PROSPETTIVE ASSISTENZIALI
N.
49 bis
marzo 1980
RELAZIONE INTRODUTTIVA
di Francesco
Santanera della redazione di
Prospettive assistenziali
Dopo le numerose e positive
conquiste avvenute a partire dal 1967 (anno di promulgazione della legge
sull'adozione speciale) nella lotta contro l'emarginazione sociale, si sta
procedendo ora, partendo dalle regioni economicamente più sviluppate, ad una
inaccettabile riorganizzazione del settore assistenziale, mediante il graduale
cambiamento dell'utenza degli istituti di ricovero.
Si passa dagli anziani autosufficienti
ai cronici, dai minori normali agli handicappati psichici gravi, dai
disadattati alle persone con profondi disturbi psichiatrici. Si tratta di
persone che non hanno alcuna possibilità di protestare.
I posti letto per i suddetti ricoveri possono ammontare a 200.000,
ma la cifra può salire anche in misura notevole in considerazione del fatto
che la definizione tecnica di cronicità e di gravità è molto elastica.
A questi assistiti si devono poi aggiungere i minori
per i quali l'autorità giudiziaria, con ampia discrezionalità, dispone
provvedimenti civili di ricovero, gli anziani parzialmente autosufficienti, i
ragazzi con famiglie in difficoltà, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali
(spastici, subnormali, distrofici, ciechi, sordi, ecc.): gli istituti privati
non intendono certo rinunciare spontaneamente a percepire
anche queste rette.
D'altra parte le organizzazioni private, che traggono
spesso guadagni anche notevoli dalla gestione dei
ricoveri, si sono accorte, specie in questi ultimi anni, che gli enti pubblici
non battono ciglio di fronte alle richieste di aumento delle rette. Si è
arrivati a oltre 40.000 lire al giorno per gli
handicappati psichici gravi (convenzione Provincia di Torino - Arciconfraternita
dello Spirito Santo).
In tal modo le organizzazioni private possono dotarsi
di psicologi, psichiatri, geriatri, assistenti sociali, ecc.,
magari assunti per poche ore settimanali, per avere le spalle coperte sul
piano tecnico.
Dunque nessuna contestazione
dall'interno e apprestamento delle opportune difese contro i possibili attacchi
esterni.
I parenti dei ricoverati, poi, sono in genere ben contenti di trovare una qualsiasi soluzione,
stante anche l'impossibilità di compiere scelte diverse a causa della
perdurante mancanza di servizi alternativi.
Il trasferimento delle IPAB
Nel processo di ristrutturazione in corso rientra
anche il problema delle IPAB, del relativo personale
e dei cospicui patrimoni: le posizioni su questo tema delle regioni e dei
partiti, compresi quelli di sinistra, non sono per nulla incoraggianti ed hanno
consentito che fino ad oggi non sia stata data applicazione alle norme del DPR
616 che prevedono il passaggio delle IPAB alle regioni ed ai comuni, con la
sola esclusione delle IPAB con finalità educativo-religiose.
Crisi della partecipazione
La ristrutturazione in corso nel settore assistenziale,
che è una bruciante sconfitta, è dovuta anche alla
caduta della partecipazione, caduta che meriterebbe una analisi approfondita
anche al fine di vedere se e come è possibile, tenendo conto dei
condizionamenti e degli errori, una ripresa del movimento di base.
Ritengo che, fra l'altro, abbiano notevolmente inciso
sulla caduta della partecipazione:
- l'ingabbiamento
in organismi di cogestione (v. organi scolastici) e l'inserimento di molti militanti
di base in strutture preposte all'amministrazione;
- il cambiamento di posizione dei
partiti di sinistra nei confronti dei movimenti di base dopo le elezioni del
1975;
- la scarsa consapevolezza da parte di molti movimenti
di base sul fatto che la lotta all'emarginazione richiede tempi lunghi (forse
è addirittura un problema permanente) e la conseguente mancata individuazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine e dei necessari
strumenti.
La caduta di partecipazione può avere conseguenze
deleterie anche nella attuazione della riforma
sanitaria, consentendo alle forze conservatrici e ai tecnici di riprendere il
potere che in parte era stato loro sottratto con le lotte degli anni scorsi.
Credo inoltre che sia opportuno sottolineare che partecipazione e volontariato
sono cose profondamente diverse.
Ruolo degli operatori sanitari e
sociali
Per una reale riforma della sanità, dell'assistenza e dei servizi sociali è determinante non
solo la partecipazione delle forze sociali e dei cittadini, ma anche la
posizione che verrà assunta dai sindacati e dai lavoratori dei servizi.
A questo riguardo credo che debba essere tenuto in
considerazione il fatto che si stanno accentuando le posizioni corporative.
Una contrapposizione fra gli interessi dei lavoratori
dei servizi e le esigenze dell'utenza sarebbe un aiuto notevole, al di là delle intenzioni, a tutte quelle forze - e sono
molte - che si oppongono al cambiamento.
A questo riguardo ritengo che sia indispensabile e
urgente uno stretto collegamento fra i movimenti di base ed i sindacati dei
lavoratori anche allo scopo di arrivare a piattaforme rivendicative comuni o
almeno concordate.
Di particolare importanza è anche lo scambio
sistematico di informazioni fra i movimenti di base ed
i lavoratori dei servizi e soprattutto una ampia, tempestiva e comprensibile
informazione alla popolazione da parte del sindacato.
L'espulsione degli anziani cronici
dalla sanità
Nel progetto di riorganizzazione
dell'assistenza la quota più numerose dei ricoverati è e sarà sempre più
destinata agli anziani cronici. L'aumento è dovuto
soprattutto al maggior invecchiamento della popolazione e alla ormai sistematica
posizione degli ospedali (Regioni e Comuni consenzienti) che non ammettono gli
anziani malati cronici o li dimettono, anche di forza, nonostante le leggi
vigenti non lo consentano. Ma si sa, i deboli hanno
sempre torto. L'esclusione degli anziani malati cronici o lungodegenti dalle
cure ospedaliere sembra essere confermata dalla proposta di piano sanitario nazionale
in cui, nel capitolo relativo al progetto obiettivo
sulla tutela della salute delle persone anziane:
- si gonfia il dato relativo al
numero delle persone anziane. È infatti assurdo a mio
avviso affermare che sono anziane le persone di età superiore ai 60 anni. Penso
che sarebbe più corrispondente alla realtà delle cose considerare anziane le
persone che hanno più di 65-70 anni;
- si attribuisce agli anziani quasi una colpa per
l'occupazione di circa il 40% del totale dei posti
letto degli ospedali generali pubblici;
- si sottolinea nel piano
sanitario nazionale che tale situazione corrisponde a circa 3.600.000 ricoveri,
a 170.000 posti letto occupati ed a 46.800.000 giornate di degenza;
- si propone una sostanziale deospedalizzazione
dei ricoveri degli anziani «in una misura non inferiore al 50% degli attuali
ricoveri», quando risulta invece che si provvede alle
dimissioni o alle non ammissioni dagli ospedali di anziani che hanno bisogno di
cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio.
* * *
Vi è da osservare - e questo è un elemento di
notevole importanza - che mentre le cure sanitarie sono gratuite per tutti i
pensionati, il ricovero in istituti di assistenza è a
carico del ricoverato e delle persone tenute agli alimenti.
I comuni intervengono, quando intervengono, solo per
le somme che non possono essere versate dalle persone di cui sopra.
Da notare che le rette degli istituti di assistenza arrivano fino a 25.000 lire al giorno.
Per quanto riguarda gli anziani definiti cronici o
lungodegenti il problema principale da affrontare è a mio avviso il seguente:
nei casi in cui è necessario procedere al loro ricovero, l'intervento deve
essere a carico del settore sanitario o di quello assistenziale?
Ritengo che tutte le volte che il ricovero è dovuto alla mancanza di salute, gli interventi debbano
essere a carico del settore sanitario.
Questo principio a mio avviso vale non solo per gli
anziani cronici, ma per tutti (ad esempio per gli handicappati psichici).
È però evidente che tutto deve essere fatto per
evitare sia i ricoveri sanitari che quelli assistenziali.
Per attuare quanto sopra sono necessari:
- una vera prevenzione sanitaria e sociale che
elimini e riduca le cause di malattia, di esclusione
e di disadattamento;
- l'approntamento dei servizi diagnostici, curativi
e riabilitativi di territorio (servizi sanitari di distretto nei quali si introduca la pratica del lavoro di gruppo da parte di
medici, infermieri e dell'altro personale sanitario e sociale; poliambulatori di unità locale che assorbano anche le
funzioni poliambulatoriali gestite attualmente dagli
ospedali; servizi domiciliari, sanitari e assistenziali integrati, ecc.);
- riorganizzazione degli ospedali e
riduzione dei ricoveri e delle degenze allo stretto necessario;
- formazione, riqualificazione e
aggiornamento del personale con uno stretto collegamento fra teoria e prassi;
- una nuova concezione delle
esigenze delle persone fondata sul principio del diritto alla non
emarginazione;
- una riorganizzazione che superi
l'attuale polverizzazione dei Comuni e che abbia come obiettivo la
costituzione dell'Unità locale di tutti i servizi. Si veda al riguardo la
proposta di legge regionale di iniziativa popolare presentata al Consiglio regionale
piemontese il 21 luglio 1978;
- un riferimento costante
all'autonoma partecipazione delle forze sindacali e sociali dei cittadini.
* * *
Definito se gli anziani cronici devono fare capo al
settore sanitario o a quello assistenziale, resta da decidere
in quali strutture, ospedaliere o assistenziali, essi devono essere ricoverati
quando gli interventi non possono essere praticati a domicilio o in
ambulatorio.
A questo riguardo ritengo che gli anziani cronici
che richiedono cure non praticabili a domicilio o in ambulatori debbano essere curati negli ospedali, ospedali che devono
essere concepiti e organizzati in modo molto diverso da quello attuale,
tenendo conto cioè di tutte le esigenze dell'utenza e non solo di quelle
sanitarie.
In primo luogo l'organizzazione degli ospedali dovrà
essere fondata sui dipartimenti. Particolarmente urgente è l'istituzione dei
dipartimenti di accettazione e di emergenza con
compiti anche di filtro al fine di evitare i ricoveri inutili.
Inoltre, fatte ovviamente salve le esigenze igieniche,
dovrà essere favorita la presenza responsabile e la collaborazione effettiva
dei parenti, conoscenti o volontari. In particolare si può ipotizzare il
ricovero dei cronici nei dipartimenti di medicina generale, senza creare però
strutture speciali.
In detti dipartimenti dovrebbe essere assicurata la
necessaria consulenza geriatrica.
Aspetti istituzionali
In merito al problema dell'assistenza il DPR 616 ha
trasferito a decorrere dal 1°-1-1978 alle Regioni ed
ai Comuni praticamente tutte le funzioni.
Restano solo escluse le competenze delle Province.
La gestione dei servizi di assistenza
deve essere assicurata a livello delle Unità locali unitamente a quelli
sanitari e sociali in genere (v. art. 25 DPR 616/1977 e art.
15 legge 833/1978).
L'attuazione dei compiti assegnati alle Regioni ed ai
Comuni, non solo è in notevole ritardo, ma nessuna
Regione, ad esclusione della Toscana, ha finora approvato una legge quadro
sull'assistenza.
Per quanto riguarda l'attuazione della riforma sanitaria ci sono forti tentativi per separare la sanità
dall'assistenza e dai servizi sociali soprattutto mediante:
- la creazione invece delle Unità locali di tutti i
servizi, di tante Unità locali o di tanti Comitati di gestione quante sono le
materie di competenza dei Comuni;
- una disciplina dello stato
giuridico ed economico del personale sanitario diversa da quella
degli
altri dipendenti degli enti locali.
Sul tema dell'Unità locale era stato organizzato un
seminario a Caselle di Salaiole dall'11 al 13
novembre 1977 e le conclusioni, a mio avviso tuttora valide, erano le seguenti:
«tutti i partecipanti del seminario hanno concordato sulla necessità di avere
il minor numero possibile di organi di governo locale».
Per l'attuazione di quanto sopra è però necessario
che vi sia un'unica zonizzazione del territorio regionale che serva sia per le
Unità locali, sia per i distretti scolastici.
«Sempre tenendo conto della massima semplificazione
degli organi di governo locale, è stata riconosciuta la necessità che alle
unità locali non siano attribuiti solo compiti di
gestione dei servizi sanitari e assistenziali, ma anche dei servizi inerenti
il diritto allo studio, le attività ricreative, sportive, di tempo libero, la
casa e tutte le altre attività e servizi gestibili a livello locale.
«in tal modo si arriverebbe ad
avere a livello locale un unico organo non solo per la gestione dei servizi, ma
anche e soprattutto un vero e proprio organo di governo complessivo che, essendo
il più a contatto della popolazione, ne può rappresentare in modo più
adeguato le esigenze.
«Gli organi di governo delle Unità locali sono stati
individuati come segue:
- i Comuni e le Comunità montane se
coincidenti con le Unità locali;
- i Comuni ed í Consigli di
quartiere eletti direttamente dai cittadini per i Comuni che comprendono più
Unità locali (coincidenza dell'Unità locale con il quartiere);
- i Consorzi fra Comuni, Consorzi
fra Comunità montane o Consorzi fra Comuni e Comunità montane negli altri casi».
* * *
Al fine di assicurare il collegamento fra gestione dei servizi e preparazione del personale, ritengo che le
Regioni dovrebbero attribuire alle Unità locali anche i compiti di gestione
della formazione di base e permanente degli operatori sanitari e sociali,
insieme a quelli della formazione artigiana e professionale in genere.
A livello di programmazione dovrebbero poi essere
precisate le attività formative attribuite non a tutte, ma solo ad alcune Unità
locali.
Principi generali di una vera riforma dell'assistenza e dei servizi sociali
Mentre per la sanità i principi generali contenuti
nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale a mio avviso sono
validi, ben diversa è la situazione nel settore assistenziale.
Finora la riforma dell'assistenza è stata impostata
sulla ricerca di alternative al ricovero in istituto:
aiuti economici, assistenza domiciliare, comunità alloggio, ecc. Pur dovendosi
mantenere queste finalità per gli interventi nei confronti delle persone da
assistere, occorre a mio avviso assumere come obiettivo prioritario il diritto
alla non emarginazione dei cittadini.
Com'è noto, centinaia di migliaia sono i cittadini
che vengono esclusi dalla società mediante il loro ingabbiamento nel settore assistenziale.
Fra gli utenti dell'assistenza ci sono disoccupati e
sottoccupati; ex lavoratori con pensioni insufficienti; ragazzi respinti dalla
scuola perché definiti incapaci, disadattati o perché handicappati; persone,
soprattutto anziane, definite malate croniche;
famiglie o persone prive di una abitazione adeguata o che non sono in grado di
pagare l'affitto; invalidi che gli enti pubblici e le aziende private rifiutano
di assumere; minori con famiglie aventi difficoltà economiche o abitative, o
impossibilitate ad usufruire dei servizi esistenti (ad esempio scuole materne e
dell'obbligo con orari inadeguati) o con problemi particolari (ad esempio
malattie psichiatriche); individui la cui personalità è stata danneggiata o
distrutta da interventi inidonei (ad esempio ricovero in istituto durante il
periodo dell'infanzia).
Con l'espulsione dei più deboli (non inserimento
degli handicappati nella scuola e nel lavoro, non ammissione negli ospedali o
dimissioni di forza degli anziani malati cronici, ecc.), è possibile
assicurare una caratteristica selettiva ai servizi.
Con i trattamenti pensionistici da fame (5 milioni
di pensionati INPS ricevono 122.000 lire al mese, gli
800.000 pensionati sociali percepiscono 72.000 al mese) i cittadini sono spinti
al doppio lavoro contribuendo in tal modo ad occupare posti di lavoro
destinabili ai disoccupati e ai sottoccupati ed accentuando così la tendenza -
forte già per altri motivi - alla soluzione privata e individuale di interessi
che sono pubblici e di tutti, com'è ad esempio la garanzia di interventi e
servizi adeguati alle esigenze anche nel periodo della terza età.
Per un cambiamento reale, l'obiettivo principale da
perseguire non è pertanto quello di una assistenza
diversa perché ciò significherebbe solo attuare forme di emarginazione diverse
da quelle attuali.
L'obiettivo principale da perseguire deve essere
invece l'eliminazione delle cause che provocano l'esclusione sociale e la
segregazione negli istituti, in modo da ridurre al massimo le richieste di assistenza, da evitare le attuali indicibili sofferenze
umane e familiari e da dare a tutti indistintamente i cittadini la sicurezza
che si provvederà a loro nei casi di necessità con interventi accettabili
anche se non ottimali.
Si tratta pertanto di operare per la piena occupazione,
per servizi prescolastici adeguati, per una scuola dell'obbligo non selettiva ma formativa, per una assistenza sanitaria che
non escluda nessun ammalato, per una politica della casa che tenga conto di
tutte le necessità, per una reale apertura a tutti dei servizi ricreativi, culturali,
di tempo libero e degli altri servizi sociali: in sostanza per una qualità
della vita fondata sulle esigenze di tutti i cittadini.
In sostanza si tratta di far passare un nuovo
principio: il diritto di ogni cittadino alla non emarginazione.
Ovviamente questa lotta dovrà essere collegata con
gli interventi immediati da fornire alle persone che nel frattempo devono
essere assistite, interventi che in ogni caso dovrebbero essere alternativi
al ricovero negli istituti di cosiddetta assistenza.
Deve però essere combattuta la tendenza, apparentemente
progressista, di destinare a tutti i servizi di assistenza
(V. ad esempio quello di aiuto domiciliare), e cioè anche a coloro che possono
pagarsi la colf. La conseguenza sarà infatti la carenza
di interventi per i più bisognosi.
Come esempio di prevenzione concreta, vorrei ricordare che
l'inserimento degli handicappati nelle normali strutture prescolastiche e
scolastiche e le altre misure attuate, pur con tutti i numerosi problemi
irrisolti che ci sono, ha portato non solo ad un miglioramento, spesso notevole,
delle condizioni di vita degli handicappati e delle loro famiglie, ma anche e
soprattutto, alla «sparizione» di centinaia di migliaia di persone che venivano
definite handicappate e che tali non erano. Mi riferisco ai dati quantitativi
citati da Bollea al 2° congresso italiano di medicina
forense (Roma, 10-12 ottobre 1962); che aveva affermato che, per quanto
concerne i minori, ammontavano a 585.000 casi limite,
oltre a 670.000 handicappati psichici «medi certi» e a 1.500.000 disadattati
del comportamento e del carattere.
La minor selettività dei servizi e delle istituzioni
prescolastiche e scolastiche, un diverso atteggiamento
degli enti, degli operatori e dell'opinione pubblica ha portato nel campo
minorile alla «sparizione» dei falsi handicappati e dei casi lievi che anni fa
intasavano i servizi ed ha ridimensionato notevolmente il numero degli
handicappati psichici veri.
Credo che questa esperienza
dovrebbe essere tenuta in attenta considerazione anche a proposito della
preminenza che deve avere la prevenzione sanitaria e sociale anche a proposito
di una politica seria a favore degli anziani.
Una efficace lotta contro l'emarginazione sociale deve
partire, a mio avviso, da un profondo cambiamento culturale e politico.
L'emarginazione non deve essere combattuta solo per
motivi umanitari ma di giustizia sociale avendo presente l'obiettivo
dell'egualitarismo.
Il valore della persona, di tutte le persone, e il
soddisfacimento pieno delle esigenze fondamentali (lavoro, casa, cultura,
salute, ecc.) deve avere preminenza assoluta sulle cose.
Ciò significa non considerare la persona solo o
prioritariamente uno strumento di produzione, strumento la cui importanza viene
meno quando cessa l'attività lavorativa o quando essa deve essere interrotta.
Occorre pertanto incominciare ad assicurare agli
anziani la possibilità effettiva di svolgere ruoli positivi,
ad es. mettendo a disposizione dei giovani e degli adulti le loro capacità e la
loro esperienza, assicurando un loro inserimento reale nei sindacati e nelle
altre organizzazioni sociali.
La seconda linea, che mi sembra necessaria, deve
essere diretta ad assicurare agli anziani, come a tutti gli altri cittadini, di
poter effettivamente usufruire dei servizi sociali, e in particolare di un
alloggio adeguato alle esigenze.
A questo riguardo vi sono alcune leggi nazionali
importanti che sono disapplicate o lo sono con
modalità e in misura insoddisfacenti.
La legge 22 ottobre 1971 n. 865 prevede all'art. 48
la «costruzione di case albergo per studenti, lavoratori, lavoratori immigrati
e persone anziane, nonché di alloggi destinati ai
cittadini più bisognosi»; la legge 8 agosto 1977 n. 513 stabilisce che non meno
del 30% delle abitazioni realizzate siano di superficie utile di mq. 45 ed
assegnate a famiglie di nuova formazione e ad anziani; il DPR 27 aprile 1978 n.
384 prevede l'eliminazione delle barriere
architettoniche.
Altri alloggi possono essere destinati agli anziani:
alloggi di proprietà dei Comuni, delle Province,
delle IPAB soprattutto; alloggi di risulta degli IACP; ristrutturazioni di
stabili esistenti.
In ogni caso, sia per la casa come per gli altri
servizi sociali e assistenziali, è necessario evitare
ogni forma di ghettizzazione: si pensi ad esempio alla squallida emarginazione
dei centri di incontro e degli ospedali di giorno destinati esclusivamente agli
anziani,
Non settorialità
degli interventi
Da tempo si insiste
giustamente sulla non settorialità degli interventi
al fine di evitare l'incasellamento delle persone in
categorie spesso fittizie ed emarginanti. Si è detto e ripetuto che essendo globali le esigenze, globali devono essere le risposte.
Nella realtà invece, al posto degli enti settoriali finalmente sciolti si creano consorzi di Comuni
anch'essi settoriali: l'obiettivo delle Unità locali di tutti i servizi non è
perseguito da alcuna Regione.
D'altra parte non mi sembra che sia perseguita
l'unificazione dello stato giuridico e del trattamento
del personale addetto ai servizi sanitari e sociali e c'è il pericolo di nuove
parcellizzazioni.
Al riguardo si vedano le spinte
per uno stato giuridico e un trattamento del personale sanitario diverso da
quello dell'altro personale degli enti locali.
Inoltre molte Regioni procedono ad
emanare leggi specifiche per singole categorie di utenti o di servizi:
handicappati, anziani, ospedali geriatrici, case
protette per cranici, ecc.
I Comuni, a loro volta, salvo casi rari, approvano delibere anch'esse settoriali: assistenza domiciliare
per gli anziani, comunità alloggio per disadattati, assistenza economica per
questa o quella categoria.
Ne deriva che anche l'organizzazione del lavoro dei
servizi è spesso settoriale. Spesso i servizi non sono istituiti per rispondere
alle esigenze degli assistiti e in base a documentate
priorità, ma per motivi clientelari. Si pensi ad esempio ai soggiorni marini
per gli anziani sorti per riempire gli alberghi nei periodi morti.
Programmazione
Il rifiuto dell'autonoma partecipazione delle forze
sociali e dei cittadini, la mancanza di una vera informazione, l'aumento delle spinte corporative, la persistente polverizzazione dei
Comuni, la creazione di Consorzi settoriali, la istituzione nei Comuni
metropolitani di Consigli di circoscrizione senza alcun potere gestionale sono
i principali elementi che concorrono a farmi dire che la programmazione da
fatto democratico rischia di diventare una procedura verticistica
e tecnocratica finalizzata, ancora una volta anche se con modalità diverse
dagli anni scorsi, da un lato a escludere i più deboli dall'uso dei servizi
sanitari e sociali e d'altro canto a impedire che la popolazione abbia un
referente unico a livello locale per tutte le attività ed i servizi di base.
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