Prospettive assistenziali, n. 45, gennaio - marzo 1979

 

 

VERIFICA E PROSPETTIVE DELLE COMUNITA' ALLOGGIO PER MINORI DELLA AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI MODENA

 

 

Nel 1972, l'Amministrazione provinciale di Mo­dena, nell'ambito di un più vasto impegno volto a superare la pratica istituzionalizzante, decideva di avviare le opportune iniziative per il reinseri­mento dei minori ricoverati e per il superamento degli stessi istituti di ricovero, anche tramite una riconversione degli stessi operatori ad una attività di territorio integrata nell'ambito di ser­vizi per la sicurezza sociale (consultori, scuole, équipes per l'età evolutiva...).

A tal fine l'Amministrazione provinciale assu­meva i seguenti impegni, operando unitamente ai Comuni della provincia:

a) potenziamento dell'assistenza al nucleo d'origine del minore, sia tramite contributi eco­nomici integrativi del reddito, sia tramite prio­rità d'accesso a servizi gratuiti, sia tramite il sostegno delle équipes decentrate per l'età evolutiva;

b) istituzione del servizio di affidamento familiare a scopo educativo, ad integrazione di quello già svolto per le adozioni. Ciò rendeva possibile il superamento dell'I.P.A.I. nel 1975 e della «Casa del sole» O.N.M.I. di Pievepelago, nonché della stessa sezione notturna operante dal 1975 sino al 1976, presso un nido comunale, con 6 posti letto, per rispondere ad eventuali improvvisi stati d'abbandono. In quegli anni com­plessivamente cessavano d'operare nel nostro territorio provinciale ben 12 istituti pubblici e privati, mentre altri riducevano e ristrutturavano l'attività.

Nell'autunno del 1972 l'Assessorato provincia­le aveva, inoltre, elaborato la proposta di costi­tuzione di una prima comunità alloggio per mi­nori (tale proposta è contenuta in «Il possibile esperimento», ricerca sugli interventi alterna­tivi alla istituzionalizzazione di minori, a cura di Carugati, Emiliani e Palmonari, ediz. A.A.I.).

L'Educatorio provinciale «S. Paolo» (IPAB con Consiglio d'amministrazione nominato per statuto dal Consiglio provinciale) accoglieva la proposta dell'Assessorato per la costituzione di comunità-alloggio, in sostituzione della attività di ricovero praticata. A seguito di un proficuo la­voro di deistituzionalizzazione, che ha realizzato il reinserimento familiare di 70 minori del terri­torio provinciale, al giugno 1973, attraverso l'o­perare congiunto di operatori dell'Assessorato provinciale, educatori dell'istituto ed équipes di territorio, iniziava la prima esperienza di comu­nità a Modena Est, nel gennaio del 1974, con 5 operatori e 5 minori in età compresa tra i 6 e i 10 anni.

Nel maggio e nel novembre dello stesso anno seguivano l'avvio delle esperienze, rispettiva­mente della comunità S. Lazzaro, con 6 operatori e 7 minori in età compresa tra gli 8 e i 12 anni, e della comunità Don Minzoni, con 4 operatori e 5 ragazze tra i 16 e i 18 anni di età.

Tali minori avevano alle spalle un complesso iter di istituzionalizzazione, spesso presso isti­tuti «medico-psicopedagogici».

Nella previsione del trasferimento, a decorrere dal 1° gennaio 1979, dell'I.P.A.B. «S. Paolo» alla Regione, in attuazione del D.P.R. n. 616, gli ope­ratori hanno avuto una serie di incontri di veri­fica presso l'Assessorato provinciale, da cui è scaturito il seguente documento.

 

 

RELAZIONE CONCLUSIVA DELLE GIORNATE DI VERIFICA SULLA ATTIVITÀ SVOLTA DALLE TRE COMUNITÀ «S. PAOLO»

 

Il documento che presentiamo è la sintesi dei contenuti emersi dalla discussione e dal con­fronto tra le esperienze degli operatori delle tre Comunità alloggio del «San Paolo», che hanno avvertito l'esigenza di un momento di verifica delle stesse, dal quale fare scaturire nuove pro­poste e prospettive d'intervento. Determinante nel fare avvertire questa esigenza è la legge 382 e relativo D.P.R. 616, con le scadenze indicate per lo scioglimento degli «enti inutili» e il pas­saggio delle competenze ai Comuni, scadenze che ribadiscono il bisogno di una riorganizza­zione dell'assistenza pubblica in ambiti territo­rialmente definiti.

È nostro intento coinvolgere in tale lavoro di verifica e di riorganizzazione relativa ai nostri servizi sia gli organismi politici sia gli altri ser­vizi sociali presenti nel territorio in cui operia­mo, per, in tal modo, dare un contributo al pro­cesso di superamento della settorialità degli in­terventi, nella prospettiva di una organizzazione e gestione unitaria dei vari momenti in cui si articola il servizio di assistenza all'età evolutiva, come da legge regionale n. 22 del 10-6-1976.

In previsione di una realizzazione dell'unità socio-sanitaria dei servizi, la Comunità alloggio già si configura all'interno del momento speci­fico più ampio, che la legge regionale indica con la denominazione di «servizi integrativi e sosti­tutivi della famiglia».

 

Verifica del servizio

Il primo momento di discussione si è rivolto alla verifica del servizio in relazione alle pre­messe, in base alle quali le Comunità sono sorte:

a) deistituzionalizzazione e reinserimento sociale dei minori provenienti dal «S. Paolo»;

b) deistituzionalizzazione e reinserimento sociale di minori, eventualmente, in seguito, pro­venienti da altri istituti;

c) risposte ad eventuali casi di bisogno pro­venienti dal territorio.

Elemento comune di questi tre momenti è il carattere riparatorio affidato agli interventi delle Comunità.

La Comunità si è quindi posta fin dall'inizio come servizio che intende offrire un intervento educativo personalizzato, volto alla ricerca di sbocchi reali e definitivi, costituendo così una fase temporanea, ma positiva, nel processo edu­cativo.

A) Per portare a compimento il processo di deistituzionalizzazione del «S. Paolo» sono sor­te, in tempi diversi, tre Comunità: due, che ospi­tavano minori in età scolastica elementare ed una, per adolescenti.

Per i 12 minori in età scolare, ospiti delle due Comunità di Modena Est e di S. Lazzaro, si è individuata come soluzione definitiva l'inseri­mento in ambito familiare che, per tre di essi, ha significato l'adozione, per altri sei il reinseri­mento nella famiglia d'origine e per uno l'affida­mento familiare, mentre due minori sono tuttora rispettivamente: una presso Modena Est, l'altra presso Don Minzoni.

I tempi dell'intervento sono stati più o meno lunghi, in quanto determinati da diversi fattori:

1) difficoltà legate al vissuto dei minori;

2) difficoltà nella conduzione di rapporti col nucleo familiare originario, tale da favorire il reinserimento nei casi in cui si valutò oppor­tuno;

3) difficoltà a interrompere i rapporti fami­liari, anche sul piano giuridico, nella misura in cui si ritenevano pregiudizievoli al minore stesso.

Va inoltre sottolineata la carenza di integra­zione fra i servizi di Comunità da un lato e di territorio dall'altro, carenza che ha spesso com­portato la tendenza alla delega, da parte dei ser­vizi del territorio, delle problematiche relative ai minori ospitati, quando invece, per raggiungere l'obiettivo di un pieno inserimento del minore, il piano e la realizzazione dell'intervento sempre richiedono una piena compartecipazione sia de­gli operatori di Comunità sia degli operatori cui compete territorialmente il caso.

Per quanto riguarda le quattro adolescenti, ini­zialmente ospiti della Comunità Don Minzoni, l'obiettivo non poteva che essere il raggiungi­mento di una progressiva autonomia dei sogget­ti; poiché dall'analisi dei casi e, per le caratteri­stiche adolescenziali, risultavano impossibili sia l'inserimento nella famiglia d'origine, sia l'affi­damento familiare a scopo educativo.

Per tre di esse possiamo affermare che l'obiet­tivo è stato raggiunto, in quanto le ragazze vivo­no in modo autonomo e positivo. Per la quarta, dopo un periodo di vita all'esterno, si è reso necessario il ritorno in Comunità.

Anche in questo caso si è, comunque, avuto un graduale processo di crescita.

B) La Comunità si è proposta come servizio alternativo capace di recepire i casi provenienti da altri istituti, non in grado di favorire il pro­cesso di crescita del soggetto e di creare le con­dizioni per il suo inserimento nel tessuto so­ciale.

Per tre bambini ospiti della Comunità di Mo­dena Est (uno di tre anni, proveniente da «Mam­ma Nina» di Carpi, l'altro proveniente dal «Cha­ritas», il terzo proveniente dalla sezione not­turna ex I.P.I.) è stato raggiunto l'obiettivo del reinserimento tramite l'adozione, sia pure in tempi diversi, dovuti ai problemi e alle difficoltà dei soggetti.

Per un altro bambino, deistituzionalizzato dal «Charitas», con inserimento nella Comunità di S. Lazzaro, e che presentava un quadro clinico particolarmente grave (psicosi), nonché prove­nienza extra-regionale, si è rimesso l'intervento all'ente e al territorio di competenza.

Per quanto riguarda le ragazze ospitate dalla Comunità di Don Minzoni, con provenienza da altri istituti, abbiamo rilevato la tendenza da parte degli stessi a delegare alla Comunità i casi che mettevano in crisi l'istituzione.

Ciò vale per tre casi provenienti dal S. Vin­cenzo e dal S. Filippo Neri, di cui, comunque, per due si è raggiunto l'obiettivo dell'autonomia.

Tale considerazione non vale, invece, per altre due ragazze provenienti dal «Charitas», al fine di una loro reintegrazione fra i normodotati, per le quali è stato raggiunto l'obiettivo, sin dall'ini­zio prefigurato, nella stessa richiesta di ammis­sione. 

Si evidenzia come l'obiettivo riparatorio è pro­ponibile, a condizione che non s'intenda la Comu­nità come «sacca di risulta» dei casi di difficile gestione da parte di istituti, ma come momento davvero qualitativamente in grado di promuovere una evoluzione dei soggetti.

C) Premettiamo che l'esperienza fatta, in quan­to servizio di Comunità gestita da una IPAB, non ci ha permesso una conoscenza globale e appro­fondita dei bisogni del territorio. Inoltre la man­cata collocazione a tutti gli effetti tra i servizi sociali territoriali, ha determinato una visione parziale dei casi, che pervenivano alla Comunità già filtrati e non la coinvolgevano nel momento di analisi del bisogno.

Si richiede che la riorganizzazione dei servizi assistenziali ponga la Comunità come elemento integrante e integrato nell'ambito di una strate­gia di interventi a- favore dell'età evolutiva, con particolare riferimento a quelli integrativi e so­stitutivi della famiglia.

Finora le Comunità hanno dato risposta posi­tiva a 14 casi provenienti del territorio:

1) situazioni di abbandono di bambini, tra­mite adozione (n. 8);

2) situazioni di parziale abbandono, tramite affidamento (n. 1);

3) situazioni di minori con nucleo familiare gravemente carente, tramite interventi di reinte­grazione familiare (n. 4);

4) situazioni di abbandono, tramite interven­ti per l'autonomia, in relazione al raggiungimen­to della maggiore età (n. 1).

Per le situazioni relative ai punti 1 e 4 (stati di. abbandono) la provenienza da ambito extra consortile non ha costituito elemento contropro­ducente rispetto all'obiettivo, non essendo nep­pure opportuno il mantenimento di rapporti con l'ambito di provenienza.

Relativamente ai punti 2 e 3, si è evidenziato invece come l'intervento della Comunità sia as­sai più proficuo qualora si rivolga a casi con provenienza territoriale comunale o consortile.

Questo soprattutto per quanto riguarda il pun­to 3, dovendo agire sul nucleo familiare e in stretta collaborazione con l'équipe competente territorialmente, oltre che con altri servizi (scuo­la, ecc.).

Ancora in relazione alle richieste provenienti dal territorio, occorre qualche ulteriore puntua­lizzazione relativamente alle seguenti situazioni:

a) richieste di ammissione di adulti:

b) richieste di ammissione di lattanti e neo­nati;

c) richieste di ammissione di minori con handicap o problematiche di devianza;

d) richieste di «pronto intervento».

a) Senza sottovalutare i bisogni di tale fa­scia di età, preme ribadire l'esigenza di qualifi­care il servizio, non solo a favore dell'età evolu­tiva, anzi privilegiando l'intervento precoce, che, in base all'esperienza fatta, è premessa indi­spensabile per una soluzione positiva dei casi.

b) Si è evidenziato nel corso dell'esperienza avuta nelle Comunità che l'età dei bambini che presentavano situazioni di bisogno tendeva ad abbassarsi. Questo. fattore viene valutato posi­tivamente e si ritiene che il servizio debba rior­ganizzarsi prioritariamente in funzione di questo bisogno, che richiede un intervento precoce.

Nella Comunità di Modena Est ci si è occupati di due casi di bambini di pochi mesi. Ciò ha richiesto uno sforzo organizzativo non indiffe­rente. Ha posto problemi di qualificazione speci­fica del personale e una nuova riorganizzazione del servizio, alla luce delle esigenze che il bimbo piccolo pone. (Per esempio, il fatto che sia spes­so ammalato, non sempre sia inseribile al nido e quindi della necessità di una presenza conti­nuativa in tutto l'arco della giornata).

L'inserimento di un bimbo piccolissimo ha messo in evidenza come sia particolarmente controproducente una eccessiva rotazione di per­sonale e di eventuali supplenti. Si ritiene oppor­tuno ribadire l'orientamento che, in tutti i casi in cui sia possibile, la situazione di bisogno, relativamente al bimbo piccolo, trovi una positi­va soluzione nell'inserimento immediato in un ambito familiare, o tramite adeguati sostegni alla famiglia d'origine, o tramite affidi eterofa­miliari, senza passaggio nelle Comunità.

Proprio in base alle considerazioni che ci in­ducono a privilegiare la famiglia rispetto alla Comunità, riteniamo dovere escludere risposte in termini di ospedalizzazione e di sezione not­turna presso asili nido in quanto la loro organiz­zazione non potrebbe che presentare aggravate le caratteristiche individuate come limite nelle Comunità.

c) Richieste di ammissione dal territorio, si riferiscono anche a minori con handicap. A que­sto proposito va ribadito un orientamento che non esclude a priori l'inserimento del bambino con handicap, ma va altresì sottolineata la neces­sità sia di una attenta valutazione delle possi­bilità di sbocco dell'handicappato sia delle diffi­coltà e dei problemi già esistenti all'interno del gruppo, per non dar luogo ad aggregazioni «spe­ciali», nell'intento di attuare un intervento che sia davvero integrante e non emarginante.

Analoghe considerazioni possono farsi per la «devianza». Bisogna anche in questo caso valu­tare i rischi, per non creare situazioni prive di sbocchi che finiscono col paralizzare la stessa attività del servizio.

d) Esperienze di «pronto intervento» pres­so le Comunità di Modena Est e Don Minzoni sono state valutate controproducenti perché han­no consentito una risposta superficiale e non approfondita ai bisogni del minore e al suo nu­cleo familiare. I loro problemi hanno forse con­tinuato ad essere trattati al di fuori di una valu­tazione comprendente il contributo degli opera­tori delle Comunità. Presso queste i minori sono stati «parcheggiati» per un breve periodo di tempo, che ha comportato disorientamento nel gruppo già aggregato e sofferenza per il nuovo arrivato, senza dar luogo a nessun positivo pro­cesso di reciproco adattamento. Per tale tipo di bisogno, in base alle precedenti considerazioni, riteniamo sia importante cercare risposte sul territorio che escludano sradicamenti sia pure per breve tempo.

 

Conduzione del servizio

1) In rapporto ai ragazzi ospiti, oltre alle pre­cedenti considerazioni, le recenti giornate di ve­rifica hanno fatto sì che unanimemente confer­massimo il carattere eterogeneo delle Comunità. L'omogeneità di fondo ci pare debba essere data dal tipo di bisogno, per quanto invece riguarda l'età, basta una suddivisione per grosse fasce. Riteniamo che una stretta settorializzazione per età ci restituisca alla passata esperienza degli istituti, mentre l'esperienza comunitaria ci ha fatto valutare gli aspetti positivi di una socializ­zazione più vicina al modello familiare, in cui adulti e ragazzi di diverse età si forniscono reci­procamente stimoli positivi di crescita.

D'altra parte ci sono servizi scolastici e pre­scolastici per bisogni specifici che richiedono più strette aggregazioni anche in base al criterio dell'età.

2) In merito al rapporto con gli altri servizi, fin dal loro sorgere le Comunità si sono proposte, assieme all'obiettivo d'inserimento dei ragazzi, un obiettivo d'integrazione col territorio e con tutti i momenti di servizio (équipe, scuole, luo­ghi di lavoro, ecc.) e di partecipazione (quar­tiere, ecc.) che il territorio è in grado di espri­mere. A questo proposito va detto che molto è ancora da fare, in quanto abbiamo verificato co­me forti siano le spinte alla delega e quindi alla emarginazione sulle situazioni complesse e sui problemi di cui sono portatori i nostri ragazzi.

Non volendo riprodurre la logica dell'istituto, in quanto logica di separazione dalla più ampia collettività, riteniamo importante divenga con­sapevolezza di tutti (enti, servizi e cittadinanza) che l'emarginazione si combatte assumendo le problematiche educativo assistenziali a livello di impegno comune, senza deleghe, a specifici ser­vizi o ad operatori.

Vogliamo perciò sottolineare come la sollecita possibilità di fruire di servizi pubblici gratuiti (asili nido, scuole materne, consultori, ecc.) sot­trae le comunità a una dimensione di lavoro pri­vatistica e garantisce al minore l'inserimento nel tessuto sociale.

Questo nodo è rilevante anche per quanto ri­guarda i costi dell'intervento, che aumenta pro­prio anche in considerazione delle difficoltà che le comunità hanno incontrato nel cercare di evi­tare una risposta in proprio ai vari bisogni di volta in volta emersi (sanitari, ecc.).

Pesa ancora sui costi la mancanza di un ade­guato collegamento per un utilizzo più corretto da parte dei Comuni del Consorzio di Modena del servizio offerto dalla Comunità.

Bisogna evitare l'attuale sperequazione tra i posti vuoti in comunità e le rette pagate presso istituti a volte addirittura fuori provincia.

3) A quattro anni dall'inizio dell'esperienza c'è l'esigenza di rivedere anche il problema del per­sonale, in considerazione di alcuni importanti fattori:

a) limiti della qualificazione del personale utilizzato, insiti nella sua stessa provenienza (istituti e relativi ruoli);

b) il logorio che ha comportato l'assunzione delle responsabilità relative al tipo di espe­rienza;

c) la necessità di una mobilità del personale che tenga conto dell'esistenza del «collettivo» là dove questo si è costituito e opera in quanto tale; che contribuisca al suo formarsi, là dove non c'è finora stata sufficiente continuità edu­cativa;

d) esigenza di consolidare una identità pro­fessionale in direzione educativa, tramite l'indi­viduazione di personale già qualificato in tal sen­so e tramite garanzie di aggiornamento perio­dico;

e) esigenza di rivedere l'organizzazione di una parte del lavoro domestico, in modo da libe­rare più energie in direzione educativa e per il lavoro di territorio.

 

Conclusioni

Ci pare dover richiamare la validità e l'attua­lità di quanto già proposto nella sintesi di un documento del marzo 1977, comune agli opera­tori di tutte le Comunità:

- progressiva trasformazione delle Comunità alloggio in Comunità territorialmente definite, per essere in grado di limitare l'emarginazione dei ragazzi temporaneamente ospitati;

- evoluzione degli interventi forniti dagli ope­ratori della Comunità, al fine di rendere preva­lenti gli interventi preventivi (rispetto al rico­vero) su quelli collocativi.

I tempi ci paiono maturi, anche in considerazione del D.P.R. 616 e delle prossime riforme dei settori socio-sanitario e assistenziale, per prefi­gurare, in ambito consortile e nel contesto degli interventi previsti dalla legge regionale n. 22 per la tutela della maternità e infanzia, un mo­mento unitario per gli interventi integrativi e sostitutivi della famiglia.

Tale servizio consortile dovrebbe collegare tut­te le forze, attualmente disperse in interventi separati per singole IPAB o Ente di categoria, consentendo una riorganizzazione che salvaguar­di sia l'esigenza di unitarietà sia l'esigenza di articolare risposte specifiche in base a specifici bisogni e ambiti territoriali. Nel quadro degli in­terventi da collegarsi in tale servizio unitario, a nostro avviso vanno sin d'ora previsti:

a) interventi sul minore, sulla famiglia di origine, sulle istituzioni cointeressate al proces­so di crescita, per il pieno inserimento nel tes­suto sociale, comprensivi di quelli che richie­dono collaborazione con la struttura giudiziaria che tutela i minori;

b) interventi di attuazione e sostegno di affi­damenti eterofamiliari, di segnalazione dello sta­to d'abbandono di minore, di sostegno a nuclei adottivi;

c) interventi che richiedono un momento residenziale in tempi più o meno lunghi, per la individuazione e la realizzazione di sbocchi fami­liari, o autonomi per soggetti prossimi alla mag­giore età.

Fiduciosi che la definizione di quanto indivi­duato e proposto trovi da parte degli enti inte­ressati i necessari momenti di ulteriore discus­sione e approfondimento, rimettiamo il presente documento affinché possa costituire una base di ulteriore lavoro.

 

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