Prospettive assistenziali, n. 46, aprile
- giugno 1979
Notiziario del Centro
italiano per l'adozione internazionale
CONVEGNO «IL BAMBINO SOLO, LA SUA REALTA',
IL SUO VISSUTO, I SUOI DIRITTI»
Il convegno «Il bambino solo, la sua
realtà, il suo vissuto, i suoi diritti», organizzato a Milano dal Ciai a fine marzo, col patrocinio della Regione Lombardia,
ha offerto un ulteriore contributo al dibattito in
corso sul ruolo e sul significato della sicurezza sociale, in particolare
rivolta all'infanzia.
Hanno seguito i lavori più di 600
persone: magistrati, giudici tutelari, assistenti sociali venuti da ogni
regione d'Italia e partecipi con molti interventi e molte relazioni. Numerosi anche i rappresentanti di movimenti di base, gli
insegnanti, gli studenti, e in genere le persone coinvolte nei problemi
dell'infanzia. Evidentemente, è stata colta l'intenzione del convegno
stesso: la necessità di lavorare in parallelo su due piani, uno più
strettamente tecnico e uno culturale, se si vuol costruire qualcosa di nuovo.
Alcuni relatori (Giorgio Battistacci e Carlo Trevisan)
hanno analizzato gli strumenti legislativi di cui disponiamo ma che spesso
restano non operanti per mancata volontà politica e
hanno sottolineato l'urgenza di impegnarsi perché altri vengano perfezionati.
In particolare è stato notato da Giorgio Pallavicini
quanto siano involutive, rispetto all'esperienza
acquisita e rispetto alla stessa legge 431 sull'adozione speciale, le nuove
proposte legislative sull'adozione e sull'affidamento.
Altri ancora, come Chiara Saraceno e
Carlo Brutti, nelle relazioni introduttive si sono
soffermati sulle difficoltà che, nella nostra cultura e nella nostra società,
rendono problematica la vita della famiglia ma anche
quella dei bambini che ne sono privi. E hanno indicato
in un mutamento radicale della cultura familiare la premessa per avviare a
soluzione molti problemi.
L'alternarsi di un discorso tecnico a uno di costume-cultura, e il susseguirsi da parte del
pubblico di interventi ora «professionali» ora rispecchianti un vissuto, ha
dato la misura di un fatto importante: se da un lato c'è bisogno di strumenti
legislativi e amministrativi capaci di risolvere tante difficoltà della
famiglia e dei bambini soli, dall'altro è indispensabile individuare e
stimolare certi cambiamenti di mentalità - di cultura - che si respirano
nell'aria nonostante il riflusso sul privato di cui tanto si parla. E questo proprio perché gli strumenti legislativi e amministrativi
che abbiamo in mano, o di cui sentiamo la necessità, presuppongono che vi
siano uomini e donne nuovi ad usarli.
Sia nelle relazioni, sia nel
dibattito, hanno preso evidenza da diversa angolazione
due realtà che fino a pochissimi anni addietro erano colte solo dagli addetti
ai lavori o dagli specialisti.
La famiglia può ancora avere un
significato se, superando gli schemi tradizionali, si pone come gruppo aperto
alla critica e all'acquisizione di valori nuovi e
quindi disponibile ad accettare dentro di sé forme di convivenza alternative e
ad inter-agire con l'esterno in uno scambio costruttivo.
I servizi sociali possono assolvere
i loro compiti se gestiti con il coinvolgimento e la partecipazione di tutta
la comunità: gli interventi elargiti paternalisticamente
senza responsabilizzare chi li gestisce e chi ne
usufruisce, non hanno più ragion d'essere, una volta superato un concetto
paternalistico e caritativo dell'assistenza per dare invece risposte ai
diritti fondamentali dell'uomo e, nel nostro caso, dei bambini. Diritti che
peraltro, come insegna l'esperienza, restano lettera
morta se la base non ne prende coscienza e non lotta per vederli realizzati.
La grossa partecipazione del
pubblico - anche di un pubblico molto giovane - fa
pensare che il momento dell'improvvisazione e dello spontaneismo, nel campo
dell'assistenza, sia superato: fra i lavoratori di questo settore si comincia a
sentire la necessità di una formazione professionale seria e aggiornata.
Gli operatori sociali hanno bisogno
di un bagaglio teorico, ma anche di certezze tecniche e pratiche, dovendosi
muovere in un terreno nuovo; loro interlocutori sono - o almeno dovrebbero
essere - non più una miriade di enti lontani o
assenti, ma le amministrazioni comunali che hanno il compito di trovare, nel
territorio, soluzioni concrete alle necessità reali dei cittadini. I quali
ultimi devono diventare sempre più consapevoli dei loro diritti, perché certi
movimenti di base hanno lasciato una traccia, proponendo modelli culturali e uno stile di lavoro diversi.
Del resto, anche i privati cittadini
che in qualche modo si pongono come «operatori sociali» perché hanno adottato
o ricevuto in affidamento dei bambini, si rendono conto che la loro azione
«personale» non solo è più difficile, ma rimane isolata e priva di senso se non
può iscriversi in un tessuto socialmente organizzato, attento ai problemi sia dei
minori, sia degli adulti. È emblematica, in questo senso, l'esperienza di chi,
volendo adottare bambini stranieri, si trova esposto
a incertezze e incoerenze sul piano legislativo e amministrativo, perché manca
una regolamentazione adeguata, a livello nazionale e internazionale, come è
stato sottolineato da Giuseppe Franchi e Gilberto Barbarito.
Tutte queste considerazioni hanno
portato alla mozione finale che è stata approvata all'unanimità
dai partecipanti al convegno e che è stata inviata alla Commissione Giustizia
del Senato e ai presentatori delle proposte di legge in materia di adozione e
di affidamento familiare. In questa mozione i partecipanti al convegno chiedono
che il Parlamento proceda all'esame delle proposte di modifica delle norme di
legge sull'adozione speciale e l'affidamento familiare tenendo conto
dei principi acquisiti con la legge 431
del giugno 1967, e dell'esperienza complessivamente positiva della sua
applicazione, disciplinando quindi più compiutamente l'intera materia in modo
che la nuova legge segni un ulteriore progresso a tutela della condizione e
dell'interesse dei minori.
Chiedono inoltre che la nuova legge
preveda una regolamentazione dell'adozione internazionale che consenta una uniforme applicazione degli stessi principi
fondamentali a tutela del minore, con le stesse garanzie, da conseguirsi anche
mediante la collaborazione diretta fra le autorità cui spetta la tutela dei
minori dei diversi paesi; che consenta quindi una reale e concreta valutazione
dell'interesse del minore e non un semplice controllo di formalità quale quello
che avviene attualmente nei procedimenti presso le Corti d'appello.
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