi in grado di trasformare in una
razionale organizzazione di servizi socio-sanitari l'attuale caotico sistema
assistenziale.
E l'istituto in questione, del quale
il D.P.R. prevede il passaggio all'Amministrazione comunale, si prestava
egregiamente ad un discorso di rinnovamento e di concrete prospettive.
La sua posizione, in una zona un po'
isolata e particolarmente priva di strutture sociali, ai margini
del cuore del centro storico, carico di miserie e di bisogni, lo rende
particolarmente idoneo a porsi come centro aperto e polifunzionale di quartiere;
i suoi vasti locali, gli ampi spazi al chiuso ed all'aperto dei quali dispone
sono facilmente adattabili per rispondere a svariate esigente (ricreative,
culturali, sportive, di aggregazione, ecc.); gli impianti dei quali è fornito
(cucine, lavanderia, infermeria, biblioteca, ecc.) permetterebbero, con
modica spesa, l'organizzazione di corrispondenti servizi di quartiere, sia
centrali che a domicilio, in grado di soddisfare le più diverse esigenze della
popolazione tutta di quel quartiere e di quelli limitrofi; altrettanto dicasi
per i laboratori esistenti (tipografia, falegnameria, sartoria, calzoleria,
ecc.) che, opportunamente ristrutturati ed arricchiti di nuovi macchinari,
potrebbero permettere un qualificato discorso di preparazione professionale per
tanti giovani disoccupati, per molti handicappati ed anche per quegli anziani
ancora desiderosi di rendersi utili.
Infine, ma non meno importante
argomento, il numeroso personale già in esso occupato
potrebbe, con brevi corsi di riqualificazione, disimpegnare egregiamente le
delicate funzioni connesse ai servizi di assistenza domiciliare e di
quartiere.
Ed i minori dove dovrebbero andare? qualcuno potrebbe chiedere. Per i minori in difficoltà le soluzioni sono ben altre; solo Salerno e
Innanzitutto bisogna predisporre scuole, asili a
tempo pieno ed insieme, una vasta gamma di servizi di quartiere, domiciliari; e
poi aiuti economici, psicologici, di sostegno alle famiglie in difficoltà; per
i minori privi del tutto o in parte di un valido nucleo familiare occorre il
ricorso precoce all'adozione ed all'affidamento familiare; infine
gruppi-appartamento, piccole comunità, case-famiglia per gli adolescenti e le
ragazze che abbisognano momentaneamente di allontanarsi dalla propria casa o
che non hanno familiari.
Sono queste le nostre proposte;
proposte facilmente realizzabili e che non richiedono spese eccessive
ma solo impegno, serietà, determinazione.
MOZIONI DELL'ANIEP (1):
Riforma
dell'assistenza
L'assemblea nazionale dell'ANIEP,
udita una relazione dettagliata sul faticoso iter delle proposte di legge per
la riforma dell'assistenza, all'esame del Comitato ristretto delle Commissioni
interni e affari costituzionali della Camera (proposte di legge di iniziativa popolare, n. 5; Massari
(PSDI), n. 870; Lodi (PCI), n. 1173; Aniasi (PSI), n.
1237; Cassanmagnago (DC), n. 1484); esaminati i
contenuti del disegno di legge del Governo sul riordinamento dei servizi
sociali (17 maggio 1978, n. 2196); constatata la stentata attuazione del DPR
616 e le gravi decisioni adottate dalla Commissione tecnica (di cui all'art.
113 del medesimo decreto) contro lo scioglimento degli enti pubblici nazionali
di assistenza, rileva:
1) che l'attività del Comitato
ristretto per la stesura di un testo unificato rischia, a causa di incerti e spesso contraddittori processi di mediazione
fra i partiti, di produrre una sterile, retorica e utopistica enunciazione di
principi che non incideranno minimamente sulla attività legislativa delle
Regioni e sul nuovo assetto dei servizi socio-sanitari; infatti, affinché la
riforma non diventi l'ennesimo «libro dei sogni» della legislazione italiana, è
di fondamentale importanza attuare contestualmente la riforma dei poteri e
della finanza locale e comunque preoccuparsi concretamente degli aspetti
economici della nuova organizzazione dell'assistenza, mediante una adeguata
politica fiscale, una rigorosa qualificazione delle spese, dei rapporti fra i
diversi centri del potere assistenziale e la loro unificazione nell'ambito
delle autonomie locali;
2) che con tali indirizzi contrasta
apertamente il disegno di legge governativo che prevede il permanere delle
funzioni amministrative al Ministero dell'interno e la sopravvivenza di tutte
quelle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
che sono in grado di continuare la propria attività (cosicché verrebbero
trasferite alle Regioni e ai Comuni soltanto le IPAB in passivo): tutto ciò in
una logica apertamente antiautonomistica e quindi
contro il pluralismo istituzionale e le correlative istanze di partecipazione
dei cittadini;
3) che il problema costituito dai
molteplici enti pubblici assistenziali, nazionali e
locali, che cercano comunque di sopravvivere, non solo pregiudica la
possibilità di finanziamento della riforma, ma soprattutto scompagina e
disorganizza il progetto di presenza politica e amministrativa delle Regioni e
dei Comuni; in questa linea si colloca la sconcertante e assurda attività della
Commissione tecnica per la soppressione degli enti pubblici che (nonostante i
faticosi compromessi conseguiti con il DPR 616, art. 25 e con la riforma
sanitaria, art. 38) anziché sopprimere gli enti inutili (di cui alla tabella B),
ne aumenta addirittura gli stanziamenti a carico dello Stato, con ulteriore
spreco di danaro pubblico, in contrasto con le indicazioni evolutive ed
incentivanti della 382 e perseguendo l'arcaica logica della beneficenza nel precostituzionale quadro dell'ordine pubblico e
dell'ideologia del sottosviluppo.
L'assemblea nazionale dell'ANIEP
ritiene che sia l'attività della citata commissione tecnica, sia le ipotesi
compromissorie dei partiti, costituiscano un arretramento rispetto ai
risultati acquisiti col DPR 616, cosicché sembra farsi
strada l'intenzione di lasciare le cose come stanno, caricando le Regioni
dell'impossibile compito di attuare e gestire servizi pubblici e gratuiti,
senza il sostegno economico dello Stato e omogenei criteri di intervento.
L'assemblea nazionale dell'ANIEP in
via conclusiva raccomanda:
1) che la legge quadro
sull'assistenza non risulti un atto formale, compiuto in dispregio delle istanze delle classi più deboli, ma venga inserita in un
progetto complessivo di sviluppo economico e sociale, finanziariamente
programmato;
2) che d'altra parte non si ripropongano ancora i motivi di divergenza relativi ai
rapporti di potere e alla conservazione di ambiti clientelari o di centralismo
amministrativo, cosicché la futura legge diventi lo strumento con cui riacquisire
e ridiscutere ciò che è stato concesso e concordato in sede di attuazione della
382.
Unificazione delle
pensioni di inabilità
L'assemblea nazionale dell'ANIEP
nella consapevolezza che la politica in materia pensionistica non può essere
considerata al di fuori del quadro dello sviluppo
della sicurezza sociale, formula le seguenti considerazioni:
1) il persistere di
arcaiche normative corporative, che hanno distinto i cittadini in
categorie con trattamenti diversi nonostante l'uguaglianza dei bisogni, la
rigidità legislativa in campo pensionistico (difesa acriticamente dalle
organizzazioni sindacali), costituiscono un serio ostacolo per l'unificazione
delle prestazioni economiche di invalidità, sia di tipo assistenziale, sia di
tipo previdenziale;
2) l'intervento dello Stato nel
settore dell'invalidità pensionabile deve
configurarsi, non già come un mezzo socio-politico per tamponare carenze
economiche e strutturali complessive (ciò che provoca un aumento assurdo dei
beneficiari), ma come l'effettivo sostegno per garantire possibilità di vita.
È pertanto necessaria una radicale riforma del sistema pensionistico secondo le
linee di qualificazione e di contenimento della spesa ed una più rigorosa
valutazione dei requisiti economici e sanitari;
3) l'attribuzione della totale
inabilità lavorativa non deve derivare da parametri o tabelle precostituite di
tipo sanitario ed economico, ma bensì deve essere
verificata a livello individuale, tenendo conto di tutte le potenzialità
dell'interessato: il recupero professionale e occupazionale e dei correlativi
servizi socio-sanitari, deve comportare il passaggio di molti handicappati
dall'ambito assistenziale a quello produttivo, indipendentemente dall'entità
obiettiva della minorazione;
4) si ritiene che per tutti gli
inabili al lavoro deve stabilirsi una medesima copertura assistenziale (pari
al minimo delle pensioni INPS) e che, per quanto riguarda invece gli inabili
parziali, si proceda ad una graduale soppressione degli assegni
potenziando i servizi di addestramento e di collocamento.
Facendo puntuale riferimento alla
bozza di legge predisposta dal Comitato ristretto, l'assemblea nazionale
dell'ANIEP chiede le seguenti modificazioni e integrazioni:
1) pensione di inabilità totale: non è
possibile accettare la diversificazione accolta all'art. 2, circa le
condizioni economiche di assistibilità, distinguendo
fra ciechi e sordi totali da un lato e handicappati civili totalmente inabili
dall'altro, in contrasto con i principi della Costituzione e con fondamentali
istanze etico-sociali. È quindi necessario che per
tutti gli inabili totali il reddito personale annuo
per la concessione della pensione venga eguagliato al livello più alto (attualmente
3.250.000). Deve inoltre essere sancito il criterio che la pensione è
incompatibile con un qualsiasi stato di occupazione regolarmente retribuito.
In ogni caso devono essere detratti i redditi percepiti dall'avente
diritto, di qualsiasi natura e provenienza, eccedenti il suindicato
limite;
2) assegno di accompagnamento: deve essere
concesso, al solo titolo della minorazione e a qualsiasi età, per tutti i tipi
di invalidità fisica, psichica e sensoriale, con l'unica condizione che il
soggetto non sia autosufficiente e che l'accompagnamento non venga organizzato
dai servizi sociali di base;
3) varie: si richiede infine:
a) l'unificazione delle commissioni
sanitarie allo scopo di omogeneizzare la valutazione delle invalidità (e la
loro complementarietà) con l'ovvia integrazione di
volta in volta dei corrispondenti specialisti, nell'ambito delle unità sociosanitarie
locali;
b) l'esenzione fiscale per tutte le
pensioni di carattere assistenziale, disposte per i
totalmente inabili;
c) l'abolizione di qualsiasi ritenuta
sulle pensioni a beneficio di enti pubblici nazionali
assistenziali o istituzioni di ricovero permanente;
d) il potenziamento dei servizi di accompagnamento sia da parte degli obiettori di coscienza,
sia da parte delle unità socio-sanitarie.
Associazionismo fra
handicappati
L'assemblea nazionale dell'ANIEP, a
conclusione dell'articolato dibattito sui problemi
della riforma e del decentramento dei servizi socio-sanitari, indica i
seguenti temi nella prospettiva della promozione e dell'integrazione di tutti i
cittadini:
1) gli handicappati non
costituiscono un gruppo separato di cittadini a cui
si debba attribuire un ruolo passivo e un destino permanente di marginalità;
2) occorre superare il criterio:
a)
della delega (agli enti pubblici o ai tecnici della riabilitazione) dei momenti
politici e operativi del recupero;
b) della monetizzazione
dei bisogni;
c) e della separazione assistenziale;
3) è necessaria non soltanto una
diversa comprensione della società nei confronti degli handicappati, ma
occorre che gli stessi, in uno sforzo di convergenza reciproca, rinuncino ai
consueti atteggiamenti di richiesta di protezione, di tutela,
di soccorso riparativo e di dipendenza, ma si pongano
come soggetti attivi, soprattutto nel controllo dei processi di socializzazione,
dentro le organizzazioni, le strutture e i servizi, sociali e politici, comuni
a tutti i cittadini;
4) i problemi degli handicappati non
devono essere relegati nell'ambito del pietismo, del generico altruismo, del
tecnicismo medico, pedagogico e della speculazione, ma devono esprimersi nella
partecipazione, intesa come momento dialettico e concorrenziale.
(1) Mozioni conclusive
approvate dall’Assemblea nazionale dell'ANIEP (associazione nazionale tra
invalidi esiti di poliomielite ed altri invalidi civili) il 10-9-1978.
www.fondazionepromozionesociale.it