Prospettive assistenziali, n. 48, ottobre
- dicembre 1979
Notiziario del Centro
italiano per l'adozione internazionale
ASPETTI GIURIDICI DELL'ADOZIONE INTERNAZIONALE (1)
La situazione dell'adozione
internazionale nei suoi aspetti giuridici è a dir poco caotica a causa delle
troppe differenziate leggi regolamentatrici
della materia nei vari paesi. Si deve infatti notare
che, in quei paesi cosiddetti «esportatori» di bambini, ci sono realtà in cui è
del tutto assente una legislazione in materia. In altri, pur avendo leggi
specifiche, non si prevedono garanzie e diritti sufficienti atti a offrire al bambino un adeguato e idoneo ambiente
familiare.
La soluzione, secondo noi ottimale e
risolutiva della maggior parte dei problemi connessi all'adozione tra paesi, è
quella di una convenzione internazionale stilata dalle Nazioni Unite che, regolando
unicamente l'adozione legittimante, dia la possibilità
di uniformare le legislazioni in materia e sancisca, come già affermato da
C.A. Moro, nel suo libro: «L'adozione speciale», l'equiparazione nei vari
paesi degli istituti adozionali, sia rispetto alle
condizioni e agli effetti dell'adozione, sia rispetto alla procedura; la
disciplina della nazionalità dell'adottando; la giurisdizione esclusiva
dell'autorità del paese di origine del minore
adottando alla pronuncia dell'adozione e la conseguente delibazione del
provvedimento straniero da parte del paese degli adottanti.
Tale soluzione è però ben lontana da
poter essere realizzata entro un congruo lasso di tempo.
D'altra parte neppure la possibilità di convenzioni o accordi bilaterali tra
paese e paese, seppur positiva nei riguardi dei
singoli paesi implicati, non sembra essere al momento lo strumento idoneo a offrire una generale e più vasta regolamentazione in
materia.
Il notevole aumento di adozioni internazionali che negli ultimi anni si sta
registrando anche in Italia, non permette più che la soluzione anche se
parziale del problema, venga ulteriormente differita nel tempo.
Non vogliamo in questa sede
analizzare il problema dell'adozione di bambini italiani all'estero in quanto
riteniamo che i Tribunali per i minorenni siano ora più che mai in grado di
provvedere sollecitamente alle necessità di quei minori, dichiarati in stato di adottabilità, attraverso un'ampia possibilità di scelta
tra le migliaia di famiglie italiane che hanno presentato domanda, ma bensì
vogliamo analizzare il problema di minori stranieri che potrebbero trovare la
loro famiglia in Italia.
Quindi il nostro intento è attualmente rivolto a garantire adeguata tutela giuridica a
quei minori stranieri che in numero sempre crescente e in modo più o meno
legale, vengono introdotti in Italia a scopo di adozione.
L'unico punto fermo che ritroviamo a questo proposito nella nostra legislazione è
l'art. 5 della legge 431/1967. Questo, prevedendo che l'adozione di un bambino
straniero da parte di coniugi italiani conferisse all'adottato la cittadinanza
italiana, aveva sì dato veste legale alle adozioni private, ma non aveva certo
risolto i numerosi risvolti giuridico sociali
dell'adozione internazionale.
A un decennio di distanza, non solo
non si è provveduto a convertire la prassi in legge, bensì ci troviamo ancora
una volta di fronte a delle proposte di legge che neppure prendono in considerazione
questo fenomeno. L'unico progetto di legge in cui si parla di
adozioni internazionali è il n. 306 presentato da parlamentari del PSI,
che ci è pervenuto quando la stesura di questa relazione era ultimata e che
pertanto non ha potuto ancora essere esaminato dal C.I.A.I.
Ci lascia comunque molto perplessi quanto previsto dall'art. 10, circa la non
necessità della dichiarazione dello stato di adottabilità per il minore
straniero.
La mancanza di una legislazione
sull'adozione internazionale ha portato in questi anni all'uso di prassi troppo
differenziate dai vari Tribunali per i minorenni con
la conseguenza di ingenerare confusione anche a chi vuole seriamente operare,
facilitando nel contempo il sorgere di favoritismi e abusi più o meno evidenti.
Dal punto di vista operativo i
Tribunali per i minorenni si vedono quotidianamente criticati, anche se
obiettivamente nessuno fino ad ora ha saputo stabilire dei criteri di impostazione del lavoro validi e soprattutto applicabili
all'intero paese.
Visto il disinteresse mostrato dai
parlamentari nelle più recenti proposte di legge, è nostro compito farci
portatori di un'esigenza assai sentita non solo nell'ambito operativo, ma anche
dal più ampio numero di persone socialmente interessate, sia direttamente che indirettamente, alla regolamentazione della materia.
Innanzitutto è da prendere in considerazione
l'annosa questione della abolizione dell'istituto dell'adozione ordinaria e di
quello dell'affiliazione, che non tutelano i diritti del bambino italiano e
tanto meno di quello straniero, oltre ad essere impostati su criteri tuttora
anacronistici.
L'adozione ordinaria, in
particolare, non è legittimante e quindi non risolve il problema della
cittadinanza ed inoltre non prevede la rottura dei legami da parte del minore
con la famiglia d'origine. Il minore adottato con l'adozione ordinaria rimane
cittadino straniero e quindi soggetto a tutte le norme di polizia italiana (non
escluso il pericolo di espulsione) e a quelle del suo
paese d'origine (fra cui l'obbligo del servizio militare nello stato di
provenienza) con gli inevitabili disagi e traumi psichici facilmente
comprensibili (vedi Moro in «L'adozione speciale»).
L'unico istituto atto a garantire a
tutti gli effetti il minore straniero è, a nostro avviso, quello dell'adozione
legittimante e unicamente in quest'ambito noi
dobbiamo ricercare idonee normative atte a
regolamentare l'adozione internazionale.
Si dovrebbe pertanto espressamente
prevedere che, prima dell'ingresso del minore straniero in Italia, le coppie
intenzionate all'adozione internazionale presentino
regolare domanda al Tribunale per i minorenni di loro residenza. Il Tribunale,
attraverso i servizi sociali dell'ente locale, accerterà l'idoneità della
coppia all'adozione del minore; a questo proposito, per ragioni sia psicologiche
sia giuridico-sociali, è opportuno che la relazione
sull'accertamento di idoneità non sia direttamente
affidata alla coppia, bensì venga trasmessa dal Tribunale che ha compiuto
l'indagine all'autorità straniera che sovraintende
alla tutela del bambino, così da poter instaurare una collaborazione diretta
tra lo stato dell'adottando e lo stato dell'adottante.
A questo proposito potrebbe essere
esaminata la possibilità di prevedere, come avviene nella maggior parte dei
paesi europei, un organismo che fungesse da tramite tra la nostra magistratura
e quella del paese estero, ferma restante la responsabilità e competenza dei
Tribunali per i minorenni alla dichiarazione di idoneità
della coppia e alla supervisione dell'adozione.
Un ulteriore
controllo a garanzia dell'intervento dei Tribunali nei confronti dei minori
stranieri, potrebbe venire dal Ministero degli esteri, coadiuvato dalla
polizia di frontiera. Dovrebbe essere sancita l'obbligatorietà del visto
d'ingresso per i minori stranieri che entrano in Italia a scopo di adozione e quindi non accompagnati dai familiari (non
possono intendersi familiari i coniugi italiani che portano in Italia un minore
da loro adottato nel paese d'origine, ma che per l'Italia non è ancora stato
dichiarato «loro» figlio).
Il rilascio del visto d'ingresso è
subordinato al benestare del Tribunale per i minorenni del luogo ove il bambino
è diretto. Ciò porterebbe senz'altro alla certezza che ogni bambino che entra
in Italia a scopo di adozione oppure già adottato nel
suo paese d'origine, venga segnalato al Tribunale competente e che dal momento
del suo arrivo venga seguito dai servizi sociali addetti.
Resta inteso che lo stato
d'abbandono del minore deve essere dichiarato dalla competente autorità nel
paese d'origine; infatti il Tribunale italiano non è
competente a dichiarare lo stato di abbandono di un minore che non risieda nel
suo territorio.
Rimane ora da esaminare il problema
delle delibazioni di sentenze di adozioni emesse da
autorità straniere. Questo soprattutto per quei paesi la cui legislazione
preveda l'adozione in luogo.
Ora non si vede come si possa non accettare il principio della delibazione in
mancanza di precise norme di diritto internazionale privato. D'altra parte dobbiamo però constatare che lo strumento
della delibazione è oggi usato troppo spesso da chi, vistosi rifiutare da
parte del Tribunale l'idoneità per l'adozione di un bambino italiano non si
rassegna all'impossibilità di avere un figlio e lo ricerca direttamente in quei
paesi la cui legislazione offre più possibilità di scappatoie.
Si rende pertanto necessario che in tali circostanze si prendano tutte le possibili
precauzioni per evitare da un lato le lesioni dei diritti dei bambini,
dall'altro gli abusi conseguenti alle restrizioni poste dalla nostra legge.
Come affermato dal dott. Gilberto Barbarito, giudice del Tribunale per i minorenni di Milano,
«in linea generale deve affermarsi la possibilità di delibazione di atti di una autorità giudiziaria straniera, al fine di
attribuire efficacia in Italia a provvedimenti la cui funzione sia
corrispondente a quella di istituti riconosciuti dall'ordinamento italiano
medesimo; ciò si desume chiaramente dalle norme generali degli artt. 796/801 c.p.c.».
Pertanto, ribadendo
ancora una volta la necessità che nell'ordinamento italiano sia prevista un
unico istituto di adozione, vale a dire l'adozione legittimante, è necessario
che in sede di delibazione di atti di autorità straniere sia verificata con
estrema cura l'effettiva equivalenza dell'atto straniero all'istituto previsto
nell'ordinamento italiano.
È necessario che vengano
verificate le condizioni dell'adozione nei singoli casi. Il giudice della
delibazione dovrà accertare ad esempio che dalla sentenza straniera risulti la reale situazione di abbandono del minore, che
l'idoneità della coppia sia valutata con criteri corrispondenti ai principi
della nostra legislazione, che la legge del paese d'origine dell'adottato non
preveda effetti contrastanti con il principio della adozione legittimante.
In realtà vi sono stati - come
affermava ancora Barbarito - casi in cui il giudizio
di delibazione sembra aver trascurato del tutto non solo la corrispondenza
formale tra l'atto straniero e l'istituto italiano ritenuto equivalente, ma
anche la individuazione di un minimo di requisiti sostanziali.
Si è dichiarato ad esempio che la
nomina a tutore di un minore indiano di coniugi italiani equivale ad un «affido
preadottivo» ai sensi dell'art. 314/20,
secondo comma cod. civ. (decreto 3/8.6.1967
minore R. della Corte di appello di Milano).
A nostro parere, e in quest'opinione siamo affiancati da quanto affermato da un
gruppo di giudici minorili del nord-Italia e
dall'autorevole parere del prof. Giuseppe Franchi, docente
di diritto internazionale privato, sarebbe opportuno che la delibazione di
provvedimenti, emanati all'estero, di adozioni di minori stranieri da parte di
cittadini italiani sia pronunciata dal Tribunale per i minorenni del distretto
in cui risiedono gli adottanti. Questo perché il Tribunale è l'organo preposto
alla tutela dei diritti di tutti i minori siano pur
essi stranieri, residenti nel territorio italiano.
Vorremmo ora sottolineare
un ultimo aspetto, a nostro parere della massima importanza, che è quello di un
adeguato controllo del Tribunale, attraverso i servizi dell'Unità locale, sul
periodo dell'affidamento preadottivo. A questo
proposito è necessario che agli operatori sociali direttamente coinvolti venga offerta la possibilità di frequentare corsi di
aggiornamento promossi dalla Regione durante i quali l'intera problematica
dell'adozione e in particolare quella internazionale venga approfondita.
Riassumendo, i punti essenziali per una adeguata tutela del minore straniero che viene in
Italia a scopo di adozione sono, a nostro avviso, i seguenti:
- abolizione dell'istituto
dell'adozione ordinaria e dell'affiliazione;
- conseguente elevazione della
possibilità di adottare con adozione legittimante minori al
di sotto dei 18 anni. Vorremmo però sottolineare
in proposito che, pur ritenendo necessaria l'elevazione dell'età a 18 anni,
nutriamo grosse perplessità sulla opportunità di procedere all'adozione di un
minore straniero che superi i 10-12 anni. A nostro avviso, il Tribunale
dovrebbe attentamente vagliare l'opportunità di consentire l'adozione di
minori di età superiore, solo nei casi in cui si siano
già stabiliti significativi rapporti affettivi;
- la differenza massima di età tra adottante e adottando deve essere non superiore
ai 40 anni; - non deve essere prevista l'adozione da parte di singoli;
- trasferimento al Tribunale per i
minorenni delle competenze in materia di delibazione di sentenze di adozione emanate da autorità straniere.
(1) Relazione
presentata da Donata Nova Micucci al Convegno
«Adozione e diritti del fanciullo nella società europea»,
Salerno, 9-11 novembre 1979.
www.fondazionepromozionesociale.it