Prospettive assistenziali, n. 51, luglio - settembre 1980
Editoriale
INADEGUATI GLI INTERVENTI DELLO
STATO, DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI - RILANCIARE LE INIZIATIVE DI BASE
Sui problemi
dell'esclusione sociale e dell'assistenza gravissime sono le carenze, i ritardi e le inadempienze dello Stato, delle Regioni
e degli Enti locali.
La legge di
riforma dell'assistenza non c'è ancora e il rischio reale è che essa, se verrà approvata, porti alla privatizzazione di migliaia di
IPAB con la sottrazione ai poveri dei relativi imponenti patrimoni (1), dia nuovi
spazi ai privati e in particolare ai gestori di istituti di ricovero, illuda
i cittadini che i servizi assistenziali possano svolgere attività di
prevenzione del bisogno (2), conservi
la frammentazione fra Associazioni dei Comuni e Comuni singoli degli organi
di governo preposti alla gestione dei servizi, frammentazione prevista anche
da recenti leggi regionali (3).
Molte sono
le Regioni che nulla hanno fatto affinché i Comuni singoli o associati incominciassero
a partire dal 1° gennaio 1978 a gestire i servizi
assistenziali, come previsto dal DPR 24 luglio 1977 n. 616.
Finora solo
le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Umbria hanno
approvato leggi di riordino del settore assistenziale.
La Regione
Sicilia arriva al punto di approvare una legge (n. 1 del 2 gennaio 1979)
diretta a favorire il ricovero in istituto di minori, di anziani,
di handicappati, a espandere le colonie permanenti e a sviluppare
l'internamento in preventori di bambini predisposti
alla tubercolosi!
Va inoltre
rilevato che gravissime sono le carenze dei Comuni, loro Associazioni e
Comunità montane (4).
A gran parte
del nostro Paese possono purtroppo essere estese le accuse rivolte
l'11 gennaio 1980 dal Procuratore generale della Repubblica di Bari: «L'Amministrazione della giustizia nei riguardi dei
minori non ancora ha conseguito quei risultati, specie nel settore della prevenzione
dei reati, cui tende tutta la legislazione minorile, in quanto a due anni
dall'entrata in vigore del DPR 24 luglio 1977 n. 616,
con cui è stato disposto il trasferimento ai Comuni e Consorzi di Comuni di
tutte le attività relative agli interventi in favore dei minori soggetti a provvedimento
dell'Autorità giudiziaria minorile nell'ambito della competenza amministrativa
e civile, non ancora gli Enti locali sono riusciti ad organizzare i servizi
connessi alla relativa attività. E ciò non solo per una loro inveterata insufficienza
organizzativa e per la scarsità delle loro risorse finanziarie, ma anche per
una permanente insensibilità al problema, cui solo di recente sono stati interessati con interventi legislativi.
Mi corre l'obbligo di aggiungere che la denunziata
inerzia dei Comuni non è attribuibile solo a questi, ma anche alla Regione,
che, pur avendo l'obbligo, a norma dell'art. 25 della legge n. 616 sopra
citata, di determinare con leggi gli ambiti territoriali adeguati alla gestione
dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli
Enti locali territoriali e, se necessario, ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 117 della Costituzione, forme anche obbligatorie di
Associazione fra gli stessi, non ancora ha provveduto all'emanazione di
detta legge regionale».
Non stupisce
quindi che in questa situazione sempre meno numerosi siano gli operatori che
reagiscono alle condizioni di vita - spesso disumane - degli assistiti.
Riprendono
spazio e credibilità le spinte corporative. Un
esempio è dato dalla mozione finale del XIV Congresso
degli assistenti sociali (Ariccia, 21 ottobre 1979)
in cui gli obiettivi prioritari sono stati individuati nella legalizzazione
del titolo di assistente sociale, nell'approvazione di una norma transitoria di
legge «affinché agli assistenti
sociali in possesso del diploma sia consentita l'acquisizione del titolo legale
di laurea» e nella « pubblicizzazione a livello universitario delle sedi di
formazione, opponendosi a tentativi di regionalizzazione
delle scuole di servizio sociale» (5).
Il potere di
certi operatori arriva addirittura a sfidare la magistratura ed a compiere veri
e propri reati di omissione di atti di ufficio come
risulta dalla lettera del Presidente del Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna del 29 giugno 1979 indirizzata
all'Assessore alla sicurezza sociale della Provincia di Bologna in cui viene
denunciato «l'atteggiamento negativo
della massima parte degli operatori sociali del territorio, i quali
prediligono altre forme d'intervento rispetto all'adozione speciale e,
conseguentemente, omettono le segnalazioni di situazioni di abbandono oppure
ostacolano, in vari modi, proprio quegli accertamenti che il Tribunale dispone
quando viene a conoscenza di tali situazioni».
Non stupisce
nemmeno che in questo periodo riprendano spazia iniziative vecchie e che da
tempo l'esperienza ha dimostrato essere del tutta superate, come la
costruzione di nuovi villaggi SOS a Vicenza, Morosolo
(Varese) e Roma, o come la richiesta di Madre Teresa di Calcutta di ottenere la disponibilità a Roma o nei dintorni di un
edificio dove ricoverare emarginati e ragazze madri.
D'altra
parte altri, come coloro che fanno riferimento al
Centro servizi comunitari, continuano a infangare soluzioni alternative come
l'adozione affermando (V. Insieme n. 1, gennaio 1980), senza portare
ovviamente alcun elemento concreto di prova, che la difficoltà di applicazione della legge 5 giugno 1967 n. 431 «da un lato ha provocato la forzatura di certi
interventi, sicché per molti bambini l'adozione è stata quasi imposta, ma si è
poi dimostrata dannosa, dall'altro ha dato esca alla lotta contro formule assistenziali
diverse dall'adozione».
Nella
situazione attuale sono lesi i diritti fondamentali di centinaia di migliaia
di persone, costrette a vivere segregate in istituti o prive del minimo
necessario per una esistenza accettabile.
Occorre
pertanto che coloro che intendono essere solidali con
i più indifesi assumano iniziative concrete e atte a coinvolgere altri
cittadini.
Queste
iniziative possono riguardare la denuncia pubblica, anche di natura penale, delle violazioni di legge, come ad esempio:
1) mancata attuazione da parte delle Regioni del DPR 24 luglio 1977 n.
616;
2) non
effettuazione da parte delle Regioni dei controlli ordinari e straordinari e
della vigilanza sulle istituzioni e istituti pubblici e privati di assistenza, compiti ad esse trasferiti dalla legge 23
dicembre 1975 n. 698 relativa allo scioglimento dell'ONMI;
3) disapplicazione da parte dei Comuni delle
disposizioni concernenti l'assistenza ai minori, agli anziani e agli
handicappati (Art. 91 del R.D. 3 marzo
1934 n. 383) e delle funzioni trasferite dal DPR 24 luglio 1977 n. 616;
4)
dimissioni forzate o non ammissioni negli ospedali degli anziani malati cronici
le cui cure non possono essere praticate a domicilio o in ambulatorio.
Altra
modalità di intervento può essere quella della denuncia
delle singole drammatiche situazioni di vita di anziani, di minori, di
handicappati.
Quel che
conta è rilanciare, ovunque sia possibile, iniziative di base che, partendo da
fatti concreti, informino l'opinione pubblica sulla realtà delle cose e costringano
le autorità (Stato, Regioni, Enti locali) a fare almeno guanto - e non è poco
- è previsto dalle leggi vigenti o è consentito dalle disposizioni in vigore
nel campo delle alternative all'assistenza.
(1) Tutte le Regioni hanno rinunciato a
trasferire ai Comuni le IPAB secondo le indicazioni contenute nel DPR 24
luglio 1977 n. 616. Le Regioni che hanno legiferato in materia,
ne hanno sciolte solo una parte (V. in questo numero «Legge della Regione
Piemonte per il trasferimento ai Comuni di alcune
IPAB»).
(2) V. l'editoriale del n. 49 di Prospettive assistenziali.
(3) V. l'editoriale del n. 50 di Prospettive assistenziali.
(4) Numerosissimi sono i Comuni che non
solo non svolgono le funzioni trasferite a seguito dello scioglimento degli
enti (ONMI, ENAOLI, ECA, ecc.), ma che non assolvono nemmeno ai compiti ad
essi attribuiti da leggi approvate anni or sono. Ad esempio il RD 3 marzo 1934
n. 383 (art. 91) prevedeva fra le spese obbligatorie dei Comuni quelle relative al «mantenimento degli inabili», e cioè
all'assistenza a minori, anziani e handicappati. Altre disposizioni spesso disapplicate sono quelle concernenti la medicina
scolastica (DPR 11 febbraio 1961 n. 264 e DPR 22 dicembre 1967 n. 1518).
(5) Se passasse questa linea non si
comprenderebbe come le Regioni per gli aspetti legislativi, di programmazione e
di coordinamento, e le Unità locali per quanto concerne la gestione potrebbero
operare per la saldatura fra nuovi servizi e nuove capacità professionali degli
operatori.
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