Prospettive assistenziali, n. 47,
luglio - settembre 1979
IL PAZIENTE GERIATRICO
LUNGODEGENTE
CARMINE MACCHIONE
Introduzione
Etimologicamente riflusso significa scorrere indietro.
Da circa un anno il termine è entrato ampiamente nel
vocabolario scritto o parlato della società massificata
odierna e, come spesso succede, la ripetitività acritica del vocabolo comporta
spesso l'impiego distorto dello stesso.
Il significato che dai più si dà alla parola «riflusso»
è di tipo negativo, identificandolo con reazione, conformismo, ancien-regime, integralismo, fascismo, codismo,
restaurazione, oscurantismo, supremazia del privato sul sociale e con tutto ciò che in un modo o nell'altro impedisce o
ritarda il progresso, inceppa l'evoluzione del pensiero, si oppone ad un
effettivo e non fittizio pluralismo.
Cade pertanto nella rete del
riflusso tutto quanto è stato
elaborato dal '68 in poi.
Nascono nuovi sacerdoti, nuove pitonesse, mentre la
maggior parte dei maghi di ieri ritornano nell'ombra non potendo o non sapendo
opporre ad un edonismo di oggi fatto spesso di niente,
la forza di verità forse fin troppo celebrate ed adulate nel recente passato.
Ma l'espressione «riflusso» può essere anche
recuperata in positivo, nel senso di riflessione, di
ripensamento a bocce ferme, di rivisitamento critico
delle proposte formulate, di sintesi.
«Non è vero che si debbano respingere, a favore di
una violenza astratta e feroce, l'amore del mondo e la
visione poetica, lirica del mondo, etichettandoli come arte e cultura e
spirito dei reazionari» scriveva Herbert Marcuse qualche giorno prima di morire.
In questo ultimo senso e con
l'umiltà che ci proviene dalla convinzione che l'evoluzione del pensiero debba
essere perenne, ci accostiamo alle problematiche dell'assistenza globale all'anziano,
che in questi ultimi anni ha avuto varie angolature ideologiche, entusiasmi
culturali di vasta portata, ma nessuna effettiva e concreta soluzione
operativa.
Esporremo di seguito alcune note limitate al
cosiddetto paziente geriatrico lungodegente, ripromettendoci,
in una nota successiva, di precisare il nostro pensiero su altri aspetti dell'assistenza all'anziano, che per essere tale in maniera
valida, significativa ed efficace deve essere necessariamente diversificata
dall'assistenza erogata a soggetti appartenenti a classi di età inferiori.
La geriatria
Parallelamente alla psichiatria, ma
indubbiamente in maniera meno emotiva, la gerontologia ha assorbito la lezione
del 68 ed è, tra le poche branche della medicina, quella che ha inserito nel
contesto ospedaliero «il privato», «il sociale» e «il personale» nello spirito
del ricupero dell'unitarietà del paziente, e del concetto dell'assistenza
globale.
La legislazione sanitaria (legge n. 132 del 12
febbraio 1968) riconobbe alla geriatria una dignità autonoma ed obbligò le
amministrazioni ospedaliere a costituire appositi
reparti geriatrici.
Numerosi studi dedicati alla problematica dell'anziano
ammalato non sono riusciti a chiarire completamente i contorni, a fugare
perplessità, a precisarne le responsabilità. I dubbi maggiori emergono dal
fatto che non tutti sono d'accordo che la geriatria
debba prendersi cura dell'anziano ammalato in tutte le fasi della malattia
acuta, intermedia e a degenza prolungata.
Qualcuno mette anche in discussione la geriatria
come branca autonoma ospedaliera. Si può aggiungere a conferma che se
disaccordi esistono nella definizione di paziente geriatrico la confusione più completa si ha per chiarire
il significato di «paziente lungodegente».
La legge Mariotti anche per
quest'ultima categoria di ammalati
aveva previsto appositi reparti, ma dopo 20 anni dalla promulgazione della
legge si può costatare che il problema dei lungodegenti è stato effettivamente
disatteso e nella sostanza e nello spirito della legge stessa: non possono
essere definiti reparti per lungodegenti quelle poche divisioni istituite
negli ospedali, in quanto esse si configurano nella sostanza come semplici
reparti di medicina generale.
Onde cercare di portare il nostro contributo al
tentativo di una chiarificazione della problematica del lungodegente tenteremo, sulla scorta della disamina della letteratura in
argomento, di trarre alcune considerazioni delucidanti. Riteniamo infatti che,
in ultima analisi, una chiarezza del termine comporti in concreto una
possibile delimitazione dei confini di appartenenza
all'utente lungodegente.
Il paziente lungodegente
Prima di entrare in merito alle varie definizioni e
pertanto ai vari significati che vengono attribuiti al
termine «lungodegente», riteniamo opportuno premettere e sottolineare che i
problemi più ardui da risolvere per questa categoria di ammalati si ritrovano
in massima parte sul versante sanitario, mentre meno impegnativi, anche se pur
sempre importanti, risultano i bisogni sociali.
Una seconda premessa riguarda i rapporti intercorrenti
fra il termine «cronico» e quello di «lungodegente». Sempre più, negli ultimi
anni, la letteratura specializzata ha identificato il «cronico» con il
cosiddetto «lungodegente irrecuperabile»: questo può essere vero per certe malattie
croniche, mentre si deve affermare che non sempre il «cronico» è un degente e
soprattutto non sempre egli risulta un «lungodegente».
Secondo Scardigli il
«lungodegente» è un soggetto che ha bisogno di una degenza più prolungata rispetto alla degenza media (ospedaliera o domiciliare)
di un soggetto affetto da una malattia acuta: in altri termini egli è un
soggetto non più affetto da una malattia acuta, ma che ne porta in sé solo le
sequele che lo obbligano ad un prolungato periodo di degenza in ospedale o
anche presso il proprio domicilio.
Per la commissione di studio dei problemi geriatrici istituita dal Ministero della sanità «lungodegenti
geriatrici» sono quei pazienti che, dopo il trattamento iniziale, necessitano ancora di cure
ospedaliere, poiché il loro recupero funzionale è soltanto parziale ed
incostante.
Massani è per l'interpretazione letterale del termine ed
intende la lungodegenza «una condizione
cronologica comune a diverse specie di pazienti ed a diverse specie di
malattie».
Per una ulteriore chiarificazione
del termine è stato da vari AA. impiegato un triplice
criterio di valutazione:
1) cronologico - 2) terapeutico - 3) prognostico.
Dal punto di vista cronologico viene considerata lungodegenza
la malattia che si prolunga oltre i 30-40 giorni; quest'ultimo
è il termine standard applicato dagli Ospedali Riuniti di Roma.
Il DM 24 agosto 1940 all'art. 17 fissa
l'inizio della lungodegenza dopo il trentesimo
giorno: tale limite viene impiegato come discriminante anche negli USA.
Secondo alcuni AA. si definisce
lungodegente quel paziente la cui degenza è contenuta nello spazio di 180
giorni: tale criterio deriva verosimilmente dai limiti massimi di assistenza
che veniva erogata da certi enti assistenziali, mutualistici, che appunto era
di 180 giorni.
Secondo il criterio terapeutico la lungodegenza inizierebbe dal momento in cui al paziente
non verrebbe somministrata la terapia d'attacco e massiva
del periodo acuto, ma si passerebbe ad una terapia di mantenimento. La
differenziazione tra acuti e lungodegenti nell'assistenza geriatrica è stata confermata e ritenuta valida anche dall'OMS nel
ribadire che l'anziano affetto da una patologia acuta necessita di un ulteriore
periodo di ricovero per raggiungere un grado ottimale di autosufficienza e
questo può essere realizzato nel corso della lungodegenza
con intensificazione della terapia riabilitativa.
Secondo il criterio prognostico i lungodegenti sono
suddivisi in recuperabili ed irrecuperabili. I primi sono quei malati che gli
anglosassoni classificano come «long term sick, potentially
remediable», la cui prognosi può essere benevola
nel senso di completa guarigione o (e per i lungodegenti anziani è la
situazione più frequente) indirizzata verso il ripristino più
o meno accentuato di autosufficienza.
I lungodegenti irrecuperabili, si identificano,
nell'accezione comune, con i «cronici». Affermiamo ancora una volta che i due
termini non sono sinonimi, nel senso che il lungodegente può avere un recupero
perfetto fino alla completa guarigione, mentre il cronico, che lungodegente
può non essere, per il riacutizzarsi della malattia o per sopravvenute
complicanze, può lentamente tramutarsi in lungodegente .
Da quanto sopra esposto emerge chiaramente che il
«lungodegente» non può essere definito in maniera restrittiva, in quanto
numerose variabili patologiche, psicologiche, socio-economiche,
concorrono ad accentuarne la complessità nosologica.
Massani identifica quattro categorie di lungodegenti:
1) lungodegenti per lunga durata della malattia
stessa;
2) lugodegenti per
convalescenza o per subacuzie della malattia che necessitano di cure e
assistenza non possibili, per qualsiasi causa, a domicilio;
3) lungodegenti per cronicità, bisognosi di assistenza o di sorveglianza medica (tra questi i
soggetti affetti da malattie a decorso costantemente infausto);
4) lungodegenti per motivi non
dipendenti direttamente dalla malattia (cause socio-economiche).
Stella e Costa dividono i
lungodegenti in tre categorie:
1) pazienti che hanno bisogno di un lungo periodo di
cure oppure di interventi riabilitativi;
2) pazienti con affezioni a lungo decorso stabilizzati
in fase di riaccensione delle loro affezioni
morbose;
3) pazienti con affezioni a lungo decorso non
passibili di recupero, che abbisognano di cure e di assistenza
di carattere impegnativo.
Da quanto sopra esposto la Legge 132 non pone
differenze cronologiche fra i lungodegenti e quindi non
li diversifica in lungodegenti geriatrici e
lungodegenti non geriatrici. Anche noi siamo
dell'avviso che pur riconoscendo che nella maggior parte i lungodegenti siano persone anziane, non sia opportuno fare delle rigide
differenziazioni di ordine cronologico. Riteniamo comunque
che l'organizzazione del servizio debba essere orientata in maniera prevalente
al paziente anziano, dal momento che questo ha necessità assistenziali maggiori
connesse ai processi dell'invecchiamento.
Riteniamo che il paziente lungodegente geriatrico sia un ammalato che per le sue caratteristiche
si gioverebbe del ricovero in un unico reparto, dove attraverso le varie fasi
delle cure graduate, potrebbe trarre vantaggio da un
precoce e valido trattamento riabilitativo.
Un discorso a sé merita il «cronico» o lungodegente
irrecuperabile, se lo si debba o no considerare un
ammalato o un soggetto con esiti ormai stabilizzati della malattia invalidante.
È questo il capitolo più controverso della geriatria,
in quanto è quello che più ha determinato confusione, contrasti di competenze,
creazioni di strutture architettoniche aberranti. Anzitutto è opportuno
premettere che il cronico deve essere considerato irrecuperabile solo quando dopo un periodo di osservazione in ospedale si
sia dimostrato inutile ogni tentativo di riattivazione funzionale.
Dopo tale premessa rimane sempre aperta la disputa
fra coloro che ritengono il cronico bisognoso solo di
assistenza infermieristico-sociale, e non di
assistenza sanitaria, e altri che pensano il contrario, pur concedendo agli
avversari che i cronici necessitino di una effettiva riduzione percentuale di
prestazioni sanitarie.
1 primi suddividono i cronici in tre categorie:
a) soggetti con esiti
stabilizzati di sindromi deficitarie piramidali (non suscettibili di miglioramenti
dopo terapia riabilitativa);
b) soggetti cosiddetti labili, portatori cioè di malattie in fase di relativo compenso e facilmente
scompensabili: questa categoria di cronici durante le fasi di scompenso devono
essere ricoverati in ospedale;
c) grandi vecchi e soggetti con sindromi demenziali
senili.
Le tre categorie di cronici non avrebbero bisogno di
particolari cure mediche ma solo di sicurezza sociale
in un contesto di una struttura a sé definita «casa protetta» che ipotizza e
prevede spazi distributivi diversi per ogni singola categoria.
In ultima analisi gli assertori di
questa concezione ritengono in termini estensivi di poter risolvere il
problema di tutta l'assistenza geriatrica (e non soltanto quella limitata al
paziente lungodegente recuperabile o no) mediante l'attuazione di «servizi
paraospedalieri» che raggruppino tutti i presidi tradizionalmente definiti di lungodegenza, convalescenza, geriatria, mediante i quali
si soddisfano bisogni che richiedono più assistenza infermieristica e tecnica
(e sociale), che un'assistenza medica a carattere intensivo.
Riteniamo in tutta onestà che l'estremizzazione
di una concezione così espressa, derivi in fondo da una mancata e realistica
conoscenza dei problemi. Infatti si può essere
d'accordo, con alcuni correttivi di mira, che il problema dei cosiddetti
lungodegenti irrecuperabili, sia di pertinenza infermieristico-socio-assistenziale
(quindi anche sanitario in fondo), ma non potremmo mai accettare che la lungodegenza geriatrica e non, sia da configurarsi in un
non meglio qualificato para ospedale, che scimiottando
come struttura, come organizzazione sanitaria e para sanitaria l'ospedale,
genererebbe di fatto una struttura ghettizzante. Una tale concezione è
ideologicamente da respingere in quanto reazionaria nella sostanza, antiumana
nell'attuazione.
Gli assertori della seconda concezione (sono in
genere i geriatri) riconoscono che le tre categorie comunque
considerate, presentano necessità sanitarie più o meno spiccate e pertanto devono
essere ritenuti dei malati; e sanitaria dovrebbe essere quindi la struttura
che li ospita.
Entità numerica della lungodegenza e sue cause
L'importanza della lungodegenza
come carico economico, gravante sulla collettività, emerge chiaramente
dall'analisi dei ricoveri ospedalieri. Il 10% del totale dei casi di ricovero in ospedale supera i 30 giorni di degenza. Risulta inoltre che in massima parte (60-65%) i lungodegenti
sono soggetti ultra cinquantenni con patologia specifica della vecchiaia.
Dai dati riferiti dall'Annuario di statistica sanitaria
si desume che la durata dei ricoveri risulta più
prolungata per i tumori, quindi per le malattie dell'apparato cardiovascolare,
dell'apparato digerente, dell'apparato genito-urinario,
per malattie infettive ed infine per traumatismi.
La degenza media dei reparti di lungodegenza
della Regione Piemonte, su 4.551 ricoverati durante
l'anno 1976, è stata di 81,88 giorni. Per contro su
8.758 ricoverati nello stesso anno in reparti di geriatria, la degenza media è
stata di 23,33 giorni.
Nel valutare le cause della lungodegenza
negli anziani, dobbiamo considerare che tali pazienti sono in
genere affetti da patologia multipla (patologia associata, pluripatologia), che può esordire in maniera più o meno
complessa, ma indubbiamente diversa ed in forma più grave o più subdola e
prolungata che nel soggetto di età più giovane. In ogni caso una patologia che
compromette contemporaneamente più organi ed apparati non può
non generare una degenza più prolungata.
Le cause di degenza ospedaliera più prolungata per
una persona anziana non sono tuttavia soltanto connesse
all'aggressività ed all'evoluzione della malattia, ma possono trovare anche
cause e concause nel disorganico e lento funzionamento della macchina
ospedaliera, nella carenza di reparti idonei per cronici (case protette),
nella mancanza di forme alternative di assistenza extra ospedaliera, per
dimissioni protratte per motivi sociali, per dimissioni anticipate che spesso
comportano un reingresso in ospedale con conseguente prolungamento della
degenza.
Problemi ospedalieri e legislativi
La legge n. 132 del 12 febbraio 1978 (legge Mariotti) all'articolo 20 specifica la categoria degli
ospedali, all'articolo 22 obbliga gli ospedali provinciali
di essere dotati di divisioni per lungodegenti e all'articolo 25 classifica
gli ospedali per lungodegenti e convalescenti in:
a) ospedali zonali per lungodegenti
b) ospedali provinciali per lungodegenti;
e
specifica che detti ospedali devono possedere ogni altro servizio previsto per
le rispettive categorie di ospedali generali.
L'art. 38 della stessa legge afferma che le sezioni
devono comprendere non meno di 25 e non più di 30 posti letto.
Negli stessi ospedali le divisioni devono comprendere non meno di 80 e non più di 120 posti letto.
L'art. 17 della legge 833 del 23 dicembre 1978 per
l'istituzione del servizio sanitario nazionale, chiarisce i requisiti e la
struttura interna degli ospedali indicati come struttura
dell'unità sanitaria locale: «le regioni nell'ambito della programmazione
sanitaria disciplinano con la legge l'articolazione dell'ordinamento ospedaliero
in dipartimenti, in base al principio dell'integrazione tra divisioni, sezioni
e servizi affini e complementari, a quello del collegamento tra servizi ospedalieri
ed extra ospedalieri in rapporto alla esigenza di definiti ambiti territoriali».
Per quanto riguarda la Regione Piemonte, il gruppo di
studio per i principi di riordino dei servizi
sanitari e socio-assistenziali, ha elaborato un documento approvato dalla
Giunta regionale in data 18 luglio 1978.
Gli elaboratori del documento non ritengono
necessaria l'esistenza di reparti specifici per lungodegenti, atteso che tale
tipo di pazienti è di fatto suddiviso in almeno quattro categorie, ciascuna
delle quali richiede luoghi differenziati di
trattamento:
1) acuti a degenza prolungata: di
competenza delle singole specialità di competenza;
2) convalescenti: da trasferire al domicilio o al
servizio post-ospedaliero, a seconda dei problemi
assistenziali e sociali che si pongono;
3) riabilitandi: che
l'ospedale tratta nella fase acuta e poi dimette, con carico ai servizi di ricupero
e rieducazione funzionale da seguire a domicilio, in ambulatorio o in servizio
post ospedaliero a seconda dei casi, fatta salva la
previsione di centri specializzati in riabilitazione, da inserire in ospedali
generali;
4) cronici non recuperabili, ivi compresi quelli
avviati ad esito infausto, che vengono seguiti a
seconda della situazione clinica e socio-ambientale, al domicilio nelle sue
varie forme, nel poliambulatorio o nell'ospedale e qui senza peraltro creare reparti
appositi, ma con affidamento alla branca più strettamente pertinente.
Tali affermazioni richiedono necessariamente due note
di commento. Ci sembra che gli estensori, nella ricerca di una rigorosa
metodologia, si siano lasciati invischiare dall'antinomia talvolta artificiosa
«sanitarizzazione sì - sanitarizzazione no».
Nelle quattro categorie nelle quali sono stati
suddivisi, i lungodegenti, sono stati riconosciuti dagli estensori dei malati
veri e propri e come tali bisognosi tutti di cure anche se in modo e in grado
differente.
Il rimandare la risoluzione del problema quasi
completamente al territorio risulta velleitario, in
quanto oggi il territorio è ancora «nudo» di strutture socio-sanitarie; e
quando anche le avesse non potrebbe risolvere tutti i problemi emergenti dai
bisogni delle quattro categorie. Inoltre il rinviare «i cronici non
recuperabili» all'ospedale, alla «branca più strettamente pertinente», significa
soltanto creare all'interno di questo una sezione più o meno
grande di lungodegenza di fatto.
È doveroso aggiungere che, nel formulare una
programmazione socio-sanitaria, il legislatore deve essere provvisto di una
fantasia politica che vada molto al di là del
contingente e dell'esistente.
Quindi sono politicamente comprensibili certe
enunciazioni a prima vista avveniristiche; non lo sono più
quando diventano furbe, mistificanti e asfittiche, nel senso che
propongono vari tipi di assistenza alternativa, diversificano gli utenti al
servizio in rapporto ai bisogni, ma per una petizione di principio, sono
destinate a non essere attuabili e pertanto a non produrre assistenza.
Una domanda che molti si pongono è se il lungodegente
debba essere un paziente di prima o seconda istanza.
Nel primo caso è lo stesso sanitario che nella stessa
struttura ospedaliera, più o meno diversificata,
avrebbe in carico il paziente dalla fase acuta alla lungodegenza
fino alla dimissione; nella seconda soluzione, il paziente, superata la fase
di malattia acuta e di terapia intensiva, verrebbe trasferito in un reparto
autonomo di lungodegenza.
Noi riteniamo che la geriatria debba prendersi cura in
linea generale dell'anziano malato in tutte le fasi della malattia acuta,
intermedia, e di degenza prolungata.
La proposta attuale di mantenere a tempo indeterminato
il lungodegente nel reparto ove è stato ricoverato in prima istanza
è semplicemente e cinicamente pilatesca.
Una tale soluzione è la più semplice apparentemente,
in quanto non impone scelta, e cristallizza in un nulla operativo l'incapacità
creativa di trovare degli sbocchi non soltanto utili ma anche umani.
L'ospedale attuale non è strutturato per assistere lungodegenti: tutti i suoi
servizi mirano ad una diagnosi più precoce e rapida possibile e alla terapia
medica e chirurgica della fase acuta.
Per gli ammalati a degenza intermedia e a degenza
prolungata esiste il vuoto.
I pochi presidi riabilitativi (spesso di tipo settoriale
soltanto) non solo sono insufficienti ma qualche volta
sono anche sottovalutati da una classe medica iperinfatuata
dal mito farmacologico. Un paziente anziano, in
misura più accentuata di soggetti di età più giovane,
necessita per il recupero funzionale dei propri organi ed apparati, messi in
crisi da un evento patologico, di presidi terapeutici graduati, nel senso di
una diminuzione dell'intensità di cura farmacologica
col passare dalla fase acuta a quella media e lungodegenza. Nel
contempo la gradualità terapeutica si diversifica nelle varie fasi sulla
malattia con un incremento delle prestazioni riabilitative di varia natura nei
periodi di media e lungodegenza.
Se non si opera in questa direzione e con questo
spirito, si produrrà solo e soltanto il caos, l'inerzia, la scontentezza nel
personale d'assistenza medico e paramedico, l'invivibilità fra ammalati di diversa
età e patologia.
Proposte operative
Il paziente lungodegente geriatrico
è un paziente particolare che si diversifica in modo
sostanziale da altre categorie di ammalati, per la contemporanea coesistenza
di fattori strettamente medici e di fattori socio-economici assistenziali. Per
un siffatto tipo di paziente riteniamo che soltanto una razionale
organizzazione ospedaliera strettamente collegata con il territorio ed i suoi servizi
extraospedalieri possa determinare una soddisfacente
soluzione del problema.
Va da sé che ogni verifica deve superare una fase
sperimentale per valutare i risultati ottenibili, nell'analisi, la più
corretta possibile, di tutte quelle variabili che emergono sia dai servizi e
sia dai bisogni differenti dei vari territori.
Secondo vari AA. esiste una
gamma di bisogni che assumono caratterizzazioni sanitarie complicate da
problemi sociali. Per questi ricercatori ci sono delle affezioni morbose che
dopo essere state diagnosticate e trattate terapeuticamente
necessitano di un periodo di ulteriore degenza,
durante la quale è prevalente il momento assistenziale di tipo
infermieristico.
In altri termini ci sono dei soggetti ancora ammalati
la cui degenza ospedaliera può essere ridotta, con il loro invio in apposite strutture post ospedaliere, dove verrebbero
somministrate «cure minime di tipo farmacologico e
riabilitativo».
Tali servizi post ospedalieri dovrebbero porsi a
cerniera tra i servizi sanitari di base e l'ospedale e dovrebbero essere
dimensionati in modo limitato.
Il servizio dovrebbe garantire le seguenti attività:
- assistenza infermieristica;
- distribuzione di farmaci;
- attività sociali, con particolare
riguardo al mantenimento dei rapporti familiari e sociali;
- assistenza specifica per interventi di riabilitazione;
- consulenza medico specialistica
per verifiche dei trattamenti in atto;
- assistenza medico specialistica
per eventuali evenienze morbose.
Il servizio post ospedaliero, svolto da personale
medico e paramedico qualificato, deve assicurare ai pazienti
degenza diurna e notturna e garantire l'assistenza infermieristica per
tutto l'arco della giornata. Non si comprende bene perché
una struttura ed un servizio simile non possa chiamarsi ospedale e non sono ben
chiari i rapporti legali intercorrenti tra l'ospedale che dimette e il post
ospedale che accetta. D'altronde il servizio post ospedaliero non può essere
considerato un sostitutivo dell'assistenza domiciliare, in quanto gli utenti
sono soggetti che ancora necessitano di cure, e
pertanto non dimissibili a domicilio.
In conclusione il post-ospedale poco differirebbe
dal convalescenziario della vecchia legge del 1938, ed in pratica per la sua
strutturazione si configurerebbe come un cronicario altrettanto squallido e totalizzante come quelli attualmente esistenti.
Tralasciando pertanto soluzioni tipo pannicelli caldi,
quali sarebbe in ultima analisi l'istituzione del
post-ospedale, daremo, in sintesi per ovvi motivi, alcune proposte operative,
che riteniamo se non altro realistiche. Secondo noi un modello sperimentale
operativo ospedaliero dovrebbe seguire il concetto organizzativo delle
cosiddette cure graduate, nello spirito di quella assistenza
globale che caratterizza e contraddistingue la geriatria.
L'assistenza intramuraria
ospedaliera al paziente geriatrico dovrebbe essere attuata in una struttura polivalente (dai 60 ai 100 posti
letto) dove le varie fasi della malattia acuta, sub-acuta e cronica vengono
seguite in zone differenti. La diversità delle varie zone di una struttura di
tal fatta starebbe non solo nel tipo di terapia
(intensiva, media, lieve) ma anche nella qualità della stessa: essenzialmente farmacologica nelle prime fasi della malattia, più
spiccatamente riabilitativa successivamente.
La struttura polivalente deve essere
ubicata nel contesto di un ospedale e dovrebbe avere personale idoneo
come numero e qualità (assistente sanitaria e sociale con compiti multipli, fisiokinesiterapisti, ecc.); dovrebbe inoltre avere un
ambulatorio geriatrico di reparto con funzione di
filtro ai ricoveri, prevenzione e diagnosi precoce dei fattori di rischio della
arteriosclerosi, rapporto costante con le strutture socio-sanitarie del territorio.
A completamento della divisione geriatrica è
indispensabile l'istituzione dell'ospedale di giorno, con il compito di
seguire i dimessi, di curare pazienti non necessitanti di ricovero (ma che vengono
attualmente ricoverati).
Un'esperienza inglese di Oxford
potrebbe essere trasferita anche in Italia: eventuale destinazione di alcuni
letti del reparto in letti fluttuanti (floating bed), vale a dire letti destinati ad accogliere pazienti
necessitanti di ricovero ospedaliero per brevissimi periodi (2-3 giorni).
Viene raggiunto in tal modo anche uno sgravio
assistenziale per i familiari, che sono indotti, per il beneficio derivante da
tale servizio, a mantenere nel contesto familiare il proprio congiunto
anziano.
Per quanto concerne la zona delle cure a degenza
prolungata, viene privilegiata la medicina
riabilitativa nei suoi diversi aspetti. Il servizio sanitario in questo settore
sarà svolto, a rotazione, dagli stessi sanitari che operano nei reparti di
terapia intensiva o sub-intensiva.
Alla struttura polivalente geriatrica dovrebbe far
capo anche una zona dove vengono fornite cure minime a
soggetti ancora non completamente guariti e necessitanti di prestazioni
sanitarie. In questo settore è prevalente un servizio di tipo paramedico
(infermieristico, riabilitativo o semplicemente di assistenza
e vigilanza).
In conclusione l'importanza fondamentale nella
condizione dell'assistenza sanitaria geriatrica risulta la gestione unitaria
sia per quanto attiene l'attività intramuraria, sia
per quel che riguarda i servizi ubicati nel
territorio.
* * *
Ritenersi uomini liberi e non uomini
dimezzati, comporta, da parte nostra, un'analisi non subordinata ad ordini di
scuderia. Ne consegue che, per quanto attiene i lungodegenti anziani, che
potremmo definire «i non garantiti» per antonomasia, proponiamo un'assistenza
ospedaliera in idonei reparti a tipo riabilitativo, nello spirito di quelle
cure graduali, a cui si accennava prima.
Se il nostro pensiero poteva essere di diversa natura
nel vicino passato, non vuol dire che averlo mutato,
si traduca in un nostro voltagabbanismo.
L'onestà di vedere i fatti con gli occhi da bambino, dà all'uomo la sincerità nelle risoluzioni da
prendere.