PROSPETTIVE ASSISTENZIALI
N.
49 bis
marzo 1980
INTERVENTO
di Giancarlo Gobbato,
Federazione Enti locali CGIL di Venezia
Per trattare il problema dell'assistenza all'anziano,
ritengo come tappa obbligatoria un'analisi generale che porta da un difficile
passato vissuto dalle masse popolari del nostro Paese a
una verifica anche dei passi difficili, delle battaglie sostenute dal
movimento operaio per conquistarsi delle leggi di protezione assicurativa e
sanitaria fatta dallo Stato. Uno Stato però retto da partiti politici ostili
alla classe operaia e che ha sempre cercato di privilegiare
attraverso forniture di fondi, di aiuti economici più o meno pubblici, il
sorgere indiscriminato di istituti di beneficenza, di carità cattolica per la
salute e per dare assistenza al lavoratore ammalato o al povero. Ora in parte
questa logica è stata rovesciata dalle dure lotte sostenute dai lavoratori e
specialmente dal 1968 in poi su questo terreno dall'avanzata della sinistra
sulla scena politica. Tutto questo ha determinato la conquista di ampi spazi e l'avvio di quel processo di riforma
generale della sanità indirizzandola a divenire un'opera di servizio pubblico
delimitando sempre più le aree di intervento privato.
Nel contesto generale della
sanità spunta fuori in tutta la sua drammaticità, il tema politico dominante
di questi ultimi anni: fabbrica-territorio. E da ciò fa ricerca anche del
legame esistente tra le malattie dei lavoratori delle fabbriche
e quelle della popolazione, entrambi colpiti da un dissennato e indiscriminato
sviluppo industriale, che nella logica del massimo profitto distrugge con
metodi criminali ampie aree di territorio e la relativa salute pubblica.
In questa situazione disastrosa e attuale
verifichiamo tutti i giorni che gli stabilimenti industriali hanno
impianti di sicurezza e di depurazione inadeguati a ridosso dell'abitato
urbano, provocando scarichi nocivi e inquinando dei fiumi che provocano intere
morie di pesci, avvelenamento continuo dell'aria che respiriamo.
Ed ecco svilupparsi in termini sempre più gravi il
problema della nocività delle fabbriche che investe il territorio e da qui
l'esigenza primaria di continuare nella battaglia per una diversa programmazione
industriale, per una assistenza sanitaria e sociale
parallela che incida equamente sia nella fabbrica come nel territorio. In
questo quadro preoccupante per tutti, si inserisce con
forza uno degli aspetti negativi e che maggiormente risultano deteriorati nei
rapporti sociali del nostro Paese, in questi ultimi anni: il modo e i metodi
per gli interventi sanitari e di assistenza per gli anziani.
Penso che i modi e i metodi con cui viene erogata attualmente l'assistenza all'anziano, abbiano
raggiunto un tale degrado che necessitano interventi urgenti e immediati
coinvolgendo tutte le forze democratiche progressiste del nostro Paese per
sottrarre gli anziani dall'emarginazione in cui l'assistenza attuale li ha
condannati. Essi purtroppo sono le maggiori vittime di questa nostra società
strutturata a sviluppo capitalistico sfrenato, riallacciandomi a quanto appena
detto sulle fabbriche e sull'utilizzo della forza lavoro al loro interno.
In un modello di società come la nostra che punta
tutto sullo sfruttamento personale, non certo per il beneficio sociale, ma per
accrescere i profitti del capitalismo nazionale e internazionale, il
lavoratore collocato a riposo per raggiunti limiti di età,
diventa un soggetto non più sfruttabile secondo le logiche del profitto che si
basano sullo sfruttamento umano, quindi considerato improduttivo.
Si capisce allora perché, in una società che marcia
in questo modo con metodi alienanti, esaltando lo sfruttamento per il realizzo
del privatismo a sfavore del sociale, gli anziani
vengono condannati all'emarginazione. Bisogna dare battaglia, e combattere il
male fin dalle radici, partendo dalla tutela della salute in fabbrica e fuori,
puntando ad un profondo cambiamento dell'attuale sviluppo, ricercando interessi
anche esterni a quelli delle fabbriche, attività sociali e territoriali, dove
gli anziani collocati a riposo trovino il loro
utilizzo, il loro inserimento. L'anziano in un modello di società diversa
alternativa di quella attuale, deve rappresentare un
patrimonio di capacità acquisita, di esperienza, che va salvaguardato, e
utilizzato soprattutto in funzione di guida, in un processo di aggregazione
con il territorio e gli abitanti, a contatto con i problemi reali da risolvere
non ultimo quello di una condizione giovanile disastrata.
Gli istituti di ricovero per anziani «compagni», pur
con tutto l'impegno che ognuno possa mettere per
tentarne la descrizione, penso non riesca difficile definirli realmente come
«ghetti attuali», che vedono vegetare parecchie centinaia di anziani incomodi
anche per le loro stesse famiglie, e dove tutti i ricoverati perché tali sono,
che però vengano chiamati ospiti, si rendano perfettamente conto di essere dei
condannati e che l'unico rimedio per uscire dalla casa di riposo è chiudere
gli occhi per sempre, negandosi così ad un modo di vita squallido e privo di alternativa.
«NO» tutto ciò è inammissibile, non possiamo più permettere questo stato di
cose, la nostra azione futura deve essere tesa a capovolgerle, non possiamo
più accettare o guardare impotenti, l'esistenza di questi istituti dove un
vecchio sfruttato che ha lavorato per tutta la vita per la reclamizzazione
di una società migliore viene soltanto aiutato a
«morire». Bisogna affrontare da subito una fase politica diversa, che deve
trovare l'impegno di tutte le forze politiche, del
sindacato, per risolvere immediatamente attraverso delle fasi di
programmazione politica la tutela degli anziani.
I punti più importanti sono (e l'hanno ribadita anche interventi che mi hanno preceduto): dare
all'anziano una completa autosufficienza economica, puntare su strutture
socio-sanitarie di prevenzione, programmare diversamente l'edilizia abitativa,
con inserimenti territoriali nel sociale a contatto con le realtà giornaliere e
mantenere il più a lungo possibile gli anziani in condizione di
autosufficienza, puntando immediatamente sull'assistenza a domicilio. L'anziano
lo si aiuta veramente a vivere soltanto tenendolo a
contatto con il suo habitat reale, con le sue abitudini, accanto ai suoi
affetti più cari. Andando a verificare in questo campo esperienze fatte da altre Regioni, l'esempio più qualificante penso sia
l'Emilia Romagna che può contare su circa 4.000 assistiti a domicilio, e 500
operatori sanitari per dare questa assistenza. Sapendo già fin da ora che su
questo terreno dovremo affrontare delle grosse
battaglie con la Regione Veneto diretta politicamente dall'egemonia,
dall'integralismo democristiano, che marcia con logiche di potere tendenti a
sviluppare un'abnorme rete di istituti di ricovero e ospedalieri, ignorando
completamente iniziative di tipo preventivo. Non dimenticandoci
che nella nostra Regione risiede la roccaforte di quella stessa DC che sta
tentando di rimettere in discussione gli ultimi accordi sottoscritti tra
sindacato e governo per i dipendenti del pubblico impiego. Questo «compagni» per sottolineare di più le difficoltà
presenti, nel dare battaglia contro un polo politico conservatore, anche se è
mia convinzione profonda che mettendo in moto un'ampia partecipazione, creando
attorno a questi problemi un grande movimento di massa, scendendo in lotta
perché la Regione Veneto modifichi le sue logiche conservatrici, nell'immediato
futuro riusciremo a realizzare gli obiettivi prefissati.
Fra i quali importantissima è la definizione del
ruolo dell'operatore di sanità che lavora direttamente a contatto con l'anziano,
di questo lavoratore per anni ignorato anche dai
contratti di lavoro passati, che vive a contatto con tutto il tipo di
situazione esposta, che è stato per anni il soggetto passivo della logica
clientelare di passate amministrazioni a maggioranza democristiana, che hanno
operato assunzioni senza preoccuparsi di avere «personale qualificato».
Non da oggi abbiamo verificato che questi operatori fanno tutta la gamma dei servizi del personale sanitario
pur non avendone la «qualifica», perché i modi di erogare assistenza
all'interno delle case di riposo vanno dall'ausiliario, per arrivare ai
compiti previsti dall'infermiere professionale, ma nella stragrande
maggioranza dei casi chi adempie a tutto questo iter dell'assistenza è
un'unica figura: l'«ausiliario». Personale che opera con volontà in compiti non
propri cercando di sopperire all'istruzione tecnica mancante, con la pratica
per certi aspetti fondamentale, ma insufficiente da
sola per completare il ruolo di questo operatore. Ciò è servito alle passate amministrazioni
che assumendo il personale come dequalificato, giustificavano in parte le
condizioni di sottosalario di questo dipendente, che poi nella pratica operava
come personale specializzato.
Diventa evidente che il prolungarsi di questa situazione
deleteria viene pagata principalmente dagli anziani;
in quanto diventa grave rischio per i lavoratori svolgere mansioni per le quali
potrebbero essere anche denunciati, con relativa perdita del posto di lavoro e
che vengono pagati per attività inferiori
(pur assumendosi oneri e compiti superiori) da chi ha opportunamente, fino
adesso, sfruttato una forza lavoro dequalificata, pescando in questa direzione
e approfittando di una caotica situazione sanitaria e assistenziale.
Non a caso prima parlavo
della Regione Veneto, perché proprio qui riscontriamo dati statistici fra i
più gravi. Infatti circa il 70% del personale
sanitario di questa Regione è dequalificato, utilizzato fino ad ora soltanto
all'obbedienza e conformismo.
Diventa evidente che, in situazioni di questo tipo,
può sorgere con estrema facilità quel «sindacato autonomo» che pesca nel
malcontento generale, nel tentativo di oscurare le lotte di riforma e per
deviare il movimento dei lavoratori dai giusti obiettivi.
Anche per questo bisogna trovare in tempi brevi i rimedi
sostanziali per l'intero comparto degli addetti alla sanità e all'assistenza.
Penso che il primo punto da affrontare, già da questi rinnovi contrattuali, sia
una profonda riforma del salario rivedendo l'iniqua formula degli scatti
orizzontali, che crea sperequazione anche a parità di lavoro.
Altro punto fondamentale da affrontare con i
lavoratori è la formazione professionale, con corsi
di riqualificazione non selettivi e aperti a tutti, puntando sulla
partecipazione reale degli addetti. E i corsi di riqualificazione non devono
costituire una vendita che serve solo per giustificare una rivalutazione
salariale, ma devono rappresentare una novità reale, che veda
protagonisti gli stessi lavoratori, che crei servizio, che colleghi gli operatori
della sanità e dell'assistenza all'utenza, che produca un profondo cambiamento
dei modi e dei metodi di lavorare attuali.
Questi sono punti fondamentali in cui come sindacato
si recupera un rapporto di fiducia e di partecipazione da parte dei lavoratori,
aprendo confronti con gli amministratori, oltre che sui punti esposti, sulla
necessità di una ristrutturazione sostanziale ponendo
come prioritaria un'organizzazione del lavoro che riveda gli attuali metodi,
proiettandosi in un futuro prossimo, sviluppando il lavoro di gruppo
partecipato, portando ottimi elementi di qualificazione anche nei momenti
operativi.
Partendo anche da logiche che si indirizzino
nel superamento della divisione gerarchica dei lavoratori, ricercando una figura
professionale nuova di operatore sanitario, puntando alla degerarchizzazione
nella categoria operaia divisa ora da varie figure (inserviente, ausiliario,
infermiere generico, infermiere professionale).
Nei corsi di riqualificazione e nei prossimi contratti
di lavoro dovremmo individuare un ruolo di operatore
assistenziale territoriale polivalente, ricercando anche nelle materie di
insegnamento, che saranno trattate durante i corsi, quelle che maggiormente si
addicono per le prospettive future del servizio di assistenza domiciliare.
Bisogna anche superare il tipo di assistenza
presente oggi all'interno degli istituti di ricovero, che è elemento di
distorsioni per gli anziani creando profonde divisioni, e discriminando l'ospite
povero da quello ricco.
Con l'incapacità di interi
consigli di amministrazione di dare risposte immediate su questo argomento, si
vedono ancora gran parte degli anziani poveri isolati ed emarginati in reparti
maleodoranti, che vengono chiamati infermeria, e che altro non sono che
cronicari stabili, dove l'imputridimento e il maleodore
continuato è tale che ha impregnato gli stessi muri.
Dobbiamo dire basta subito a queste ghettizzazioni e
queste disumanizzazioni contro gli anziani,
risollevando anche da un modo squallido di lavorare,
in cui sono condannati, anche gli addetti a questo tipo di assistenza.
Dare battaglia anche per un giusto utilizzo delle leggi di riforma vuol dire non consentire più alla
Regione Veneto di formulare leggi tipo la «45» di recente emanazione tendente a
deviare il movimento dai giusti obiettivi.
Avviandomi verso le conclusioni, compagni, penso stiano maturando i tempi del cambiamento; però per
realizzarlo è necessaria in tutti noi molta umiltà, che non è l'umiltà del
debole, ma l'umiltà di chi cerca di capire, di chi è capace di entrare nelle
condizioni reali dei problemi, di chi cerca di dare soluzioni alle proposte, di
chi dopo aver capito, cerca di far capire, generalizzando la battaglia dopo
aver individuato il terreno più idoneo per combatterla.
Su tutti i temi esposti, compagni, si gioca il futuro
degli istituti di ricovero, e di tutti quelli che vivono e operano all'interno.
Per questo è necessario saper interpretare il
desiderio di cambiamento, che anima gli anziani che vivono nelle case di
riposo, e i lavoratori che operano in questo settore, sensibilizzando l'opinione
pubblica, mobilitando le masse, riattivando la partecipazione complessiva.
Sapendo già che bisognerà affrontare duri scontri su
questo terreno, per mettere in moto una fase politica di mutamenti profondi,
che miri alla soddisfazione concreta dei bisogni
dell'anziano e di chi lo assiste, per il diritto a un modello di vita
diversa.
INTERVENTO di Bianca Marrè Brunenghi, insegnante, U.L.C.E.S., Sez.
di Ivrea
Dalle diverse esperienze degli operatori sociali ascoltate in questi giorni è emerso come sia impossibile
risolvere i problemi degli anziani (così come pure quelli riguardanti i minori
o gli handicappati) senza un tessuto sociale sensibile e preparato.
D'altra parte mi ha colpito il
fatto che a questo convegno la quasi totalità dei presenti sia costituita
da assistenti sociali, medici o comunque «addetti ai lavori». Mi sono chiesta
spesso quale debba essere il rapporto tra questi
operatori e i privati cittadini e se esistano dei seri tentativi di
coinvolgimento della gente sui principali problemi sociali.
Come insegnante, ho potuto constatare e segnalare in
molte circostanze come tutta la problematica riguardante i problemi sociali e
sanitari sia completamente assente nella scuola italiana.
Al massimo si tenta una debole ed annacquata
sensibilizzazione attraverso momenti «commemorativi» (v. Anno del fanciullo, ecc.) o attraverso ricerche o studi che
rimangono esclusivamente teorici e raramente permettono agli allievi una seria
presa di coscienza della realtà che li circonda.
Da molto tempo si parla della necessità di un
rinnovamento dei contenuti nella scuola (alludo
specialmente alle scuole superiori). Gli studenti, tra l'altro, sono
disponibili a cogliere certi messaggi e ciò anche a causa del vuoto di valori
che si è creato oggi attorno ai giovani: ma raramente vengono
proposti loro temi concreti e reali su cui discutere e lavorare.
Esiste oggi la possibilità di un primo aggancio
concreto con la scuola: da alcuni anni infatti si sono
aperte parecchie scuole superiori sperimentali (attualmente sono circa un
centinaio, sparse in quasi tutta Italia). Diverse di queste scuole hanno attivato, dopo un biennio orientativo e formativo, un
triennio ad indirizzo sociosanitario, biologico-sanitario
o di scienze umane e sociali.
Nelle scuole sperimentali si cerca di
accentuare il rapporto tra scuola e territorio e spesso sono previsti
per gli studenti tirocini ed esperienze di lavoro al di fuori della scuola
(per esempio: negli ospedali, nei quartieri, nelle comunità alloggio, nei
centri per anziani, nei centri AIAS, ecc., ovviamente previo accordo con gli
organi competenti).
Mi sembra opportuno rivolgere un invito agli
operatori sociali perché prendano contatto con gli insegnanti di queste scuole,
per portare nella scuola le loro esperienze e i problemi di cui vengono a
conoscenza e per accogliere, nelle strutture in cui operano, gli studenti per
tirocini di lavoro.
Mi parrebbe una via corretta e logica per far finalmente
entrare il «sociale» nella scuola. Si potrebbe così raggiungere un duplice
scopo:
- rendere più vivi i contenuti dei
programmi scolastici e preparare cittadini sensibili ai problemi sociali;
- favorire la preparazione di nuovo personale per il
settore dei servizi sociali e dare vita a nuove figure
professionali (mi riferisco qui anche alla relazione del IV gruppo, là dove si
lamenta la mancanza di personale adeguatamente preparato).
Non è infatti un mistero che
la scuola statale continui a formare - anzi a «sfornare» - le stesse figure
professionali di 50 anni fa, nonostante i profondi cambiamenti che si sono
verificati nell'organizzazione della nostra società.
Dal canto loro le Regioni, cui spetterebbe il compito
della formazione professionale, raramente si preoccupano di istituire nuovi
corsi professionali di primo e secondo livello (rispettivamente, dopo il
primo biennio di scuola superiore e dopo il conseguimento del diploma di maturità),
col risultato che molti giovani sono costretti a rimanere «parcheggiati» nella
scuola o nelle università, senza una reale motivazione ad alcun tipo di studi.
Non è quindi retorica la considerazione
che, ancora una volta, è necessario preoccuparsi della scuola di oggi
per la costruzione di una società di domani diversa e migliore.
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