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LE REGIONI RINUNCIANO A TRASFERIRE LE IPAB AI COMUNI |
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Da tempo insistiamo sul trasferimento delle novemilaquattrocento IPAB ai Comuni e non per facile demagogia, ma perché i loro patrimoni ammontano a diverse centinaia di miliardi e consentirebbero pertanto agli Enti locali di istituire i numerosissimi servizi alternativi necessari per ovviare alle gravi carenze e ai disequilibri esistenti nel settore assistenziale, e per rispondere in modo adeguato alle necessità. Si tratta di beni mobiliari, azioni e obbligazioni, e di immobiliari, terreni e fabbricati, che non sono quasi mai utilizzati dalle IPAB a favore delle persone e per i loro bisogni, ma quasi sempre solo a fini speculativi o clientelari. Nel caso di beni immobili, per esempio, non si hanno notizie di alloggi assegnati dalle IPAB a persone assistite, anche là dove tale assegnazione avrebbe risolto i loro problemi. Mentre per il personale, non si è mai potuto utilizzare per servizi alternativi quello di cui dispongono le IPAB in numero sovrabbondante. Le IPAB, salvo alcune rarissime eccezioni, svolgono ancora oggi la loro tradizionale funzione di organismi deputati alla segregazione dei più deboli: ricovero in istituti, soprattutto a carattere di internato, di anziani, di handicappati e di minori in situazione d'abbandono o le cui famiglie hanno difficoltà economiche o di altro genere. La conservazione delle IPAB significa pertanto conservazione del ruolo emarginante dell'assistenza. IPAB e DPR 616 Commentando il DPR 616 scrivevamo due anni fa: «le possibilità di un trasferimento globale dell'assistenza alle Regioni sono ormai compromesse: resta aperto il problema dell'ampiezza di tale compromissione» (1). Successivamente (2) abbiamo riferito sui tentativi che la D.C. e le altre forze conservatrici avevano messo in atto per evitare il trasferimento ai Comuni del maggior numero possibile di IPAB e di Enti. Vediamo ora che cosa è successo negli ultimi mesi e ritorniamo al DPR 616. Si era stabilito che, nel caso in cui entro il 1° gennaio 1979 non fosse stata approvata la riforma dell'assistenza era automaticamente attribuito alle Regioni il compito di disciplinare «i modi e le forme d'attribuzione in proprietà o in uso ai Comuni singoli o associati, o a Comunità montane dei beni (...) delle IPAB» (art. 25 del DPR 616). Quando alla fine dell'anno scorso era apparsa evidente l'impossibilità del varo della riforma dell'assistenza, il Governo emanava il decreto legge n. 847 del 23 dicembre 1978 con il quale veniva rinviata al 31 marzo 1979 la scadenza del 1° gennaio 1979 prevista dall'art. 25 del DPR 616. In seguito, non avendo il Parlamento approvato la conversione in legge del decreto legge, alle Regioni veniva riattribuito il dovere, sancito dal DPR 616, di provvedere al trasferimento delle IPAB agli enti locali. Escluse dal trasferimento erano solamente le IPAB, conservate tali dai 14 decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in quanto rientranti fra quelle che «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa» (3). È a questo punto (siamo alla fine del febbraio 1979) che Andreotti convoca i partiti della maggioranza (DC, PCI, PRI, PSDI e PSI), ed i Presidenti delle Regioni e, fatto incredibile e gravissimo, chiede ed ottiene che le Regioni rinuncino a dare applicazione alla legge dello Stato (il DPR 616) che affida ad esse il compito di trasferire le IPAB agli Enti locali. I partiti della maggioranza ed i Presidenti delle Regioni si impegnano pertanto con il Presidente del Consiglio dei Ministri di non legiferare in merito alle IPAB fino a quando il Parlamento non converta in legge un nuovo decreto legge che il Governo si impegna ad approvare entro i primi di marzo. In effetti il decreto legge veniva approvato il 29 marzo 1979 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'11 aprile 1979. Nonostante la lampante scorrettezza costituzionale, l'evidente inosservanza delle leggi vigenti e il trasferimento senza indennizzo di patrimoni pubblici a enti privati, il Presidente della Repubblica firma il decreto legge che pubblichiamo integralmente in questo numero. Il decreto legge n. 113 segna un notevole arretramento rispetto al DPR 616 in quanto prevede: - la privatizzazione di IPAB e la consegna gratuita a privati di patrimoni pubblici; - la conservazione di tutte le IPAB «che svolgono prevalentemente attività di istruzione, ivi compresa quella prescolare» (circa la metà di tutte le IPAB esistenti); - il rinvio al 31 dicembre 1979 del trasferimento ai Comuni delle altre IPAB. Che cosa succederà in Parlamento quando si tratterà di convertire in legge il decreto n. 113?
Le opere benemerite Ricordiamo che Papa Wojtila ricevendo i partecipanti del convegno dell'Unione Giuristi Cattolici italiani sulla «Libertà dell'assistenza» (Roma 24-26 novembre 1978), ha affermato che «l'Episcopato italiano ha espresso le sue preoccupazioni che opere benemerite, le quali, per secoli, sotto l'impulso della carità cristiana si sono prese cura degli orfani, dei ciechi, dei sordomuti, degli anziani, di ogni genere di bisognosi, grazie alla generosità dei donatori e al sacrificio personale, talvolta eroico, di religiose e di religiosi, e che in ragione di disposizioni legislative avevano dovuto assumere, loro malgrado, la figura giuridica di Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza - con una certa garanzia, peraltro, per i loro fini istituzionali - siano soppresse o comunque non sufficientemente ed efficacemente garantite». Per poi aggiungere: «Il Papa non può rimanere estraneo a queste preoccupazioni, che toccano la possibilità stessa per la Chiesa di svolgere la sua missione di carità, e che toccano altresì la libertà dei cattolici e di tutti i cittadini, singoli o associati, di dar vita a opere conformi alle loro idealità, nel rispetto delle giuste leggi e a servizio del prossimo indigente». È molto inquietante questo negare, nel segno esclusivo della fede, allo Stato di trasferire ai Comuni o controllare enti pubblici. Queste «opere benemerite» spesso hanno speculato sulla pelle degli assistiti e hanno fornito servizi certamente non da imitare come risulta da fonte non sospetta (v. Caritas italiana, Chiesa ed emarginazione in Italia, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1979).
Ma soprattutto è
inquietante che si voglia che tutto rimanga come prima e che la domanda
sociale di erogazione di servizi torni a risolversi in una risposta di
beneficenza privata. (1) V. l'editoriale del n. 39 di Prospettive assistenziali «Legge 382: gli interessi degli enti prevalgono sui diritti degli assistiti». (2) V. l'editoriale del n. 44 di Prospettive assistenziali «Esigenze degli assistiti e tentativi per il salvataggio degli Enti e delle IPAB». (3) Si tratta di millesettecentododici IPAB. |
Prospettive assistenziali
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