Prospettive assistenziali, n. 49,
gennaio - marzo 1980
PROPOSTA Di LEGGE DEL
PCI «RIFORMA DELL'ASSISTENZA» (1)
Art. 1.
(Principi ed
obiettivi).
In attuazione delle norme costituzionali e nel quadro della sicurezza sociale, la presente legge
determina i principi fondamentali relativi agli interventi di assistenza
diretti a garantire al cittadino il pieno e libero sviluppo della personalità
e la sua partecipazione alla vita del Paese.
Tali obiettivi si realizzano con una
attività di prevenzione e di rimozione degli ostacoli di natura
personale, familiare e sociale, mediante un complesso di servizi sociali
coordinati ed integrati sul territorio con i servizi sanitari e formativi di
base, e in armonia con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale,
nonché attraverso prestazioni economiche.
È garantita a norma dell'art. 38 della Costituzione
la libertà dell'iniziativa privata.
Art. 2.
Per rendere effettivo il diritto di tutti i cittadini
alla promozione, al mantenimento e al recupero dello stato di benessere fisico,
psichico e sociale, i servizi sociali perseguono le
seguenti finalità:
a) prevenire e rimuovere le cause di ordine
economico e sociale che possono provocare situazioni di bisogno sociale o
fenomeni di emarginazione dagli ambienti di vita, di studio e di lavoro;
b) rendere effettivo il diritto di tutta la popolazione di cui al successivo art. 3, garantendo la
libertà e la dignità personale, assicurando uguaglianza di trattamento e
offrendo al cittadino reali possibilità di scelta di strutture, servizi e prestazioni;
c) sostenere l'azione della famiglia, garantendo anche
ai cittadini in difficoltà la permanenza nell'ambiente familiare e sociale di appartenenza o provvedendo, se necessario, al loro inserimento
in famiglie liberamente scelte o in ambienti sostitutivi delle famiglie d'origine;
promuovendo il reinserimento di quanti sono emarginati in strutture o
istituzioni segreganti;
d) sostenere i soggetti affetti da minorazioni
psico-fisiche e sensoriali con tutti gli interventi idonei a garantire la loro
integrazione nel normale ambiente di vita e di lavoro.
Di conseguenza i servizi sociali sono prevalentemente
territoriali, aperti, a carattere domiciliare e di centri diurni.
Art. 3.
(Destinatari).
Tutti i cittadini hanno diritto a fruire di servizi
sociali, a prescindere da qualsiasi distinzione di carattere giuridico,
economico, sociale, ideologico, religioso.
Sono altresì ammessi ai suddetti servizi, gli
stranieri e gli apolidi che si trovano in territorio italiano
anche se non siano assimilati ai cittadini italiani o non risultino
appartenenti a Stati per i quali sussiste il trattamento di reciprocità, salvo
i diritti che la presente legge conferisce con riguardo alla condizione di
cittadinanza.
Gli oneri relativi all'assistenza
agli stranieri ed agli apolidi sono anticipati dai comuni e posti a carico del
bilancio dello Stato.
Può essere chiesto agli utenti il concorso al costo
di determinate prestazioni in relazione alle loro
condizioni economiche, tenendo conto della situazione locale e della rilevanza
sociale dei servizi, secondo i criteri stabiliti dalla Regione.
In ogni caso le leggi regionali debbono
garantire agli utenti dei servizi la conservazione di una quota delle pensioni
e dei redditi che permetta loro di far fronte in modo adeguato alle esigenze
personali.
Art. 4.
(Prestazioni
economiche).
Le prestazioni di carattere economico si distinguono in ordinarie e straordinarie.
Hanno diritto alle prestazioni ordinarie:
a) sotto forma di pensione sociale tutti i cittadini
che, per età, inabilità o per altri motivi indipendenti dalla loro volontà non
possono accedere al lavoro e sono sprovvisti dei mezzi necessari per vivere;
b) sotto forma di assegni
continuativi di assistenza, tutti i cittadini che, a causa della loro
inabilità, hanno bisogno dell'aiuto di terzi per compiere gli atti quotidiani
della vita, o di una sorveglianza personale continua.
Le prestazioni economiche ordinarie e le relative
misure sono definite con leggi dello Stato. Le prestazioni straordinarie sono
dirette a coloro che si trovano in difficoltà economiche contingenti o
temporanee, e sono erogate, anche nel caso di prestazioni a carattere
continuativo in aggiunta a quelle previste dal secondo comma del presente
articolo, dai Comuni, secondo i criteri indicati dalle leggi regionali.
Art. 5.
(Compiti dello
Stato).
Sono di competenza dello Stato:
1) la funzione di indirizzo
e di coordinamento delle attività amministrative delle Regioni a statuto
ordinario in materia di servizi sociali attinenti ad esigenze di carattere
unitario anche con riferimento agli obiettivi della programmazione nazionale ed
agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari;
2) gli interventi di primo soccorso in caso di
catastrofe o calamità naturali di particolare gravità ed estensione e gli
interventi straordinari ad essa collegati;
3) gli interventi di prima assistenza in favore dei
connazionali profughi e rimpatriati, in conseguenza di eventi
straordinari ed eccezionali;
4) gli interventi in favore di profughi stranieri,
limitatamente al periodo strettamente necessario alle operazioni di identificazione o di riconoscimento della qualifica di
rifugiato o per il tempo che intercorre fino al loro trasferimento in altri
paesi, nonché gli oneri relativi all'assistenza agli stranieri e agli apolidi;
5) gli interventi sociali prestati ad appartenenti
alle Forze armate e agli altri dipendenti dello Stato, limitatamente al
funzionamento e alla gestione di circoli e mense e comunque
di attività direttamente collegate all'espletamento del servizio;
6) i rapporti in materia di assistenza
con organismi stranieri ed internazionali, la distribuzione tra le Regioni di
prodotti destinati a finalità assistenziali in attuazione di regolamenti della
Comunità economica europea, nonché l'adempimento di accordi internazionali in
materia di assistenza;
7) le pensioni e gli assegni di
carattere continuativo di cui al secondo comma dell'articolo precedente;
8) a favore degli italiani
all'estero gli interventi fuori del territorio nazionale;
9) la certificazione della qualifica di orfano, vedova, inabile e degli altri titoli di
legittimazione al godimento dei benefici previsti dalle leggi vigenti, da
esercitarsi mediante delega alle Regioni. Nell'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui al numero 1) del
presente articolo rientrano la fissazione dei requisiti per la determinazione
dei profili professionali degli operatori sociali, le disposizioni generali in
materia di ordinamento e durata dei corsi e la determinazione dei requisiti
necessari per l'ammissione.
Art. 6.
Fino all'attuazione della riforma della Presidenza
del Consiglio, i compiti istruttori collegati alla funzione di cui al numero 1)
dell'articolo 5 della presente legge, le funzioni amministrative di cui ai
numeri 3), 4) e 6), nonché le funzioni relative
all'erogazione degli assegni e delle pensioni in favore degli invalidi civili,
ciechi e sordomuti di cui al numero 7) dello stesso art. 5 sono esercitate dal
Ministero della sanità che assume la denominazione di Ministero della sanità e
dei servizi sociali.
Gli interventi previsti ai numeri 2), 5), 8) e 9)
dello stesso articolo restano assegnati ai Ministeri
rispettivamente competenti.
La Direzione generale dei servizi civili del Ministero
dell'interno e le relative funzioni e la V Divisione del Ministero del lavoro
(tutela della famiglia e dei lavoratori) con le relative funzioni, sono
trasferite al Ministero della sanità e dei servizi sociali.
Per l'assolvimento dei compiti di cui al precedente articolo 5 e del presente articolo, al Ministero
della sanità e dei servizi sociali può essere assegnato, a domanda, personale
esperto nel settore dei servizi sociali proveniente da altri Ministeri ovvero
da enti pubblici soppressi ai sensi della legge 20 marzo 1975, n. 70, della
legge 20 marzo 1975, n. 70, della legge 28 luglio 1975, n. 382, e dei relativi
decreti di attuazione e della legge 21 ottobre 1978, n. 641.
La legge dello Stato prevista dall'art. 59 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833, relativa all'ordinamento del Ministero della sanità,
stabilirà i criteri e le modalità per l'effettuazione di tali trasferimenti e
la determinazione dei ruoli per il personale.
Art. 7.
(Consiglio nazionale
per l'assistenza sociale).
Con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro della sanità e dei servizi sociali,
è istituito il Consiglio nazionale per l'assistenza sociale, con funzioni
consultive, composto da un assessore per ciascuna delle Regioni a statuto
ordinario e a statuto speciale e, per la Regione Trentino-Alto Adige, da un
assessore della provincia di Trento e da un assessore della provincia di
Bolzano, da sei esperti nominati dal Consiglio nazionale dell'economia e del
lavoro, da sei rappresentanti nominati dall'ANCI e da tre rappresentanti delle
associazioni nazionali delle istituzioni pubbliche e private.
Per ogni membro effettivo deve essere nominato, con
le stesse modalità sopra previste, un membro supplente che subentra in caso di assenza o di impedimento del titolare.
Il Consiglio nazionale dell'assistenza sociale è
presieduto dal Ministro della sanità e dei servizi sociali o, per delega, da un
sottosegretario ed ha il compito di elaborare indicazioni in
relazione ai problemi che si pongono a livello nazionale per assicurare
un equilibrato sviluppo di servizi sociali nel paese, di attuare un organico
collegamento con le Regioni, di formulare proposte in ordine alla funzione di
indirizzo e coordinamento spettante al Governo.
Il Ministro della sanità e dei servizi sociali assicura il coordinamento tra le attività del Consiglio
sanitario nazionale di cui all'art. 8 della legge 23 dicembre 1978, n. 833,
anche provvedendo alla convocazione di riunioni congiunte per l'esame di
problemi attinenti argomenti di comune interesse.
Art. 8.
(Compiti delle
Regioni).
La potestà delle Regioni in materia di servizi
sociali e di prestazioni economiche a carattere straordinario è svolta nel
rispetto delle norme e dei principi stabiliti dalla presente legge.
Le Regioni attuano le finalità della presente legge
mediante la programmazione degli interventi socio-assistenziali coordinati con
gli obiettivi definiti in sede di programmazione nazionale e con gli obiettivi
generali dello sviluppo regionale secondo le procedure previste nei rispettivi
statuti, assicurando comunque il concorso dei comuni
e delle province e tenendo conto delle indicazioni e proposte emerse dalla
consultazione delle associazioni regionali delle formazioni sociali, degli
organismi pubblici e privati e del volontariato operanti nel settore.
Le Regioni in particolare provvedono
a:
1) stabilire le norme generali per la
istituzione, l'organizzazione e la gestione dei servizi sociali, nonché
i livelli qualitativi e le forme delle prestazioni;
2) approvare il piano di sviluppo
dei servizi sociali, coordinandolo con il Piano sanitario nazionale;
3) determinare i criteri generali
per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni, secondo i principi
indicati nel precedente art. 4;
4) determinare le aree territoriali più idonee per
una funzionale organizzazione dei servizi, secondo le norme di cui al secondo e terzo comma dell'art. 25 del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616;
5) promuovere iniziative per la qualificazione, la
riqualificazione e l'aggiornamento del personale addetto
o da adibire ai servizi sociali in collaborazione con le Università e le altre
istituzioni formative, e sulla base del fabbisogno di operatori determinato in
sede di programmazione regionale;
6) determinare gli indirizzi di carattere generale
per l'erogazione delle prestazioni straordinarie e temporanee per i cittadini
che si trovino in particolari situazioni di difficoltà personali o familiari;
7) provvedere alla ripartizione fra i Comuni singoli
o associati, comprese le Comunità montane, dei fondi comunque
disponibili per l'impianto e la gestione dei servizi sociali sulla base delle
priorità prospettate dagli organismi preposti alla gestione dei servizi e
definite in sede di programmazione regionale;
8) determinare le condizioni e i requisiti per
l'iscrizione delle istituzioni private nell'apposito
registro regionale;
9) disciplinare la vigilanza sulle attività socio-assistenziali svolte nell'ambito regionale;
10) svolgere un'azione di assistenza
tecnica diretta alla istituzione e al miglioramento dei servizi sociali, anche
promuovendo le sperimentazioni di nuovi servizi.
La legge regionale stabilisce le norme per la
gestione amministrativa dei servizi sociali svolti dai Comuni singoli o
associati, assicurandone il coordinamento e le opportune forme di collegamento
con i servizi sanitari gestiti dalle unità sanitarie locali e con gli altri
servizi finalizzati allo sviluppo.
La stessa legge regionale può stabilire i modi e i
tempi per l'unificazione dei servizi sociali con quelli sanitari, modificando,
in tal caso, la denominazione delle Unità sanitarie locali in Unità
socio-sanitarie locali, assicurando, comunque,
l'autonomia tecnico-funzionale dei servizi sociali, nonché la distinzione
contabile della gestione dei servizi sociali, secondo quanto previsto dall'ultimo
comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,
n. 616.
Art. 9.
(Compiti delle
province).
Il personale e il patrimonio delle province destinato
alle funzioni in materia di assistenza già trasferite
ai comuni singoli o associati, sono trasferiti ai comuni nei tempi e con le
modalità stabilite dalla legge regionale.
L'importo equivalente delle somme stanziate
nell'esercizio 1979 dalle Amministrazioni provinciali per le funzioni di cui
al comma precedente sono destinate alle Regioni per
essere interamente ripartite tra i comuni secondo quanto previsto dal numero
7 del terzo comma del precedente art. 8.
Le province svolgono le funzioni amministrative che siano ad esse delegate dalle Regioni.
Art. 10.
(Compiti dei
comuni).
I comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative
concernenti l'assistenza sociale salvo quelle
indicate nei precedenti articoli 5, 6 e 8.
I comuni singoli o associati partecipano alla elaborazione, realizzazione e controllo del programma
regionale di sviluppo dei servizi sociali e stabiliscono la modalità per
assicurare ai cittadini il diritto di partecipare alla programmazione dei
servizi stessi, anche mediante l'intervento dei rappresentanti degli utenti e
delle formazioni sociali organizzate nel territorio, ivi compresi gli
organismi rappresentativi delle associazioni e delle istituzioni di cui al
successivo articolo 12.
I comuni per realizzare le finalità della presente legge:
a) provvedono alla organizzazione
del complesso dei servizi sociali pubblici localizzati nel loro territorio
qualificando e potenziando i servizi sociali esistenti anche attraverso la
trasformazione delle strutture già funzionanti, istituendo nuovi servizi e
stipulando convenzioni con le istituzioni private iscritte nel registro
regionale di cui al successivo art. 12;
b) garantiscono il diritto dei cittadini di partecipare
alla gestione e al controllo dei servizi sociali pubblici, stabilendo anche le
modalità di intervento degli utenti, delle famiglie e
delle formazioni sociali organizzate nel territorio;
c) erogano le prestazioni economiche straordinarie e
temporanee secondo gli indirizzi generali determinati
dalla Regione.
Ai fini di cui alla lettera a) i Comuni si avvalgono della collaborazione
del volontariato.
I corrispettivi delle convenzioni di cui alla lettera a) sono
riferiti ai costi del servizio prestato.
Art.
11.
(Libertà
dell'assistenza privata).
In conformità dell'ultimo comma dell'art. 38 della
Costituzione è garantita la libertà di costituzione e di attività
delle associazioni, fondazioni o altre istituzioni, dotate o meno di
personalità giuridica, che perseguono finalità assistenziali.
Art.
12.
(Registro regionale
istituzioni private).
In ogni Regione è istituito un registro per la iscrizione delle associazioni, fondazioni e istituzioni
private, dotate o meno di personalità giuridica, che intendono essere
consultate, dagli enti locali di cui all'art. 10, nella fase preparatoria della
programmazione dei servizi sociali e concorrere alla stipulazione di
convenzioni con gli enti medesimi.
L'iscrizione nel registro delle istituzioni private,
fermo restando il rispettivo regime giuridico-amministrativo,
è disposta dalla Regione sentiti i comuni singoli o associati nei cui
territori opera l'istituzione, previo accertamento dei
seguenti requisiti:
1) assenza di fini di lucro;
2) idonei livelli di prestazioni, di qualificazione
del personale e di efficienza organizzativa ed
operativa;
3) rispetto per i dipendenti delle norme contrattuali
in materia, fatta eccezione per i casi in cui si tratta di prestazioni
volontarie o rese in forza di convenzioni e le fondazioni di cui al primo
comma con ordini religiosi o case generalizie;
4) corrispondenza ai principi
stabiliti dalla presente legge e alle condizioni previste dalle leggi
regionali.
Per le istituzioni operanti in più Regioni
l'iscrizione è effettuata nel registro tenuto presso la Regione in cui
l'istituzione ha sede legale, sentite le altre Regioni interessate.
Art.
13.
(Associazioni di
volontariato).
È riconosciuta la funzione delle associazioni di
volontariato liberamente costituite aventi finalità di concorrere al
conseguimento dei fini dell'assistenza sociale.
Tra le associazioni di volontariato di cui al comma
precedente sono ricomprese anche le istituzioni a
carattere associativo, le cui attività si fondano a
norma di statuto su prestazioni volontarie e personali dei soci.
Art.
14.
(Regioni a statuto
speciale).
Le disposizioni della presente legge si estendono in quanto applicabili alle Regioni a statuto
speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, con le procedure
previste dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti.
Art.
15.
Gli utili destinati dalle Casse di risparmio ad
attività assistenziali, nonché i fondi comunque
stanziati in bilancio per attività assistenziali dalle medesime casse di
risparmio o da altre banche di diritto pubblico, ivi compresi quelli destinati
ad IPAB istituite dagli stessi istituti di credito, vengono assegnati alle
Regioni ove gli istituti medesimi hanno la loro sede legale per essere
ripartiti tra i Comuni singoli o associati per lo svolgimento delle attività
socio-assistenziali.
Art.
16.
Le istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza che operano nell'ambito regionale sono soppresse entro il 31
ottobre 1980, salvo quanto disposto dall'art. 18.
La legge regionale stabilisce le modalità per il
trasferimento delle funzioni, dei beni e del personale
delle IPAB che operano nell'ambito regionale ai Comuni singoli o associati,
sulla base dei principi stabiliti dai successivi commi.
Il patrimonio mobiliare e immobiliare delle istituzioni,
con il relativo arredamento e attrezzature, è trasferito ai Comuni cui spetta
di esercitare le rispettive funzioni secondo le disposizioni del comma
precedente.
Nel caso in cui l'IPAB abbia sedi istituzionali o
patrimoni ubicati in Regioni diverse, i beni mobiliari e immobiliari sono
destinati ai Comuni in cui l'IPAB ha la sede legale, conservando i diritti delle
popolazioni a cui le prestazioni erano destinate.
I Comuni singoli o associati subentrano, dal momento del trasferimento nelle situazioni patrimoniali attive e
passive e nei rapporti pendenti a qualsiasi titolo, inerenti a beni e loro
pertinenze.
I trasferimenti ai Comuni dei beni e delle istituzioni
avvengono in esenzione da qualsiasi imposta o tassa di registrazione.
In deroga alle disposizioni previste dalla legge 17
luglio 1890, n. 6872, e dalla legge comunale e provinciale i Comuni sono
autorizzati ad effettuare alienazioni patrimoniali fino alla concorrenza
delle passività accertate alla data del trasferimento nell'ambito di ogni singola dotazione patrimoniale.
Art.
17.
Tutti gli immobili trasferiti ai Comuni a norma della
presente legge, dagli articoli 113 e 117 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, dalla legge di conversione 20 ottobre 1978,
n. 641, dal decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, dalla legge 23 dicembre 1975,
n. 698, già adibiti a centri assistenziali degli enti
e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse, comprese
quelle già amministrate dagli enti comunali di assistenza, debbono essere destinati
a sedi di servizi sociali.
In via transitoria o comunque
fintanto che non sarà realizzato un equilibrato sviluppo dei servizi sociali in
tutto il territorio nazionale, i Comuni cui sono trasferiti immobili di cui al
comma precedente destinati ad utenti di più comuni, provvedono a garantire,
attraverso l'associazione con i comuni limitrofi e con convenzioni con altri
comuni, la continuità delle prestazioni ai cittadini interessati.
I proventi netti derivanti dall'amministrazione e
dall'eventuale trasformazione patrimoniale dei beni acquisiti per trasferimento
dai comuni e dalle regioni in forza delle disposizioni di legge di cui al
precedente comma debbono essere portati ad incremento
dei fondi di bilancio iscritti per lo svolgimento di attività
socio-assistenziali.
La gestione finanziaria delle attività di assistenza e di tutti i beni trasferiti ai comuni concernenti
le istituzioni pubbliche di beneficenza, gli Enti comunali di assistenza e gli
Enti nazionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 616, viene contabilizzata separatamente, anche nel caso dell'unificazione
nelle unità socio-sanitarie previsto dall'ultimo comma dell'art. 8.
Art.
18.
Fermo restando quanto previsto dai successivi commi,
non si applicano le disposizioni di cui ai precedenti articoli 16 e 17 alle
IPAB comprese in una delle seguenti categorie:
1) alle IPAB aventi natura di associazione
di volontariato. Tale condizione sussiste allorché l'IPAB presenti
congiuntamente i seguenti requisiti:
a) che la costituzione dell'ente sia avvenuta per
iniziativa volontaria di soci o promotori privati ;
b) che l'amministrazione ed il governo delle
istituzioni siano, per disposizioni statutarie, determinati dai soci nel senso
che gli stessi eleggano la maggioranza dei componenti
l'organo collegiale deliberante;
c) che l'attività dell'ente si esplichi
a norma di statuto, sulla base di prestazioni volontarie e personali dei soci,
i quali effettivamente prestino lavoro volontario nelle iniziative dell'ente.
Le prestazioni volontarie e personali dei soci non possono consistere in mere
erogazioni pecuniarie;
d) che il patrimonio risulti
formato da beni derivanti da atti di liberalità o da apporti degli associati;
2) alle istituzioni pubbliche
promosse ed amministrate dai privati ed operanti con mezzi di provenienza
privata. Tale circostanza sussiste allorché ricorrano congiuntamente i seguenti elementi:
a) che si tratti di istituzione
il cui atto costitutivo o tavola di fondazione sia stato posto in essere da
privati;
b) che la maggioranza dei componenti
l'organo collegiale deliberante sia, per disposizione statutaria ad effetto
permanente, designato da privati; e che in tal caso il Presidente non sia per
statuto scelto tra i componenti di designazione pubblica;
c) che il patrimonio risulti
costituito da beni provenienti da atti di liberalità privata o dalla trasformazione
degli stessi;
d) che nell'ultimo quinquennio antecedente il 31
dicembre 1979, l'istituzione non abbia fruito di contributi, sovvenzioni od
altri finanziamenti, a qualsiasi titolo erogati da Enti pubblici;
e) che nel
medesimo quinquennio, le entrate derivanti da rette erogate a qualsiasi titolo
da enti pubblici o dallo Stato non abbiano superato il 30 per cento delle
entrate complessive dell'ente;
3) alle istituzioni religiose. Tale condizione sussiste quando ricorrono congiuntamente i seguenti elementi:
a) che
l'istituzione abbia, a norma di statuto, finalità religiose o di culto e che
l'attività istituzionale attualmente svolta persegua
indirizzi e finalità religiose;
b) che l'istituzione risulti collegata, in forza di disposizioni statutarie, ad
una confessione religiosa mediante la designazione degli organi collegiali
deliberanti di ministri di culto o di appartenenti a congregazioni religiose o
di rappresentanti di autorità religiose;
c) che
l'istituzione si avvalga della collaborazione di
personale religioso come modo qualificante di gestione del servizio.
Si applicano in ogni caso le
disposizioni degli articoli 16 e 17 della presente legge alle IPAB, il cui organo
amministrativo sia composto a norma di statuto, in maggioranza di membri
designati da Comuni, Province, Regioni o altri enti pubblici, alle IPAB già
concentrate o amministrate dagli ECA, alle IPAB la cui attività si esplica esclusivamente attraverso prestazioni di natura
economica, nonché alle IPAB che non esercitano di fatto le attività previste
dallo statuto.
Non si applicano le disposizioni
di cui agli articoli
16 e 17 anche se rientranti nel precedente comma del
presente articolo alle IPAB che gestiscono case di riposo per religiosi e
seminari, per le quali valgono comunque le norme e le
procedure di cui ai successivi articoli 19, 20 e 21.
Art. 19.
Entro 20 giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge, il legale rappresentante delle IPAB interessate
all'esclusione dal trasferimento, presenta alla Regione e ai Comuni, ove l'IPAB
ha la sede legale e le sedi istituzionali, domanda per l'applicazione del primo
comma dell'articolo precedente fornendo tutti gli elementi utili ai fini
dell'esclusione.
Entro i successivi 60 giorni i Comuni di cui al precedente comma, fanno
pervenire le proprie osservazioni alle Regioni.
Entro i successivi 60 giorni, la Regione, anche in assenza delle
comunicazioni dei Comuni di cui al primo comma del presente articolo, comunicano
alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che provvede immediatamente a
trasmetterle alla commissione interparlamentare per le questioni regionali,
le proposte di esclusione dal trasferimento o di
soppressione con riferimento alle domande presentate.
Entro il 30 settembre 1980 la Commissione di cui al
precedente comma, trasmette alla Presidenza del
Consiglio dei ministri il parere sulle proposte delle Regioni.
Decorso tale termine, il
Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto, provvede in
conformità del parere della commissione.
Le IPAB escluse dal trasferimento
ai Comuni, continuano a sussistere come enti morali, assumendo la personalità
giuridica di diritto privato, rientrando nella relativa disciplina.
Ove non sia stata presentata la
domanda di esclusione di cui al primo comma del
presente articolo, entro il termine ivi prescritto, le IPAB sono soppresse e
trasferite ai comuni ai sensi dell'art. 16.
Il trasferimento ai comuni dei
beni, delle funzioni e del personale delle IPAB che hanno avanzato domanda di esclusione dal trasferimento decorre dalla data di
emanazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che accerta
il difetto delle condizioni previste per l'inquadramento delle IPAB stesse in
una delle categorie di cui al primo comma dell'art. 18.
Art. 20.
Le norme di cui ai precedenti
articoli 16, 17, 18 e 19 sostituiscono a tutti gli effetti quelle contenute nel sesto e settimo
comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977,
n. 616, e quelle di cui all'annotazione apposta alla tabella 8 allegata al decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, relativa alle IPAB interregionali.
I beni, le funzioni ed il
personale delle IPAB interregionali soppresse sono assegnati alle
Regioni nel cui territorio sono ubicate le sedi istituzionali
dell'IPAB stessa per essere destinate ai comuni secondo le modalità di cui agli
articoli 16 e 17 della presente legge, salvo il
caso di IPAB interregionali che svolgono attività destinate esclusivamente alla
popolazione di una sola Regione, per le quali valgono le norme di cui al
quarto comma dell'art. 16 della
presente legge.
Art. 21.
I divieti disciplinati dal primo
comma dell'art. 3 del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito, con modificazioni, nella legge 21 ottobre 1978, n. 641, hanno applicazione, per tutte le
IPAB comprese quelle incluse nell'elenco di cui al
sesto comma dell'articolo 25 del decreto
del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sino alla data di emanazione del decreto di cui al comma
quinto del precedente art. 19.
Art. 22.
Presso il Ministero del tesoro è
istituito un fondo nazionale per i servizi sociali costituito:
a) dal fondo per gli asili nido istituito con legge 6 dicembre 1971, n. 1044;
b) dal fondo speciale di cui all'art. 10 della legge n. 698 del 1975 (ONMI);
c) dal fondo sociale di cui
all'art. 75 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (equo canone);
d) dai fondi previsti
dall'art. 1-duodecies della legge 21 ottobre 1978, n. 641 (ENAOLI, ONPI,
ANMIL);
e) dai proventi netti di cui
al terzo comma dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica 24
luglio 1977, n. 616 (beni in liquidazione
degli enti nazionali, sedi centrali);
f) da una somma aggiuntiva
pari a lire 200 miliardi per il triennio 1980-82, iscritto nello stato di
previsione del Ministero del tesoro in ragione di lire 75 miliardi nell'anno 1982.
Alla ripartizione del fondo tra le Regioni si
provvede con decreto del Ministro del tesoro di
concerto con il Ministero della sanità e dei servizi sociali sulla base delle
proposte della Commissione interregionale di cui alla legge 16 maggio 1970, n.
281, sentito il Consiglio nazionale per l'assistenza sociale.
Le somme stanziate a norma del precedente comma vengono ripartite tra tutte le Regioni comprese quelle a
statuto speciale tenuto conto delle indicazioni contenute nei piani regionali e
sulla base di indici e di standards individuati dal
consiglio nazionale per l'assistenza sociale, distintamente definiti per la
spesa corrente e per la spesa in conto capitale. Tali indici e standards
devono
tendere a garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio
nazionale eliminando progressivamente le differenze strutturali e di
prestazioni tra le regioni.
Per la ripartizione della spesa in conto capitale si
applica quanto disposto dall'art. 43 testo unico delle leggi sul Mezzogiorno
approvato con decreto del Presidente della Repubblica il 30 giugno 1967, n.
1523, prorogato dall'art. 7 della legge 6 ottobre 1971, n. 853.
Art.
23.
I Comitati provinciali di assistenza
e beneficenza pubblica sono soppressi e le residue funzioni sono attribuite
ai comuni singoli o associati nei modi e nelle forme stabilite dalle leggi
regionali.
I consigli di aiuto sociale
di cui agli articoli 74 e seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 sono
soppressi. Le funzioni, i beni e il personale sono trasferiti ai comuni singoli
o associati nei modi e nelle forme stabilite dalle leggi regionali. Sono abrogate le norme previste dall'art. 154 del testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773,
sono altresì abrogate le norme di cui all'art. 15 del decreto del 23
marzo 1945, n. 173.
(1) Proposta di legge presentata alla
Camera dei Deputati in data 8 novembre 1979 dall.on.
Lodi e altri parlamentari del PCI.
www.fondazionepromozionesociale.it