Prospettive assistenziali, n. 49,
gennaio - marzo 1980
Notiziario del Centro italiano per
l'adozione internazionale
ADOZIONE
DEI BAMBINI CAMBOGIANI
Il CIAI (Centro italiano per l'adozione internazionale)
che si occupa da tredici anni dei problemi dell'adozione internazionale, sente
il dovere di manifestare pubblicamente la propria posizione in merito al
problema dell'adozione dei bambini cambogiani rifugiati nei campi profughi thailandesi, che è stata tanto
pubblicizzata e ha anche dato adito a indubbie strumentalizzazioni.
Il nostro Centro ha avuto modo di verificare la reale
situazione attraverso contatti diretti con organizzazioni che operano in Thailandia da parecchi anni e pertanto hanno potuto
seguire sul posto l'evolversi degli eventi.
Risulta che i minori rifugiati nei campi profughi sono per
la maggior parte bambini che durante il regime di Poi Pot vennero separati
dalle famiglie e radunati in centri di raccolta, o persero i contatti con i
genitori mentre tentavano di raggiungere
Il primo degli interventi da attuare è quello di
identificare e riunire i gruppi familiari, ed è in questa direzione che alcune
organizzazioni locali ed internazionali si stanno muovendo.
A nostro avviso non è questo il momento di proporre
l'adozione internazionale. Consideriamo che l'adozione internazionale sia
possibile ed auspicabile solo qualora sia stata verificata l'impossibilità di
riunire questi bambini al proprio nucleo familiare. Lo stesso Governo thailandese quando, in circostanze particolari, consente
che uno di essi venga trasferito all'estero, richiede
che sia preventivamente garantito il suo diritto ad essere rimpatriato qualora
la famiglia di origine lo richieda, oppure a questa sia garantita la possibilità
di ricongiungersi al proprio figlio nel Paese dove questi si trova.
Procedendo all'adozione internazionale prima che sia chiarita la posizione giuridica del bambino, si rischia
non solo di calpestare il suo diritto prioritario a crescere con i genitori,
ma anche il diritto dei genitori a riunirsi ai propri figli. Non è giusto che
tanti bambini e i loro genitori, già decimati dalla guerra e dalla fame, siano
facile preda di agenzie di adozione prive di scrupoli
che, pur di soddisfare il «bisogno» esasperato di molte famiglie occidentali ad
avere un figlio, non esitano a speculare su tali situazioni. Questo intervento
non fa altro che ricalcare le strade già percorse e condannate dello
sfruttamento dell'adulto sul bambino, del Paese forte su quello debole.
Il CIAI non intende certo negare la drammaticità
della situazione in cui versano migliaia di bambini e di adulti,
ma ritiene necessario cercare risposte giuste e adeguate ai bisogni reali che
emergono via via nella loro specificità.
Tra i vari interventi che si possono attuare, come
primo impegno, il CIAI ha scelto di collaborare con aiuti, anche economici, e
mettere a disposizione la propria esperienza a
organizzazioni che stanno già attuando un servizio di affido familiare nel
Paese.
L'affido familiare, proprio per la
sua caratteristica di temporaneità, ha senso unicamente se avviene
nello stesso tessuto sociale del bambino, quindi in un modo meno traumatizzante
per lui e con maggiore garanzia per il suo rapido reinserimento nella famiglia
di origine. Si tratta di un intervento complesso e articolato, sicuramente meno
«facile» e meno gratificante dell'adozione, ma - al momento
attuale - sembra essere il più rispondente alla necessità. Il CIAI lo
sostiene ribadendo un punto fondamentale del proprio
statuto in cui si legge: «studiare le situazioni di abbandono di minori nei
paesi dove si verificano e promuovere, nei paesi stessi, ogni attività diretta
all'adozione e ad altre forme di intervento partecipato, secondo il principio
del minimo isolamento e del massimo di socializzazione».
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