Prospettive assistenziali, n. 48, ottobre
- dicembre 1979
FUNZIONAMENTO DEL
TRIBUNALE PER I MINORENNI E DELL'UFFICIO DISTRETTUALE DI SERVIZIO SOCIALE DI SALERNO
SEZIONE PROVINCIALE
DELL'U.L.C.E.S. DI SALERNO
Il Tribunale per i minorenni di
Salerno è stato istituito nell'ottobre del 1969 ma ha
cominciato effettivamente a funzionare solo nei primi mesi del 1970.
Antecedentemente a tale periodo il territorio salernitano
(che conta 157 Comuni, ha una estensione territoriale
di 4.922 kmq ed una popolazione complessiva - secondo l'ultimo censimento del
1971 - di 957.452 abitanti) rientrava nella competenza del Tribunale per i minorenni
di Napoli che, fra l'altro, comprendeva anche la provincia di Campobasso con i
suoi 136 Comuni del Molise.
L'Ufficio distrettuale di servizio
sociale per i minorenni è stato istituito a Salerno nell'ottobre del 1976 a
distanza di ben sette anni dalla nascita del locale Tribunale. Per tutto
questo periodo le relative pratiche (civili, amministrative, penali) venivano istruite da due assistenti sociali dell'Ufficio di
Napoli distaccati a Salerno per un paio di giorni alla settimana. Ovviamente
tutti i fascicoli relativi alle indagini sociofamiliari
sulle famiglie aspiranti all'adozione e tutte le relazioni sugli affidamenti preadottivi svolte in tale lasso di tempo si trovano presso
l'U.D.S.S.M. di Napoli e qui a Salerno vi sono solo
delle notizie-base.
Per diversi mesi tale ufficio è
stato costituito dal solo dirigente (proveniente dal corrispondente Ufficio di Potenza e napoletano di nascita e per
residenza) per cui è facilmente intuibile la modesta quantità
di pratiche delle quali poteva occuparsi.
Con la proclamazione dei vincitori
di un concorso per assistenti sociali del Ministero di grazia e giustizia
bandito circa tre anni prima, furono assegnate a Salerno tre unità di cui due
(una molto giovane e l'altra oltre la quarantina) senza nessuna
esperienza lavorativa e la terza proveniente da un Ente assistenziale. Questi particolari dovrebbero aiutare a comprendere i motivi
per i quali l'avvio di tale Ufficio è stato piuttosto difficoltoso e alquanto
modesti e limitati i suoi interventi iniziali.
D'altronde, altrettanto
numericamente insufficiente e inesperto del settore, era ed è il personale
giuridico ed amministrativo del Tribunale per i
minorenni. Infatti, accanto al Presidente del T.M. vi è un solo altro Giudice togato; essi - come
previsto dalla legge - sono affiancati al momento delle decisioni da un gruppo
di 4-6 persone esperte del settore minorile che, due alla volta, partecipano
alle udienze ed alle sedute in camera di consiglio.
A tutti i suddetti elementi,
intrinseci all'organizzazione interna ed al reale funzionamento di questi due
uffici, va aggiunto inoltre che tenui ed insignificanti sono i collegamenti fra
essi, gli enti e gli istituti presenti sul territorio,
le autorità locali e le organizzazioni e le forze sociali di base. Tale
osservazione riguarda soprattutto il T.M. che limita
il proprio impegno all'osservanza rigida e formale delle leggi e la propria
attività ad un controllo quasi burocratico della situazione minorile salernitana che invece - a causa dell'immobilismo e
dell'incapacità politica della classe dirigente, in considerazione
dell'arretratezza culturale e sociale della maggior parte della popolazione, a
cagione della presenza dilagante di ben noti fenomeni di vendita di neonati e
di sfruttamento morale e materiale di minori - richiederebbe da parte degli
organi preposti alla tutela dell'infanzia una operosità
più incisiva ed energica, un maggiore e migliore spirito di iniziativa,
adeguate capacità di aggregazione di stimolo, di animazione ed il coraggio di
servirsi, senza eccessive remore legalistiche, della
collaborazione di tutte quelle persone o gruppi che perseguono i medesimi fini
ricorrendo, se del caso, a tutti quei leciti mezzi e possibili espedienti
rintracciabili nelle pieghe delle leggi.
A completamento del quadro bisogna
aggiungere che fino ad ora né il Tribunale per i minorenni,
né gli Enti locali, né altri Enti pubblici, né la stampa, né comitati o
organizzazioni private si sono preoccupate di informare capillarmente ed
adeguatamente la popolazione circa le modalità, gli eccellenti fini, gli ottimi
risultati della legge sull'adozione speciale; che manca qualsiasi informazione
sulla reale situazione degli istituti assistenziali, sul numero di bambini che
ospitano, sul come li assistono, sulla sproporzionata spesa che la comunità
affronta per questo tipo di servizio rispetto ai risultati che se ne ottengono,
sulle motivazioni apparenti e profonde dei ricoveri, sulle soluzioni
alternative che si potrebbero adottare e così via.
Quest'opera di informazione
ed insieme di sensibilizzazione e coscientizzazione
si rivela tanto più necessaria ed importante quanto più queste popolazioni, a
qualsiasi ceto appartengono, si dimostrano tuttora ancorate ad un concetto
tradizionale ed immutabile dei legami familiari legati al vincolo del sangue e
manifestano ancestrali timori circa la prevalenza dei fenomeni ereditari
rispetto all'influenza dell'ambiente e dell'educazione.
Si devono pertanto a queste
convinzioni le continue pressanti richieste di rassicurazione, da parte dei
coniugi aspiranti adottivi, circa l'integrità fisica e morale del ceppo di
provenienza del minore e la loro rinunzia o riluttanza a compiere un tale
passo allorché ciò non è possibile o è dubbio; si deve a ciò la tendenza a
scegliersi personalmente il minore da adottare e la spiccata preferenza a
restringere tale ricerca nell'ambito della parentela o delle conoscenze
dirette; si deve a ciò la crudele propensione ad approfittare delle misere
condizioni finanziarie e ambientali di una famiglia numerosa o del disagio
morale di una ragazza madre per accaparrarsi un figlio adottivo ed il più o meno conscio incoraggiamento che si dà ai genitori
naturali del minore per una soluzione di tal genere.
Si deve invece alla mancanza di una
équipe socio-psico-pedagogica in grado di preparare
la coppia ed il minore alla nuova situazione e di sostenerli nelle prime
inevitabili difficoltà di ambientamento e di
affiatamento, il fallimento totale o parziale di molte adozioni, specie se il
minore non era più piccolissimo, e pertanto la massiccia richiesta, da parte
degli aspiranti adottanti, di minori neonati o sotto i 2-3 anni.
Si deve infine, alla mancanza di
notizie sulle soluzioni alternative dell'affidamento educativo, all'assenza di
precise garanzie e di contributi socio-economici in proposito, alla carenza di idonee iniziative in tal senso se l'istituto
dell'affidamento familiare non viene praticato ed anzi è visto con un certo
sospetto.
Situazione
organizzativa interna
Per quanto riguarda l'indagine sulle
coppie aspiranti all'adozione e il controllo degli affidamenti
preadottivi, il Tribunale per i minorenni di Salerno
- fin dal momento della sua nascita - non potendo affidarsi esclusivamente
all'opera dei due assistenti sociali dell'U.D.S.S.M.
di Napoli, ricorse alla collaborazione contemporanea, ma sporadica e
spontanea, di alcuni operatori sociali appartenenti all'O.N.M.I.,
alla Provincia, all'E.N.P.M.F., di qualche giudice
non togato accreditato presso lo stesso TM; di altre persone di sua fiducia
reperite nell'ambito dei propri collaboratori di ufficio.
All'inizio vi furono delle
incomprensioni fra il T.M. e l'O.N.M.I. in quanto questo Ente aveva la lodevole abitudine di collocare i
minori - specie se piccolissimi o in tenera età - di sua competenza presso
«allevatrici» regolarmente retribuite ed accuratamente scelte anziché presso
l'istituto provinciale per l'infanzia (I.P.A.I.) o
altri similari istituti. Tale prassi suscitava i sospetti
del Tribunale che temeva la sottrazione al suo controllo di questi minori e la
frapposizione di difficoltà da parte delle «allevatrici» in caso di adozione
del bambino.
Una volta che fra il Presidente del T.M. e le assistenti sociali dell'O.N.M.I. si instaurò un rapporto di fiducia e di stima, la
collaborazione divenne proficua ed intensa e non si è interrotta (come
d'altronde è successo anche con gli altri collaboratori esterni) neppure con
l'istituzione a Salerno dell'U.D.S.S.M. data la
palese insufficienza numerica del suo organico.
Al 1° gennaio 1979, con
l'applicazione della legge 382 e dei successivi decreti di attuazione
e con la conseguente soppressione di alcuni enti fra i quali l'E.N.P.M.F., è forzatamente cessata la collaborazione con le
operatrici di questo organismo, tornate fra l'altro nel mondo della scuola
dal quale erano state distaccate.
Con il trasferimento dagli U.D.S.S.M. ai Comuni della competenza in tale settore, la
situazione si è notevolmente aggravata in quanto nessun Comune della provincia
- a partire dal capoluogo per finire al più lontano e
piccolo paese - dispone di operatori sociali o di personale comunque idoneo a
svolgere tale delicato e complesso compito. A chi saranno affidate le indagini?
Probabilmente ai vigili urbani o ai carabinieri, con
risultati che sono facilmente intuibili. D'altronde non risulta per il momento che qualche Comune si stia dando da
fare per assumere stabilmente degli Assistenti Sociali o per stipulare
convenzioni o accordi con gruppi o singoli operatori.
Per inciso, essendosi così ridotti i
compiti spettanti agli U.D.S.S.M. (è rimasta loro
solo la competenza penale), parte del personale è stato
trasferito alla Regione per cui a Salerno è rimasto solo il dirigente ed una
assistente sociale ed è stata ventilata perfino la proposta di sopprimere
questo Ufficio ritrasferendo a Napoli la competenza
territoriale della provincia di Salerno.
Per quanto riguarda la segnalazione
dei minori in stato di abbandono e l'espletamento
delle relative indagini informative sulla loro situazione familiare, il
discorso è più complicato e nello stesso tempo più semplice.
Al primo dei suddetti adempimenti
provvedono l'I.P.A.I. e gli istituti di assistenza per minori tenutivi per legge ma gli elenchi
che trasmettono sono puramente una ordinata sfilza di nomi e di date di nascita
e solo in macroscopici e prolungati casi di abbandono portano qualche
significativa annotazione. Da notare che gli elenchi in questione arrivano,
come previsto dalle vigenti norme, anche ai rispettivi giudici tutelari, ma
vuoi per mancanza di tempo, vuoi per carenza di
specifico interesse, essi vengono direttamente archiviati ed il compito di
controllarli e di promuovere eventuali indagini resta di esclusiva competenza
del T.M.
Non mancano naturalmente le
eccezioni, ma sono per l'appunto eccezioni. Abbiamo
così dei giudici tutelari che - fra una causa penale ed una civile - trovano il
tempo e la volontà di visitare qualche istituto sotto
la loro giurisdizione territoriale e di indagare su qualche situazione più
sospetta. Abbiamo così delle suore e dei sacerdoti
responsabili di qualche istituto (gli istituti della nostra provincia sono
quasi tutti affidati a personale religioso) che si preoccupano di recarsi
personalmente in Tribunale per esporre direttamente qualche caso più complesso
o che li preoccupa.
Si arriva così al secondo
adempimento: indagini sulla situazione familiare del minore. Come si è visto
sono pochissimi gli Enti che dispongono di propri operatori
sociali ed in genere il loro numero è ridicolmente sproporzionato all'entità
degli assistiti. Bisogna poi considerare che i minori di loro competenza sono
sparsi in numerosi istituti di varie località, distanti uno dall'altro, e a
volte pure fuori provincia. Se a questo aggiungiamo che l'Ente è quasi sempre in difetto con la corresponsione delle rette, è
facile intuire quanto rari, quanto problematici, quanto fugaci possano essere i
rapporti fra l'Ente e l'istituto ed i controlli sulla situazione dei minori.
Venuta meno, o essendo carente
questa prima fonte di informazioni, rimane solo la
parola dei responsabili dell'istituto.
Allorché, infine, il caso del minore viene
segnalato all'attenzione del Tribunale, questi convoca i genitori del bambino
che vengono ascoltati e interrogati da uno dei due giudici (in genere il
Presidente). In base alle risposte ricevute, il magistrato sottopone in camera
di consiglio la proposta del dispositivo di abbandono
oppure no.
Una procedura del genere viene seguita anche per l'abbinamento di un minore
dichiarato in stato di abbandono e la coppia di coniugi aspiranti
all'adozione.
Il magistrato (anche qui si tratta
sovente del Presidente) per ogni minore disponibile sceglie, fra le tante
domande pervenute e per le quali è già stata fatta la relazione, quelle da
esaminare relativamente a quel caso e se lo ritiene
necessario o opportuno, convoca alcune di quelle coppie per un supplemento di
informazioni. Indi espone in camera di consiglio le proprie considerazioni e
indica qual è a suo parere la decisione più favorevole al minore in questione,
decisione che viene accettata o respinta dal collegio
giudicante.
Come si vede, malgrado
le indubbie qualità morali e la capacità professionale dei magistrati, una fase
così delicata come quella dell'abbinamento minore-coppia
assume un aspetto troppo privato e parziale per rivelarsi sempre giusta e
indovinata.
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