Prospettive assistenziali, n. 46, aprile
- giugno 1979
SENTENZA DEL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DEL PIEMONTE CONTRO UNA BOCCIATURA
L'insegnante
non deve trasformarsi in poliziotto: la scuola non deve emarginare, ma trasmettere
messaggi seri ed autentici, con risposte adeguate ai moltissimi problemi di oggi.
Annullata dal Tar la
bocciatura del ragazzo definito BR, della prima media.
COMMENTO DEL GIUDICE GIANGIULIO
AMBROSINI (da
La Gazzetta del Popolo del 4 ottobre 1978)
Sono in molti, sicuramente, i
lettori che ricordano la vicenda di Mario, alunno alla prima media Valfrè di Torino, prima espulso dalla classe, poi bocciato
dagli insegnanti (o meglio dalla maggioranza di essi)
per avere affermato durante una lezione che «le br
avevano fatto bene ad ammazzare Aldo Moro». Il bambino, dodicenne, era stato folkloristicamente definito «ragazzino br»,
e su tale etichetta selvaggia era, tutto sommato,
fondata la sua bocciatura.
Di questi fatti si era parlato, il 9
giugno scorso, sulle colonne di questo giornale. Si era mossa
l'opinione pubblica, il caso era diventato nazionale. Si era scoperto
che il bambino Mario era in realtà un emarginato, senza (o quasi) famiglia,
assistito dalla Provincia, pieno di problemi di difficile risposta. Chi aveva
mancato nei suoi confronti? Certamente la società - ma ciò non basta come
risposta. È una risposta troppo generale che non dà ragione di nulla.
Quindi ricorso al Tar,
l'organo di giustizia amministrativa regionale. Investito della questione il Tar ha deciso il 25 luglio e in questi
giorni pubblica la motivazione del deciso. La bocciatura è annullata, la
scuola deve riproporsi il problema di Mario, ossia
deve trasformare la bocciatura in promozione, per consentire a Mario di vivere
al pari dei suoi compagni di classe l'esperienza culturale, umana, di vita,
che la scuola non può non proporre.
Il Tar non
è nuovo a queste decisioni. Due anni fa annullò la bocciatura di Claudio,
ragazzino handicappato non ammesso alla seconda elementare per
l'incomprensione di una maestra (1). Altre volte ha riammesso agli esami di
maturità ragazzi ormai adulti respinti sol perché considerati dai docenti
irregolari, di condotta difficile, insofferenti. Ciò non di
meno intelligenti, preparati, capaci; poi promossi agli esami di Stato.
Questa decisione, quella relativa a Mario, sembra di particolare impegno, per le
critiche puntuali a una scuola che dichiara senza mezzi termini
«indesiderabile» un bambino. È il Tar, non la scuola,
a porsi la «preoccupazione di cercare di capire quale tipo di
rapporto educativo si sia instaurato» con il ragazzino. È il Tar a dare atto che «la scuola non si è data adeguatamente
carico della singolarità del caso e quindi ha proceduto ad una valutazione
dei risultati e della condotta svincolata dalle cause
più profonde di essi». Ed ancora nella motivazione si legge che quando il
ragazzo, «vittima della violenza dei genitori, della sua vita sfortunata e dell'autoritarismo
della scuola, sentenzia che le br hanno fatto bene ad
assassinare Aldo Moro, da ciò non nasce alcuna discussione, alcuna
analisi, alcun desiderio di ricerca e di approfondimento».
È il consiglio di
classe, secondo il Tar, a doversi dare «carico della propria
condotta, onde stabilire se ed in quale misura esso non abbia a sua volta
condizionato negativamente quella dell'alunno...». Non ci può essere
formulazione più chiara nei confronti della scuola, della sua incapacità, non
volontà di comprendere. È, dunque, una decisione importante, che trascende il
caso concreto, che pone gli operatori della scuola di fronte alle loro
responsabilità: non più giudici della bocciatura o della promozione,
ma protagonisti attivi di un ruolo educativo in cui sanzione e
assoluzione non devono essere il parametro di una attività il cui significato è
più profondo e importante.
Può essere l'ammonimento valido, in
quanto sollecitato da un organo estraneo alla scuola stessa, a rivisitare il
ruolo docente in termini diversi da quelli che lo hanno caratterizzato fino ad
ora. In fondo i giovani dalla scuola non vogliono
bocciature o promozioni, vogliono messaggi seri, autentici, risposte ai loro
moltissimi problemi. Il voto è stato in parte abolito,
resta il giudizio finale di idoneità o meno, quindi il voto parziale è stato
sostituito dal voto complessivo. Ma una scuola che
boccia o promuove è una scuola che mette in moto meccanismi diversi da quelli
che devono esserle propri. L'insegnante non è, né può trasformarsi, in
poliziotto o giudice. È un ruolo diverso, principalmente educativo e
progressivo, mai repressivo, specie quando la repressione scolastica non incide
su fatti culturali, ma quando entra nel comportamento - la cosiddetta condotta
- o, peggio ancora, nella ideologia.
Il messaggio del Tar
finisce col diventare più importante del semplice annullamento della bocciatura
di Mario o della sua promozione. È un invito, una sollecitazione, a trasformare
la scuola in un momento partecipativo, di inserimento
culturale e sociale, contro ogni settarismo.
TESTO DELLA SENTENZA
Il Tribunale amministrativo
regionale per il Piemonte ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso n.
701/1978, depositato il 5 luglio 1978, proposto da F.F.
quale legale rappresentante del minore O.M., rappresentata e difesa dall'avv. Claudio Dal Piaz di Torino ed elettivamente
domiciliato presso lo studio dello stesso in Torino, via S. Agostino n. 12;
contro
il Consiglio di classe della 1ª,
Sezione B, della Scuola media statale Valfrè di
Torino; contro il Provveditore agli studi di Torino e contro la Scuola media
statale Valfrè di Torino, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino ed elettivamente
domiciliati presso la stessa in Torino, corso Stati Uniti, 45;
per l'annullamento
del provvedimento di non ammissione
alla classe successiva, pronunziato dal Consiglio di classe della 1ª Media,
Sezione B, della Scuola media statale S. Valfrè di
Torino, in data 31-5-1978; nonché per l'annullamento, per quanto di ragione,
degli atti tutti antecedenti preordinati, conseguenziali
e comunque connessi del relativo procedimento; e per ogni conseguenziale
ulteriore statuizione.
Visti il ricorso, le memorie e la
documentazione prodotta;
Visti l'atto di costituzione e la documentazione
prodotta dall'Amministrazione intimata;
Udita alla
pubblica udienza del giorno 25 luglio 1978 la relazione del 1° Referendario
dott. Ezio Maria Barbieri;
Sentiti per il
ricorrente l'avv. Claudio Dal Piaz e per
l'Amministrazione intimata l'avv. D'Amato dell'Avvocatura distrettuale di
Stato;
Ritenuto e considerato in fatto ed
in diritto quanto segue:
FATTO
Il minore O.M., frequentante la prima classe della Scuola media Valfrè di Torino, non è stato ammesso alla classe seconda
con provvedimento del seguente tenore: «l'impegno e l'attenzione sono stati
molto discontinui, con risultati positivi in alcune materie e totalmente
negativi in altre. Il Consiglio di classe decide a maggioranza di non
ammetterlo alla 2ª classe successiva a causa soprattutto del comportamento
scorretto». Lamenta il ricorrente l'illegittimità del provvedimento impugnato
ed a sostegno del ricorso adduce il seguente motivo:
1) Il giudizio negativo formulato
sull'O. sarebbe condizionato da una valutazione assolutamente negativa della
sua condotta da parte della sola insegnante di lettere e, ragionevolmente,
anche - se non principalmente - dall'episodio di cui il ragazzo fu protagonista
in occasione dell'«affare Moro», sul quale egli ebbe ad esprimere
apprezzamenti non graditi. In esso sarebbe ravvisabile
però uno squilibrio logico fra il peso attribuito ad una evidente
incompatibilità fra il ragazzo e l'insegnante di lettere ed il complesso della
personalità del giovane. In particolare non si sarebbe tenuto conto della
situazione psicologica del ragazzo (affidato alla comunità alloggio della
provincia di Torino); dei suoi progressi registrati fra il primo ed il secondo
quadrimestre, oltre che rispetto ai risultati raggiunti nell'anno precedente:
della circostanza significativa che il suo preteso
comportamento scorretto sarebbe stato lamentato solo dall'insegnante di
lettere. Di qui la frettolosità e la sommarietà del
giudizio impugnato, ingiustificatamente rigoristico,
ove il giudizio negativo sulla condotta ha immotivatamente
prevalso sugli altri elementi di giudizio, che si prospettavano invece in
termini positivi per l'alunno.
Si costituiva l'Amministrazione
intimata contestando la fondatezza del ricorso, negando che la presa di
posizione del ragazzo sull'affare Moro abbia influito
sul giudizio e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso.
DIRITTO
La formulazione di un giudizio di
legittimità, quale quello richiesto a questo Tribunale, sulla valutazione
operata da un Consiglio di classe in merito alla idoneità
di un alunno ad accedere alla classe superiore da un lato è condizionata dalla
doverosa preoccupazione di non sconfinare in un giudizio di merito e d'altro
lato esige l'attenzione necessaria per evitare un troppa formalistico esame
della motivazione, che potrebbe ridursi ad un controllo sull'uso delle parole,
anche se non ancorate alla sottostante realtà del rapporto cui esse ineriscono.
Di qui la preoccupazione del
Collegio di cercare di capire innanzitutto quale tipo
di rapporto educativo si sia instaurato fra la scuola ed il ricorrente,
sembrando giusto dire che solo alla luce di esso sarà possibile stabilire se la
motivazione del giudizio impugnato è stata frettolosa, sommaria ed
ingiustificatamente rigoristica e quindi illegittima
- come vorrebbe il ricorrente -, o se invece, nella pur necessaria sinteticità,
sono pur tuttavia presenti motivazioni idonee a legittimare le conclusioni
assunte dal Consiglio di classe.
Di qui la necessità di partire dalla
considerazione delle condizioni di vita del minore M.O., sulle quali l'eloquenza dei fatti consente una laconica,
ma non per questo meno illuminante brevità. Egli è cresciuto praticamente
abbandonato da entrambi i genitori (a lungo detenuto il padre, incapace o non
interessata a tenerlo con sé la madre), tanto che da anni vive ospite presso
la Comunità famiglia di via Giolitti n. 4 in Torino,
affidato alle cure della locale Amministrazione provinciale.
Nonostante tutti i problemi e le
difficoltà inevitabilmente connessi ad una situazione del genere, che danno
luogo fra l'altro a turbe del comportamento e ad una condotta particolarmente
agitata, il ragazzo conclude in 5 anni la scuola
elementare ed approda quindi regolarmente alla scuola media. Respinto al
termine del primo anno e costretto alla ripetenza,
nel corso dell'anno scolastico 1977-78 i suoi rapporti con la scuola sono in
modo drammaticamente eloquente riassunti nel rilievo che per ben 38 volte nel
corso dell'anno egli viene redarguito, allontanato, punito,
sospeso. Egli è chiaramente, per i suoi insegnanti e per i suoi compagni,
l'alunno più scomodo ed indesiderabile che si possa
immaginare. Egli costituisce dunque un problema, che la scuola dell'obbligo
però non può eludere, proprio perché tutti hanno il
diritto-dovere di frequentarla. Di qui, per un doveroso e corretto adempimento
della propria funzione educativa, l'obbligo per i docenti non già di recepire come un ineluttabile ed immodificabile dato di
fatto il comportamento sgradevole dell'alunno, ma di indagarne le cause, di
capirlo e quindi di correggerlo ed educarlo. A questo scopo sarebbe stato
logico e doveroso che nell'interno della scuola e fra la scuola e la comunità che
ospita l'alunno avvenissero frequenti incontri e scambi di idee,
quali condizioni necessarie per conoscere e capire quel ragazzo che qualunque
educatore deve rifiutarsi di considerare a priori irrecuperabile alla vita
sociale.
Viceversa, dalla documentazione
prodotta, non risulta che sia avvenuto nulla di ciò. E
che non si tratti solo di un'ipotesi è provato,
indirettamente, da alcune circostanze di fatto documentate. In data 4 maggio 1978, quando una psicologa ed un'assistente
sociale si presentarono all'insegnante di lettere per chiedere o, forse, per
pretendere la promozione burocratica dell'O., la professoressa ha
manifestato chiaramente, nella relazione scritta da essa poi redatta, di non
averle mai prima di allora conosciute, di essere in netto contrasto con le loro
asserzioni ed ha loro negato un incontro con i professori del corso per
trattare e discutere dell'alunno O., ritenendo ciò legalmente non possibile.
Questo episodio prova da un lato l'indisponibilità della docente al dialogo, nonostante la particolarità della situazione
dell'alunno, e dall'altro la tardività nell'attivarsi
delle strutture pubbliche preordinate a questi tipi di intervento, che sembrano
confondere o, comunque, privilegiare la promozione burocratica su quella promozione
umana che è nelle finalità primarie della scuola. Senza considerare che interventi
tardivi limitati a favorire il superamento del corso possono risultare, alla fine, anche più diseducativi.
Né d'altra parte risulta
che la scuola si sia troppo preoccupata al proprio interno di capire, onde
adeguatamente correggere il comportamento dell'O.
Dalla documentazione prodotta risulta infatti che essa coglie, discute e fissa sulla carta
solo le manifestazioni esteriori (certo non obiettivamente edificanti) della
condotta del ragazzo, il quale viene così spedito in altre tre classi, si vede
imposto un banco da solo vicino alla cattedra, in una forma certo poco idonea
alla sua socializzazione, viene insomma punito e nient'altro. Ed anche questa non è soltanto un'impressione, perché
l'increscioso episodio collegato all'«affare Moro» conferma l'indirizzo
prevalentemente punitivo e repressivo seguito per tutto il corso dell'anno. Quando, infatti, fra lo scandalo generale, l'O., vittima
della violenza dei genitori, della sua vita sfortunata e dell'autoritarismo
della sua scuola, sentenzia che le Brigate Rosse hanno fatto bene ad
assassinare Aldo Moro, da ciò non nasce alcuna discussione, alcuna analisi,
alcun desiderio di ricerca e di approfondimento. La reazione
dell'organizzazione educativa è, infatti, una nota sul registro, la
convocazione immediata e straordinaria del Consiglio di classe, il rifiuto
dell'insegnante di lettere di accettare in classe l'alunno fino a che non
siano stati presi provvedimenti, la richiesta di sospensione ed infine, fra
tutti i fatti il più diseducativo ed il più grave, l'avallo (se non la
sollecitazione) di una raccolta di firme fra tutti i compagni che coronano un
anno di educazione con il rifiuto di accettare in
classe un ragazzo di 13 anni perché ha detto di avere idee simili a quelle
delle Brigate Rosse. Questo episodio dolorosamente sintomatico è in obiettivo e
radicale contrasto con la funzione stessa della scuola, che non ha il diritto
di dimenticare di avere a che fare con ragazzi, cui non si possono
attribuire idee da perseguitare, ma che devono essere educati al confronto,
alla discussione ed alla verifica delle proprie affermazioni. Il Tribunale non
vuol dire con questo che tutto comprendere comporti di necessità il perdonare
tutto; vuol solo ribadire che alla scuola non è
consentito bandire le idee e con esse chi le manifesta senza venir meno ai
propri compiti.
Inserito in questo contesto, il giudizio formulato dal Consiglio di classe ed
impugnato davanti a questo Tribunale deve ritenersi sbrigativo, frettoloso,
sommario, ingiustificatamente rigoristico e quindi
illegittimo. Quando si rileva, infatti, che l'insegnante di matematica e di
francese hanno ritenuto sufficiente il profitto dell'O. nelle rispettive
materie, che l'insindacabile decisivo giudizio negativo di merito riguarda
tutte le materie letterarie insegnate da una sola
docente e che la bocciatura avviene soprattutto a causa del comportamento
scorretto, il Tribunale non può ritenere sufficiente ed adeguata la
motivazione addotta, in quanto dalle circostanze sopra riferite emerge che la
scuola non si è data adeguatamente carico della singolarità del caso e quindi
ha proceduto ad una valutazione dei risultati e della condotta svincolata dalle
cause più profonde di essi e per ciò stesso inadeguata ed insufficiente.
Nella riformulazione del giudizio il
Consiglio di classe dovrà pertanto darsi carico anche della propria condotta,
onde stabilire se ed in quale misura essa non abbia a sua volta condizionato negativamente
quella dell'alunno, dovrà porsi il problema della situazione personale dello
stesso e valutarlo quindi nella sua peculiarità, dovrà insomma mostrare di
aver fatto lo sforzo necessario per capirlo, anche per compensare, almeno in
sede di giudizio, la condotta prevalentemente repressiva seguita durante
l'anno. Solo in questo modo tale condotta cesserà di sembrare la reazione di
chiusura di docenti, che i documenti qualificano di «ottima estrazione
sociale», e si potrà ritenere che l'eventuale e
sempre possibile nuovo giudizio negativo sia il risultato di una scelta
pedagogica, sulla quale allora il Tribunale, come tale, non avrà titolo per
pronunciarsi, essendo a tal proposito ogni valutazione riservata agli organi
scolastici.
All'accoglimento del ricorso
consegue l'annullamento del provvedimento impugnato. Sussistono però giuste
ragioni per compensare integralmente fra le parti le
spese del giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo
regionale per il Piemonte accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto,
annulla il provvedimento impugnato.
Dichiara integralmente compensato
fra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in
Torino, nella Camera di Consiglio del 25 luglio 1978, con l'intervento dei
signori: dott. Andrea Lo Jacono, presidente; dott.
Ezio Maria Barbieri, 1° referendario, estensore; dott. Armando Ingrassia, referendario.
(1) La sentenza è
stata pubblicata in Prospettive assistenziali
n. 37.
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