Prospettive assistenziali, n. 45,
gennaio - marzo 1979
SCUOLA E SERVIZI MEDICO-PSICOLOGICI (*)
Ultimo anello di una lunga catena di
provvedimenti contraddittori fra loro,
Oltre dieci anni
fa usciva il D.P.R. 22-12-1967 n. 1918, ossia il regolamento per l'applicazione
del titolo III del D.P.R. 11-2-1961 n. 264, relativo ai servizi di medicina
scolastica. Come
si vede fra i due D.P.R. intercorrono sei anni, mentre l'emanazione del
regolamento era prescritta entro sei mesi. In questo ritardo sono stati
rilevati contrasti politici molto acuti fra il Ministero della pubblica
istruzione e il Ministero della sanità, e ancora più a fondo il contrasto fra il centralismo governativo e la prima delega sostanziale ai
Comuni, proprio relativa all'assistenza medica e anche all'assistenza socio-psico-pedagogica.
Negli anni intercorsi fra i due D.P.R., il centralismo statale si
è precostituito alcune posizioni importanti con le leggi sui piani quinquennali
della scuola e can diverse circolari ministeriali che prevedevano la
costituzione di équipes medico-psico-pedagogiche
nelle scuole finanziate dal Ministero della pubblica istruzione. Sui gravi
limiti di queste équipes si è già scritto e discusso
a lungo per doverne trattare in questa sede, ma non sempre si è evidenziata la
grave conseguenza di tale iniziativa ministeriale che andava in pratica e deresponsabilizzare la maggior parte dei Comuni, i quali,
anche dopo l'emanazione e regolamento di medicina scolastica, elusero i loro
obblighi di legge.
Il D.P.R
n. 616
Il secondo capitolo di questa
vicenda coincide con il recente passaggio, a lungo ostacolato ma non più
differibile, dei poteri centrali alle Regioni. A tutti
è nota l'approvazione travagliatissima del D.P.R. 24-7-1977 n. 616, emanato in attuazione della legge 22
luglio 1975, n. 382, relativo al decentramento amministrativo.
E allora si mette in atto tutto un
bizantinismo di cavillose distinzioni per limitare al massimo
il decentramento conservando il maggior potere possibile al centro:
tutti i ministeri sano impegnati in questa azione, ma il Ministero della P.I.
si distingue in modo particolare nel ritagliare più spazio ben preciso, in nome
dei principi legati alla funzione «educativa» dello Stato, come se nel
frattempo i decreti delegati non avessero riconosciuto alle comunità e agli
organi locali il diritto-dovere di collaborare nell'azione educativa.
Ed ecco in sintesi l'operazione
anti-decentramento nelle sue fasi cronologiche fondamentali:
1) La circ. min. n.
313 del 28-11-1977 del Ministro della P.I. sulla «assistenza medico-psichica» introduce la distinzione fra «attività
educativa che include il momento psico-pedagogico» di
competenza dello Stato e «attività di supporto assistenziale anche di tipo
medico e riabilitativo» di competenza degli Enti locali. Si deve subito notare
che l'espressione «assistenza medico-psichica» ripresa dall'art. 42 del D.P.R. numero
382, riceve nella circolare ministeriale una interpretazione
sui generis: non si capisce perché
lo «psichico» delegato agli Enti locali sia diverso dallo «psico»
di competenza dello Stato.
2) Segue poi
a) la distinzione tra il servizio di medicina scolastica (di
competenza degli enti locali) e il servizio «socio-psico-pedagogico» spettante
allo Stato «per le sue intime connessioni con la attività
educativa e didattica». Qui la competenza dello Stato si allarga dall'area «psico-pedagogica» della circolare precedente a quella «socio-psico-pedagogica» (per
tornare allo «psico-pedagogico» nella recente
circolare n. 167 del 10-7-1978 di cui diremo subito dopo). Va ricordato che i
due D.P.R. sulla medicina scolastica sopra ricordati attribuivano ai Comuni
globalmente il servizio medico-socio-psico-pedagogico;
b) distinzione analoga si fa tra «assistenza scolastica» ed «assistenza educativa», col che si preludeva anche
ad eliminare dalla scuola il personale insegnante dei Comuni: operazione che è
poi rientrata con
c) distinzione analoga fra «le
attività di educazione
popolare che attengono a scopi di istruzione scolastica e, cioè, di
istruzione elementare o di istruzione secondaria per adulti» riservate allo
Stato e le «altre attività di promozione
culturale» per adulti decentrate agli Enti locali;
d) infine distinzione fra orientamento scolastico, riservato al
Ministero della P.I., e orientamento professionale di
competenza delle Regioni: altra distinzione teoricamente insostenibile e
praticamente inattuabile.
Se questa «summa» (di evidente scuola «bizantina») ha un risultato, è di
gettare nella confusione e nella paralisi anzitutto i destinatari diretti che
sono i distretti scolastici, e poi la scuola in generale.
3) Ed eccoci
al primo risultato preannunciato già nella circolare
precedente, e relativo al servizio psico-pedagogico
(C.M. n. 167 del 10-778): veramente qui la montagna ha partorito il classico
topolino. Tutto qui. Un maestro o un professore, dalla preparazione più o meno specifica, designato da solo, non più in équipe, a compiti
immani, con un contentino alle équipes territoriali
con cui si insiste per una «collaborazione» del resto molto problematica.
La montagna e il
topolino
Che dire, a questo punto?
Viene praticamente abbandonata tutta una
lunga e solida elaborazione culturale (e una prassi relativa) che aveva
insistito:
- sulla funzione
unitaria e collegiale delle équipes pluriprofessionali per poter dare risposte altrettanto
unitarie ai bisogni e ai problemi del bambino, fondati sulla sua unità bio-psichica;
- sulla unitarietà
fra «territorio» e scuola, fra condizionamenti ambientali e rendimento/
comportamento scolastico; sulla necessità di decondizionamenti ambientali;
- sul nesso
strettissimo fra il «pedagogico», lo «psicologico» e il «sociologico».
Tutta una vasta letteratura
scientifica ne fa testimonianza, compresa quella ispirata
dall'E.N.A.O.L.I., dall'E.N.P.M.F.,
dall'O.N.M.I., dall'Ente Montessori,
dal Ministero di grazia e giustizia, dai Centri didattici nazionali, ecc.
La soluzione, culturalmente e
politicamente più valida - a nostro avviso - è quella di risolvere a monte i nodi politici che condizionano questa situazione;
in sintesi, si tratta di fare la pace nella lotta tra centralismo ed Enti
locali, in un riacquistato comune alto senso dell'unico Stato, a cui tutti i
governi centrali e periferici appartengono, e del valore effettivo delle
comunità locali, spesso solo a parole esaltate.
(*) Per gentile
concessione della rivista Scuola italiana
moderna riprendiamo integralmente dal n. 4/1978 l'articolo qui riportato.
www.fondazionepromozionesociale.it