Prospettive assistenziali, n. 50, aprile - giugno 1980

 

 

LA PRIVATIZZAZIONE DEI PATRONATI

MARISA GALLI

 

 

Nell'aprile scorso, quando ormai le sorti del primo Governo Cossiga apparivano segnate, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, tralasciando l'esame di leggi di grande impor­tanza, quali le pensioni e il collocamento, si è trovata impegnata nella discussione di una «leg­gina», apparentemente di poco conto e che, al Senato, era stata approvata nel giro di due ore: si trattava di una legge di interpretazione auten­tica, con la quale, molto semplicemente, si sta­biliva che i Patronati di assistenza sociale, do­vevano considerarsi Enti aventi personalità giu­ridica di diritto privato.

Quali fossero gli interessi in gioco, che si vo­levano proteggere con questa formuletta giuri­dica è presto detto.

Nati nell'immediato dopoguerra, con un Decre­to dell'allora Capo provvisorio dello Stato, 29 luglio 1944 n. 804, i Patronati dovrebbero avere soprattutto il compito di aiutare i lavoratori a di­stricarsi nei meandri della burocrazia previden­ziale. In cambio di questa attività, per ogni pra­tica conclusa lo Stato riconosce una certa som­ma: tante pratiche fatte, tanti soldi incassati.

Ma come sovente è accaduto nel nostro paese l'appetito viene mangiando e così, da un lato abbiamo assistito alla proliferazione dei Patro­nati legati ai sindacati o anche a fantomatiche associazioni di lavoratori, dall'altro abbiamo visto crescere a dismisura le pratiche che i patronati mettono in moto, al punto che, in un solo anno, le domande per ottenere prestazioni previdenziali assommano a decine di milioni.

Ma non basta, perché per aumentare gli in­troiti si mette in moto un meccanismo in base al quale vengono spesso presentate domande pretestuose, o non corredate dalla necessaria do­cumentazione; gli Enti previdenziali respingono l'istanza ed allora i Patronati dirottano gli assi­stiti verso ben organizzati studi legali ai quali i Pretori, quale che sia l'esito della causa sono co­stretti a corrispondere lauti onorari che, per il 1979 ammontano a oltre 21 miliardi. Ovviamente a carico intero degli Enti previdenziali.

Ed ancora: i patronati via via sono divenuti fonte di finanziamento dei sindacati o di altri enti e persone, politicamente qualificate, che hanno percorso la loro carriera politica appog­giandosi, anche per farsi finanziare le campagne elettorali ai patronati; per cui si sono commessi veri e propri peculati che hanno indotto un ma­gistrato, il Dr. Martella di Roma, ad emettere mandato di cattura contro cinque dirigenti di uno dei patronati, l'IPAS (ex Onarmo).

Terrore tra i dirigenti di tutti i patronati; che si trovano nelle medesime situazioni di illegalità, per cui, dopo pochi giorni dall'arresto degli am­ministratori corrotti, alcuni senatori, appartenen­ti a tutti i gruppi politici, raggiungendo una una­nimità nazionale mai vista prima, hanno presen­tato una proposta di legge, diretta a privatizzare i Patronati.

E ciò contro la lettera della legge e contro una interpretazione unanime della Corte Costituzio­nale, della Corte di Cassazione e del Ministero del lavoro, che solo pochi giorni prima, rispon­dendo ad un preciso quesito, aveva inviato una circolare nella quale si riaffermava il carattere di ente pubblico dei Patronati.

Il machiavello giuridico, come si è detto, pas­sava in un baleno al Senato e, alla Camera, si assegnava il progetto di legge in Commissione, in sede legislativa per evitare ostacoli.

Ed infatti la coalizione di tutti i rappresentanti dei partiti aveva ragione degli emendamenti, che in numero di oltre un migliaio avevo presentato alla Commissione lavoro di cui faccio parte qua­le deputata del Gruppo radicale.

Comunque, innanzi alla presa di posizione ra­dicale, il Ministro del lavoro si è visto costretto ad assumere l'impegno di riordinare la materia; ma tutto procede come prima, con la sola diffe­renza che il denaro pubblico viene versato oggi ad enti privati, che possono disporne a piaci­mento senza correre il rischio di arresti o di giudizi penali.

La vicenda è significativa anche perché in linea con una recente politica in virtù della quale, quando si trovano sul banco degli imputati ammi­nistratori corrotti di enti pubblici, invece di re­vocare il mandato agli stessi ed adottare san­zioni magari solo civili o amministrative... si pri­vatizza l'ente.

Così è avvenuto per la RAI, per gli Enti lirici, per i Patronati e così ci si accinge a fare con le Banche di interesse pubblico per le quali è già stato presentato in Senato un progetto di legge ad hoc. Con il che tutti i discorsi sulla moraliz­zazione, sulla efficienza della pubblica ammini­strazione vanno a farsi benedire.

I Patronati hanno avuto una loro funzione ne­gli anni immediati del dopoguerra ma oggi costi­tuiscono un danno per la collettività sia per l'onere per l'erario (per il 1980 sono previsti oltre 100 miliardi) sia per l'aggravio di lavoro degli Enti previdenziali soffocati da una marea di domande di pensione di vecchiaia, invalidità, superstiti, ecc.

Ma vi è di più: i Patronati assistono solo i cittadini politicizzati o sindacalizzati o quelli che sono costretti, per ricevere tutela ad aderire (pa­gando l'iscrizione) a questo o quel sindacato.

Il che contrasta oltre che con principi costitu­zionali anche con principi di efficienza dell'ammi­nistrazione pubblica.

Nelle funzioni delle Unità locali dei servizi, in via di costituzione, si deve tener conto anche di ciò, consentendo a tutti i cittadini, anche a quelli che non intendono riconoscersi in alcuna asso­ciazione politica o sindacale, vuoi per libera scel­ta, vuoi per non conoscenza, di veder tutelati i propri diritti e di non dover elemosinare ciò che la legge loro riconosce.

Non occorrono o non dovrebbero occorrere in­termediari tra il cittadino e lo Stato il quale ha l'obbligo di prevedere procedure semplici, spe­cie quando gli interessati appartengono a ceti meno abbienti e, quindi, meno protetti.

Non resta che abolire i Patronati. E in tal sen­so presenterò nei prossimi giorni una proposta di legge alla Camera dei deputati; anche se gli interessati in gioco ne renderanno difficile l'ap­provazione.

 

 

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