|
LE
REGIONI NON HANNO ANCORA UNA STRATEGIA PER LE |
|
|
A distanza di oltre nove anni della loro istituzione, le Regioni a statuto ordinario non hanno ancora provveduto a definire una strategia di intervento che tenga conto da un lato delle esigenze della popolazione e d'altro canto della situazione degli Enti locali. Si è passati anzi, in molti casi, dal centralismo statale al centralismo regionale, non avendo le Regioni provveduto, per le numerose materie di competenza, ad emanare le leggi di delega agli Enti locali, come imponeva e impone la Costituzione. In casi opposti, per altre Regioni, si rischia di passare dalla proliferazione e frammentazione degli Enti nazionali alla proliferazione e frammentazione degli Enti locali preposti alla gestione (Comuni, Comunità montane, Unità sanitarie locali, Unità locali di assistenza, Consorzi settoriali per singola materia o peggio ancora per determinate prestazioni). Siamo pertanto lieti di ospitare, per gentile concessione della Rivista «Democrazia e Diritto», l'articolo di Luigi Berlinguer «Una nuova geografia istituzionale del governo locale» dove è affrontato il problema dell'attuale polverizzazione dei Comuni, si critica la creazione dei Consorzi fra Comuni che dividono l'amministrazione in ambiti settoriali, separati e incomunicanti e si propone l'istituzione di associazioni comunali polifunzionali. Importante, a questo riguardo, è anche l'articolo che pubblichiamo di C. Trevisan «Dopo il 616 e l'833: una proposta per l'integrazione tra "sociale" e "sanitario"» in cui sono precisati i nodi che il legislatore regionale deve affrontare. Con l'entrata in vigore del DPR 24 luglio 1977 n. 616 era stata data alle Regioni l'occasione di recuperare il ritardo e di provvedere a legiferare con particolare riferimento: - all'art. 17 in cui era precisato che i servizi sociali comprendevano la beneficenza pubblica, l'assistenza sanitaria e ospedaliera, l'assistenza scolastica, i musei e le biblioteche di interesse locale, l'istruzione artigiana e professionale, la polizia urbana e rurale; - all'art. 25 che imponeva alle Regioni l'emanazione di leggi per la definizione degli ambiti territoriali «adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari»; - all'art. 118 che garantiva da parte delle Regioni «la continuità delle prestazioni agli assistiti fino all'approvazione delle leggi regionali di riordino delle funzioni trasferite». Le Regioni venivano dunque investite del potere-dovere di provvedere con proprie leggi alla riorganizzazione di tutte le materie trasferite del DPR 616; proprio per quanto riguarda i servizi sociali il suddetto DPR prevedeva uno strumento fondamentale: la definizione degli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi stessi. Per quanto riguarda poi l'assistenza, il trasferimento doveva decorrere dal 1 ° gennaio 1978. Sono passati quasi due anni e molte Regioni non hanno provveduto né alla definizione degli ambiti territoriali, né alla emanazione delle leggi di riordino. Come abbiamo scritto nell'editoriale del n. 46, le Regioni hanno addirittura rinunciato a trasferire le IPAB ai Comuni. L'unica legge quadro regionale sull'assistenza rimane quella emanata dalla Regione Toscana (1). Numerose sono le leggi emanate da altre Regioni (v. in particolare quelle dell'Umbria e dell'Emilia Romagna); si tratta però di leggi settoriali, anche se alcune di esse contengono disposizioni importanti. Manca tuttavia in tutte le Regioni un indirizzo per la gestione unificata di tutti i servizi di base, e non solo per quelli sanitari e assistenziali: condizione questa indispensabile per una effettiva prevenzione delle malattie, del disadattamento e dell'emarginazione sociale. Le proposte di legge presentate da alcune Regioni per l'attuazione del servizio sanitario nazionale indicano addirittura un arretramento rispetto al principio della inscindibilità fra sanità e assistenza. Ad esempio quelle presentate dalla Giunta regionale della Liguria e del Piemonte dividono i servizi assistenziali in due gruppi con gestioni separate: quelli integrati o integrabili con i servizi sanitari vengono dati in carico ai Comitati di gestione previsti dalla legge 23 dicembre 1978 n. 833 e quelli non integrati o non integrabili ai Consigli direttivi dei Consorzi fra Comuni e/o fra Comunità montane oppure ai singoli Comuni oppure a Consorzi specifici costituiti anche per singole prestazioni. Nelle città metropolitane comprendenti più Unità locali, per lo più gli organi di governo non sono individuati nel Comune e nelle Circoscrizioni di cui alla legge 8 aprile 1976 n. 278 sul decentramento, ma in nuovi organismi. Con queste linee di tendenza non si va verso l'unificazione della gestione delle varie materie di competenza regionale e locale, ma verso la dispersione: il modello assunto a riferimento è purtroppo l'azienda municipalizzata con tutti i suoi difetti e sprechi di energie e di denaro. Da queste poche osservazioni emerge un quadro per nulla confortante, un desiderio inconscio o no di non cambiare la sostanza delle cose. Ora, se non si vogliono affossare le riforme, se si vuole recuperare la fiducia della gente nelle istituzioni e nelle forze politiche, specialmente in quelle di sinistra, si impone un deciso cambia mento delle linee programmatiche ed operative finora perseguite dalle Regioni. Molte sono le responsabilità del Governo (2), numerose sono le inadempienze del Parlamento (3), notevoli sono i ritardi degli Enti locali nel dare attuazione al DPR 616; ciò non toglie che si debba attribuire a molte Regioni la colpa di non aver attuato i compiti ad esse assegnati.
(1) V. Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre 1978. (2) Ci riferiamo in particolare ai problemi del trasferimento del personale degli Enti sciolti e dell'assegnazione dei fondi. (3) Il DPR n. 616 stabilisce precise scadenze: entro il 31 dicembre 1977 la riforma della finanza locale; entro il 31 dicembre 1978 la riforma dell'assistenza pubblica, entro il 31 dicembre 1979 la legge sulle autonomie locali.
|
Prospettive assistenziali
|