Prospettive assistenziali, n. 47,
luglio - settembre 1979
L'INCREDIBILE
STORIA DI STEFANIA
Di
Stefania, adottata con adozione speciale da una famiglia piemontese e
contemporaneamente adottata con adozione ordinaria da una coppia siciliana,
abbiamo pubblicato nel numero scorso la cronistoria e l'allarmante
sentenza della Corte di Cassazione.
Pubblichiamo
ora un commento della sentenza suddetta redatto da G. Battistacci,
Presidente del Tribunale per i minorenni dell'Umbria, l'ordinanza della Corte di appello di Torino che pone all'esame della Corte
costituzionale il problema della compatibilità fra adozione speciale e
ordinaria e un esposto dell'Associazione nazionale famiglie adottive e
affidatarie al Consiglio superiore della Magistratura.
Nel
frattempo, come deciso dalla Corte di appello di
Torino, Stefania resterà presso la famiglia piemontese.
COMMENTO DI G. BATTISTACCI
L'incredibile storia di Stefania è
stata già illustrata, elencando gli innumerevoli provvedimenti di giudici
diversi che si sono occupati di lei, nel n. 46 di Prospettive assistenziali. Sembra addirittura
assurdo che alla distanza di dodici anni dalla entrata
in vigore della legge sull'adozione speciale non siano
penetrati nella mentalità di molti - compresi una parte di magistrati - principi
come quelli che i diritti del minore non possono essere subordinati a quelli
degli adulti e che gli adulti, compresi i genitori, non hanno il diritto di
decidere, senza alcun controllo, della sorte dei figli sino a cederli - in
pagamento o senza non importa - ad altri a scopo adottivo o come forza lavoro.
Tutto questo richiede riforme sostanziali sul piano legislativo, in particolare,
la riforma della legislazione minorile ed anche quella dell'adozione speciale,
almeno sotto il profilo se non dell'abolizione sicuramente della riduzione a
pochi casi residuali dello spazio da dare all'adozione ordinaria e della
previsione di sanzioni penali per la cessione dei propri figli ad altri.
Il Tribunale per i minorenni di
Torino aveva imboccato decisamente e correttamente la
via della tutela dei diritti di Stefania con il suo provvedimento in data 24
marzo 1976 allorché ne aveva dichiarato l'adottabilità sotto il profilo che la
cessione della bambina ad estranei integrasse una evidente situazione di
abbandono e tale principio ha trovato conferma nella pregevole sentenza della
Corte di Cassazione del 13 gennaio 1978 n. 156.
La situazione di Stefania è stata
ribaltata prima dalla decisione della Corte di appello
di Palermo, Sezione per i minorenni in data 2 marzo 1977, la quale, revocando
un suo precedente provvedimento in data 21 novembre 1976, dichiarava l'adozione
ordinaria di Stefania da parte dei coniugi Marino, ai quali la madre l'aveva
ceduta e poi dalla Corte di Cassazione che, con sua sentenza in data 3 ottobre
1978, decideva che la pronuncia dell'adozione ordinaria di Stefania da parte
dei Marino faceva cessare lo stato di adottabilità della minore e quindi
faceva venire meno ogni possibilità di adozione speciale.
Innanzitutto il provvedimento della Corte di
appello di Palermo è da ritenere almeno «anomalo», come lo definisce la Corte
di Cassazione nella sentenza 13 gennaio 1978 n. 156. Infatti, se è vero che
ogni provvedimento camerale di natura non oggettivamente decisoria,
e tale potrebbe ritenersi il provvedimento che dichiarava
non farsi luogo all'adozione ordinaria della minore, può essere sempre oggetto
di revoca, va però rilevato che competente a riesaminare la nuova istanza dei
coniugi Marino diretta ad ottenere una pronuncia di adozione ordinaria della
minore era il Tribunale per i minorenni di Palermo e non la Sezione minorenni
della Corte di appello. Infatti il primo provvedimento del Tribunale di reiezione
della istanza dei Marino aveva acquistato un carattere
definitivo, anche a seguito del provvedimento della Corte di appello Sez. minorenni in data 21 aprile 1976, mentre l'art. 313
C.C. e l'art. 3 della legge 5 giugno 1967 n. 431 prevedono la competenza a
pronunciare l'adozione ordinaria esclusivamente del Tribunale ordinario, in
caso di adottandi maggiorenni, e del Tribunale per i minorenni, in caso di
adottandi minori. Quindi la Corte di Palermo non dovevasi
ritenere legittimata e competente a pronunciare il provvedimento di revoca suindicato. Ma la decisione più
criticabile resta quella della Corte di Cassazione in data 3 ottobre 1978.
Innanzitutto, la Corte, pur conoscendo e tenendo
presente la precedente sentenza della stessa Corte in data 13 gennaio 1978,
anche se questa lasciava aperto il problema della validità ed efficacia
dell'adozione ordinaria, non si è posto neppure il problema di travolgere le
statuizioni in essa contenuta e di ribaltare così la posizione della minore con
buona pace del principio proclamato nell'art. 65 dell'Ordinamento giudiziario
per cui la Corte di Cassazione assicura l'uniforme interpretazione della legge
e l'unità del diritto oggettivo nazionale e soprattutto con buona pace della
tutela dell'interesse della minore. In secondo luogo la Corte nella sentenza 3
ottobre 1978 ha affermato la coesistenza e posto sullo stesso piano i due
istituti dell'adozione ordinaria e dell'adozione speciale, ignorando quanto
affermato dalla prevalente giurisprudenza in merito e di legittimità
in ordine alla preferenza e alla prevalenza da darsi all'adozione speciale
rispetto a quella ordinaria, dovendosi compiere scelte tra i due istituti esclusivamente
tenendo conto dell'interesse del minore e tenendo conto che l'adozione
ordinaria si pone come istituto utilizzabile in via residuale quando non sia
concretamente possibile l'adozione speciale. Afferma in proposito la Corte di
Cassazione nella sentenza in data 13 gennaio 1978 quanto segue: «L'adozione speciale assicura al minore un
nucleo familiare adeguato alle sue più profonde esigenze, realizzando un
rapporto nel quale il limite differenziale di età
imposto dalla legge garantisce la presenza di genitori idonei a svolgere il
ruolo loro proprio, più aperti alle componenti socioculturali della società in
rapida evoluzione (che sono più difficilmente accettate da persone anziane
legate agli schemi ideologici e comportamentali dominanti all'epoca della loro
formazione e quindi meno adatte in generale allo svolgimento di compiti
educativi e promozionali della personalità del minore).
A
seguito dell'adozione speciale il minore acquista lo stato di figlio legittimo
degli adottanti, stabilisce pieni rapporti di parentela con gli ascendenti e
discendenti dei medesimi, ed acquista uno status personale di stabilità
assoluta (mentre l'adozione ordinaria e l'affiliazione possono essere, sia
pure in casi limitati, assoggettati a procedimenti di revoca).
La
stessa rottura dei rapporti dell'adottando con la sua famiglia di origine, necessario riflesso dell'inserzione optimo iure in quella adottiva, costituisce anch'essa, in
definitiva, circostanza di cui il minore viene a giovarsi, sia perché la compresenza
di figure di genitori adottivi e di genitori naturali, tipica della adozione
ordinaria, soprattutto rispetto a soggetti in tenera età, rappresenta un
elemento di confusione e perturbazione psicologica affettiva, sia perchè il
minore, e la famiglia in cui è stato inserito, sono messi al riparo da
interventi di disturbo dei genitori naturali».
Nella specie va anche tenuto
presente che gli adottanti con adozione ordinaria pare fossero
ultra cinquantenni.
In terzo luogo la Corte di
Cassazione nella sentenza in data 3 ottobre 1978,
compie quasi una equiparazione tra il venir meno dello stato di adottabilità
perché non ricorre più una situazione di abbandono a seguito di una situazione
diversa verificatasi nell'ambito della famiglia naturale del minore (genitore o
parenti tenuti agli alimenti), come prevede l'art. 314/8 C.C. e il venir meno
dello stato di adottabilità per la presenza di genitori adottivi a seguito di
una pronunzia di adozione ordinaria, con ciò quasi giungendo ad equiparare la
persona dei genitori e dei parenti naturali con quella dei genitori adottivi e
quindi la tutela da apprestare agli uni e agli altri. Non avrebbe dovuto
ignorare la Corte che la legge sull'adozione speciale pone una serie di sbarramenti
a una pronuncia definitiva e irretrattabile
dello stato di adottabilità di un minore proprio perché tiene conto
giustamente degli interessi e della posizione della famiglia legittima o
naturale, la quale gode nel nostro ordinamento di una considerazione
preferenziale rispetto a qualsiasi altra soluzione alternativa, considerazione
che può essere superata esclusivamente dal prevalente interesse del minore
che la famiglia è incapace di soddisfare e tutelare e non certo da quello della
famiglia adottiva.
Soprattutto però è criticabile il
principio affermato dalla Corte per cui lo stato di
adottabilità sarebbe venuto meno, cioè sarebbe cessato (art. 314/17 C.C.), perché
era intervenuta l'adozione ordinaria che avrebbe fatto appunto venir meno lo stato
di abbandono e ciò per due ordini di considerazioni. Innanzitutto
la norma di cui all'art. 314/17 C.C., per la sua
collocazione nel testo legislativo e in base ai principi ispirativi e ai lavori
preparatori della legge sull'adozione speciale, devesi ritenere che è riferita
esclusivamente ad una pronuncia di adozione speciale e non a quella di
adozione ordinaria.
Ma poi va tenuto presente quanto
affermato dalla Corte di Cassazione nella precedente decisione del 13 gennaio
1978 per cui «nell'affidamento
a terzi a scopo di adozione ordinaria del figlio minore di anni otto da parte
del genitore naturale deve ravvisarsi una situazione di abbandono che
giustifica la dichiarazione di adottabilità in vista dell'adozione speciale la
quale, per coloro che non abbiano ancora raggiunto tale età rappresenta il
mezzo ottimale di realizzazione del diritto alla famiglia, cui può derogarsi
eccezionalmente solo quando lo richieda la particolarissima situazione di
specie».
Operare diversamente, come fa la
Corte nella sentenza del 3 ottobre 1978, significherebbe solo, come purtroppo
spesso avviene, favorire l'aggiramento delle norme sull'adozione speciale,
ignorare il problema della tutela effettiva degli interessi
dei minori, dare un contributo al già fiorente mercato dei bambini.
ESPOSTO AL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (1)
Al Presidente, al Vice Presidente e ai Componenti
del Consiglio Superiore della
Magistratura
La sottoscritta Associazione, eretta
in ente morale con D.P.R. n. 462 del 19 marzo 1973, e con sede Nazionale in
Torino, Via Artisti 34, che ha come scopo statutario
la tutela dei minori intesa come azione promozionale tendente ad ottenere
provvedimenti legislativi e di intervento sociale adeguati nei loro confronti,
sente il dovere di segnalare la seguente vicenda giudiziaria:
Stefania nacque il 21 gennaio 1976
all'Ospedale Sant'Anna di Torino. La madre Gioia
Maria Domenica dichiarò che non intendeva riconoscere la bambina che venne quindi registrata come figlia di ignoti e portata, il
2 febbraio, all'istituto per l'infanzia e la Maternità della Provincia in
attesa di essere dichiarata in stato di adottabilità
e data in affidamento preadottivo.
La madre, però, si presentò il 17
febbraio 1976 all'IPIM di Torino sostenendo di aver riconosciuto la bambina,
esibendo la relativa attestazione ed asserendo di volerla affidare a degli zii,
residenti in Puglia, i quali le custodivano l'altro figlio nato nel 74 ed anch'esso
già ricoverato all'IPIM. Questo istituto il 18 febbraio 1976, accertata l'effettiva
disponibilità degli zii, consegnò la bambina alla madre che la accompagnasse presso di loro.
Nello stesso giorno però la Gioia
Maria Domenica, che era stata interpellata precedentemente
da un'infermiera dell'Ospedale Sant'Anna di Torino,
con quest'ultima e pare con un avvocato di Palermo,
partì in aereo per questa città; con i viaggiatori erano anche tali coniugi
Gioacchino Marino e Vincenza Scalia.
Il giorno successivo, il 19 febbraio,
davanti al Tribunale per i minorenni di Palermo la
madre prestò il proprio consenso all'adozione ordinaria di Stefania da parte
dei coniugi Marino - Scalia. Costoro come risulta dai successivi atti processuali in quella occasione
consegnarono L. 250.000 alla Gioia Maria Domenica che
ripartì per Torino nella stessa giornata.
Il 20 febbraio gli zii della madre
della bambina segnalarono all'Istituto Provinciale per l'infanzia e la
Maternità che la nipote con la figlioletta non erano
giunte presso di loro. L'Istituto allora segnalò il fatto al
Tribunale per i minorenni di Torino che, dopo aver interpellato la madre
(esiste verbale), ordinò l'immediata restituzione della piccola, disponendo che
fosse riportata all'IPIM di Torino. In seguito lo stesso Tribunale, il
24 marzo 1976, dichiarò lo «stato di adottabilità» di
Stefania in base alle dichiarazioni della madre di non voler più vedere la
figlia, alla sua cessione a sconosciuti con accettazione di denaro, ritenendo
che queste circostanze comprovassero una evidente situazione di abbandono
materiale e morale.
Intanto il 23 marzo 1976, un giorno
prima di tale decreto, il Tribunale per i minorenni di Palermo respingeva la
domanda di adozione ordinaria presentata dai coniugi
Marino - Scalia e il decreto veniva confermato dalla
Corte d'Appello di Palermo il 21 aprile successivo.
Nel frattempo la madre ed i coniugi
Marino - Scalia, quali «aventi interesse» a loro
dire, avevano proposto opposizione allo stato di adottabilità, che fu respinta; la decisione venne confermata
dalla Corte d'Appello di Torino in data 14 dicembre 1976.
La posizione giuridica della piccola
Stefania sembrava pertanto ormai ben definita.
Il Tribunale per i minorenni di
Torino, per evitare un dannoso prolungarsi del ricovero in istituto, la
affidò nell'estate 1976 ad una coppia di coniugi torinesi in
attesa di poter procedere all'affidamento preadottivo.
Tutto pareva svolgersi per il meglio quando, del
tutto imprevedutamente, la Corte d'Appello di
Palermo il 2 marzo 1977 previo, pare, nuovo ricorso dei coniugi Marino - Scalia riesaminava il provvedimento negativo emesso un anno
prima e in contrasto col medesimo pronunziava l'adozione ordinaria di Stefania
da parte dei medesimi.
Intanto la Suprema Corte respingeva
il ricorso della madre contro lo stato di adottabilità
e il 3 ottobre 1978 il Tribunale per i minorenni di Torino pronunziava
l'adozione speciale della piccola Stefania da parte dei coniugi cui era stata
affidata nel 1976.
Ma lo stesso 3 ottobre 1978, la
Suprema Corte, contraddicendo nella sostanza quanto aveva deciso il 13 gennaio
dello stesso anno, dichiarò che l'adozione ordinaria di Stefania cui aveva
fatto luogo la Corte d'Appello di Palermo, con quel «singolare e anomalo» provvedimento cui si è fatto cenno, faceva
cessare lo stato di adottabilità
della piccola.
Potrà codesto Consiglio richiedere
completa documentazione ai rispettivi Organismi Giudiziari.
In questa sede, non ritiene la
sottoscritta Associazione, di dover disquisire sulla complessa procedura tutt'ora
sotto esame.
Chiede però con fermezza a codesto Supremo
Consiglio di volersi esprimere sul provvedimento emesso dalla Corte d'Appello
di Palermo in contraddizione con quello emesso sullo stesso argomento, un
anno prima.
Chiede soprattutto di voler
accertare entro quali margini di legittimità abbiano agito
quei giudici. Non crede sia mai avvenuto che lo stesso organo giudiziario, a
distanza di un anno, dopo essersi già pronunciato in modo negativo, si «ravveda» e si pronunci in senso positivo.
Chiede ancora la sottoscritta
Associazione, se ciò rientri nei poteri discrezionali dei giudici, o se non sia da parte loro esorbitato, e ciò in modo tanto più grave
sul piano della giustizia sostanziale, perché attiene alla drammatica
situazione di una bambina «sola» in tenerissima età.
In conclusione confida in un
tempestivo ed approfondito interessamento.
ORDINANZA DELLA CORTE D'APPELLO DI
TORINO
La Corte d'Appello
di Torino - Sezione Speciale per i minorenni riunita in Camera di Consiglio
nelle persone dei signori: dr. Alberto Pagge, Presidente; dr.
Giancarlo Pregno, Consigliere; dr. Enrico Cibrario, Consigliere rel. est.;
dr. Wilma Beano in Viglione, Componente
privato; dr. Pierino Rollero,
Componente privato ha pronunciato la seguente
Ordinanza, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, nei procedimenti
iscritti ai numeri 27, 50, e 49 del Ruolo di Volontaria Giurisdizione Minori
per l'anno 1979 (ricorrenti Marino Gioacchino e Scalia
Vincenza), e, come infra disposto, riuniti sotto il
numero 27/79.
*
* *
La Corte premette che i tre
procedimenti, di cui trattasi, promanano da ricorsi
dei coniugi M. G. e S. V. (nati a Marsala, rispettivamente, il 19 ottobre 1924,
e, il 22 novembre 1928), in proprio, e, anche (nn. 49 - 50), quali genitori adottivi ordinari (come da decreto 2/25
marzo C. A. Palermo - sez. Min.)
della minore infra-ottenne G. Stefania (n. Torino, il 21 gennaio 1976): - il primo (n.
27/29) di detti ricorsi fu presentato, in data 28 febbraio 1979, ai sensi degli
art. 739-392 c.p.c., a fine
di conseguimento, in sede di riassunzione per rinvio dalla Cassazione (sent. 399, Sez. Civ. Prima, 3 ottobre 1978 - 19 gennaio 1979), e, in riforma
del decreto 3/8 giugno 1977 Trib.
Min. Torino, della declaratoria di cessazione, ex
art. 314/ 17 c.p.c., per
sopravvenuta adozione ordinaria, dello stato di adottabilità speciale della
predetta minore G. Stefania, dichiarata dal Trib. per
i Min. di Torino con decreto 24 marzo 1976,
confermato in sede di opposizione e di gravame (sentt. 24 giugno - 31 luglio 1976 T.
M. Torino, 14 dicembre 1976 - 19 gennaio 1977 della Corte d'Appello di Torino,
12 luglio 1977 - 13 gennaio 1978 n. 156 della Corte di Cassazione - Sezione
Prima Civile) e, ribadito dal Tribunale Minorile Torinese con il reclamato
decreto 3/8 giugno 1977; - il secondo (n. 50/1979) fu presentato in data 26 aprile
1979, ai sensi dell'art. 314/22 c.c.,
a fine di annullamento del decreto 22 luglio 1977 del Tribunale per i
Minorenni di Torino, avente, ad oggetto, l'affidamento preadottivo
speciale della predetta minore Stefania (ivi indicata con i cognomi «G. M.»)
ai coniugi R. F. (nato a Torino il 5 febbraio 1938) e
D. L. (nata a Rosolina il 5 marzo 1938); - il terzo
(n. 49/1979) fu presentato in data 26 aprile 1979, ai sensi dell'art. 314/25 c.c., a fine di annullamento del
decreto 29 settembre 1978 del Tribunale per i Minorenni di Torino, relativo
all'adozione speciale di G. M. Stefania da parte dei predetti coniugi R. F. e D. L.
Questi due ultimi sono intervenuti
nel procedimento-base, al pari dell'avv. Paola De
Benedetti, curatore speciale della piccola Stefania, (come da decreto
presidenziale 19 aprile 1979).
È stato acquisito, nelle tre
procedure in esame, il parere del Procuratore Generale.
Delineati sommariamente soggetti e oggetti
dei ricorsi, la Corte reputa che la complessità sostanziale e processuale della
vicenda comporti l'esposizione, ancorché sintetica, dello svolgimento dello
stessa, per la migliore comprensione delle peculiarità del caso di specie.
Il giorno 21 gennaio 1976, in
Torino, nell'ospedale di Sant'Anna, ov'era ricoverata, la minorenne nubile G. M. D., nata a Latiano (Brindisi) il 25 febbraio 1958, diede alla luce
una bambina, alla quale, in data 26 gennaio 1976, il competente Ufficiale
dello Stato Civile impose il nome di Stefania e il
cognome «T», inviando la neonata all'istituto Provinciale per l'infanzia e la
Maternità (I.P.I.M.) di Torino, ove Stefania fu
ricoverata in data 2 febbraio 1976.
Successivamente, G. M. D., sollecitata da una
infermiera, dell'ospedale, di cui sovra, a riconoscere la bambina allo scopo
di sistemarla presso una famiglia estranea, lasciato il proprio paese
d'origine, in cui, in quel momento, si trovava, tornò precipitosamente a
Torino, e, previe intese con terzi, in data 13 febbraio 1976 addivenne al
riconoscimento di Stefania, quale sua figlia naturale; e, in data 18 febbraio
1976 riuscì a farsi restituire, dall'Istituto per l'infanzia, la bambina, col
pretesto di volerla personalmente allevare presso zii intenzionati ad ospitarla
con la prole; a questo punto, G. M. D., trasferitasi, con infante, infermiera
ed altri, in volo, a Palermo, il giorno 19 febbraio 1976 comparve avanti a un
magistrato di quel Tribunale Minorile, espresse consenso e assenso all'adozione
ordinaria di Stefania da parte di M. G. e S. V., consegnò la neonata a detti
coniugi e ricevette, dai medesimi, la somma di L.
250.000, «per il favore» fatto loro.
Edotto dall'I.P.I.M. dell'accaduto e interrogata G. M. D. (la
quale, tra l'altro, aveva mostrato di ignorare il nuovo recapito della bambina
e aveva dichiarato di non averla più vista e di non avere intenzione di
vederla), il Tribunale per i Minorenni di Torino, con decreto 15/16 marzo
1976, ritenuta la condotta pregiudizievole, per la bambina, posta in essere
dalla madre naturale, visti gli artt. 333, 336 c.c., ordinò l'immediata restituzione
e l'affidamento all'I.P.I.M. della neonata G.
Stefania, mandando, al detto Istituto, di provvedere al reperimento della
minore, presso la famiglia M., in Marsala.
Pur gravandosi contro questo
provvedimento con un reclamo (il quale fu respinto da questa Corte con decreto
29 aprile 1976), i coniugi M. riportarono a Torino l'infante, la quale fu nuovamente
ricoverata presso l'I.P.I.M. in data 24 marzo 1976.
Lo stesso giorno, con apposito decreto, il Tribunale
per i Minorenni di Torino, visto l'art. 314/11 c.c.,
dichiarò lo stato di adottabilità di G. Stefania. Intanto, il Tribunale per i
Minorenni di Palermo aveva respinto la domanda di adozione
ordinaria di G. Stefania, presentata dai coniugi Marino: e, ciò, col decreto di
rigetto 23 marzo '76, il quale fu confermato in data 21 aprile 1976 dalla Corte
d'Appello palermitana.
Con sentenza 24 giugno - 31 luglio
1976, il Tribunale per i Minorenni di Torino, affermata la propria competenza
territoriale, respinse l'opposizione, presentata da G. M. D., contro il
decreto declaratorio dello stato di adottabilità di G. Stefania, e, per
l'effetto, confermò detto decreto.
Con provvedimento 12 giugno - 16
luglio 1976, il Tribunale per i Minorenni di Torino, visto l'art. 314/6 c.c.
dispose l'affidamento della minore G. Stefania ai coniugi R. F. e D. L. In data 21
luglio 1976 la piccola Stefania fu accolta in tale famiglia,
presso la quale, da allora, e, cioè, da circa tre anni, si trova.
Con sentenza 14 dicembre - 19
gennaio 1977, la Corte d'Appello di Torino (Sezione Minorenni), visto l'art.
314/14 c.c., dichiarò
inammissibile l'intervento, nel procedimento, dei coniugi M. G. e S. V.
dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 314/2 c.c., in relazione all'art. 3 della
Costituzione, respinse l'appello proposto da G. M. D. e confermò l'impugnata
sentenza 24 giugno 1976 del Tribunale per i Minorenni di Torino.
Nelle more del ricorso per
cassazione di detta sentenza, con decreto 2/25 marzo 1977, la Corte d'Appello
di Palermo (Sezione Minorenni), su conforme istanza
degli interessati, in revoca del proprio decreto del 21 aprile 1976 e in
riforma del decreto 23 marzo 1976 del Tribunale per i Minorenni di Palermo,
dispose farsi luogo all'adozione ordinaria di G. Stefania, da parte dei coniugi
M. G. e S. V.
In base al più recente decreto della
Corte palermitana, questi ultimi, nell'aprile 1977, si presentarono al
Tribunale per i Minorenni di Torino e al locale I.P.I.M., tentando di conseguire l'affidamento e la consegna della
piccola Stefania; senonché, il Tribunale per i
Minorenni di Torino, con decreto 7 aprile 1977, visto l'art. 314/16 c.c., deferì all'I.P.I.M. di
Torino la tutela della minore; indi, con altro decreto in data 8 aprile 1977,
visti gli artt. 333-336, 314/6 e 314/16 c.c. dispose l'affidamento dell'infante all'I.P.I.M.
di Torino; ordinò che la bimba restasse presso il nucleo familiare che già la
ospitava; vietò ogni visita alla minore da parte dei genitori adottivi ordinari
coniugi M., vietò all'I.P.I.M. (tutore e affidatario) di far sapere l'attuale ubicazione della
piccola Stefania ai predetti adottanti ordinari.
Avverso il decreto 8 aprile 1977 del
Tribunale per i Minorenni di Torino, nonché, contro il
provvedimento di affidamento familiare della minore, ex art. 314/6 c.c., promanante dallo stesso Giudice, i coniugi M. S.
presentarono, in data 23 aprile 1977, un reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c., che, iscritto al n. 104/77 Vol.,
fu respinto da questa Corte con decreto 13/18 giugno 1977.
Contro gli stessi provvedimenti
(decreto 8 aprile 1977 e decreto di affidamento
familiare ex art. 314/6 c.c.), i coniugi M. S. proposero, poi, ricorso 30
aprile - 2 giugno 1977, denominato di opposizione a mente dell'art. 314/12 c.c., chiedendo al Tribunale Minorile di Torino
l'annullamento, o, comunque, la revoca dei decreti impugnati: e, ciò, per
carenza di giurisdizione, competenza, poteri, violazioni di legge, e, in ogni
caso, per essere stata pronunziata l'adozione ordinaria.
Ancora i coniugi M. S., con
ulteriore ricorso 27 maggio - 1° giugno 1977, chiesero, al Tribunale per i
Minorenni di Torino, di ritenere e dichiarare che lo stato di adottabilità
della minore G. Stefania e il relativo procedimento erano venuti meno per effetto del decreto di adozione
ordinaria emesso dalla Corte d'Appello di Palermo, instando, in subordine, per
la revoca dello stato di adottabilità ex art. 314/18
c.c.
Con decreto 3/8 giugno 1977,
dichiarato immediatamente esecutivo, il Tribunale per i Minorenni di Torino, riuniti
i due ricorsi, respinse tutte le istanze proposte dai
coniugi M., compresa quella rivolta alla revoca dello stato di adottabilità
della minore G. M. Stefania; confermò (sia sotto il profilo degli artt. 330-333 c.c., che sotto quello degli artt. 314/6
- 314/16 c.c.) il provvedimento di affidamento della
bambina all'I.P.I.M. di Torino, con l'obbligo di
tenerla presso la famiglia ove già trovavasi, e col
divieto di consegnarla ai coniugi M., nonché di render loro noto l'indirizzo;
confermò, infine, lo stato di adottabilità della predetta G. M. Stefania.
Avverso il predetto decreto 3 giugno 1977, i coniugi M. S. presentarono, in
data 22 giugno 1977 un reclamo ex art. 739 c.p.c., e, in data 11 luglio 1977, un appello, reiterando le non
accolte istanze.
Il reclamo (procedimento n. 161/77 Vol.) fu respinto da questa Corte, con decreto 27 settembre
- 6 ottobre 1977.
L'appello (procedimento n. 255/77 Vol.) fu dichiarato improponibile da questa Corte, con decreto
25 ottobre - 2 novembre 1977.
Frattanto, nel procedimento di opposizione al decreto di adottabilità di G. Stefania, la
Corte di Cassazione (Sezione Civile Prima), con sentenza 12 luglio 1977 - 26
gennaio 1978, n. 156, rigettava il ricorso di M. G., S. V. e G. M. D.,
condannando i ricorrenti alla perdita del deposito e compensando
integralmente, tra le parti, le spese di causa. Nel concludere la sua disamina, il Supremo Collegio, tra l'altro, osservava:
a) non sussistono gli estremi per la
pronuncia della cessazione della materia del contendere a seguito del sopravveduto provvedimento di adozione
ordinaria;
b) resta impregiudicato
il problema della validità ed efficacia di tale
provvedimento emesso in costanza di una dichiarazione di adottabilità;
c) questa dichiarazione, per effetto
della reiezione del presente ricorso, risulta ora per
allora pienamente conforme alla legge nel momento in cui fu emessa nonostante
la pendenza del procedimento di adozione ordinaria;
d) nell'affidamento a terzi a scopo di adozione (ordinaria) del figlio minore di otto anni da
parte del genitore naturale deve ravvisarsi una situazione di abbandono che
giustifica la dichiarazione di adottabilità, in vista dell'adozione speciale,
la quale, per coloro che non abbiano ancora raggiunto tale età, rappresenta il
mezzo ottimale di realizzazione del diritto alla famiglia, cui può derogarsi
eccezionalmente solo quando lo richieda la particolarissima situazione di
specie;
e) la pendenza di un procedimento di adozione ordinaria non legittima i futuri adottanti ad
intervenire in grado di appello nel giudizio di opposizione alla dichiarazione
di adottabilità speciale.
Con decreto 22/26 luglio 1977, il
Tribunale per i Minorenni di Torino, visti il parere favorevole del P.M. e
l'art. 314/20 c.c., dispose
l'affidamento preadottivo della minore G. M. Stefania
ai coniugi R. F. e D. L.
Con decreto 29 settembre - 3 ottobre
1978, il Tribunale per i Minorenni di Torino, sulla domanda
di adozione di G. M. Stefania da parte dei coniugi R.
R. e D. L., sentiti il P.M., i coniugi adottanti,
il Tutore e il Giudice Tutelare e visto l'art. 314/24 c.c.,
decise farsi luogo all'adozione speciale. Con ulteriore
decreto 15 febbraio 1979, lo stesso Tribunale provvide a rettificare da «G. M.»
a «M.» il cognome dell'adottata.
Nel frattempo, i coniugi M. G. e S.
V., avverso i tre provvedimenti reiettivi emessi da
questa Corte nei procedimenti nn. 104, 161 e 255/77, avevano proposto altrettanti ricorsi per cassazione, notificati,
in data 7 febbraio 1978, all'avv. Giuseppe Marzano, quale curatore speciale di G. M.
Stefania, e, iscritti, in data 13 febbraio 1978, rispettivamente, ai nn. 1122, 1123 e 1124 R.G.C.
Provvedendo al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione (Sezione Civile Prima),
con sentenza 3 ottobre 1978 - 19 gennaio 1979, n. 399, previa riunione dei tre
ricorsi, dichiarò inammissibile il ricorso n. 1122/78 contro il decreto 13/18
giugno 1977 di questa Corte, sul reclamo ex art. 739 c.p.c.
avverso il decreto 8 aprile 1977 del locale Tribunale per i Minorenni; accolse,
per quanto di ragione, il ricorso n. 1123/78 contro il decreto 27 settembre - 6
ottobre 1977 di questa Corte, reiettivo del reclamo
ex art. 739 c.p.c. (n. 161/77 Vol.)
avverso il decreto 3/8 giugno 1977 del locale Tribunale Minorile, cassando, in
reiezione all'accoglimento del ricorso, il provvedimento impugnato e rinviando
a questa Corte d'Appello (Sezione per i Minorenni); dichiarò assorbito il ricorso
n. 1124/78 contro il decreto 25 ottobre - 2 novembre 1977 di questa Corte
avente sancito la improponibilità dell'appello (n.
255/77 Vol.) avverso il decreto 3/8 giugno 1977 del
locale Tribunale per i Minori; dichiarò compensate le spese del giudizio di
cassazione; enunciò infine, in motivazione, il dovere di questa Corte di rinvio
di riesaminare il ricorso proposto dai coniugi M. - S., uniformandosi al
principio di diritto, secondo cui, la dichiarazione definitiva di adozione
ordinaria di un minore nel corso di un procedimento di adozione speciale, cui
lo stesso sia sottoposto, determina la cessazione dello stato di adottabilità
già dichiarato e preclude l'ulteriore corso del procedimento.
A seguito di questa seconda
pronunzia della Suprema Corte (3 ottobre 1978 - 19 gennaio 1979, n. 399), i
coniugi M. - S. sono addivenuti, in data 28 febbraio
1979, alla proposizione del primo dei ricorsi, di cui trattasi, (n. 27/29),
riassumendo, in sede di rinvio, il loro reclamo ex art. 739 c.p.c.,
avverso il decreto 3/8 giugno 1977 del Tribunale per i Minorenni di Torino, e,
chiedendo: annullare (o, comunque, revocare, o, riformare) il provvedimento
suddetto; annullare il decreto 8 aprile 1977 del Tribunale per i Minorenni di
Torino; ritenere e dichiarare: lo stato di adottabilità
della minore G. (poi G. M.) Stefania venuto meno e
cessato dallo spiegare effetti dal 2 marzo 1977 (data della pronunzia
dell'adozione ordinaria di detta minore da parte dei coniugi M. S.; il procedimento
di adozione speciale, concernente la prefata minore, promosso dal Tribunale
per i Minorenni di Torino ormai precluso e senza possibilità di ulteriore
corso; il Tribunale per i Minorenni di Torino privo di poteri di ingerenza in
ordine a detta minore; l'affidamento della bimba all'I.P.I.M.
venuto meno, e, di contro, l'obbligo di quell'Istituto
di consegnare la bambina ai genitori adottivi ordinari M. G. e S. V. Il 5
marzo 1979, il P.G. ha chiesto accogliersi il reclamo. Nel
procedimento n. 27/29, in data 26 marzo 1979, F. R.
e L. D. in R., in proprio e quali genitori adottivi
speciali di R. (già G.) Stefania, hanno depositato memoria, nella
quale, tra l'altro, a) sostengono la
nullità dell'adozione ordinaria della minore, ottenuta, dai coniugi M. - S.,
in data 2 marzo 1977, dalla Corte d'Appello di Palermo, per motivi inerenti
alla ritualità della pronunzia, al consenso del legale rappresentante
dell'adottanda, e, alla convenienza dell'adozione; b) fanno presente di convenire, con apposito atto di citazione,
avanti al Tribunale di Palermo, i coniugi M. - S., per la declaratoria, in via
contenziosa, della nullità dell'adozione ordinaria; c) chiedono, quindi che questa Corte voglia sospendere il presente
giudizio in attesa della sentenza del Tribunale di Palermo; d) affermano, altresì, che questa Corte
deve, inoltre, sospendere il presente giudizio e rimettere gli atti alla Corte
Costituzionale perché decida sulla legittimità costituzionale degli artt. 312 n. 3 e 311 del c.c.
In data 19 aprile 1979, il
Presidente di questa Sezione ha nominato l'avv. Paola De Benedetti curatore
speciale della minore.
In data 21 aprile 1979, il ricorso
per riassunzione dei coniugi M. - S. è stato notificato alla predetta
curatrice, a cura dei ricorrenti.
In data 26 aprile 1979, i coniugi M.
- S. hanno depositato, nel procedimento n. 27/29, contro i coniugi R. - D., e,
nei confronti dell'avv. De Benedetti, curatrice speciale della minore, una memoria,
chiedendo ritenere e dichiarare i coniugi R. - D. non legittimati a partecipare
al presente procedimento e il loro intervento inammissibile, sia, per difetto
di legittimazione, sia, per essere stato effettuato in sede di rinvio;
dichiarare, comunque, inammissibili e, rigettare le richieste e istanze dei
coniugi R. - D.; annullare in accoglimento del reclamo, il provvedimento 3
giugno '77 del Tribunale per i Minorenni di Torino, disporre per la consegna,
senza ritardo, della piccola Stefania M., da chi la
detiene, ai genitori adottivi ordinari coniugi M. In particolare, i coniugi M.
- S. assumono il difetto di legittimazione dei coniugi R. - D., in ragione di
una sostenuta nullità, ovvero, disapplicabilità dei
decreti di affidamento preadottivo e di adozione
speciale concernenti la minore e i coniugi considerati: donde, in pari data (26
aprile 1979), la presentazione, da parte dei coniugi M. - S., degli altri due
ricorsi di cui trattasi, dei quali, come sovra anticipato, l'uno (50/ 79),
proposto ai sensi dell'art. 314/22 c.c. ha, per oggetto, l'annullamento del
decreto 22 luglio '77 del Tribunale per i Minori di Torino (relativo all'affidamento
preadottivo speciale di G. M. Stefania ai coniugi R. - D.), e, l'altro (n. 49/79), proposto
ai sensi dell'art. 314/25 c.c., ha, per oggetto,
l'annullamento del decreto 29 settembre 1978 del Tribunale per i
Minorenni di Torino (relativo all'adozione speciale di G. M. Stefania, da
parte dei coniugi R. - D. prefatti;
donde, ancora, nel processo per l'annullamento dell'adozione ordinaria,
promosso dai coniugi R. - D. contro i coniugi M. - S., con atto di citazione,
notificato in data 5 aprile 1979 e iscritto al ruolo generale contenzioso del
Tribunale di Marsala al n. 324/79, la formulazione, da parte dei coniugi
convenuti M. -S., di una comparsa di risposta, datata 20 aprile 1979, nella
quale, tra l'altro, oltre il rigetto delle domande attoree,
si chiede, anche in via riconvenzionale, la
declaratoria dell'essere i coniugi R. - D. privi di legittimazione attiva alla
causa per la radicale nullità del provvedimento di adozione speciale emesso in
totale carenza di poteri.
L'avv. Paola De Benedetti, curatrice
speciale della minore Stefania, si è costituita, nel procedimento n. 27/29,
con comparsa depositata in data 27 aprile 1979,
sostenendo, tra l'altro, la nullità dell'adozione ordinaria (anche ai sensi
degli artt. 296, 1344, 1418 c.c.), e, chiedendo: 1)
sospendersi il procedimento a norma dell'art. 296 c.p.c.; 2) rimettersi la causa alla Corte Costituzionale per
l'accertamento dell'illegittimità degli artt. 311
c.c. (art. 3 L. 5 giugno 1967, n. 431), 312 n. 3 c.c., 314/17 c.c. (art. 4 L. 5 giugno 1967, n. 431); 3) nel merito, respingersi tutte
le istanze proposte dai ricorrenti M.-S.
Con ulteriore
memoria, depositata in data 8 maggio 1979, i coniugi M. - S. hanno replicato
alla comparsa dell'avv. De Benedetti, sostenendo che quest'ultima
non ha veste per partecipare a questo giudizio nella qualità di curatrice
speciale della minore Stefania, né, per spiegare, in esso, domande od istanze,
dichiarando di non accettare il contraddittorio con la predetta curatrice, e,
comunque, per completezza di difesa, e, in subordine, contestando il
fondamento delle argomentazioni e richieste dell'avv. De Benedetti.
In data 19 maggio 1979, il
Procuratore Generale, esaminate le memorie depositate nel procedimento n.
27/79, premesso che, nel concorso tra adozione speciale e ordinaria, la prima
(la quale ha carattere pubblico) ha la preminenza sulla seconda (avente natura
prevalentemente privatistica) e che l'Autorità
Giudiziaria Ordinaria può dare risposta al quesito senz'uopo di rimettere gli
atti alla Corte Costituzionale, ha concluso, chiedendo respingersi il reclamo
M.-S.
In data 14 giugno 1979, il
Procuratore Generale, provvedendo nei procedimenti contrassegnati,
rispettivamente, dal n. 49 e dal n. 50/79, ha concluso, chiedendo: Piaccia
all'Ecc.ma Corte, respinta
ogni diversa istanza ad eccezione, dichiarare i ricorrenti carenti di
legittimità processuale, e, conseguentemente, dichiarare improponibili i
ricorsi da essi presentati. Questa Corte, esaminati gli atti e le conclusioni
delle parti, reputa, anzi tutto, opportuno disporre la riunione, sotto il n.
27/79, dei tre procedimenti (rispettivamente: ex artt.
739-392 c.p.c., 314/22 c.c., e, 314/25 c.c.) contrassegnati dai nn. 27/79, 50/79 e 49/79: e, invero, i tre ricorsi, mercè i
quali, in base al decreto 2/25 marzo 1977 (col quale,
la Corte Minorile di Palermo fece luogo all'adozione ordinaria di G. Stefania,
di M. D., nata a Torino il 21 gennaio 1976, da parte dei coniugi M. G., nato a
Marsala il 19 ottobre 1924 e S. V., nata a Marsala il 22 novembre 1928) i
predetti coniugi M. - S. si propongono di conseguire pronunzia, rispettivamente,
di cessazione dello stato di adottabilità della stessa G. Stefania (dichiarato
dal Tribunale Minorile di Torino con decreto 24 marzo 1976, confermato in tre
gradi di giurisdizione e ribadito nel reclamato
decreto 3/8 giugno 1977 del T. M. di Torino), di
nullità (o, annullamento) del decreto 22 luglio 1977 T.
M. di Torino (relativo all'affidamento preadottivo
di G. M. Stefania ai coniugi R. F., nato a Torino il 5 febbraio 1938, e, D. L.,
nata a Rosolina il 5 marzo 1938), e, di nullità (o, annullamento) del decreto
29 settembre 1978 T. M. di Torino (relativo
all'adozione speciale di G. M. Stefania da parte dei prefati
coniugi R: D.); presentano chiare note di connessione soggettiva e oggettiva,
siccome tra l'altro, accomunati dall'essere, in ognuno dei tre ricorsi
in questione, a sostegno delle rispettive istanze, contenuta l'invocazione del
principio, enunciato, nei confronti di questa Corte di rinvio, ai sensi
dell'art. 384 c.p.c., dalla Corte Suprema di
Cassazione, nella sentenza n. 399/79, e, a mente del quale, «la dichiarazione
definitiva di adozione ordinaria di un minore nel corso di un procedimento di
adozione speciale, cui lo stesso sia sottoposto, determina la cessazione dello
stato di adottabilità già dichiarato e preclude
l'ulteriore corso del procedimento» (ciò, con riferimento al disposto dell'art.
314/17 c.c., secondo il quale, «Lo stato di adottabilità cessa per adozione...»).
A questo punto,
riservata ogni altra pronunzia (e, tra l'altro, segnatamente, quelle, sulle
conclusioni del Procuratore Generale nei procedimenti ex artt.
314/22 e 314/25 c.p.c.,
nonché, sull'ammissibilità della partecipazione alla procedura di rinvio, e,
quindi, anche, sulle richieste dei coniugi R. - D. e dell'avv. De Benedetti,
nelle loro qualità), e, premesso, inoltre, il richiamo dell'insegnamento del
Supremo Collegio (sent. n.
1011/ 1974), secondo il quale, la questione di legittimità costituzionale può
essere sollevata e rilevata, anche d'ufficio, in qualsiasi stato e grado del
processo, compreso il giudizio di rinvio, poiché il principio di diritto
enunciato dalla Corte di Cassazione è vincolante per il giudice di rinvio sul
presupposto della validità costituzionale della norma di cui è espressione,
questa Corte, trovandosi a dubitare fortemente della costituzionalità di
talune disposizioni di legge, la cui applicazione è in discussione nella
presente controversia, ritiene di sollevare d'ufficio la questione della legittimità
costituzionale: a) dell'art. 314/17
c.c. (laddove recita che: «Lo stato di adottabilità
cessa per adozione...»), in riferimento agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo e, 31 comma secondo
della Costituzione; b) degli artt. 3 Legge 5 giugno 1967, n. 431, 311 c.c. (sul
punto della competenza all'adozione), in riferimento agli artt.
2,3, commi primo e secondo, 25, comma primo, 30, comma
secondo, e, 31, comma secondo della Costituzione; c) degli artt. 296311 c.c. (sul
punto del consenso all'adozione del legale rappresentante dell'adottando
minore), in riferimento agli artt.
2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo, e, 31, comma secondo della
Costituzione; d) dell'art. 312, n. 3
c.c. (sul punto della verifica «se l'adozione conviene all'adottando»), in riferimento agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo, e, 31, comma
secondo della Costituzione.
Alla questione di legittimità
costituzionale, ad avviso di questa Corte, va attribuita la priorità anche
sull'altra pregiudiziale, del pari rilevabile d'ufficio, e, relativa alla
sospensione (o meno) del presente procedimento in
attesa della definizione della causa di annullamento dell'adozione ordinaria
di G. Stefania, promossa dai coniugi R. - D. contro i coniugi
M. - S., con citazione notificata in data 5 aprile 1979, avanti il Tribunale di
Marsala, iscritta al n. 324 di ruolo per l'anno 1979. E,
invero, la questione di costituzionalità investe anche la materia di quel
giudizio.
Concorrono, nel caso di specie, le
condizioni per l'instaurazione incidentale del giudizio di legittimità
costituzionale, cioè, la rilevanza, e, la non manifesta infondatezza della
questione.
Per quanto concerne il requisito
della rilevanza, va tenuto presente: che, in base a
un decreto di adozione ordinaria (impugnato aliunde
di nullità), gli adottanti ordinari chiedono dichiararsi cessato lo stato di
adottabilità speciale, ai sensi dell'art. 314/17 c.c. secondo l'interpretazione
enunciata dal Supremo Collegio; che, l'addebito di incostituzionalità concerne,
sia, la disposizione di legge (art. 314/17 c.c. come sovra interpretato) la cui
applicazione costituisce l'oggetto della domanda, sia, altre disposizioni (artt. 3, L. 5 giugno 1967, n.
431-311, 296-311, 312 n. 3 c.c.) tutte applicate per l'emanazione del decreto di adozione ordinaria costituente il titolo dei ricorrenti;
che, quindi, l'accertamento dell'incostituzionalità delle norme comporterebbe,
da un lato, l'inefficacia del titolo, dall'altro, il venir meno dell'oggetto,
e, comunque, il rigetto della domanda; che, conseguentemente, la controversia
non può essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale (art. 23, comma secondo, legge 11 marzo 1953, n.
87).
Il passaggio alla trattazione del
requisito della non manifesta infondatezza della
questione predetta comporta una premessa.
Una sequenza di articoli
della Costituzione (2, 3, 29, 30 e 31), ormai nota perché frequentemente
menzionata nella più recente giurisprudenza e dottrina in materia, evidenzia le
radici costituzionali del diritto del minore alla famiglia. L'art. 2, a quanto
del suo testo si evince, riconosce e garantisce, tra l'altro, il diritto
inviolabile del minore di svolgere la sua personalità, nell'ambito di quella
formazione sociale che è la famiglia.
Quest'ultima, cioè,
la famiglia biologica (artt. 29, 30), può essere
legittima o naturale, e, in essa, il minore ha il diritto di essere mantenuto,
istruito ed educato dai genitori. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge (art. 30, comma secondo)
provvede a che siano assolti i loro compiti. Al riguardo, l'art. 3, comma
secondo sancisce il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana. È chiaro che anche le carenze di ordine
famigliare rientrano tra tali ostacoli da rimuovere. Infine, in base all'art.
31, la Repubblica protegge, tra l'altro, l'infanzia, favorendo gli istituti
necessari a tale scopo. Tutto ciò significa che, nei casi d'incapacità dei
genitori, il minore ha il diritto al proprio inserimento in una
famiglia sostitutiva. Se è vero che la legislazione vigente contempla
una pluralità di istituti impiegabili a fine di sopperimento delle esigenze familiari di una persona
minore infraottenne, se è vero che due di tali mezzi
(l'adozione speciale e l'adozione ordinaria) si stagliano, in concorrenza tra
loro, sullo sfondo della vicenda di specie, non è meno vero che essi
differiscono per natura ed effetti, e, che, al raffronto, l'istituto
dell'adozione speciale (o legittimante), introdotto dalla legge 5 giugno 1967,
n. 431, si appalesa lo strumento migliore per
l'attuazione del diritto del minore della famiglia.
E, infatti, l'adozione speciale,
istituita nell'esclusivo interesse del minore infraottenne
abbandonato, gli assicura l'immissione in un vero nucleo familiare,
comprendente una figura paterna e una figura materna in età di genitori costituenti
una coppia educatrice, particolarmente valida, preparata e selezionata (grazie
alla comparazione con altre coppie aspiranti). L'istituto, inoltre, prevede
un periodo di prova con assistenza specializzata, garantisce al minore adottato
uno status giuridico particolarmente vantaggioso (art. 314/26 c.c.) e fa
cessare i suoi rapporti con la famiglia d'origine che potrebbero originare inconvenienti
traumatizzanti.
In particolare, nell'istituto
dell'adozione speciale può ravvisarsi la diretta attuazione dei principi
costituzionali sovra richiamati. Come la Suprema Corte di Cassazione rilevò,
con la già menzionata sentenza n. 156/78, l'adozione speciale ha «un puntuale
aggancio» costituzionale nell'art. 30, 2° comma Cost., secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la
legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
Inoltre, con sentenza n. 234 del
1975, la Corte Costituzionale riconobbe che l'istituto dell'adozione speciale,
in funzione della tutela dell'interesse del minore che si trova in stato
d'abbandono materiale e morale, appare conforme al disposto dell'art. 3, 2°
comma Cost. Ciò significa che l'adozione speciale è mezzo atto alla rimozione di quelle carenze familiari, le quali impediscono
il pieno sviluppo della personalità del minore. E, ancora, per mezzo
dell'adozione speciale (la quale inserisce l'infante abbandonato in nucleo
familiare idoneo, cioè, la cosiddetta famiglia degli
affetti), la Repubblica è in grado di garantire al minore i diritti inviolabili
di cui all'art. 2 della Costituzione. Sembra incontestabile infine che
l'adozione speciale nella sua qualità d'istituto necessario allo scopo della
protezione dell'infanzia, debba essere favorito ai sensi dell'art. 31 della
Costituzione. Di contro, l'adozione ordinaria, istituita nel precipuo interesse
dell'adottante e finalizzata a dare a quest'ultimo il
discendente-successore di cui è privo, non è strutturata in modo tale da
garantire al minore infraottenne l'innesto in un
nucleo familiare idoneo (per composizione, età e capacità psico-pedagogica)
allo sviluppo della sua personalità. Inoltre, l'adozione ordinaria va guardata
con diffidenza perché si presta al cosiddetto «mercato dei bambini», o, quanto meno, al trasferimento-abbandono di neonati (magari
senza un vero e proprio corrispettivo, ma, pur con un qualche regalo), a terzi
estranei, personalmente rispettabili e umanamente comprensibili, ma, non competitivi
sul piano della Legge 5 giugno 1967, n. 431, e, come tali portati ad eludere il
giudizio di comparazione tra le coppie aspiranti, previsto, a maggior tutela
del minore, dalla normativa sull'adozione speciale.
Non fa, quindi, meraviglia che,
nella sovrarichiamata sentenza n. 156/78, la Suprema
Corte di Cassazione abbia additato l'adozione speciale quale mezzo
ottimale di realizzazione del diritto alla famiglia, per i minori di
anni otto in stato di abbandono, relegando l'adozione ordinaria a mezzo
residuale, utilizzabile soltanto eccezionalmente, in situazioni
particolarissime, in cui, l'adozione speciale non sia concretamente possibile
o consigliabile.
Venendo alla rassegna delle singole
norme, la cui costituzionalità è in questione, questa Corte inizia la disamina
con la disposizione dell'art. 314/17 c.c., secondo la quale, «Lo stato di adottabilità cessa per adozione...». Il testo della legge
consente di essere interpretato nel senso che lo stato di adottabilità
cessa per adozione ordinaria; anzi,
proprio questa interpretazione è quella data dalla Suprema Corte di Cassazione
nella sentenza n. 399/79 e sostanzia il principio di diritto, enunciato a
questa Corte di rinvio, ai sensi dell'art. 384 c.p.c.,
secondo il quale, come già riportato, «la dichiarazione definitiva di adozione
ordinaria di un minore nel corso di un procedimento di adozione speciale, cui
lo stesso sia sottoposto, determina la cessazione dello stato di adottabilità
già dichiarato e preclude l'ulteriore corso del procedimento».
La Corte osserva che, a mente della disposizione in esame, l'adozione ordinaria (cioè, un istituto
non strutturato in modo tale da garantire l'attuazione del diritto del minore infraottenne alla famiglia, e, come tale, relegato ad un
ruolo meramente marginale), col suo sopravvenire, fa cessare lo stato di
adottabilità, con la conseguenza di precludere al minore il conseguimento di quell'adozione speciale, che può ritenersi l'emanazione
diretta dei principi costituzionali minorili e il mezzo ottimale di
realizzazione del diritto del minore abbandonato all'inserimento nella famiglia
degli affetti.
A parte, sotto l'aspetto pratico,
l'inconveniente che un decreto di adozione ordinaria,
possibile frutto d'intesa elusiva dell'adozione speciale e conseguibile in
pochi giorni, può far cessare uno stato di adottabilità suffragato da una
pluralità di sentenze passate in giudicato, mandando in fumo anni di attività
giudiziaria e amministrativa, nonché, consolidati affidamenti, ciò che si appalesa determinante sotto l'aspetto giuridico è che siffatta
cessazione avvenga automaticamente senza nessuna giustificazione, senza previa
valutazione del concreto interesse del minore, senza, in particolare, che sia
acclarato il verificarsi di una di quelle eccezionali ipotesi, nelle quali,
l'adozione ordinaria può utilizzarsi per sopperire al diritto, alla famiglia,
del minore abbandonato, stante la non sperimentabilità
dell'adozione speciale. È chiaro che la disposizione in esame (art. 314/17
ipotesi prima c.c.), in base alla quale l'adozione speciale (strumento
privilegiato per lo inserimento del minore infraottenne abbandonato nella famiglia degli affetti)
viene automaticamente escluso e
rimpiazzato dall'adozione ordinaria (mezzo, come si è visto, strutturalmente
inidoneo all'uopo, e, utilizzabile solo eccezionalmente in via subordinata
previo accertamento in fatto dell'interesse del minore) è in contrasto:
- con l'art. 2 Cost., perché non garantisce l'inserimento del minore in una
formazione sociale-familiare idonea allo svolgimento
della sua personalità;
- con l'art. 3 comma primo Cost., perché, automaticamente, e,
quindi, contro la logica, l'equità ed il buon senso, priva il minore della
possibilità di beneficiare dell'istituto che gli si presenta come ottimale per
l'attuazione del suo diritto alla famiglia, ingenerando, senza ragione,
disparità nella sorte dei bimbi abbandonati, a seconda del loro incappare o
meno nella norma in questione;
- con l'art. 3 comma secondo Cost., perché preclude
automaticamente, senza adeguatamente sostituirle, proprio l'istituto
dell'adozione speciale, riconosciuto dalla Corte Costituzionale (sent. n. 234/75) quale strumento
adatto a rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale (carenze familiari)
che, limitandone di fatto libertà ed eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo
della personalità minorile;
- con l'art. 30 comma secondo Cost., perché inadeguata a
provvedere all'assoluzione dei compiti dei genitori incapaci;
- con l'art. 31 comma secondo Cost., perché favorisce l'istituto
deteriore a scapito di quello poziore, con ciò
realizzando una minor protezione all'infanzia e alla gioventù.
Con riferimento agli artt. 3 L. 5 giugno 1967, n.
431-311 c.c., va, anzitutto,
osservato che, a quanto dal loro combinato disposto, pacificamente, si evince,
la competenza per l'adozione ordinaria di minori appartiene al Tribunale per i
Minorenni del luogo di residenza dell'adottante, laddove, invece, in tema di
adottabilità speciale, la competenza, ai sensi dell'art. 314/4 c.c., è devoluta al Tribunale per i Minorenni, nel cui
distretto, i minori infra-ottenni, privi di
assistenza, si trovano. Ne consegue che, nell'ipotesi, in cui, l'aspirante
adottante ordinario risiede in un distretto diverso, da quello, nel quale,
l'adottando, (minore infra-ottenne in stato di abbandono), si trova, le procedure relative all'adozione
ordinaria e all'adozione speciale seguono corsi separati e indipendenti avanti
a tribunali minorili differenti, con rischio di cognizioni unilaterali e
incomplete, nonché, di duplicità e conflittualità di provvedimenti. Tra
l'altro, la procedura per l'adozione ordinaria, a base prevalentemente privatistica, sommaria e breve, si presta ad essere
strumentalizzata in odio al rito dell'adottabilità speciale, il quale,
profondo, complesso e di lunga durata, può essere all'improvviso, sopravvanzato e bloccato da un inaspettato provvedimento di adozione ordinaria, emesso da un lontano Tribunale Minorile,
limitatamente edotto dalla situazione. La regola processuale
in esame, ad avviso di questa Corte, si appalesa in
contrasto con il principio, enunciato all'art. 25 della Costituzione, secondo
il quale, nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge. E, invero, per quanto concerne i minori di anni
otto in stato di abbandono, giudice naturale precostituito per legge deve
ritenersi quello di cui all'art. 314/4 c.c., cioè, il
Tribunale per i Minorenni, nel cui distretto, il minore si trova. A tale
Tribunale, già destinato a conoscere dell'adottabilità speciale, dovrebbe
essere demandata anche la cognizione in punto adozione ordinaria, così da
consentire, allo stesso collegio, previa disanima globale
della situazione, la decisione, in concreto, migliore, nell'esclusivo
interesse del minore.
La regola processuale in questione (artt. 3 Legge 5 giugno 1967, n. 431-311 c.c.) si appalesa, inoltre, in contrasto
con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, perché
determina differenze di trattamento tra minori, in funzione di un elemento
esterno al loro interesse (cioè, il luogo di residenza dell'aspirante adottante
ordinario).
Infine, la disposizione di legge in
esame, dettata in tema di adozione ordinaria (mezzo
strutturalmente inidoneo a garantire il diritto alla famiglia del minore infra-ottenne abbandonato e soltanto eccezionalmente,
all'uopo, impiegabile), traducendosi, irrazionalmente, in un ostacolo all'utilizzazione
dell'adozione speciale, si pone, per ciò stesso, in contrasto con gli articoli
della Costituzione, di cui, quest'ultimo «ottimale»
istituto può ritenersi diretta attuazione, e, cioè:
- con l'art. 2 (il quale,
nell'adozione speciale, trova lo strumento privilegiato per ('inserimento del
minore abbandonato in una formazione sociale d'ordine familiare, idonea allo
svolgimento della sua personalità);
- con l'art. 3, comma secondo (il
quale, nell'adozione speciale), trova il mezzo adatto alla rimozione degli
ostacoli di ordine familiare impedienti il pieno
sviluppo della personalità minorile);
- con l'art. 30, comma secondo (il
quale nella legge sull'adozione speciale, trova il congegna
adeguato a provvedere all'assoluzione dei compiti dei genitori incapaci);
- con l'art. 31, comma secondo (il
quale, nell'adozione speciale, trova l'istituto giuridico da favorire, per
proteggere, nel modo migliore, l'infanzia e la gioventù).
Anche il combinato disposto degli artt. 296311 c.c., condizionante l'adozione ordinaria del minore al consenso
del legale rappresentante dell'adottando, quando quest'ultimo
sia infra-ottenne e in stato di abbandono, o,
quando, addirittura, consenso siffatto (la cui dazione è, validamente,
all'improvviso, effettuabile fino alla definitività
dello stato di adottabilità speciale) sia per essere lo strumento
dell'abbandono, ovvero, della conferma dell'abbandono (cessione, o, comunque,
trasferimento dell'infante a terzi estranei) non si sottrae alla taccia
dell'incostituzionalità, in quanto si risolve in un intralcio ingiustificato
all'uso dell'adozione speciale (cioè, del mezzo più funzionale all'uopo e più
conforme al sistema costituzionale): donde, il contrasto con gli artt. 2, 3, comma secondo, 30,
comma secondo, 31, comma secondo della Costituzione (sul quale punto, si fa
richiamo alle considerazioni, sovra, in argomento, svolte). Inoltre, la
sopravvivenza, o meno, del consenso in questione, il quale non dà affidamento di essere conforme all'interesse del rappresentato, viene a
determinare irrazionali sperequazioni nel trattamento dei minori, in violazione
del principio di eguaglianza, di cui all'art. 3, comma primo, della
Costituzione. Addivenendo, infine, all'esegesi della disposizione di cui
all'art. 312 n. 3 c.c. (in punto accertamento della convenienza dell'adozione
ordinaria), la Corte osserva che la legge in esame
non sembra avere previsto l'ipotesi dell'adottando-ordinario, minore infra-ottenne in stato di abbandono, e, come tale,
adottabile speciale. E, infatti, la verifica «se
l'adozione conviene all'adottando», stabilita dalla norma, appare
esclusivamente riferibile all'adozione ordinaria, non postulando, affatto,
l'apprezzamento della convenienza, di regola maggiore, dell'adozione speciale.
In altri termini, allo stato della legislazione, il giudice dell'adozione
ordinaria sembra autorizzato a disinteressarsi dell'eventuale pendenza (e,
relativa, maggior convenienza) di una procedura di adottabilità
speciale. Tale, del resto, a quanto dagli atti si evince, è l'interpretazione
data alla norma dalla Corte d'Appello di Palermo nel decreto di
adozione ordinaria 2/25 marzo 1977. Anche la sentenza
n. 399/1979 della Suprema Corte di Cassazione manifesta lo stesso orientamento
interpretativo. Orbene, la disposizione in questione, con riferimento alla
sovra illustrata interpretazione ch'essa impone o
consente, si appalesa in contrasto con il principio
di ragionevolezza insito nell'art. 3 della
Costituzione. Inoltre, la norma in esame, esprimendo, implicitamente, un
aprioristico rifiuto del mezzo «ottimale» a favore del minore abbandonato, mal
si accorda con i più volte ripetuti artt. 2, 3, comma
secondo, 30, comma secondo, e, 31, comma secondo della Costituzione:
valgono, in proposito, e, si richiamano le argomentazioni svolte nella rassegna
delle altre disposizioni denunziate di incostituzionalità.
Concludendo, gli articoli di legge, segnalati
per essere sottoposti al controllo di costituzionalità, evidenziano erroneità e
mancanza di coordinamento tra la disciplina dell'adozione ordinaria e quella
dell'adozione speciale, e, ciò, a tutto, irrazionale, scapito di quest'ultima, ancorché appositamente istituita, a favore
dei bimbi abbandonati, sul modello della Corte Costituzionale. La complessa
vicenda di specie (nella quale, la piccola Stefania, abbandonata dalla
parentela di sangue, e, raggiunta da entrambe le adozioni, viene passionalmente
contesa da una doppia serie di genitori adottivi) rispecchia emblematicamente
i gravi inconvenienti dei difetti legislativi sovra
illustrati e postula che gli istituti giuridici, di cui trattasi, siano
coordinati, tra loro, in modo da poter essere utilizzati, in ragione delle
rispettive attitudini, alla realizzazione di quel «diritto alla famiglia» che
la Costituzione riconosce al minore.
P.Q.M.
La Corte
previa, sotto il n. 27/79, la riunione dei
tre procedimenti nn. 27/79, 49/79
e 50/79, promananti dai ricorsi dei coniugi M. G. e S. V.; riservata ogni altra
pronunzia (e, tra l'altro, segnatamente, quelle, sulle conclusioni del
Procuratore Generale nei procedimenti ex artt.
314/22 e 314/25 c.p.c.,
nonché, sull'ammissibilità della partecipazione alla procedura di rinvio, e,
quindi, anche, sulle richieste dei coniugi R. - D. e dell'avv. De Benedetti,
nelle loro qualità);
visti gli artt.
1 Legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 Legge 11 marzo 1953, n. 87, 1 Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale 16 marzo 1956,
promuove
d'ufficio, siccome rilevante e non
manifestamente infondata, la questione della legittimità costituzionale:
- a) dell'art. 314/17 c.c. (laddove recita: «Lo stato di adottabilità cessa per adozione»), in riferimento agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30,
comma secondo, e, 31, comma secondo della Costituzione;
- b) degli artt. 3 Legge 5 giugno 1967, n.
431 - 311 c.c. (sul punto della competenza circa l'adozione ordinaria), in riferimento agli artt. 2, 3,
commi primo e secondo, 25, comma primo, 30, comma secondo, e, 31, comma secondo
Cost.;
- c) degli artt. 296-311
c.c. (sul punto del consenso all'adozione ordinaria del legale rappresentante
dell'adottando minore), in riferimento agli artt.
2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo, e, 31, comma secondo Cost.;
- d) dell'art. 312, n. 3 c.c. (sul punto della verifica se
l'adozione ordinaria conviene all'adottando), in
riferimento agli artt. 2, 3 commi primo e secondo,
30, comma secondo, e, 31, comma secondo Cost.;
dispone
l'immediata trasmissione della
presente ordinanza, degli atti, e, della prova delle notificazioni, e,
comunicazioni (come infra ordinate), alla Corte
Costituzionale;
sospende
i procedimenti in corso, come sovra
riuniti;
ordina
che, a cura della cancelleria, la
presente ordinanza sia notificata alle parti e al Procuratore Generale,
nonché, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e, altresì, comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Camera di Consiglio.
Torino, lì 20 luglio 1979.
(1) Esposto inviato il
16 maggio 1979 dall'ANFAA. In merito alla vicenda di Stefania si veda il n. 46
di Prospettive assistenziali:
«La Corte di Cassazione favorisce il mercato dei bambini?».