Prospettive assistenziali, n. 49, gennaio - marzo 1980

 

 

Editoriale

 

LA RIFORMA DELL'ASSISTENZA NUOVAMENTE ALL'ESAME DEL PARLAMENTO

 

 

Le Commissioni riunite affari interni e affari costituzionali della Camera dei Deputati stanno esaminando le proposte di legge di riforma dell'assistenza presentate dalla DC, PCI e PSI, il cui testo è riportato integralmente in questo numero.

I tre disegni di legge definiscono i principi e gli obiettivi della riforma in modo identico: «in attuazione delle norme costituzionali e nel qua­dro della sicurezza sociale, la presente legge determina i principi fondamentali relativi agli in­terventi di assistenza diretti a garantire al citta­dino il pieno e libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita del Paese. Tali obiettivi si realizzano con una attività di preven­zione e di rimozione degli ostacoli di natura per­sonale, familiare e sociale, mediante un com­plesso di servizi sociali coordinati ed integrati sul territorio con i servizi sanitari e formativi di base, e in armonia con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale, nonché attraverso presta­zioni economiche».

Questa impostazione è confermata e specifi­cata dall'art. 2 delle proposte di legge del PCI e del PSI in cui sono indicate le finalità dei servizi assistenziali.

Per il PCI lo scopo di detti servizi (1) è quello di «rendere effettivo il diritto di tutti i cittadini alla promozione, al mantenimento e al recupero dello stato di benessere fisico, psichico e so­ciale» prevenendo e rimuovendo «le cause di ordine economico e sociale che possono provo­care situazioni di bisogno sociale o fenomeni di emarginazione dagli ambienti di vita, di studio e di lavoro».

Sulle stesse linee è la proposta del PSI in cui si afferma che «per rendere effettivo, con un'or­ganica politica di sicurezza sociale, il diritto di tutti i cittadini alla promozione, mantenimento e recupero dello stato di benessere fisico e psichi­co, al pieno sviluppo della personalità nell'ambito dei rapporti familiari e sociali, al soddisfacimen­to delle esigenze essenziali di vita, l'attività del sistema dei servizi socio-assistenziali persegue le seguenti finalità:

a) prevenire e rimuovere le cause di ordine economico-sociale e psicologico che possono provocare situazioni di bisogno sociale o feno­meni di emarginazione negli ambienti di vita, di studio e di lavoro;

b) rendere effettivo il diritto di tutta la po­polazione, senza distinzione di condizioni indivi­duali o sociali, ad usufruire delle strutture, dei servizi e delle prestazioni sociali (...)».

 

Servizi assistenziali e servizi sociali

Ci sembra mistificatoria o conseguenza di uno scarso approfondimento l'affermazione che i ser­vizi assistenziali possono svolgere attività di pre­venzione primaria, cioè attività dirette alla elimi­nazione delle cause economiche e sociali che provocano situazioni di bisogno o fenomeni di emarginazione.

Va ancora una volta precisato che gli utenti dell'assistenza sono:

- i disoccupati ed i sottoccupati;

- gli ex lavoratori con pensioni insufficienti;

- i ragazzi respinti dalla scuola perché definiti incapaci, disadattati o perché handicappati;

- le persone, soprattutto quelle anziane, che, definite malate croniche, non sono ammesse a fruire dei normali servizi sanitari;

- le famiglie o persone prive di un'abitazione adeguata o che non sono in grado di pagare l'affitto;

- gli invalidi che gli enti pubblici e le aziende private rifiutano di assumere;

- i minori con famiglie aventi difficoltà eco­nomiche (disoccupazione o sottoccupazione) o abitative, o che sono impossibilitate ad usufruire dei servizi esistenti (ad esempio scuole materne e dell'obbligo con orari inadeguati) o infine che hanno problemi particolari (ad esempio malattie psichiatriche);

- le persone la cui personalità è stata dan­neggiata da interventi inidonei (ad esempio con il ricovero in istituto durante il periodo dell'in­fanzia).

Ci sembra ovvio affermare che la prevenzione nei confronti di queste persone si attua solamen­te se si interviene sui problemi dell'occupazione, delle pensioni, della casa, della scuola, della cul­tura, della sanità, ecc.

A nostro avviso un servizio si può definire so­ciale quando è o deve essere rivolto a tutti i cittadini, come lo sono o dovrebbero esserlo i servizi sanitari, i servizi formativi (dal preobbligo alla formazione permanente e ricorrente), i ser­vizi abitativi, ecc.

L'assistenza è invece il settore preposto agli emarginati e le sue prestazioni non devono es­sere estese a tutta la popolazione. Sarebbe infat­ti assurdo assicurare a tutti l'assistenza econo­mica, l'aiuto domiciliare, le adozioni, gli affida­menti, le comunità alloggio e il ricovero in isti­tuto.

Ad esempio non riusciamo a comprendere quali iniziative concrete possano intraprendere i ser­vizi socio-assistenziali per «favorire la fruizione di alloggi, anche in strutture comunitarie, al fine di assicurare ai singoli, alle famiglie e ai gruppi il diritto alla casa» (art. 3 della proposta del PSI).

Temiamo che il cambiamento dell'etichetta «assistenza» in «servizi sociali» serva solo a negare una preoccupante realtà.

È vero che occorre intervenire anche nei ri­guardi delle persone emarginate e da anni ci bat­tiamo per servizi alternativi al ricovero; bisogna però che questi interventi siano collegati con un'azione di vera prevenzione che si attua con la piena occupazione e con l'apertura a tutti dei servizi sociali (non assistenziali), e cioè dei ser­vizi sanitari, formativi, abitativi, ecc.

È con le lotte per il raggiungimento di questi obiettivi che si combattono in concreto le cause economiche e sociali che provocano esclusione sociale, emarginazione e disadattamento, e non con l'adozione di mistificanti etichette o con vuo­te affermazioni di principio.

 

Gestione dei servizi di assistenza

Mentre la proposta del PSI prevede giustamen­te che i servizi assistenziali siano gestiti dalle Unità sanitarie locali di cui alla legge 23 dicem­bre 1978, n. 833, che dovrebbero assumere la denominazione di Unità socio-sanitarie locali, le proposte della DC e del PCI si limitano ad attri­buire alla legge regionale il compito di stabilire «le norme per la gestione amministrativa dei ser­vizi sociali (e cioè assistenziali) svolti da Comuni singoli o associati, assicurandone il coordina­mento e le opportune forme di collegamento con i servizi sanitari gestiti dall'Unità sanitaria locale e con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo so­ciale», lasciando in tal modo ampio spazio alla proliferazione degli organi di governo locale.

Inoltre mentre la proposta del PSI fissa un ter­mine per la costituzione delle Unità socio-sanita­rie, le proposte della DC e del PCI nulla dicono al riguardo.

 

Compiti delle Province

In contrasto con l'affermazione che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, le tre proposte di legge prevedono che «le Province svolgono le funzioni amministrative che siano ad esse delegate dalle Regioni», previsione estremamente pericolosa perché può portare a due gestioni separate (comunale e provinciale) dei servizi assistenziali.

 

IPAB

Per quanto riguarda il trasferimento dei patri­moni e del personale delle IPAB, le proposte del­la DC, del PCI e del PSI sono molto simili. Esse sono purtroppo dirette ad ampliare notevolmente il numero di quelle escluse dal trasferimento e quindi privatizzate.

Sorprendente è il fatto che anche il PCI e il PSI prevedano la privatizzazione di alcune mi­gliaia di enti pubblici e la cessione gratuita a pri­vati di patrimoni pubblici.

In tal modo sopravviveranno migliaia di enti preposti alla segregazione e all'emarginazione.

Il futuro dell'assistenza è tutt'altro che roseo.

 

 

(1) Nella proposta di legge del PCI i servizi sono deno­minati «sociali».

 

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