PROSPETTIVE ASSISTENZIALI   N. 49 bis     marzo 1980

 

 

INTERVENTO di Bruno Facchinelli, Segretario regionale SPI-CGIL del Veneto

 

L'iniziativa della rivista di convocare questo convegno sulla condizione dell'anziano è un fatto importante, e per il sindacato un'occasione per confrontarsi su alcuni punti con persone che se­guono questo settore di lavoro.

I ritardi della Regione Veneto, e in generale di tutti gli Enti locali, nell'applicazione della riforma sanitaria, e nel predisporre le leggi di attuazione delle varie materie e competenze, rischia di por­tare le strutture sanitarie in una situazione di incertezza e confusione, e di provocare il più completo disservizio.

Il movimento sindacale, impegnato a precisare la sua piattaforma sulle materie socio-sanitarie, dovrà superare notevoli ritardi, che sono di cono­scenza della complessa materia sanitaria e di precisazione dei suoi obiettivi, per riaprire il con­fronto con la Regione e con gli Enti interessati al più presto.

Senza la lotta dei lavoratori e l'impegno sinda­cale il rischio di veder non attuata la riforma, e il conseguente caos nelle strutture sanitarie e sociali, è un pericolo reale. I comuni e i com­prensori per mancanza di volontà politica, o per impreparazione degli amministratori, sono gene­ralmente incapaci di dare corso alle decisioni necessarie per avviare la riforma e per dare vita alle ULS.

Le responsabilità della DC e della Regione sono quindi alla base di questa situazione di confusione e di incertezza. Solo la decisa inizia­tiva del sindacato e dei partiti democratici può imporre una svolta e salvare la riforma.

Un ruolo importante possono avere in questa lotta anche tutte le persone che lavorano nelle strutture sanitarie: tecnici, assistenti, medici e personale sanitario.

Occorre superare quindi le divisioni delle varie categorie, dare una unità alle troppe azioni categoriali che hanno obiettivi di difesa delle condi­zioni particolari, e costruire un'azione che coor­dini tutte le forze interessate su una piattaforma unitaria: è questa la condizione essenziale per avviare la riorganizzazione delle strutture sanita­rie e affrontare i nodi sociali finora insoluti.

Nella relazione mi pare non sia stato posto questo punto del ruolo dei lavoratori nell'attua­zione della riorganizzazione dell'apparato sanita­rio, e del rapporto con medici e tecnici che ri­mane uno dei problemi più complessi ma che va affrontato e risolto, richiamando tutte queste componenti ad una seria riflessione sulla situa­zione in atto.

Al centro di questo convegno c'è l'anziano con i suoi problemi, con le ingiustizie che questa società ha finora compiuto nei suoi confronti.

L'emarginazione degli anziani è di ordine eco­nomico; la stragrande maggioranza degli anziani è infatti condizionata dalla modesta pensione che non permette loro di provvedere alle loro esigen­ze, e li condiziona a vivere di carità. Ma vi sono anche le carenze di questi servizi così inadatti al vivere civile ed espressione di un paradossale sistema pietistico di assistenza, molte volte data con fini clientelari o con una visione discrimi­nante e umiliante che tende a scaricare l'anziano agli ospizi per i poveri; e sono i lavoratori che hanno lavorato una vita e ricostruito il Paese dopo la guerra ad avere bisogno della caritatevole assistenza in ricoveri per anziani, molte volte squallidi e opprimenti, dove si va ad attendere la fine di un'esistenza che si è consumata per procurare il benessere agli altri.

Assumere l'impegno a fare esperienze che por­tino a dare attuazione all'assistenza a domicilio all'anziano, mantenendolo legato alla sua casa, al suo quartiere. alle persone che ha amato, agli amici che ha conosciuto.

Dare concretezza agli orientamenti della legge di riforma sanitaria significa superare i ghetti degli ospizi e ricercare nuove forme di case­centro sociali dove l'ospitalità diurna non sia solo per gli anziani, ma aperta ai cittadini e sia anche culturale e di partecipazione ai problemi del quar­tiere e delle strutture sanitarie.

L'impegno che si chiede alla nuova geriatria è di ricercare sì la specializzazione e nuovi metodi di prevenzione, di cura e di riabilitazione, ma superando il pericolo di ospedali per soli vecchi cronici, collegando i metodi di cura allo sforzo di non far decadere gli anziani degenti nella spi­rale della rassegnazione, della perdita di volontà e del vuoto assoluto. Importante può essere il ruolo delle assistenti sociali e del personale in­fermieristico che possono riempire il vuoto dell'assenza dell'affetto dei familiari, ma nei casi di ricovero per lungodegenti un ruolo determi­nante assume il compito del medico per il ricu­pero dei degenti, per il legame che si crea con il medico curante.

Se guardiamo all'assoluta mancanza di attrez­zature sanitarie locali diventa quindi ben arduo il compito di cambiare le cose e dare una cer­tezza alle attese degli anziani e attuare il pro­gramma sanitario.

C'è poi la situazione degli irrecuperabili e dei non autosufficienti che va affrontata superando gli schemi dei cronicari, puntando sull'alta spe­cializzazione e rapporto umano con i congiunti e con l'ambiente familiare.

Mancano le case per gli anziani, la legge che prevede che il 30% degli alloggi vada assegnato ai pensionati non viene applicata, non vengono considerati i costi dei medicinali per le persone anziane, che vedono falcidiata la pensione dal ticket.

Senza la lotta dei lavoratori questo stato di cose non potrà cambiare, ecco perché il ruolo del sindacato pensionati che riunisce tutti i lavora­tori che hanno completato il periodo lavorativo e

li mette in condizione di potere ancora lottare ai fianco dei lavoratori in produzione, di essere an­cora parte attiva nella determinazione di una di­versa condizione di vita per loro e per i futuri pensionati, di partecipare alla realizzazione di una società più giusta e di un sistema sociale e sanitario più umano.

Tutto questo noi lo valutiamo nel proporre la lotta di tutti i lavoratori e dei pensionati per l'at­tuazione della riforma sanitaria, per la riforma della previdenza e delle pensioni, e per il rior­dino del fisco, del trasporto e della casa, che tengono conto della specificità della condizione dell'anziano.

Se in questa lotta si realizzerà l'unità con le categorie che sono legate al sistema sanitario, con i medici e le forze democratiche locali, allora le possibilità di realizzare seri passi in direzione della riforma e una svolta nell'impegno della Regione Veneto sarà un obiettivo possibile.

 

 

INTERVENTO di Antonio Fulci, Dipartimento servizi sociali della Regione Umbria

 

Il Piano sanitario nazionale 1980-82 prevede, per la tutela della salute della popolazione an­ziana, un progetto-obiettivo al quale dovranno at­tendere, in particolare, i responsabili della poli­tica regionale e delle Unità sanitarie locali.

Nei riguardi di tale progetto viene precisato che le iniziative da predisporre debbono soddi­sfare le esigenze degli anziani in maniera non settoriale, poiché le stesse si presentano stret­tamente interdipendenti tra loro al punto da ren­dere necessaria l'integrazione tra i servizi sani­tari e sociali.

Si prospetta, quindi, l'esigenza di predisporre un sistema integrato di servizi, affidato alle ULS, che consenta la scelta degli interventi più idonei, dando una netta priorità a quei servizi che mantengono l'anziano nel proprio ambiente (domi­cilio), anche in caso di malattia.

Il progetto-obiettivo va, perciò, realizzato con una azione preventiva, tendente a limitare gli effetti dell'invecchiamento, tramite un'opera di salvaguardia della salute con l'eliminazione dei motivi di cronicizzazione degli stati morbosi; ciò comporta - ci pare - il superamento del con­cetto di medicalizzazione di ogni tipo di politica a favore degli anziani con interventi più pretta­mente a carattere sociale.

In sostanza, con il progetto-obiettivo, si do­vrebbero raggiungere: l'autosufficienza economi­ca, facilità per l'anziano di occupare il tempo «vuoto» anche tramite attività lavorative ade­guate al suo stato psico-fisico; la rimozione del processo di differenziazione sociale, consenten­do agli adulti la possibilità di formarsi una pro­pria cultura; la mobilità, attraverso adeguati prov­vedimenti per un assetto territoriale (viabilità) che favorisca i trasporti e, in materia urbanistica ed abitativa, eliminando le cosiddette «barriere architettoniche »; la permanenza degli anziani nelle loro case promuovendo la realizzazione di alloggi e di servizi a domicilio.

La complessità di tali obiettivi rende abbastan­za chiaro come gli interventi a favore delle per­sone anziane debbono costituire oggetto di tutte le politiche e non soltanto di quella limitata agli stessi anziani.

Nel quadro degli obiettivi e degli orientamenti suindicati è possibile concretare un'azione di tu­tela della salute, potenziando quei servizi sani­tari i cui interventi si basino sul ritorno alla capa­cità funzionale dell'anziano nelle attività di tutti i giorni.

I servizi dovranno attuarsi con presidi collocati sul territorio, nel distretto o nei centri integrativi delle ULS, e, nei casi più delicati e difficili, in quelli regionali e subregionali, tenendo conto dell'urgenza, del volume dell'utenza e dell'entità della spesa.

Per quanto riguarda la prevenzione, essa si po­trà svolgere: portando avanti un'efficace attività di ricerca nel campo geriatrico al fine di mettere in evidenza, in tempi utili, le cause dell'invecchia­mento e di conseguenza suggerire i necessari interventi di profilassi e di terapia; dando più precise informazioni alla popolazione a comincia­re da quella scolastica, sui problemi connessi con l'invecchiamento; introducendo in fabbrica il tema dell'educazione sanitaria e sociale riferito ad una opportuna preparazione dei lavoratori al «dopo pensionamento», da svolgere già da qual­che anno prima dell'estromissione dal lavoro.

La preparazione del lavoratore al dopo pensio­namento potrà attuarsi concordando con i Consi­gli di fabbrica e con le aziende, l'effettuazione di corsi, incontri, dibattiti sui problemi della vec­chiaia (alloggi, alimentazione, tempo libero, sa­nità, cultura, socializzazione, ecc.) con la presen­za di esperti, ma anche di anziani ex-lavoratori che potranno dare consigli, emergenti dalla loro esperienza senile più o meno amara.

Se per l'anziano sano i problemi fondamentali sano quelli economici, alloggiativi, di emargina­zione, per il non autosufficiente, oltre ad aggra­varsi questi menzionati, ve ne sono di altri non meno importanti, tra i quali sono preminenti quelli dipendenti dalla mancanza di mobilità per­ché implicano condizionamenti tali da impedire quasi totalmente la vita di relazione e di rom­pere l'armonioso rapporto tra fisico e psiche.

Per l'anziano non autosufficiente; rispetto al sano, occorre, perciò, un ben più ponderoso in­tervento, essendo abbisognevole non soltanto di assistenza ma anche di gestione della sua vita quotidiana.

È necessario che tutto il personale che è a contatto con esso abbia una mentalità riabilita­tiva. Infermieri, assistenti domiciliari, parenti che assistono l'anziano invalido debbono conoscere i principi fondamentali della riabilitazione, onde evitare errori che possono far regredire l'anziano già sulla via di un recupero. Bastano poche ma precise nozioni: infondergli fiducia nel prossimo, impegnarlo stimolando le sue restanti capacità, sensibilizzarlo a stimarsi di più, non lasciarlo sempre a letta, stargli sempre vicini anche quan­do si vede che i risultati non sono eccessiva­mente positivi.

Le esperienze italiane e straniere di assistenza all'anziano non autosufficiente hanno dato risul­tati non eccessivamente brillanti per una ricon­quista di autonomia da parte degli utenti. Certa­mente l'ideale è quello di assistere l'anziano non autosufficiente nella propria casa, là dove il con­tributo di parenti, pazienti, premurosi e preparati renda più sopportabile all'anziano il proprio ma­lanno ed alla comunità il costo economico assi­stenziale (e ciò ci viene indicato dallo stesso piano nazionale). Ma la situazione della maggio­ranza delle famiglie, generalmente impossibili­tate, per vari motivi, più o meno validi, ad assi­stere il proprio parente invalido, purtroppo impe­disce, soprattutto per i meno abbienti, l'assisten­za in casa; l'assistenza diurna e notturna, e com­pleta, da parte dei servizi domiciliari sarebbe onerosissima e, comunque, non alla portata delle nostre risorse finanziarie attuali.

Pertanto si rende necessario orientarsi verso altri tipi di intervento tra i quali i più idonei ci sembrano quelli relativi all'assistenza per piccoli nuclei di 4-6 anziani non autosufficienti, meglio se misto con anziani sani, residenti in gruppi­appartamento usufruenti dell'assistenza domici­liare di distretto nelle sue varie forme.

Sia con l'assistenza a casa che con quella nei gruppi-appartamento sarà necessario che i ser­vizi integrativi si portino sul distretto utilizzando, a seconda dei bisogni, équipes specialistiche so­cio-sanitarie [geriatri, medici specialisti, terapisti della riabilitazione, animatori del tempo libero (o meglio «vuoto»), ecc.] che facilitino con inter­venti diretti e con consigli il gravoso compito dei familiari e degli assistenti domiciliari.

Rifiutando il costosissimo, e non socialmente valido, ricovero ospedaliero da utilizzare sola­mente per ragioni di obiettività terapeutica e non per carenze di servizi territoriali, e non essendo in grado, chissà ancora per quanti anni, di realiz­zare l'assistenza a casa dei non autosufficienti, non resta che rendere meno pesante i loro pro­blemi con l'assistenza nei gruppi-appartamento, ma questi ultimi, per la grave crisi di alloggi, si realizzano con difficoltà, e, come «ultima ratio», il ricovero in centri permanenti di riabilitazione psico-fisica con la speranza di restituire alla fami­glia un soggetto più autonomo, e, comunque, con l'intento per i più gravi di far trascorrere, nei loro ultimi anni, una vita il meno emarginante possi­bile con frequenti collegamenti delle istituzioni con la realtà esterna.

In ogni caso, qualunque sia il tipo di assistenza possibile, è importante che si intervenga con tut­te le risorse umane, tecniche, sociali e sanitarie disponibili al fine di ottenere un reinserimento nel tessuto sociale e per evitare la morte civile e morale prima di quella fisica.

Vanno bene, dunque, i servizi di prevenzione, l'organizzazione integrata dei servizi socio-sani­tari, l'attività culturale, la divulgazione e l'effet­tuazione di convegni, incontri e seminari sugli anziani, come questo di Jesolo, ma, ricordiamoci, che la lotta contro i rischi della vecchiaia si fa con un'effettiva riforma della società, del modo di vivere della gente; rammentiamoci che la lotta contro la violenza cui sono sottoposti in conti­nuazione gli anziani, specialmente i non autosuf­ficienti, si attua con una maggiore giustizia so­ciale, sotto forma di un miglioramento delle loro condizioni economiche (pensioni), alloggiative, sanitarie e sociali in senso lato.

Ne deriva che tutti dobbiamo essere impegnati in tale battaglia e non soltanto gli addetti ai la­vori; ciò si può ottenere solamente con la parte­cipazione della base nelle varie fasi di program­mazione, realizzazione e verifica degli interventi.

Tra le esperienze compiute in Umbria nel cam­po degli anziani, con particolare riferimento ai non autosufficienti, ci sembra rilevante quella del Comune di Terni che, da oltre dieci anni, opera con servizi preventivi e riabilitativi, affian­cati da un lavoro di ricerca e di aggiornamento sulla condizione anziana.

Si tratta di servizi socio-sanitari innovativi che vengono realizzati a cura del Centro sociale di assistenza geriatrica del Comune (CSAG) nato dalla trasformazione della casa di riposo «Le Grazie», gestita dall'Ente locale, trasformazione consentita dalla legge regionale dell'Umbria nu­mero 12/1973 che permette ai Comuni di realiz­zare servizi alternativi all'istituzionalizzazione nell'ambito di una politica globale a favore degli anziani (e degli altri gruppi emarginati) che la Regione dell'Umbria persegue al fine di permet­tere alle persone anziane di occupare un posto soddisfacente nella comunità; politica che tende a riunire gli sforzi che si vanno compiendo nei diversi campi sociali, sanitari, ricreativi, ecc. strettamente correlati tra loro.

Il CSAG, nell'ambito delle attività promosse per la tutela globale dell'anziano, realizza inter­venti di tipo ambulatoriale, anche in alcune cir­coscrizioni, e domiciliare nei quartieri cittadini, entrambi a carattere sanitario e riabilitativo, ma, soprattutto, psicologico e preventivo, con uno stretto collegamento tra il sociale ed il sanitario.

L'assistenza domiciliare è di tipo sociale, infer­mieristico, di aiuto domestico, di tempo libero e riabilitativo.

Nella sede del Centro sono situati: una pale­stra per la riabilitazione fisica, un attrezzato am­bulatorio polifunzionale, un laboratorio di analisi chimico-cliniche, un Centro per il tempo libero, mentre come centro diurno gli anziani che lo desiderano possono utilizzare la mensa e le altre strutture di routine (pedicure, parrucchiere, bar­biere, ecc.).

La parte residenziale del Centro, pur mante­nendo, inevitabilmente, alcune caratteristiche ti­piche dell'istituzionalizzazione, ha subito una reale trasformazione nel senso che si occupa pre­valentemente della riabilitazione psicofisica aprendosi all'esterno in vari modi, consentendo all'anziano ricoverato un tipo di vita diversa da quella tradizionale degli istituti.

Per i non autosufficienti l'utilizzo di tutte le strutture e la partecipazione alle attività dei loro compagni meno sfortunati è certamente psicolo­gicamente positivo; basti pensare che ogni anno il CSAG invia una cinquantina di anziani non au­tosufficienti in vacanza a Pineto, sulla spiaggia abruzzese, a circa 250 km. da Terni, ospiti, in­sieme agli anziani sani, di alberghi aperti alla propria normale clientela.

Tutto ciò è consentito da un personale oppor­tunamente preparato e disponibile, nel quale i responsabili del Centro hanno cercato di incul­care, con appositi corsi di riqualificazione sul posto di lavoro, oltre una specifica formazione, una coscienza professionale che tuttavia si ma­tura attraverso il contatto umano con gli anziani invalidi.

In meno di 5 anni nel Centro si è avuta una diminuzione di 39 posti letto; oggi risultano rico­verati 139 anziani di cui 90 con handicap psico­fisici più o meno gravi. Da tenere presente che alla deistituzionalizzazione lenta ma continua si aggiunge, come risultato estremamente positivo, una netta diminuzione di ricoveri di cittadini an­ziani ternani negli ospedali ed in altri istituti con benefici psicologici ed economici che si com­prendono. Secondo una valutazione soggettiva, ma molto vicina alla realtà, si calcola che dal 1974 ad oggi siano state risparmiate circa 18.000 giornate di ricovero ospedaliero e 22.000 gior­nate di ricovero in istituto.

Con l'emanazione della legge 833/78 e del DPR 616/77 si attendono anche a Terni nuove numerose modifiche nell'assistenza all'anziano che sarà integrata con quella di tutti i cittadini e che vedrà numerosi servizi del CSAG decentrati ai distretti ricomprendendo, in una forma globale d'intervento, tutta la popolazione in stato di biso­gno di assistenza socio-sanitaria.

 

 

INTERVENTO di Felice Dapoto e Modestino Di Pietro, ULSSS del Potentino

 

Il problema degli anziani é stato continuamente oggetto di studio e di proposte a cui non seguono concreti interventi operativi. Non é possibile dire se l'immobilismo dipende dalia mancanza di vo­lontà politica o, come più probabile, dalla com­plessità del problema in quanto ogni anziano rap­presenta un problema nel problema.

Al fine di evitare che le discussioni e le buone intenzioni restino delle semplici elaborazioni cul­turali occorre procedere alla formulazione di pro­poste e di programmi che siano compatibili con le risorse economiche del Paese e nel contempo riescano ad assicurare una risposta alle esigenze più immediate dell'anziano. Non è concepibile l'assenteismo della società, che ha favorito in alternativa, l'inserimento di iniziative private che, pur con i loro difetti, sono le uniche presenze attuali capaci di assicurare un messaggio di soli­darietà alla categoria. Le effettive indifferibili richieste degli anziani devono trovare nella strut­tura pubblica la sede naturale dove risolvere i loro bisogni

La società deve sentire il dovere di uscire dall'immobilismo e di fissare delle linee operative generali in grado di soddisfare le aspettative pri­marie della categoria, di modificare i tradizionali ed errati comportamenti mediante un'adeguata azione di educazione sociale e sanitaria, di utiliz­zare in prevalenza le strutture esistenti, onde contenere l'impegno di spesa e di assicurare una elasticità operativa che consenta specifici inter­venti differenziati in relazione alle singole realtà sociali.

Il primo obiettivo dovrebbe essere finalizzato alla realizzazione di un intervento globale ed uni­tario. Pertanto le istituende ULS dovrebbero rap­presentare la struttura ideale per coagulare l'in­tervento sanitario e quello più strettamente as­sistenziale. Si ritiene che l'obiettivo possa essere raggiunto facilmente ove venisse sancito il prin­cipio che i Comuni esercitino le loro competenze nel settore assistenziale in forma consorziata. Vale a dire attraverso le ULS così come la legge n. 833 ha stabilito per le competenze sanitarie dei Comuni.

Certamente non risponde a criteri di raziona­lità la separazione dell'intervento sanitario e di quello assistenziale nel momento in cui il con­cetto di salute viene posto nella sua giusta an­golazione cioè di bene sociale e nel momento in cui si tende a privilegiare il momento preventivo su quello curativo. D'altra parte se la necessità di tale impostazione emerge evidente nell'attività

dei consultori familiari, nell'assistenza psichiatri­ca e ai tossicodipendenti, non si vede come si possa mantenere la distinzione dei due interventi nel campo degli anziani che più di tutti necessi­tano di un modello assistenziale unitario.

Sulla base di tali premesse si ritiene che si dovrebbero integrare opportunamente i servizi previsti per le istituende ULS.

A tale scopo, a livello di distretto, occorre prevedere, tra l'altro, anche l'assistenza infermie­ristica domiciliare e l'assistenza domiciliare da parte di personale sociale e ausiliare.

L'intervento in questa fase di avvio dovrebbe essere riservato esclusivamente ai soggetti an­ziani in condizioni di bisogno economico e privi di assistenza familiare.

Si ritiene che dove esiste una famiglia la so­cietà non deve sostituirsi, ma tutt'al più ci si può adoperare per integrarla o meglio per responsa­bilizzarla in un obbligo morale che è e resta pre­valentemente della famiglia.

Ad un livello superiore al distretto, laddove le ULS prevedono il poliambulatorio, quest'ultimo dovrebbe regolare i ricoveri ospedalieri, seguire i dimessi dall'ospedale e rappresentare un filtro al ricovero stesso con una opportuna funzione di prevenzione, stabilizzazione e riabilitazione delle infermità.

A tale livello dovrebbero essere previste delle piccole comunità-alloggio limitatamente ai sog­getti anziani che si trovano nelle predette condi­zioni di bisogno.

Le comunità alloggio potrebbero essere previ­ste anche a livello di distretto nei casi in cui la situazione locale lo richieda e lo consenta.

Passando ad ambiti territoriali comprensoriali o intercomprensoriali, accanto alla struttura ospedaliera dove l'anziano deve essere ricove­rato esclusivamente per infermità in fase acuta per le quali non è possibile il trattamento domi­ciliare, si vedrebbe favorevolmente l'istituzione di centri capaci di soddisfare i vari bisogni dell'anziano. Detti centri potrebbero essere centri aperti (negli agglomerati urbani con popolazione intorno alle 50 mila unità) allorché mirano ad as­sicurare servizi di mensa, lavanderia, servizi so­ciali, attività di svago, attività occupazionali, as­sistenza domiciliare ecc. e centri di ricovero allorché si prefiggano di accogliere i soggetti che, oltre ad essere bisognosi e privi di assisten­za familiare, non sono fisicamente indipendenti e quindi necessitano di una continua assistenza. Per i soggetti anziani abbienti, fermo restando le prestazioni gratuite ospedaliere ed ambulatoriali, si può prevedere l'utilizzo delle restanti strutture assistenziali mediante una partecipazione econo­mica rapportata al loro reddito.

Lo schema su esposto, pur se bisognevole di un approfondimento dei suoi contenuti, dovrebbe essere valido ad assicurare su tutto il territorio un servizio assistenziale. Infatti esso consente di utilizzare servizi già previsti per le ULS (ospedali, ambulatori, servizi di base) opportunamente po­tenziati, di assicurare una assistenza socio-sani­taria in strutture prevalentemente aperte, di ri­volgersi a tutta la categoria, con prestazioni gra­tuite per i bisognosi ed a pagamento per i sog­getti abbienti, di evitare la formulazione di pro­grammi demagogici che restano sulla carta per­ché economicamente inattuabili. In merito non va dimenticato che la fascia degli anziani è desti­nata ulteriormente ad allargarsi in relazione al protrarsi della vita media, ed in alcune regioni, come in Basilicata, al fenomeno dell'emigrazione. Inoltre esso permetterebbe una libertà operativa degli organismi locali in fase di applicazione in quanto i centri di ricovero dovrebbero rappresen­tare dei modelli organizzativi in grado di artico­larsi elasticamente a seconda che prevalga il bisogno sanitario o più strettamente quello mate­riale.

 

 

INTERVENTO di Bruno Finzi, geriatra

 

Ho chiesto la parola per due ragioni: la prima è che, secondo la definizione data dalla maggior parte degli autori, sono un anziano: ho infatti 62 anni compiuti, la seconda che sono un geriatra, uno di quelli che da circa 20 anni si battono come Don Chisciotte contro i mulini a vento dell'iner­zia, dell'incomprensione, della burocrazia.

Dice Santanera che lui non capisce che diffe­renza ci sia fra lungodegenti e cronici.

È una di quelle eleganti riforme che ci piac­ciono tanto e che non costano niente: ci sono due abitudini in Italia: una è quella di cambiare il nome delle cose lasciandole assolutamente invariate nella loro sostanza: gli spazzini che di­ventano netturbini e le aziende municipali per la nettezza urbana che diventano aziende muni­cipalizzate per l'igiene urbana non sono né più felici i primi, né più efficienti le seconde: basta guardare quanto è sporca oggi Venezia per far­sene un'idea.

L'altra è quella dello scaricabarile: c'è un isti­tuto a Venezia, quello di S. Lorenzo, che è stato affidato all'Ospedale Giustinian e si occupa di lungodegenti e cronici. Ai primi, come malati cu­rabili, deve provvedere economicamente la Re­gione, ai secondi invece il Comune: ne deriva che per la Regione su 250 malati solo 40 sono lungodegenti e tutti gli altri cronici, per il Co­mune è esattamente il contrario. Del resto, an­che se questo è poco consolante, non è un feno­meno soltanto nostro.

Negli USA esistono rette differenziate, nelle case di riposo, per le persone costrette a letto e per quelle che possono alzarsi: ne deriva che li tengono tutti a letto per migliorare il bilancio degli istituti.

C'è un'altra osservazione che vorrei fare: si parla tanto di eliminare le «barriere architetto­niche»: guardatevi attorno in questa bella sala che ci ospita e che è certamente di recente co­struzione (dopo la legge 118), ci sono dei gradini così stretti che i miei piedi ci entrano solo a metà, eppure io porto scarpe n. 42, il pavimento di marmo lucidissimo, le porte tutte a vetri senza nessun contrassegno, ottime per sbatterci la testa.

Il presidente dell'Azienda autonoma di soggior­no e turismo ha parlato della grande utilità dei soggiorni al mare per gli anziani, naturalmente nella stagione morta. L'architetto non ha pensato certo agli anziani o agli handicappati. E poi viene un dubbio: faranno proprio tanto bene questi sog­giorni climatici indiscriminati fatti fare agli an­ziani senza controllo medico preventivo, o faran­no bene ai bilanci delle Aziende di soggiorno dato che si svolgono appunto nella stagione morta?

Quello che è certo è che i ricoveri post-villeg­giatura nei reparti geriatrici sono numerosissimi: gli scompensi di cuore, le broncopolmoniti non si contano; i diabetici che approfittano della villeg­giatura per mangiare tutto quello che non devono sono all'ordine del giorno.

Allora noi diciamo: villeggiatura sì, ma con giudizio.

 

 

INTERVENTO di Maria Luisa Spaccatini Moroni,

Centro sociale di assistenza geriatrica del Comune di Terni

 

Per chi come me opera da anni in concreto nel campo e sul campo degli anziani, è doveroso rilevare che quando si programmano interventi in favore di questa fascia di cittadini, è indispen­sabile additare alla pubblica opinione le reali con­dizioni in cui si trovano i vecchi ricoverati nelle ancor troppo numerose case di riposo.

Sarebbe infatti inconcepibile che si continuas­se ad imbandire sull'argomento «anziani» tavole più o meno rotonde, e si versassero ancora sulla materia fiumi di inchiostro e di parole, che si orga­nizzassero incontri ad uso esclusivo degli esper­ti, se non ci si rendesse conto che l'unica via percorribile per ridefinire finalmente la condi­zione «anziana» nel nostro paese, è quella che inizia dal fondo, dalla cruda realtà dell'ospizio nella quale prima o poi, volente o nolente, l'at­tuale società deve imparare a calarsi.

Infatti questi organismi di ricovero, che nella maggior parte del territorio nazionale costitui­scono ancor oggi l'unico intervento riservato agli anziani, rappresentano il fulcro e l'alimento dei processi che determinano ed accentuano la loro emarginazione.

La tendenza all'aumento indiscriminato ed in­controllato di queste vere e proprie istituzioni totali, è dimostrato dal dato di fatto che nella sola città di Roma in quattro anni il loro numero è balzato da 73 e 117 ed in Umbria da 25 a 35.

In carenza assoluta di soluzioni alternative, nell'inadempienza sistematica di alcune disposi­zioni legislative in materia, di fronte all'evidenza dello slittamento continuo di altre normative, sempre in attesa della promulgazione di decreti legge che non arrivano mai, il fenomeno era pe­raltro prevedibile.

La società dei consumi ammucchia ai margini delle megalopoli ed ai lati delle catene di mon­taggio le sue vittime, prepara in abbondanza, in­sieme al «prodotto finito», gli uomini adatti all'ospizio. Visto in quest'ottica, ogni proposito di predisporre interventi per gli anziani non può che iniziare dal fondo, dalla cruda realtà dell'ospizio dei «poveri vecchi».

La mia esperienza e quella del gruppo che rap­presento, insegna che per inserire dignitosa­mente l'anziano nei nuovi servizi sociali e sani­tari predisposti dalla riforma per tutti i cittadini, è necessario innanzitutto prendere in mano la «patata bollente» delle istituzioni di ricovero, rendersi conto di quello che rappresentano nella realtà degli anziani, ridefinire finalmente il loro ruolo (in attesa di negarle) in organismi aperti, finalizzati prevalentemente alla prevenzione del­la cronicità ed al recupero funzionale di tutte quelle affezioni invalidanti che colpiscono più frequentemente gli anziani. Il tutto gestito dalle costituende Unità locali.

Il Centro Geriatrico del Comune di Terni si è mosso partendo appunto da un istituto di rico­vero: tentando di trasformarlo e di dare inizio, basandosi su questa realtà, a tutta una serie di iniziative alternative al ricovero coatto ed indi­scriminato e finalizzate alla riconquista da parte degli anziani, anche non istituzionalizzati, della loro dignità di persone e del loro sacrosanto di­ritto di usufruire a pieno ed in concreto dei prov­vedimenti di prevenzione, cura e recupero che la riforma sanitaria sta per diffondere in favore di tutti i cittadini.

Il Comune di Terni ha effettuato da tempo la scelta di porre questi servizi a disposizione so­prattutto degli anziani, non per ripercorrere an­cora una volta la via di un settorialismo in defi­nitiva riemarginante ma perché ha constatato e dimostrato che essi appartengono decisamente a fasce di più alto rischio, sono decisamente più deboli e notevolmente più numerosi.

 

 

INTERVENTO di Maria Agnese Tamborini,

Direttrice della Casa di riposo di Villadossola (Novara)

 

Nel cogliere l'opportunità di esporre il mio pensiero sul problema dell'assistenza per gli anziani, mi pare doveroso come operatore in una casa di riposo, risaltare l'importanza di questo incontro che rappresenta, oltre ad una presa di coscienza, un dovere pressante di azione al fine di ovviare alla carenza di una risposta, da tempo insoluta, della legge quadro per l'assistenza, ara­ba fenice, sempre vicina e sempre più irraggiun­gibile. Irraggiungibili non devono mai restare a mio avviso, primo: le conclusioni che possono risultare positive, sia per intese programmatiche di organi responsabili (e qui cito la proposta di legge di iniziativa della Regione Piemonte del 1° febbraio 1978 «Riorganizzazione dei Servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle Unità locali di tutti i servizi»). Secondo: scambi di idee e commenti approfonditi in giornate di studio e di équipes interessate. Terzo: l'azione intrapren­dente di amministratori pubblici coscienti.

Infatti, chi è attento al problema degli anziani, oltre ad una informativa dell'opinione pubblica, la sensibilizza con iniziative che ne coinvolgono l'azione ad ogni livello: dall'impegno morale a quello di servizio concreto, come l'idea geniale del presidente del Consiglio di amministrazione dott. Romano Corsini, il quale ha unito l'ospite e il cittadino in un contatto umano attraverso il dono di un fiore che, oltre ad essere abbellimento dell'ambiente, è anche motivo di comunicativa.

Inoltre il Consiglio di amministrazione della Casa di riposo Teresa Ceretti di Villadossola, con l'appoggio incondizionato dell'Amministrazione comunale, ha ottenuto dalla Regione Piemonte l'approvazione del progetto di ristrutturazione della Casa, con criteri di un'assistenza aperta, tanto che ritengo positivo leggere alcuni punti della relazione:

«Il presente piano di lavoro, predisposto se­guendo gli attuali orientamenti geriatrici, non si limita ad affrontare i problemi tecnici, architetto­nici, distributivi connessi alla ristrutturazione della Casa di riposo Teresa Ceretti, ma intende essere una proposta operativa globale nel settore dei servizi per anziani.

Pertanto si propone una gestione "aperta" del­la casa di soggiorno per anziani, che sia in co­stante contatto con gli altri servizi istituiti sul territorio in modo da evitare che il raggruppa­mento con bisogni simili finisca con il riprodurre forme di emarginazione dal contesto sociale.

Seguendo questa linea operativa, si propone inoltre la trasformazione della casa di riposo in centro di incontro per gli abitanti della zona, con particolare attenzione alla problematica delle persone anziane; ed in casa di soggiorno per alcuni anziani (singole persone o coppie di co­niugi)».

Tutto questo è testimonianza dello sforzo che insieme: operatori assistenziali, politici, sindaca­listi, cittadini, possono realizzare con volontà de­cisa per gli anziani; i quali nella realtà quotidiana delle loro necessità fisiche, psichiche, sociali, abbiano a godere di un diritto qualificato da parte di chi opera e qualificante nelle strutture da sce­gliere, affinché si tolgano forme avvilenti di bene­ficenza e si dia corso a un diritto sacrosanto nel rispetto del valore umano che ogni creatura com­porta nel contesto del bene comune.

 

 

INTERVENTO di Rosmina Viscusi Passannanti,

Assistente sociale, in rappresentanza della Sezione salernitana dell'ULCES

 

Come segretaria della sezione salernitana dell'ULCES ho innanzitutto il piacere di recare il saluto più cordiale dei nostri numerosi soci ed amici sia di Salerno che dei comuni limitrofi.

A titolo personale, poi, ed a nome della col­lega Di Verniere qui venuta in rappresentanza dell'unico Centro aperto per anziani esistente nella nostra provincia, sento il dovere di porgere alla Sezione veneta dell'ULCES ed in particolare al suo più qualificato ed attivo esponente Gia­como Brugnone, i nostri più vivi ringraziamenti per la calorosa accoglienza, per la perfetta or­ganizzazione di questo seminario e soprattutto per la scelta del tema.

Si avvertiva veramente l'esigenza e l'urgenza di fare un po' il punto sulla complessa e dram­matica situazione degli anziani oggi in Italia, specie dopo l'entrata in vigore delle Leggi n. 382 e n. 833 ma si avverte ancor più l'impellente ne­cessità di impostare unitariamente la problema­tica degli interventi in quanto è impossibile scindere in essi l'aspetto sociale da quello sani­tario ed è estremamente problematico operare una netta distinzione fra le realtà spesso con­fluenti dell'autosufficienza e della malattia.

E questo bisogno di confrontare le proprie opinioni, di scambiarsi le esperienze, di appren­dere nuove soluzioni, di aggiornare certe cono­scenze dovrebbe essere più avvertito laddove (come da noi in Campania) la situazione degli anziani è più dolorosa e scottante a causa dell'arretratezza o della carenza degli interventi in loro favore.

Eppure fra i numerosi esponenti politici, am­ministrativi, sindacali oggi qui convenuti da tan­te città italiane, mancano proprio i nostri rap­presentanti non solo a livello regionale ma an­che quelli di Salerno, in particolare, e poi delle altre province campane.

Forse non avrei dovuto farlo rilevare, invece ritengo ciò un mio preciso dovere per offrire un'ulteriore prova del disimpegno e del disinte­resse che molti, troppi, nostri responsabili della cosa pubblica mostrano verso questo problema (come verso tanti altri simili e di pari impor­tanza). La cosa è tanto più grave se si tiene conto che questo seminario era stato diffusa­mente e per tempo pubblicizzato e che la nostra sezione si era premurata di sollecitare diretta­mente la partecipazione dei rappresentanti lo­cali «impegnati» (si fa per dire!) in questo settore.

Per quanto riguarda, poi, l'esigua presenza di noi operatori sociali della Campania essa è pie­namente giustificata per vari motivi:

1) moltissime sono le Case di riposo e gli Istituti per anziani, sia pubblici che privati, ma solo pochissimi di essi hanno un'assistente so­ciale (l'ONPI, per esempio). Così in tutta la pro­vincia di Salerno - tanto per fare una cifra - le assistenti sociali del settore sono solo due ed una è impegnata in un Ente privato che è stato poi l'unico ad avvertire la necessità di inviarla al Convegno;

2) tale situazione è pressoché identica in tutta la regione;

3) altrettanto sparuto è il numero di assi­stenti sociali impegnati a livello territoriale, sia in questo che in altri settori. Tanto per citare una realtà che conosco, né il nostro capoluogo (oltre 150.000 abitanti) né alcuno dei 156 Comu­ni salernitani (circa un milione di abitanti) di­spongono di propri operatori sociali; qualche Comune minore sta adesso bandendo i con­corsi;

4) il famoso personale degli enti disciolti, che con il D.P.R. 616 doveva essere assegnato ai Comuni, malgrado le loro pressioni, sta an­cora aspettando: chi occupato a tempo ridotto sempre nell'ambito dell'Ente di appartenenza, chi completamente disoccupato a passeggio per i corridoi della Regione; e questi sono i più for­tunati perché tanti altri ottimi operatori sono andati dispersi in mille rivoli, in uffici statali che con la loro specifica professionalità non hanno alcun punto di contatto.

Fatte queste premesse di carattere generale, posso ora passare ad esporre nei particolari la situazione locale sicura che non potrete meravi­gliarvi se parlerò solo di Istituti, e gestiti nel modo più tradizionale, perché questo - come avete intuito - è l'unico intervento praticato (non è certo possibile considerare alternativo al ricovero uno sporadico e misero sussidio ero­gato a taluni dal Comune!); se citerò, come sede decisionale, più la Regione che i Comuni (le U.L.S.S. non sono ancora neppure nei pensieri dei nostri amministratori!); se, malgrado le no­stre ferme convinzioni sulla necessità della pub­blicizzazione dei servizi sociali, farò dei positivi apprezzamenti sull'attività di alcuni privati che però - tengo a sottolineare - non perseguono fini di lucro a causa della loro appartenenza ad un particolare ordine religioso.

Mi limiterò a pochi cenni essenziali e parti­colarmente indicativi in quanto, per chi deside­rasse saperne di più, come Sezione ULCES, ab­biamo preparato dei ciclostilati (che ho portato qui e che sono a disposizione di tutti) che of­frono un quadro generale della situazione della nostra provincia ed illustrano nei dettagli l'orga­nizzazione giuridico-amministrativa, strutturale­-ambientale di alcune strutture per anziani auto­sufficienti, parzialmente autonomi e per cronici.

1) A Salerno, dunque, come leggerete, vi sono due strutture per anziani autosufficienti, di pro­prietà del Comune ma da questo non gestite direttamente, neppure con l'entrata in vigore dei 616.

Il fatto che abbiano conservato dal secolo scorso, allorché sono sorte, la denominazione una di «Pia Casa di ricovero» e l'altra di «Con­servatorio Ave Gratia Plena Minor» vi può dare un'idea dello spirito progressista con il quale sono gestite. Se a questo aggiungo che a tut­t'oggi mancano ancora di riscaldamento centra­lizzato, di ascensore, di locali ed attrezzature sanitarie, occupazionali e per il tempo libero; che vi opera solo personale ausiliario e privo di qualsiasi specifica preparazione; che, malgrado vi siano degli allettati, non vi è personale sani­tario o paramedico fisso, mi pare di aver dato una visione più che esatta della situazione.

2) Per gli anziani che abbisognano di una qualsiasi assistenza sanitaria, di cure mediche di breve o lunga durata, vi é solo l'ospedale - ammesso che vi trovino posto! - dove spesso cercano di trattenersi tutto l'inverno, per sfug­gire al freddo, o l'intera estate, per sottrarsi alla solitudine.

Sulla situazione dei nostri ospedali è preferi­bile che taccia, per carità di patria.

3) Tutto il personale delle IPAB (sia di assi­stenza agli anziani che ai minori) sta da oltre un anno conducendo un'aspra battaglia per il passaggio al Comune e per una riqualificazione dei servizi e delle competenze ma viene conti­nuamente sbattuto da Ponzio a Pilato in quanto Comune e Regione si palleggiano doveri ed attri­buzioni, colpe e competenze, responsabilità ed iniziative per giustificare la loro latitanza ed il loro immobilismo sia a livello legislativo che attuativo.

4) Anni fa, l'A.A.I. aveva messo a disposizio­ne del Comune di Salerno, per la durata di cin­que anni, fondi, personale ed organizzazione tec­nica per l'istituzione di un Centro aperto per anziani con l'unico obbligo, per il Comune, di fornire i locali. Poiché gli amministratori comu­nali non provvidero neppure a questo, l'A.A.I. - dopo diversi anni di attesa - dirottò l'offerta a Comuni più solleciti ed interessati.

5) È così che ora l'unico «Centro aperto» esistente si trova in provincia - a Cava dei Tir­reni, una cittadina che dista dal capoluogo una decina di chilometri - ed è sorto per iniziativa di un gruppo di religiosi che già gestivano una Casa di riposo, alla quale l'hanno affiancata, pre­ferendo questa soluzione all'ampliamento della struttura chiusa.

Il Centro funziona da un paio d'anni; offre ser­vizi quali: mensa, lavanderia, bar, infermeria, attività organizzate ricreative, culturali e di oc­cupazione artigianale; i servizi sono gratuiti tranne una piccola partecipazione per alcuni di essi; ne usufruiscono circa 150 anziani con una presenza giornaliera di almeno 50 persone alcu­ne provenienti dalle altre strutture chiuse pre­senti sul territorio.

6) Infatti in questa località, che conta poco più di 50.000 abitanti, vi sono ben quattro Case di riposo: due pubbliche (una dell'ECA, l'altra dell'ONPI, ancora non assunte in carico dal Co­mune) che ospitano un totale di 200 ricoverati di ambo i sessi un quinto dei quali completa­mente allettati; e due private che ospitano in tutto circa 70 anziani, soli o coniugati, ma auto­sufficienti ed in grado di pagare rette varianti dalle 200 alle 300.000 mensili (circa il doppio di quanto si paga nelle strutture pubbliche).

7) Se nell'Istituto dell'ONPI, attualmente, il numero del personale è quasi pari a quello dei ricoverati (vi è anche un'assistente sociale a tempo pieno, però il medico è a rapporto profes­sionale) nella struttura dell'ECA il rapporto per­sonale-ospiti è di uno a sette ma quasi metà del personale è religioso e nessuno è partico­larmente qualificato.

Delle due Case di riposo private, una è sorta da poco meno di un anno per iniziativa di un avvocato di Nocera, ospita un limitato numero di anziani, la gestione amministrativa è a livello familiare; l'altra, cui accennavo prima, opera da circa 10 anni, impiega solo personale laico con un rapporto medio di uno ogni cinque assistiti, è l'unico a disporre di operatori sociali e sani­tari a tempo pieno.

8) Ultimo particolare significativo: il Comune di Cava e la Regione Campania, malgrado i fre­quenti e reiterati «attacchi», stanno resistendo «eroicamente» a qualsiasi tentativo di coinvol­gimento diretto o indiretto!

9) Per quanto riguarda i soggiorni estivi, ci risulta che solo il Comune di Napoli - da un paio d'anni a questa parte - ne ha organizzati alcuni ma l'iniziativa appare alquanto demago­gica perché si presenta completamente isolata in un contesto assistenziale che prevede (per qualsiasi categoria di emarginati o bisognosi) solo e sempre il ricorso all'istituzionalizzazione.

Per concludere, io penso che l'organizzazione dei servizi sociali e sanitari a favore degli an­ziani (ma il discorso vale anche per i minori, gli handicappati, ecc.) va studiata tenendo ben pre­senti le singole realtà territoriali e che, di con­seguenza, le valutazioni circa l'opportunità, l'ef­ficienza e la funzionalità delle singole soluzioni vanno rapportate ai luoghi ed ai tempi in cui si attuano.

Inoltre ritengo che le palesi difformità fra le varie situazioni regionali non sono imputabili solo alla peculiarità di un certo ambiente socia­le, geografico, economico ma sono provocate, in massima parte, dal diverso grado di sensibi­lità ed impegno dei locali amministratori e poli­tici, dal diverso grado di maturità e partecipa­zione della cittadinanza, dalla disuguale carica di operosità e combattività delle organizzazioni sindacali, dalla più o meno notevole e consape­vole presenza di operatori sociali, da una mag­giore o minore organizzazione e solerzia del personale sanitario e paramedico, ecc.

Personalmente, quindi, mi auguro che i lavori di questo seminario servano a ridurre un poco il divario fra le singole realtà regionali ed a migliorare le prestazioni a favore di chi più giovane non è.

 

 

INTERVENTO di Cetta Albano Gigantesco, Assistente Sociale di Putignano (Bari)

 

Vorrei porre all'attenzione ed alla sensibilità dei presenti a questo Convegno il problema de­gli anziani che vivono in istituzioni totali alie­nanti quali il manicomio ed il penitenziario.

Nel primo spesso non pochi sono finiti perché indesiderati dalle famiglie, non accolti da altre strutture più adeguate, rifiutati ed indifesi da una società che non di rado ha ritenuto di pro­teggersi da loro e dal peso che la loro cura e custodia comportavano, ricorrendo ad una isti­tuzione in cui le alte e fredde mura di cinta e gli impenetrabili cancelli «seppelliscono» ogni invocazione di ritorno alla libertà, ogni doman­da di accoglimento più indulgente e benevolo.

Intendo riferirmi soprattutto a quegli anziani che malati di mente non sono più, o peggio, co­me più frequentemente è accaduto, non sono mai stati e, pertanto, sono divenuti, tristemente, i protagonisti consapevoli ed impotenti della lo­ro sventura, destinati a gustare fino in fondo l'amarezza del rifiuto degli altri.

Nel secondo, invece, sono presenti anziani che, condannati ad una vita di reclusione, devo­no concludere nel carcere i loro ultimi giorni. Non di rado essi sono ormai malati (non pochi sono tetraparetici e, pertanto, costretti a vivere in carrozzella essendo non più autonomi), spes­so sfiniti da anni di logorante attesa, di vana speranza di ritorno alla luce ed agli affetti, an­ch'essi, col tempo, impalliditi, a volte purtroppo inesistenti.

Esperienze di lavoro ripetute nell'uno e nell'altro ambiente, avevano in comune l'ascolto dei silenzi.

Se i silenzi potessero parlare, in quei luoghi, ben diversi e tanto più tristi di qualsivoglia ca­sa di riposo, avrebbero la voce dell'angoscia, del dolore più lacerante, dell'assuefazione, im­plorata ma non raggiunta, ad una tristezza senza fine, dell'invocazione a non dimenticarli, dell'at­tesa di un umano e fraterno impegno in loro favore.

Ed io chiedo a voi di dare una voce a quei silenzi affinché, in qualche modo, questi anziani senza volto perché mai visti e ricordati, più emarginati degli altri, abbiano ingresso alla spe­ranza, magari costituita da una maggiore atten­zione della collettività ai loro problemi, premes­sa indispensabile per ogni ricerca di soluzioni.

 

 

INTERVENTO di Leonardo Cutugno, pensionato, in rappresentanza del «Comitato Ospiti» della casa di riposo di Mestre

 

Sono un pensionato ed ho la fortuna di vivere in casa mia, confortato dall'affetto dei miei cari e dedico il mio tempo libero a seguire i proble­mi degli anziani in generale e di quelli della casa di riposo di Mestre in particolare; è appun­to in loro rappresentanza che partecipo ai lavori di questo seminario.

Innanzitutto ringrazio a nome di tutti gli an­ziani che hanno problemi, gli organizzatori di questa importante manifestazione, augurandomi di tutto cuore che le riflessioni che scaturiran­no da questo incontro contribuiranno a migliora­re la loro situazione.

... Purtroppo non ho potuto seguire attenta­mente l'intervento del geriatra Veneziano prof. Finzi, perciò non entro nel merito dei contenuti, non ho però apprezzato il tono sarcastico ed ilare con il quale ha affrontato l'argomento: non si può parlare di tante disgrazie e sofferenze in tale tono, sarebbe più giusto provocare nell'audi­torio l'indignazione in luogo dell'ilarità per le condizioni in cui versano tanti milioni di anziani...

... i primi a causare l'emarginazione degli an­ziani sono proprio i medici, con il loro potere dispotico e con la loro assoluta mancanza di sensibilità...

... ritengo che spesso le case di riposo ser­vano perché ci sono molti anziani che non pos­sono stare soli e che non vogliono o non posso­no stare con i parenti...

... però anche le case di riposo, come gli ospe­dali, dovrebbero essere umanizzate, cioè orga­nizzate meglio, più a misura di anziano e con personale più sensibile ai problemi dei ricove­rati e più preparato: a cominciare dagli infer­mieri ed ausiliari per finire con i medici e gli amministrativi.

 

 

 

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