Prospettive assistenziali, n. 46, aprile
- giugno 1979
Specchio nero
NEGATI I DIRITTI DEL BAMBINO RICOVERATO IN OSPEDALE
Riportiamo la lettera di denuncia di
due genitori, inviata al Presidente della Giunta regionale e all'Assessore
alla sanità della Regione Piemonte, non per sollevare il solito polverone scandalistico,
né per stimolare sentimenti di filantropia verso i «bambini» in una corsia, a
cui nessuno (almeno a parole) nega solidarietà e consenso, ma per orientare i
cittadini verso i problemi reali.
Il problema del bambino
ospedalizzato viene del tutto ignorato in Italia, dove niente si è fatto per
abbattere le restrizioni imposte ai piccoli pazienti, per liberalizzare le
visite, per l'ospedalizzazione del bambino con i genitori, come già avviene in
altri paesi.
Si assiste così da una parte alla
riduzione ad oggetto del piccolo paziente «preso in forza» dall'ospedale,
dall'altra alla negazione della presenza paterna o materna (o di loro
sostituti) e all'importanza del problema affettivo, con inutili sofferenze e
rischi, per il bambino malato.
Il colloquio con i genitori, la loro
conoscenza e quella dell'ambiente in cui il bambino vive, sono operazioni che
«fanno perdere tempo»; mentre nell'ospedale spesso «ingolfato» i bambini sono
«sequestrati» in attesa di esami praticati a raffica;
le informazioni che riguardano le malattie e il malessere del bambino sono
rese inaccessibili e incomprensibili a genitori che vengono tenuti sempre più
«esterni» al compiersi dell'atto medico.
Incapaci di un rapporto costante con
gli utenti, infermieri, medici e paramedici scaricano la loro responsabilità verso il vertice: amministratori e dirigenti
sanitari. Ad essi chiediamo cambiamenti positivi nel
rispetto dei diritti dell'infanzia secondo la dichiarazione delle Nazioni
Unite emanata nel 1959 (1).
Testo della lettera
Alle
ore 3 di domenica 11-2-1979 i genitori di Racca
Alessandra, dopo aver richiesto inutilmente l'intervento del pronto soccorso e
della guardia medica di paesi limitrofi e di un medico abitante nel loro
stesso condominio, portarono la figlia di 28 giorni all'ospedale infantile
Regina Margherita di Torino per problemi respiratori ove fu subito ricoverata
in gravi condizioni.
I
genitori poterono stare vicini alla figlia anche perché uno di loro doveva
tenere il braccio della bimba, a cui si stava praticando una fleboclisi, e
l'altro doveva sorreggere l'apparato dell'ossigeno in modo che non pesasse sul
braccio.
Il
personale fu sollecito e cordiale nonostante l'evidente carenza
numerica rispetto al numero di bambini ricoverati.
Alle
6,30 il padre ebbe una discussione con la suora che
pretendeva, senza aver visto la situazione in cui erano, che rimanesse solo e
sempre la stessa persona accanto alla bimba. Dopo questa discussione
Alessandra venne sistemata in modo che effettivamente
era sufficiente la presenza di una sola persona.
Il
giorno dopo il padre chiese fermamente ma civilmente
al medico in reparto, attorniato da tutto il personale, perché un famigliare
non potesse rimanere sempre accanto al ricoverato. Il medico,
con modi insolenti e provocatori, rispose, tra l'altro, che mancavano le
strutture e definì demagogica la circolare regionale in merito a tali argomenti.
Alla domanda del padre: «E se io mi rifiuto di uscire
cosa succede?», il medico rispose: «E io non le guardo
più la bimba».
I
genitori fecero presente tale comportamento alla Direzione sanitaria dove
ebbero in modo civile e umano chiarimenti in merito.
Dopo
un paio di giorni Alessandra fu trasferita dalla degenza ad altro reparto.
Nella stanzetta, sufficiente per 3 lettini, ve ne erano
6; l'ambiente era puzzolente e maleodorante a causa, probabilmente, del non
funzionamento delle finestre.
La
suora fece subito presente che nella stanza potevano rimanere solo 2 o 3
adulti, e che fossero le mamme ad accordarsi per i turni. In
seguito però si poté verificare quanto la presenza delle mamme fosse
necessaria dato che spesso lo stesso personale sollecitava tale aiuto
per somministrare i pasti anche ad altri bimbi.
Successivamente la bimba ebbe
problemi di cianosi rilevati da chi le era accanto e solo dopo insistenti
richieste fu guardata. Fu saltuariamente sottoposta ad ossigenoterapia che
secondo il personale avrebbe dovuto somministrare anche il famigliare in quel
momento presente. Al rifiuto fu consigliato di rivolgersi ad altra mamma in
grado, secondo loro, di somministrare l'ossigeno.
Al
30° giorno di vita ad Alessandra fu dato, nell'intervallo tra 2 pasti, un qualcosa definito «brodino». Dopo questa somministrazione
insorsero seri problemi intestinali.
Al
32° giorno di vita e col perdurare di cianosi, specie dopo i pasti, le furono
somministrate 2 poppate a distanza di 2 ore. Alla richiesta di spiegazioni il
personale accusò la nonna (che subito smentì), poi altre mamme e infine ammise
che non ricordava da chi aveva avuto l'ordine di somministrare
i pasti con tali orari.
I
genitori, esasperati «dall'andazzo del reparto», e non essendo presente nessun
medico, fecero presente alla Direzione sanitaria la situazione.
Qualche
ora dopo, un medico del reparto, sentendosi evidentemente scavalcato, redarguì
violentemente la mamma della bimba e tra numerose affermazioni scorrette
definì i genitori «granisti», disse «ne terremo conto» e pretese che il padre di Alessandra si presentasse il giorno dopo da lui.
Nella
serata la madre chiese la convocazione di un medico per ritirare la bimba ma la richiesta fu rifiutata.
Nella
notte non ci fu una persona che diede uno sguardo alla bimba vicino alla quale
rimase la nonna.
La
mattina seguente i genitori, dopo snervanti discussioni, ottennero il
trasferimento della bimba in altro reparto ove arrivò con il focolaio al
polmone (a 6 giorni dal ricovero) ancor più esteso.
Oltre
a quanto descritto, nel suddetto reparto si verificarono
altri gravi fatti.
A
2 bimbi non fu somministrato un pasto per dimenticanza e sarebbe stato fatto
saltare anche un secondo se una mamma non se ne fosse
accorta.
Nella
stanzetta un bimbo risultò affetto da pertosse.
Un
medicinale fu posato sul comodino tra 2 lettini senza essere somministrato; col
cambio del turno, non sapendo se e a chi si doveva dare, tale medicina fu fatta
sparire.
Si verificò pure la somministrazione,
durante la notte, di un pasto a 2 bambini contemporaneamente (un biberon per
mano). Uno di questi bimbi aveva problemi respiratori e non fu neanche
sollevato per l'ingerimento del latte.
Questi
i fatti che possono essere testimoniati da più persone.
Premesso
che la pubblicizzazione di quanto descritto non
vuole essere accusa contro qualche infermiera in particolare, perché cercare e
punire il solito colpevole significherebbe ancora una volta non voler far luce
sulle carenze generali e lasciare che tutto rimanga
come purtroppo è, noi genitori di Racca Alessandra:
1)
DENUNCIAMO le continue violenze a cui un ricoverato e i suoi famigliari sono
soggetti causa il vile «ricatto della salute»;
2)
DENUNCIAMO l'atteggiamento arrogante e provocatorio di certa parte della classe
medica (v. «... non guardo più sua figlia», v. « ...ne
terremo conto» ecc. ecc.);
3) DENUNCIAMO la strumentalizzazione dei parenti dei
ricoverati nei momenti in cui fa comodo all'ospedale; i famigliari possono
collaborare ma non sostituirsi al personale;
4)
DENUNCIAMO a quali traumi va incontro un bimbo a cui è rifiutata la presenza
costante di un parente; chiediamo perché se la presenza è possibile anzi richiesta di notte ciò non è più possibile di
giorno;
5)
DENUNCIAMO la scarsa qualificazione e serietà professionale di certo personale
(senza entrare in merito alle competenze di chi deve garantire tale
qualificazione) e la mancanza di organizzazione di
certi reparti;
6)
CHIEDIAMO perché nostra figlia non è stata trasferita dalla degenza in un
reparto più adatto ai suoi problemi di età e di
malattia.
Volvera, 16
marzo 1979.
(1) Vedi la Carta dei
diritti del bambino ricoverato in ospedale in Prospettive assistenziali, n. 34.
www.fondazionepromozionesociale.it