Prospettive assistenziali, n. 51, luglio - settembre 1980
SONO LECITI I FALSI RICONOSCIMENTI
DEI BAMBINI ADOTTABILI?
Pubblichiamo
uno sconcertante provvedimento della Sezione per i minorenni della Corte di Appello di Torino che dichiara pienamente ammissibile
il falso riconoscimento di un bambino e il commento critico di Giorgio Battistacci.
TESTO
DEL PROVVEDIMENTO
La Corte d'appello di Torino, sezione speciale per i
minorenni, riunita in camera di consiglio nelle persone dei Sigg.: Dott. Giancarlo Pregno -
Presidente, Dott. Bartolomeo Rocca - Consigliere, Dott. Roberto Mancinelli - Consigliere
relatore, Prof. Bernardino Cavoretto
- Componente privato e Prof.
Wilma Beano Viglione - Componente privato, ha
pronunciato il seguente decreto sul reclamo proposto in data 14.9.1979 da L.P. e F.A. in L., residenti in
Torino ed ivi elettivamente domiciliati in via P. 2,
presso l'avv. E.B., che li rappresenta per delega in
margine al ricorso di reclamo avverso il provvedimento emesso il 29/31 agosto
1979 dal Tribunale per i minorenni di Torino, n. 676/79, concernente il minore L.A., nato a Torino il 3 ottobre 1978, provvedimento con il
quale il detto Tribunale: respingeva la domanda proposta da L.P. per ottenere l'affidamento del minore L.A.; disponeva l'immediato-allontanamento di A. dalla
casa L. ed il suo affidamento al Comune di Torino
perché lo collocasse presso una famiglia da scegliere, in collaborazione con
l'Ufficio adozioni, tra quelle che abbiano i requisiti per l'adozione sia
ordinaria che speciale; escludeva, a sensi art. 317 bis C.C., L.P. e
S.L. dall'esercizio della potestà parentale
su L.A., cui nominava tutore il Comune di Torino, in
persona dell'Assessore pro-tempore alla sanità ed
assistenza; nominava l'avv. P.D.B. curatore
speciale di L.A., autorizzandolo ad impugnare il
riconoscimento che di L.A. aveva fatto L.P., per difetto di veridicità; dichiarava il proprio
provvedimento immediatamente esecutivo, nonostante reclamo, disponendone, se
necessario, l'esecuzione a mezzo della forza pubblica; ed ordinava la
trasmissione di copia del provvedimento stesso alla Procura della Repubblica di
Torino ex art. 3 C.P.P.;
Letto il reclamo dei coniugi L.P.
e F.A., con il quale si
chiede a questa Corte, in riforma del suddetto provvedimento del Tribunale per
i minorenni di annullare il dispositivo di allontanamento di L.A. dalla casa paterna, accogliendo la istanza di
affidamento proposta in primo grado dai coniugi L., previi eventuali
accertamenti sulla posizione dei detti coniugi e sulle condizioni del minore;
dichiarare illegittima la esclusione di L.P. dalla
potestà parentale; di dichiarare illegittima e
contraria al disposto dell'art. 264 C.C. la nomina dell'avv. P.D.B. a curatore speciale del
minore ed illegittima l'autorizzazione ad impugnare il riconoscimento di
paternità fatto da L.P.; di dichiarare inammissibile
e non probatorio l'accertamento ematologico disposto
dal Tribunale fuori dell'ipotesi di cui all'art. 235 C.C.;
e di dichiarare illegittima la promozione della procedura di adottabilità del
minore per difetto dei presupposti di cui all'art. 214/4 C.C.;
Letto il parere «favorevole a quanto richiesto nel
reclamo», espresso dal Procuratore generale in data 19.10.1979;
Visti le ulteriori istanze
proposte - in via incidentale - dai reclamanti, con ricorsi presentati il
19.9.1979 e il 31.10.1979;
Premesso che:
Il 3 ottobre 1978, presso l'Ospedale ... in Torino,
nasceva il minore di cui è questione. L'atto di
nascita veniva, tardivamente, redatto il 23 novembre
1978 presso l'Ufficio di Stato Civile di Torino, su dichiarazione contestuale
della madre naturale S.L. e del padre naturale L.P. (tale dichiaratosi); al neonato, che così acquistava
lo stato di figlio naturale riconosciuto dei due dichiaranti (non tra loro
sposati), veniva imposto il nome A. e il cognome L.
Con nota 19 marzo 1979 l'istituto per l'infanzia e
maternità di Torino (I.P.I.M.) informava
il locale Tribunale per i minorenni che la S.L.
(madre nubile, già nota per aver generato, tra il 1969 e il 1976, altri
quattro figli, ormai tutti dati in adozione) si era presentata all'IPIM in
data 31.10.1978 per chiedere l'assistenza per gli ultimi due nuovi nati: S.A., nato il 31.5.1977 e convivente con essa madre; ed
altro bambino nato il 3.10.1978, da lei chiamato L; che di quest'ultimo
bambino la S.L. aveva dichiarato che era stato
riconosciuto «anche dal padre, M.A., che l'aveva
portato con sé a M., in Sicilia; che invece, da indagini fatte, era risultato
che quest'ultimo nato era stato tardivamente
riconosciuto, col nome di A. e non di L., da certo L.P.
Con successiva nota 13.4.1979, l'IPIM trasmetteva copia dell'atto integrale di
nascita del minore L.A., denunciato come figlio naturale
di S.L. e di L.P.; nonché
certificato di stato di famiglia, rilasciato in data 21.3.1979 dal Comune di
Torino, dal quale la famiglia anagrafica della S.L.,
res. a Torino, via . . .,
risultava composta dalla predetta e dai due figli S.A. nato il 31.5.1977 e L.A. nato il 3.10.1978.
Tali atti venivano iscritti
dal Tribunale per i minorenni di Torino sotto il n. 55/79 del Reg. «Minori da dichiarare adottabili», con riferimento al
minore L.A..
Il 24 aprile 1979 i coniugi L.P.
e F.A., residenti a Torino,
via ..., presentavano ricorso al Tribunale per i minorenni di Torino,
chiedendo di comune accordo, che venisse ad essi coniugi affidato il minore L.A., nato il 3.10.1978 in Torino « ...da una relazione
extraconiugale del sig. L.P. con
la sig.na S.L. ...».
Venivano convocati dal Giudice la S.L.
ed i coniugi L.
La S.L. dichiarava di esser
certa «al 100%» che il padre di L.A. fosse L.P., col quale essa aveva
avuto una relazione durata quasi due anni; che la relazione era stata troncata
quando essa, già incinta, aveva appreso che l'uomo era sposato; che essa, dopo
la nascita del bambino, trovandosi nell'impossibilità di mantenerlo, si era
rivolta a L.P. ed aveva anche parlato con la moglie
di costui, la quale, non avendo figli, si era dichiarata disposta ad allevare
il bambino; che, quindi, L.P. aveva provveduto al
riconoscimento di A.L. S.L.
soggiungeva che essa, parlando con l'assistente
sociale dell'IPIM aveva attribuito la paternità del bambino al suo
ex-convivente M.A. detto A. (col quale, invece, aveva
cessato di convivere fin dal 18.2.1977), perché « ...si vergognava a dirle il
nome di un altro uomo». Riferiva, ancora, che visitava settimanalmente il
bambino in casa dei L.
F.A. dichiarava di essere
infermiera all'Ospedale ... di Torino; di non aver saputo, a suo tempo, della
relazione del marito con la S.L.; di aver, poi,
accettato di far da madre al piccolo A. (sobbarcandosi a far sempre i turni di
notte all'ospedale, al fine di seguire personalmente il bambino); e di aver
consentito a che il marito riconoscesse il bambino stesso.
L.P. dichiarava che in passato egli e la moglie avevano fatto domanda per adottare un bambino, domanda respinta
dal Tribunale per i minorenni; che poi aveva effettivamente frequentato la S.L. per un paio d'anni; che la relazione era cessata per
desiderio di costei, quando essa, ormai incinta, veva
appreso che egli era sposato; che, avvisato dalla S.L.
della nascita del bambino, aveva accettato di tenerlo con sé e, avendo poi
appreso dal suo legale che poteva riconoscerlo, aveva fatto il tardivo
riconoscimento, contestuale all'atto di nascita. Dichiarava di acconsentire
alle analisi ematiche per l'accertamento della propria paternità.
Il Tribunale per i minorenni, pertanto, affidava
consulenza tecnica al prof. A.C. per
accertare se L.A. presentasse caratteristiche
genetiche, in ispecie del gruppo sanguigno,
incompatibili con quelle di L.P.
Il prof. A.C. - eseguiti i
necessari prelievi ematici su L.A. e L.P. (mentre la S.L. non si era
presentata) -, con la relazione depositata il 30.7.1979 rispondeva al quesito
affermando che «sulla base della tipizzazione per gli antigeni eritrocitari e leucocitari è possibile escludere la
paternità del signor L.P. nei riguardi del bambino L.A.».
A questo punto il Tribunale per i minorenni, sentite
le richieste del P.M.,
emetteva senz'altro il qui reclamato provvedimento in data 29/31 agosto 1979,
con il quale - affermata la necessità di stroncare con la massima energia ogni
tentativo di aggirare la legge sull'adozione, ed ipotizzando un falso
riconoscimento di figlio non proprio con la complicità della vera madre -
adottava il complesso di provvedimenti sopra menzionati in epigrafe; col
risultato che in data 6 settembre 1979 L.A. usciva
dalla casa dei coniugi L. e veniva internato presso
un istituto, ove, su reiterata richiesta dei detti coniugi L., a costoro
veniva transitoriamente concessa unicamente la facoltà di vedere il bambino; ma
senza contatti diretti, una volta ogni 15 giorni e « olo
fino a quando L.A. resterà all'IPIM» (decreto Trib. Min. 21.9.1979).
I coniugi L. hanno proposto
reclamo contro il provvedimento 29/31 agosto 1979, assumendo le sopra epigrafate conclusioni, e contestando in toto la fondatezza, la opportunità
e la stessa legittimità delle decisioni adottate.
Pendente il reclamo, con decreto in via d'urgenza
datato 25.10.1979, il Presidente di questa Corte ha autorizzato, su richiesta dei reclamanti, il dott. M.B.
(già pediatra di A.) a effettuare una visita del
bambino per l'accertamento delle sue attuali condizioni di salute, ed ha
invitato i ricorrenti a produrre i relativi risultati. Senonché i reclamanti, con ricorso integrativo
31.10.1979, segnalavano esser stato impossibile al dott. M.B.
effettuare la visita sul bambino, perché, recatosi il
29 ottobre u.s. presso l'istituto maternità e infanzia aveva ivi appreso che «il
bambino non era più a Torino e che non si poteva comunicargli dov'era stato
trasferito».
Su tale ricorso, il P.G., in data 3.11.1979, così concludeva: «... voglia la Corte
ingiungere alla Direzione dell'Istituto per la maternità e infanzia, di
indicare il luogo ove il minore era stato trasportato; e disporre a mezzo
della forza pubblica il trasporto del minore nel suddetto istituto, incaricando
la stessa forza pubblica di accertare le responsabilità di colui o di coloro
che hanno sottratto il minore all'Istituto».
Ritiene questa Corte di poter, fin d'ora, prendere
in esame congiuntamente il merito della vertenza in una con le richieste di
natura incidentale, facendosi carico, non meno che i primi Giudici, delle
evidenti ragioni di estrema urgenza che premono sui
tempi della decisione.
Ritenuto che:
Va detto, anzitutto, che sono superflue le indagini,
chieste dal P.G., per
accertare «le responsabilità di colui o di coloro che hanno sottratto il
minore all'Istituto»: è, infatti, lo stesso Tribunale per i minorenni che - evidentemente
sicuro dell'impossibilità di una riforma del suo provvedimento - ha conferito
immediata esecutorietà a tutte indistintamente le statuizioni del suo
provvedimento, non esclusa neppure quella concernente il collocamento del
minore presso una (nuova) famiglia in vista della sua adozione.
Ma questa Corte non può condividere le certezze dei
primi Giudici, né può approvare la fulminea operazione di «trapianto» del
piccolo A. dal nucleo familiare ove stava crescendo in serenità e salute (v.
certificazioni mediche 9.9.1979 e 5.10.1979 del dott. M.B.)
ad altro imprecisato - e ignoto persino a questa Corte - ambiente di vita.
Il vero motivo che ha presieduto alla drastica decisione dei primi Giudici non è l'inidoneità dei
coniugi L. ad allevare A. (si è accennato solo a un
precedente giudizio circa la loro «non speciale idoneità ad adottare un
bambino», il che non significa inidoneità ad allevare il figlio naturale di uno
dei coniugi), né eventuali carenze verificatesi nei dieci mesi vissuti dal
bambino presso detti coniugi (nessun rilievo si legge, al riguardo, nel
provvedimento) ma esclusivamente la certezza che il riconoscimento del minore
da parte del L.P. sia stato contrario al vero frutto
di collusione tra il riconoscente e la madre del bambino, e, in definitiva, un
mezzo escogitato per eludere la legge sull'adozione. 11 che si dovrebbe
desumere da tre circostanze: 1) che la F.A. era
infermiera al ... e così in situazione favorevole per essere avviata di eventualità di «avere» bambini abbandonati dalla loro
mamma; 2) che la S.L., all'IPIM, aveva attribuito la
paternità del bambino al M. anziché a L.P.; 3) che
l'indagine genetica aveva avuto esito nettamente negativo per L.P.
La Corte riconosce la gravità di
queste circostanze, ma ne nega la sufficienza per dimostrare
l'esistenza di una dolosa collusione in frode alla legge a base del
riconoscimento di paternità fatto da L.P..
La qualità di infermiera
presso la «maternità» della F.A. non è altro che un
elemento di contorno, quasi privo di contenuto indiziante, dato che,
pacificamente, la S.L. non ha partorito presso il
..., ove prestava servizio la F.A., ma presso
l'ospedale ...; non può escludersi che la F.A. abbia
«passato parola» a qualche sua collega dell'altro ospedale, ma sarebbe
arbitrario ritenerlo provato.
Quanto alle affermazioni della S.L., resta da vedere se essa mentiva quando, da principio, attribuiva
la paternità del bambino al M. (non va dimenticato che, in quel frangente, essa
mentì certamente sul punto della collocazione del bambino in Sicilia, col
detto M.; né può escludersi che essa volesse nascondere l'affidamento del
piccolo a L.P., per poter lucrare l'assistenza in denaro
anche per tale bambino), ovvero se essa abbia poi mentito nell'attribuirne la
paternità a L.P.; né il Tribunale si è curato di
accertare se fosse ipotizzabile un'incertezza soggettiva della stessa madre
sulla paternità del bambino, di fronte a una possibile contemporaneità di
rapporti carnali di lei con uomini diversi all'epoca del concepimento; ed
ancor meno si è fatto carico di dimostrare l'inesistenza della asserita
relazione intima tra L.P. e S.L.
L'esito dell'indagine genetica ed ematologica,
infine, può condurre alla certezza (o meglio, quasi
certezza) della non paternità di L.P. rispetto al
bambino, ma non prova proprio nulla in punto insussistenza di relazioni intime
fra L.P. e S.L. all'epoca
del concepimento, e, perciò, non basta a dimostrare che L.P.
abbia dolosamente voluto aggirare la legge sull'adozione, ed abbia consapevolmente
fatto un riconoscimento inveritiero (che, si badi,
non sarebbe neppure riconducibile ad una figura di reato); al contrario, la
pronta e spontanea adesione all'indagine genetica, data da L.P.,
è forte indizio della sua buona fede e del suo convincimento di essere il vero
padre di A. (né, senza il consenso di L.P., egli
avrebbe potuto legittimamente essere sottoposto a tale indagine).
È, comunque, assorbente la
considerazione, di stretto diritto, che per la legge italiana, il rapporto di
filiazione naturale, con i conseguenti diritti e doveri reciproci tra padre e
figlio, non può venir eliminato o disconosciuto in via incidentale dal
Tribunale per i minorenni, nell'esercizio della sua competenza in ordine al
regime di allevamento, educazione, collocazione del figlio naturale, ma può
cessare unicamente per effetto di una sentenza passata in giudicato, del
Giudice civile ordinario, che accolga un'azione di impugnazione del
riconoscimento, ai sensi degli art. 263 e segg. C.C.,
38 disp. att. C.C.; e che, in pendenza di tale giudizio sull'impugnazione
del riconoscimento, spetta al giudice (ordinario) dell'impugnazione stessa -
che meglio può valutare il fondamento dell'impugnazione - e non al Tribunale
per i minorenni, il compito di dare i provvedimenti «opportuni nell'interesse
del figlio» (e non nell'interesse del rispetto della legge sull'adozione!):
art. 268 C.C., in relazione all'art. 38 disp. att. C.C.
Potrebbe, però, ipotizzarsi che, anche prima
dell'inizio della causa di impugnazione del riconoscimento,
possa sussistere un interesse del figlio minore ad essere subito allontanato
dalla famiglia paterna nella previsione di un sicuro esito favorevole
dell'impugnazione ed al fine di evitare che la crescita del bambino renda, poi,
più doloroso e traumatizzante il distacco della famiglia stessa: interesse che
potrebbe trovare tutela nei provvedimenti consentiti al Trib.
per i minorenni dagli artt. 252 e 317 bis C.C., fino alla esclusione del
genitore dall'esercizio della potestà e alla nomina di un tutore (ma
certamente non, in questa fase, all'affidamento preadottivo
del minore ad estranei).
Nel caso in esame, però, la previsione che la
paternità di L.P. nei confronti di A.
possa essere giudizialmente esclusa, in esito a un
instaurando giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità, appare tutt'altro che fondata e sicura.
A norma dell'art. 263 C.C.,
infatti, sono legittimati a proporre siffatta impugnazione l'autore del
riconoscimento, colui che è stato riconosciuto e chiunque vi abbia interesse.
L'autore del riconoscimento è L.P.,
il quale mostra intenzioni del tutto opposte a quella di impugnare il proprio
riconoscimento. Non si profilano, poi, nella specie, terze persone portatrici di interessi, attuali, concreti e meritevoli di tutela, in
contrasto con l'avvenuto riconoscimento di paternità (a meno di arrivare
all'assurdo di attribuire un siffatto interesse a tutti i possibili aspiranti
genitori adottivi del minore; ma le norme sulla filiazione naturale, ed in ispecie quella dell'art. 23 C.C.,
non sono certamente poste al fine di coinvolgere, come possibili interessati,
tutti i cittadini nel rapporto tra genitore e figlio naturale, e neppure al
fine di privilegiare lo stato di minore adottabile rispetto a quello di figlio
naturale riconosciuto).
Resta la legittimazione di colui
che è stato riconosciuto; legittimazione soggetta alla limitazione del
successivo art. 264 C.C.: «Colui
che è stato riconosciuto non può, durante la minore età o lo stato
d'interdizione per infermità di mente, impugnare il riconoscimento. Tuttavia il
giudice, con provvedimento in camera di consiglio su istanza
del pubblico ministero o del tutore o dell'altro genitore che abbia
validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il
sedicesimo anno di età, può dare la autorizzazione per impugnare il
riconoscimento, nominando un curatore speciale». È chiaro che la facoltà
attribuita al Tribunale per i minorenni (v. art. 38 disp. att. C.C.) da questo art.
264 deve essere esercitata nell'esclusivo interesse del riconosciuto minore o
interdetto, e non nell'astratto interesse della legge o di esigenze di ordine
sociale, trattandosi di attività sostitutiva nell'esercizio di un diritto
potestativo personalissimo dell'incapace: come nessuno potrebbe obbligare il
riconosciuto maggiorenne a impugnare per difetto di veridicità il
riconoscimento anche se ne fosse palese la non veridicità, così il giudice non
può, per il solo fatto di ritenere non veridico il riconoscimento, sostituirsi
automaticamente all'interessato incapace nel promuovere l'impugnazione, senza
porsi in concreto, ed esclusivamente dal punto di vista dell'interesse del riconosciuto,
il problema della convenienza, dell'opportunità, del vantaggio per il
riconosciuto stesso, di far o meno accertare e dichiarare la non veridicità e così
l'inefficacia del riconoscimento. A parere della Corte, il Tribunale per i
minorenni non ha fatto buon governo di questo particolare potere, perché -
senza neppure curarsi di contestare la idoneità, la
serietà, la capacità morale ed economica di L.P.
come persona investita del potere-dovere di allevare il figlio riconosciuto -
ha affermato che sull'interesse del bambino a rimanere con le persone che già
da dieci mesi lo stavano allevando, deve prevalere l'interesse -
dichiaratamente del bambino stesso ma, nella realtà, della collettività e della
«legge» intesa come bene supremo - a che il bambino non resti con persone che
hanno aggirato la legge e che erano in passato state ritenute non già
«inidonee», ma solo «non particolarmente idonee» ad adottare un bambino.
Questa Corte, tenuto conto dei lunghi mesi della
prima infanzia trascorsi dal minore presso L.P., del felice esito di tale periodo di affidamento «de
facto» (chiaramente confermato dalle certificazioni del medico di famiglia
dott. M.B., e non «aliunde»
contraddetto) delle modeste ma sicure condizioni economiche dei coniugi L. (lui carrozziere, lei infermiera) e della loro ancor valida
età (anni 31 e 30 rispettivamente), dell'abnegazione mostrata dai detti
coniugi verso il bambino (la signora L. si è persino
sobbarcata ai turni di notte per stare di giorno a fare da mamma ad A.) e
della mancanza di prove attendibili sulla pretesa collusione fraudolenta tra la
S.L. e L.P. (gli elementi
acquisiti rivelano, se mai, un caso, tutt'altro che
raro e nient'affatto allarmante, di riconoscimento fatto, ingenuamente e in
buona fede, da un padre putativo: situazione che non legittima affatto brusche
operazioni di «trapianto» come quella operata nel caso di specie), tutto ciò
considerato reputa che sia certissimo interesse del
minore non impugnare il riconoscimento e non affrontare il trauma e il rischio
di una nuova esperienza familiare, di esito imprevedibile ed incerto.
Ma la nomina del curatore speciale e l'autorizzazione
datagli ad impugnare il riconoscimento dev'essere non soltanto ritenuta inopportuna e contraria
all'interesse del minore, ma anche dichiarata illegittima, per violazione
dell'art. 264 cp. V C.C.; tale norma, infatti, prescrive che il Tribunale per i
minorenni provveda solo su istanza di determinati soggetti, non d'ufficio;
qui, invece, il Tribunale ha provveduto di sua iniziativa, in quanto neppure
il Pubblico Ministero - nelle sue, pur ampie richieste del 28.9.1979 -, aveva
formulato istanze tendenti a promuovere l'impugnazione del riconoscimento [«V°
il P.M., richiede che si proceda per la
dichiarazione di decadenza della potestà su L.A. nei
confronti di S.L.; richiede altresì l'allontanamento
del piccolo dalla famiglia L., essendosi accertato a seguito della perizia in
atto che non sussistono le condizioni per riferirsi all'art. 252 C.P. (A. non è
figlio naturale di L.P.); richiede ancora che A. sia
affidato a persone idonee, iniziandosi la procedura per dichiararlo
adottabile; con riserva di azioni penali da segnalare»: dove, nei confronti di L.P. non si chiede né il promuovimento
dell'impugnazione ex art. 264 C.C., né la
dichiarazione di decadenza della potestà].
Va, quindi, revocata la nomina dell'avv. P.D.B. a curatore speciale di L.A. e l'autorizzazione data al detto curatore ad
impugnare il riconoscimento fatto da L.P.
Viene, così, meno il pilastro su cui si reggeva
l'insieme degli altri provvedimenti adottati dal Tribunale per i minorenni nei
confronti di L.P.,
provvedimenti che miravano tutti a privarlo immediatamente di ogni autorità e
di ogni contatto con A., in previsione della giudiziale declaratoria, nella
sede competente, della non paternità nei confronti del minore, e non già a
sanzionare una - del tutto inesistente e neppure veramente provata - inidoneità
di L.P. ad allevare il figlio da lui riconosciuto; e
perciò tutti i suddetti provvedimenti vanno, con effetto immediato, revocati,
al fine di eliminare al più presto il danno purtroppo già subito dal minore. Dev'essere, così, revocato il provvedimento di allontanamento del minore dalla casa di L.P.; e dev'essere, invece,
accolta l'istanza di affidamento del minore al detto padre naturale
(affidamento consentito dalla madre naturale, e palesemente conveniente per il
minore, attesa la situazione di disordine morale e materiale in cui, per sua
stessa ammissione, vive la S.L.). Dev'essere, ovviamente, revocato l'affidamento del minore
al Comune di Torino; l'ordine di collocarlo presso una famiglia idonea
all'adozione; l'esclusione di L.P. dall'esercizio
della potestà parentale (l'unico suo torto è quello
di essere, probabilmente, un padre naturale meramente
«putativo»: senza, peraltro, alcuna concreta prospettiva che il suo
riconoscimento venga invalidato agli effetti di legge); e deve essere revocata
la nomina a tutore del Comune di Torino.
Il rientro del minore presso L.P.
deve avvenire al più presto: il presente decreto è esecutivo per legge; per
agevolarne l'esecuzione, viene autorizzata la richiesta dell'intervento della
Polizia Femminile della Questura di Torino.
Resta unicamente confermato - in quanto non reclamato
- il provvedimento avente per oggetto l'esclusione della S.L.
dall'esercizio della potestà parentale sul minore.
Non può essere dichiarata l'inammissibilità e
l'inefficacia dell'accertamento sulle caratteristiche
genetiche ed ematologiche eseguito dal Tribunale,
essendo stato tale accertamento espressamente consentito da L.P.
Non vi è luogo a provvedere sull'istanza
di declaratoria di illegittimità del promuovimento
della procedura di adottabilità del minore, in quanto - pur essendo evidente
che non ne sussistano minimamente i presupposti di legge - non consta che tale
procedura sia finora pervenuta ad alcun provvedimento suscettibile di reclamo.
L'affidamento del minore al padre L.P. dev'essere congiunto
all'inserimento del minore stesso nella famiglia legittima del padre, essendo provata la piena disponibilità della F.A. in L. e il consenso della S.L.
Poiché la madre naturale S.L.
è stata dichiarata decaduta dall'esercizio della potestà parentale,
e non ha mosso doglianza né istanza, si reputa più
conveniente, nell'interesse del minore, non attribuirle il diritto di visitare
il figlio, al fine di non turbare il valido rapporto affettivo già instauratosi
tra il bambino e la moglie del padre.
P.Q.M.
In parziale riforma del provvedimento n. 676/79 R.V.G. in data 29 agosto-31 agosto 1979 del Tribunale per i
minorenni di Torino, concernente il minore L.A. nato
a Torino il 3 ottobre 1978:
revoca le
disposizioni, contenute nel suddetto provvedimento, aventi per oggetto
l'allontanamento del minore dalla casa dei coniugi L.P.
e F.A., l'affidamento del minore al Comune di Torino,
l'ordine di collocamento del minore presso una famiglia avente i requisiti per
adottarlo, la esclusione di L.P. dall'esercizio della
potestà parentale, la nomina del Comune di Torino a
tutore del minore, la nomina dell'avv. P.D.B. a curatore speciale del minore, l'autorizzazione al detto curatore
ad impugnare il riconoscimento fatto da L.P. verso il
minore per difetto di veridicità;
visto l'art. 252 C.C., affida il minore L.A.
a L.P., autorizzando quest'ultimo
ad inserirlo nella propria famiglia legittima, composta da L.P.
e della di lui moglie F.A.;
ordina l'immediata
consegna del minore, da parte di qualsiasi persona od ente presso cui egli si
trovi, a L.P. che, a tal fine, potrà valersi
dell'ausilio della Polizia Femminile della Questura di Torino;
conferma, per difetto
di reclamo, l'esclusione di S.L. dall'esercizio della
potestà parentale sul minore, e la esclude dalle
visite al minore stesso.
Si comunichi ai ricorrenti, al Procuratore Generale, alla
Questura di Torino - Polizia Femminile, al Comune di
Torino e all'avv. P.D.B.
Così deciso nella camera di
consiglio in Torino, addì 6 novembre 1979.
COMMENTO
DI GIORGIO BATTISTACCI
La sentenza della Corte di appello
di Torino, Sezione minorenni, che precede, è uno di quei provvedimenti che,
trincerandosi dietro un'applicazione formalistica di alcune norme di legge,
viene ad ignorare i reali interessi di un cittadino, nel caso un minore, anche
se continua a proclamare la necessità di tutelarli, e a non tener conto che
anche un giudice, pur essendo chiamato ad applicare le norme al caso singolo,
non può ignorare il problema generale nel quale il caso si inquadra e che, per
quanto sta in lui, deve operare per affrontarlo. Intendo dire
che ormai da tempo si verificano numerosi riconoscimenti di paternità fasulli
al fine di aggirare le norme sull'adozione speciale e che i giudici non possono
fingere di ignorare tale fatto e devono nei limiti dei loro poteri intervenire
per evitarli.
Occorre fare ancora un'osservazione e cioè che uno dei principi ispiratori del nuovo diritto di
famiglia è quello di far corrispondere situazioni e status giuridici a situazioni
conformi alla verità reale: non a caso sono state allargate le possibilità di
agire per il disconoscimento di paternità e viene prevista un'amplissima
possibilità di riconoscimento dei figli naturali. Di tale principio non sembra
tenersi alcun conto nella sentenza in esame sanzionandosi
con un provvedimento giurisdizionale una situazione sicuramente non
corrispondente a verità.
Nel caso in esame non può non muoversi dalla certezza
che il minore non è figlio di L.P.,
com'è
emerso
dall'analisi dei gruppi sanguigni: è stato infatti scientificamente provato,
contrariamente a quanto ritiene la Corte, che attraverso l'analisi dei gruppi
sanguigni può giungersi con sicurezza ad escludere la paternità di un presunto
padre, mentre tale analisi non fornisce un'uguale sicurezza in ordine
all'attribuzione della paternità, anche se offre elementi abbastanza prossimi
alla certezza.
Nel caso poi vi erano altri elementi indiziari che
confortavano il risultato dell'esame sui gruppi sanguigni, elementi ricordati
nella sentenza e ai quali può aggiungersi anche quello che i
coniugi L. avevano presentato domanda di
adozione speciale che non aveva trovato accoglimento.
Una volta dato per scontato il presupposto sopra ricordato, anche
se ancora non affermato attraverso la necessaria pronuncia giurisdizionale,
occorreva mettere in moto il meccanismo previsto per giungere all'accertamento
della verità e garantire intanto i reali interessi del minore. Infatti è
esatto quanto afferma la Corte che il rapporto di filiazione naturale non può
venire eliminato e disconosciuto in via incidentale dal Tribunale per i
minorenni e che occorreva seguire la procedura di cui agli articoli 263 e
seguenti c.c. di competenza del Tribunale ordinario, però, contrariamente alla
linea tenuta dalla corte, non poteva neppure ignorarsi quanto già risultato in ordine alla falsa attribuzione di paternità a L.P., che invece è stato giustamente tenuto presente dal
Tribunale per i minorenni.
Questo conduceva ad adottare
provvedimenti opportuni nell'interesse del minore, che, in pendenza di un
giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, possono
essere adottati dal Tribunale ordinario (art. 268 C.C.), ma che, prima
dell'inizio di tale procedimento, possono essere adottati dal Tribunale per i
minorenni a norma degli artt. 252 e 317 bis C.C. e,
aggiungeremmo pure, a norma dell'art. 336 C.C., come riconosce pure la Corte e come ha fatto il Tribunale
per i minorenni.
Tali provvedimenti si rendevano necessari per evitare
che il minore si inserisse stabilmente ed in via
irreversibile in una famiglia che non era la sua, perché il padre non era il
suo genitore naturale, e che tale non poteva divenire, perché i coniugi L. non erano stati ritenuti sufficientemente idonei per
un'adozione speciale e la loro inidoneità era stata ulteriormente confermata
per il comportamento tenuto nella vicenda relativa al piccolo A. Né d'altra parte la durata della presenza del minore presso
la famiglia L., essendo stata solo di alcuni mesi ed essendo il minore in
tenera età, poteva indurre a non mutare lo stato di fatto creatosi perché
nessun legame irreversibile tra il minore e i coniugi L.
potevasi essere stabilito. Né ancora poteva essere dato eccessivo rilievo per la sua genericità alla circostanza riferita
dal Dott. M.B., medico di
famiglia, in ordine alla felice permanenza del minore presso i L.
La Corte ha ignorato tutto questo
accettando di mantener ferma una situazione di fatto creata ad arte dai L.
La Corte ha fondato il provvedimento e il procedimento
logico da cui esso si origina nel convincimento che non esistevano elementi
per ritenere che la paternità di L.P. potesse essere
mai giudizialmente esclusa, né tale
ragionamento appare viziato sotto i tre seguenti profili. Non poteva essere ignorato, come la Corte ha fatto e come sopra
si è detto, il sicuro risultato dell'accertamento dei gruppi sanguigni. Non
poteva essere ignorato che, in base al principio sopra ricordato che informa
il nuovo diritto di famiglia, va favorita e ricercata
la corrispondenza degli status e delle situazioni giuridiche con quelle reali
nell'interesse dei singoli e quindi dei minori, a meno che non emergano più
che evidenti ragioni per escludere tale interesse. In terzo luogo,
contrariamente all'assunto della Corte, non poteva
escludersi la facoltà del Tribunale per i minorenni di autorizzare
l'impugnazione del riconoscimento e di nominare al minore un curatore per
promuovere il giudizio di impugnazione a norma dell'art. 264 C.C. La Corte
riconosce che tale facoltà spettava al Tribunale ma osserva che il Tribunale
per i minorenni non era legittimato ad emettere tale provvedimento d'ufficio
perché era necessaria la richiesta del P.M. che nel caso mancava. Ora, anche a
ritenere, come sostiene la Corte, che la facoltà attribuita al Tribunale per i
minorenni debba essere esercitata nell'esclusivo
interesse del minore e non nell'astratto interesse della legge o di esigenze
di ordine sociale, va ricordato che si trattava proprio di tutelare l'interesse
del minore per le considerazioni svolte sopra e che non a caso il legislatore
ha affidato la competenza ad adottare i provvedimenti su indicati al Tribunale
per i minorenni, come giudice che tutela funzionalmente gli interessi dei
minori, e ciò contrariamente a quanto disponeva la precedente normativa che
attribuiva tale competenza al Tribunale ordinario. Nulla escludeva che il
Tribunale potesse procedere alla nomina del curatore in via provvisoria e
d'ufficio, in applicazione analogica della norma di cui all'art. 336 ultimo
comma C.C., magari poi
inviando gli atti al P.M. perché esaminasse l'opportunità di fare un'esplicita
richiesta in ordine ai provvedimenti ex art. 264 C.C. o in attesa che si avesse
una sollecitazione in tal senso del tutore nominato al minore nei riguardi del
P.M.
In ogni caso la via battuta dal Tribunale per i
minorenni andava seguita e non ribaltata perché, come si diceva all'inizio, non
può consentirsi che i falsi riconoscimenti di
paternità si estendano, come sta avvenendo, venendo a vanificare gli interessi
dei minori e rendendo inutile la funzione del Tribunale per i minorenni in
materia di adozione il che, tra l'altro, condurrebbe ad una ulteriore perdita
di credibilità dell'istituzione giudiziaria.
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