Prospettive assistenziali, n. 46, aprile
- giugno 1979
Editoriale
LE REGIONI
RINUNCIANO A TRASFERIRE LE IPAB AI COMUNI
Da
tempo insistiamo sul trasferimento delle novemilaquattrocento IPAB ai Comuni e
non per facile demagogia, ma perché i loro patrimoni ammontano a diverse
centinaia di miliardi e consentirebbero pertanto agli Enti locali di istituire
i numerosissimi servizi alternativi necessari per ovviare alle gravi carenze e ai disequilibri esistenti nel settore
assistenziale, e per rispondere in modo adeguato alle necessità.
Si
tratta di beni mobiliari, azioni e obbligazioni, e di immobiliari,
terreni e fabbricati, che non sono quasi mai utilizzati dalle IPAB a favore
delle persone e per i loro bisogni, ma quasi sempre solo a fini speculativi o
clientelari. Nel caso di beni immobili, per esempio, non si hanno notizie di alloggi assegnati dalle IPAB a persone assistite, anche
là dove tale assegnazione avrebbe risolto i loro problemi. Mentre per il
personale, non si è mai potuto utilizzare per servizi
alternativi quello di cui dispongono le IPAB in numero sovrabbondante.
Le
IPAB, salvo alcune rarissime eccezioni, svolgono ancora oggi la loro
tradizionale funzione di organismi deputati alla
segregazione dei più deboli: ricovero in istituti, soprattutto a carattere di
internato, di anziani, di handicappati e di minori in situazione d'abbandono o
le cui famiglie hanno difficoltà economiche o di altro genere. La conservazione
delle IPAB significa pertanto conservazione del ruolo
emarginante dell'assistenza.
IPAB e DPR 616
Commentando
il DPR 616 scrivevamo due anni fa: «le possibilità di un
trasferimento globale dell'assistenza alle Regioni sono ormai compromesse:
resta aperto il problema dell'ampiezza di tale compromissione» (1).
Successivamente (2) abbiamo riferito sui tentativi che la D.C. e le altre forze
conservatrici avevano messo in atto per evitare il trasferimento ai Comuni del
maggior numero possibile di IPAB e di Enti.
Vediamo
ora che cosa è successo negli ultimi mesi e ritorniamo al DPR
616.
Si
era stabilito che, nel caso in cui entro il 1° gennaio 1979 non fosse stata
approvata la riforma dell'assistenza era
automaticamente attribuito alle Regioni il compito di disciplinare «i modi e le forme d'attribuzione
in proprietà o in uso ai Comuni singoli o associati, o a Comunità montane dei
beni (...) delle IPAB» (art. 25 del DPR
616).
Quando
alla fine dell'anno scorso era apparsa evidente l'impossibilità del varo della
riforma dell'assistenza, il Governo emanava il decreto legge n. 847 del 23
dicembre 1978 con il quale veniva rinviata al 31 marzo
1979 la scadenza del 1° gennaio 1979 prevista dall'art. 25 del DPR 616.
In
seguito, non avendo il Parlamento approvato fa conversione in legge del decreto
legge, alle Regioni veniva riattribuito
il dovere, sancito dal DPR 616, di provvedere al trasferimento delle IPAB agli
enti locali. Escluse dal trasferimento erano solamente le IPAB, conservate tali
dai 14 decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in quanto rientranti
fra quelle che «svolgono
in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa» (3).
È
a questo punto (siamo alla fine del febbraio 1979) che Andreotti
convoca i partiti della maggioranza (DC, PCI, PRI,
PSDI e PSI), ed i Presidenti delle Regioni e, fatto incredibile e gravissimo,
chiede ed ottiene che le Regioni rinuncino a dare applicazione alla legge dello
Stato (il DPR 616) che affida ad esse il compito di trasferire le IPAB agli
Enti locali.
I
partiti della maggioranza ed i Presidenti delle Regioni si impegnano
pertanto con il Presidente del Consiglio dei Ministri di non legiferare in
merito alle IPAB fino a quando il Parlamento non converta in legge un nuovo
decreto legge che il Governo si impegna ad approvare entro i primi di marzo.
In effetti il decreto legge
veniva approvato il 29 marzo 1979 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
dell'11 aprile 1979.
Nonostante
la lampante scorrettezza costituzionale, l'evidente inosservanza delle leggi
vigenti e il trasferimento senza indennizzo di patrimoni pubblici a enti privati, il Presidente della Repubblica firma il decreto
legge che pubblichiamo integralmente in questo numero.
Il
decreto legge n. 113 segna un notevole arretramento rispetto
al DPR 616 in quanto prevede:
-
la privatizzazione di IPAB e la consegna gratuita a
privati di patrimoni pubblici;
-
la conservazione di tutte le IPAB «che svolgono prevalentemente attività di
istruzione, ivi compresa quella prescolare» (circa la metà di tutte le IPAB esistenti);
- il rinvio al 31 dicembre 1979 del trasferimento ai
Comuni delle altre IPAB.
Che
cosa succederà in Parlamento quando si tratterà di
convertire in legge il decreto n. 113?
Le opere benemerite
Ricordiamo
che Papa Wojtila ricevendo i partecipanti
del convegno dell'Unione Giuristi Cattolici italiani sulla «Libertà
dell'assistenza» (Roma 24-26 novembre 1978), ha
affermato che
«l'Episcopato italiano ha espresso le sue preoccupazioni che opere benemerite,
le quali, per secoli, sotto l'impulso della carità cristiana si sono prese cura degli orfani, dei ciechi, dei sordomuti, degli
anziani, di ogni genere di bisognosi, grazie alla generosità dei donatori e al
sacrificio personale, talvolta eroico, di religiose e di religiosi, e che in
ragione di disposizioni legislative avevano dovuto assumere, loro malgrado, la
figura giuridica di Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza - con
una certa garanzia, peraltro, per i loro fini istituzionali - siano soppresse
o comunque non sufficientemente ed efficacemente garantite». Per poi aggiungere: «Il Papa non può
rimanere estraneo a queste preoccupazioni, che toccano la possibilità stessa
per la Chiesa di svolgere la sua missione di carità, e che toccano altresì la
libertà dei cattolici e di tutti i cittadini, singoli o associati, di dar vita a opere conformi alle loro idealità, nel rispetto
delle giuste leggi e a servizio del prossimo indigente».
È
molto inquietante questo negare, nel segno esclusivo della fede, allo Stato di
trasferire ai Comuni o controllare enti pubblici. Queste «opere
benemerite» spesso hanno speculato sulla pelle degli assistiti e hanno
fornito servizi certamente non da imitare come risulta da fonte non sospetta
(v. Caritas italiana, Chiesa
ed emarginazione in Italia, Edizioni Dehoniane,
Bologna, 1979).
Ma
soprattutto è inquietante che si voglia che tutto rimanga come prima e che la domanda
sociale di erogazione di servizi torni a risolversi
in una risposta di beneficenza privata.
(1) V. l'editoriale
del n. 39 di Prospettive assistenziali
«Legge 382: gli interessi degli enti prevalgono sui diritti degli assistiti».
(2) V. l'editoriale
del n. 44 di Prospettive assistenziali
«Esigenze degli assistiti e tentativi per il salvataggio
degli Enti e delle IPAB».
(3) Si tratta di
millesettecentododici IPAB.
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