Prospettive assistenziali, n. 52, ottobre - dicembre 1980
RELAZIONI INTRODUTTIVE
PROBLEMI
ISTITUZIONALI E GIURIDICI DELL'AFFIDAMENTO E DELL'ADOZIONE
Con l'approvazione del DPR 24 luglio 1977, n. 616, e
della legge 21 ottobre 1978, n. 641, viene raggiunto
un importante obiettivo perseguito da anni dai partiti e dai movimenti di base
di sinistra e dai sindacati: lo scioglimento di migliaia e migliaia di enti e
uffici settorialmente preposti all'assistenza.
Questo problema è ancora aperto per circa 9000 IPAB e
per le competenze assistenziali attribuite dalle leggi
alle Province e ben difficilmente troverà piena soluzione con la riforma
dell'assistenza, ammesso che sia approvata.
Infatti, l'accordo intervenuto a livello nazionale
fra DC, PCI e PSI esclude dal trasferimento ai Comuni, oltre alle IPAB che
svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa, anche quelle a carattere associativo,
quelle operanti nel campo dell'istruzione (asili nido, scuole materne,
collegi), quelle il cui consiglio di amministrazione è presieduto da un religioso
0 è composto in maggioranza da religiosi.
Vi è poi da aggiungere che il Governo ha respinto la
legge approvata dalla Regione Piemonte che prevedeva la soppressione di una piccola parte delle IPAB.
Unità locale dei servizi e le
contraddizioni dei provvedimenti regionali
L'alternativa alla miriade
di enti era ed è la costituzione delle Unità locali dei servizi, costituzione
che, per quanto riguarda l'assistenza, doveva essere attuata dalle Regioni, in
base a quanto previsto dal DPR n. 616, entro il 31
dicembre 1977.
La Regione Piemonte ha assunto nei confronti della
costituzione delle Unità locali dei servizi
provvedimenti contradditori. Infatti:
- con la legge 41 del giugno del 1976 ha suddiviso
il territorio regionale in 76 zone e prefigurato una Unità
locale competente per tutti i servizi di base;
- con la legge 39 dell'agosto del 1978 ha stabilito
che solo la gestione dei servizi sanitari ed assistenziali
e la formazione del relativo personale erano demandate alle Unità locali; ha
elencato le funzioni sanitarie e assistenziali da riorganizzare a livello
delle Unità locali senza però precisare modalità e tempi di attuazione;
- con la bozza regionale di statuto dei Consorzi fra
Comuni ha stabilito che competeva ai singoli Comuni definire quali funzioni
erano demandate alla gestione da parte dei Consorzi, vanificando in tal modo i
contenuti della legge 39;
- infine, con la legge n. 3 del gennaio 1980 ha
stabilito che i servizi di assistenza saranno gestiti:
a) dal Comune di Torino e dalle 23 Circoscrizioni;
b) dalle Comunità montane Val Pellice
e Val Chisone;
c) dalle 51 Associazioni intercomunali per le altre
zone.
Spetta però alle Assemblee delle Associazioni
intercomunali e delle Comunità montane Val Pellice e
Val Chisone decidere se e quali servizi di assistenza
devono essere svolti dai singoli Comuni.
Anche la legge regionale n. 3 non stabilisce modalità
e tempi di attuazione per la gestione dei servizi di
assistenza.
Per quanto riguarda la città di Torino, la Giunta
comunale non ha ancora provveduto ad attuare il
decentramento alle Circoscrizioni delle funzioni assistenziali, comprese
quelle relative all'adozione e all'affidamento, decentramento che doveva aver
luogo con decorrenza 1° gennaio 1979 (v. la delibera quadro approvata dal Consiglio
comunale di Torino il 23 giugno 1978).
In conclusione, nonostante le prescrizioni ed i tempi
stabiliti dal DPR 616, tuttora non funzionano o addirittura non sono stati
costituiti gli organi di governo delle Unità locali.
Questa situazione è ancor più preoccupante se si
tiene conto che il Consiglio regionale non ha nemmeno voluto prendere in
considerazione la proposta di legge di iniziativa
popolare « Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e
costituzione delle Unità locali di tutti i servizi », sottoscritta da oltre
13.000 cittadini.
Vigilanza, controllo e nomine
Con delibera della Giunta regionale
del 27 novembre 1979, la Regione ha trasferito alle Unità locali:
- l'attività di vigilanza sulle istituzioni pubbliche
e private di assistenza, compreso il rilascio delle
idoneità per il funzionamento delle stesse;
- le nomine dei presidenti e dei membri dei Consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche e private che
sono di spettanza della Regione.
Purtroppo questo trasferimento è stato fatto anche ad
organismi non funzionanti e privi di personale com'è il caso dei 51 Consorzi
fra Comuni.
In ogni modo è auspicabile che al più presto le Unità
locali esercitino in modo serio le attività suddette,
fermo restando che alla Regione compete e competerà il controllo sulle
istituzioni pubbliche e private.
Confidiamo inoltre che la Regione provveda
ad aggiornare l'anagrafe dei minori ricoverati, la estenda a tutti gli
altri cittadini ricoverati in istituto e ai piemontesi che sono ricoverati
fuori Regione.
Da una corretta gestione dell'anagrafe dei ricoverati,
sarà possibile controllare l'andamento dei ricoveri ed anche segnalare al
Tribunale per i minorenni gli istituti di assistenza
che non provvedono all'invio degli elenchi trimestrali dei minori ricoverati.
Prevenzione e raccordo fra i servizi assistenziali e non assistenziali
La richiesta della costituzione dell'Unità locale di
tutti i servizi di base è motivata anche dal fatto che
gli interventi assistenziali non possono, per la loro stessa natura, svolgere
attività di prevenzione primaria.
L'eliminazione delle cause di emarginazione
può essere attuata solo dai settori dell'occupazione, della casa, della
scuoia, della cultura, del tempo libero, delle attività sportive e ricreative,
ecc.
Un unico organo di governo locale per tutti i servizi
di base consente uno stabile raccordo fra i servizi e aumenta pertanto le
possibilità concrete degli interventi di prevenzione.
Inoltre la partecipazione è facilitata dalla presenza
del minor numero di organi di governo.
Priorità di intervento
e progetti attuativi
Alla Regione è stato richiesto, finora inutilmente,
di stabilire le priorità di intervento che e nostro
avviso sono le seguenti:
- attività di prevenzione (v. sopra);
- attività di assistenza
alternative al ricovero in istituto (assistenza economica, aiuto domestico,
prestazioni varie di servizio sociale in appoggio alle famiglie e persone in
difficoltà, affidamenti di minori e inserimenti di adulti e di anziani presso
famiglie e persone, comunità alloggio).
Questo elenco di priorità è stato da noi definito
tenendo conto della necessità di assicurare agli assistiti il massimo di autonomia possibile.
La definizione di analoghe
priorità è stata richiesta ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane
con risultati sia positivi che negativi e dovrà essere avanzata ai nuovi organi
di governo delle Unità locali.
Definite le priorità di intervento,
occorre che gli Enti locali oggi, le Unità locali domani, provvedano a
definire piani concreti.
Noi, come verrà detto
nell'altra relazione, proponiamo un piano per la deistituzionalizzazione
di tutti i minori da zero a sei anni.
Alcuni aspetti organizzativi
A nostro avviso le attività in materia di affidamento non devono essere svolte da un servizio a
sé stante, ma essere una delle prestazioni dei servizi socio-assistenziali
dell'Unità locale.
Lo stesso principio vale secondo noi per tutte le
altre prestazioni (assistenza economica, aiuto domestico, ecc.).
Tutte le funzioni socio-assistenziali devono a nostro avviso essere affidate al gruppo degli
operatori dell'Unità locale, tenendo conto delle specifiche competenze, ma
senza creare settori a sé stanti e senza rigidità nocive all'integrazione
delle varie prestazioni e all'unitarietà degli interventi nei confronti dei
nuclei familiari.
Riteniamo pertanto negativo, ad esempio, la
ripartizione di funzioni in base all'età degli assistiti, come avviene nel
caso della creazione di servizi per minori, per adulti, per anziani.
Ciò non toglie che l'erogazione delle prestazioni debba avvenire in base a concreti piani di
intervento e non, come spesso avviene oggi, caso per caso.
Riteniamo inoltre importante che la sede centrale
dei servizi socio-assistenziali sia quella dei
poliambulatorio di Unità locale (o del poliambulatorio di quartiere per
Torino), ferma restando la necessità di sedi decentrate nelle zone con popolazione
dispersa.
Questa ipotesi tiene conto sia delle esigenze degli
utenti, sia delle necessità di coordinamento fra i servizi socio-assistenziali
e quelli sanitari.
Inoltre crediamo sia necessario che gli operatori dei servizi socio-assistenziali raccolgano,
nucleo per nucleo familiare assistito, gli elementi sulle alternative
all'assistenza (lavoro, casa, scuola, ecc.), in modo che possano essere avanzate
richieste concrete alle competenti autorità politiche e ai competenti uffici
tecnici.
Quanto alle forme di reperimento delle famiglie
affidatarie finora i sistemi che si sono dimostrati più efficaci sono stati l'azione promozionale svolta dagli affidatari e
la posa nei negozi di volantini con la segnalazione di casi specifici.
Problemi legislativi relativi all'affidamento
Vi sono, attualmente, due
tendenze:
- una diretta ad attribuire agli Enti locali (Unità
locali) le competenze in materia di affidamento
familiare a scopo educativo (v. proposta di legge del PSI) nella
considerazione che si tratta di un intervento assistenziale da organizzare in
modo integrato con gli altri servizi (assistenza economica, aiuto domestico,
ecc.) e strettamente coordinato con gli interventi non assistenziali (lavoro,
casa, scuola, ecc.).
Inoltre, per poter procedere agli affidamenti, è
indispensabile disporre di comunità alloggio. In questa ipotesi l'affidamento è visto come un aiuto alla
famiglia d'origine e al bambino.
Solo nei casi di contestazione fra ente e famiglia d'origine
dovrebbe intervenire l'autorità giudiziaria;
- un'altra diretta invece ad
affidare le competenze al Tribunale per i minorenni (proposta della DC) o al Giudice
tutelare (proposta del PCI).
Noi riteniamo che l'esperienza italiana e straniera
dimostri che l'ipotesi più conforme all'interesse dei
minori e delle famiglie sia la prima.
Problemi legislativi relativi all'adozione
A nostro avviso è necessario, in primo luogo, una
decisa lotta contro il mercato dei bambini. Ciò richiede la soppressione
dell'adozione ordinaria e dell'affiliazione, l'introduzione di norme dirette a
scoraggiare e punire i falsi riconoscimenti ed a colpire coloro
che non segnalano i minori in situazione di abbandono o non inviano gli
elenchi trimestrali o forniscono notizie false o inesatte.
In secondo luogo occorre intervenire contro il
mercato dei bambini stranieri prevedendo norme di legge che obblighino gli
adottanti ad essere selezionati ed autorizzati dai Tribunali per i minorenni
prima di accogliere un fanciullo straniero.
I requisiti richiesti agli adottanti per l'adozione di bambini italiani dovrebbero valere anche per
l'adozione di bambini stranieri.
Ci sembra inoltre importante che l'attuale limite di età degli adottandi di 8 anni sia elevato a 18, come
d'altra parte è previsto dalla Convenzione europea sull'adozione ratificata
anche dal nostro paese.
Non dovrebbero, invece, essere modificate le norme
vigenti per la dichiarazione di adottabilità, salvo
prevedere che la condizione ostativa della forza maggiore sia applicabile solo
quando essa ha carattere transitorio.
La semplificazione della procedura e in particolare
l'eliminazione di uno dei due gradi di appello consentirebbe
a molti minori un inserimento adottivo più tempestivo.
Ci sembra anche necessario che sia sottratta ai giudici tutelari ogni competenza in materia di adozione,
dato che, salvo casi rarissimi, si sono totalmente disinteressati dei compiti
ad essi affidati dalla legge 431/1967.
Riteniamo inoltre, nell'interesse dei minori, che
l'adozione speciale non debba essere consentita alle
persone singole e alle coppie conviventi.
Per quanto riguarda la differenza di
età fra adottato e adottanti, essa dovrebbe essere ridotta dagli
attuali 20 anni a 18 e dagli attuali 45 anni a 35-40.
Ferma restando la necessità di una tempestiva
informazione al bambino della sua situazione di figlio adottivo, si ritiene che
l'atto originario di nascita dovrebbe essere sostituito dalla trascrizione
della sentenza definitiva di adozione speciale.
Ci sembra inoltre necessario che i giudici dei
Tribunali per i minorenni e soprattutto quelli delle Sezioni minorenni delle
Corti di Appello debbano essere specializzati nella
loro specifica funzione; si eviterebbero così, lo speriamo vivamente, sentenze
nettamente contrastanti con le esigenze dei bambini.
Le proposte di legge sull'adozione speciale e
ordinaria, sull'affiliazione e sull'affidamento presentate da DC, PCI, PSI
sono attualmente all'esame della Commissione
Giustizia del Senato che ha affidato ad un Comitato ristretto il compito di
predisporre un testo unificato. Di qui l'urgenza di interventi
da parte di tutti coloro - Amministrazioni, gruppi, persone - che si preoccupano
delle sorti dei minori da adottare e da affidare affinché la nuova legge sia
conforme alle loro esigenze.
Conclusioni
Per quanto riguarda il problema istituzionale
riteniamo di determinante importanza la definizione
da parte della Regione e del Comune di Torino degli organi responsabili della
gestione dei servizi.
Confidiamo, inoltre, che le Comunità montane Val Pellice e Val Chisone e le 51 Associazioni di Comuni non
demandino ai singoli Comuni la gestione di attività
assistenziali ad evitare frammentazioni dannose per gli utenti.
La nostra proposta rimane quella dell'Unità locale di
tutti i servizi di base.
In secondo luogo la Regione deve al più presto
definire i criteri di riordino dei servizi ed i tempi di attuazione.
Rinviare questi due interventi alla riforma dell'assistenza,
significa, ancora una volta, ricercare pretesti per continuare a non fare quel
che si doveva attuare da tempo (v. DPR 616).
Inoltre spingere oggi per l'approvazione della legge di
riforma dell'assistenza può significare un ritorno indietro rispetto al DPR 616
(v. problema IPAB).
È anche necessaria la regolamentazione giuridica
dell'affidamento con la precisazione dei diritti e
doveri dei minori, della famiglia d'origine e degli affidatari: ciò non toglie
che da anni gli Enti locali hanno la concreta possibilità di operare - se lo
vogliono - per prevenire il bisogno assistenziale e per predisporre servizi
alternativi al ricovero in istituto.
Iniziative concrete concordate fra gli operatori dei
servizi ed i movimenti di base potrebbero essere studiate
per sbloccare situazioni di chiusura e per contribuire ad una maggiore e
migliore tutela delle famiglie e dei bambini in difficoltà.
PROBLEMI
PSICOLOGICI ED EDUCATIVI
Premessa
Questa non è una relazione teorica sui problemi
psicologici ed educativi dell'affidamento e
dell'adozione, ma il risultato di una riflessione e discussione delle proprie
esperienze di affidamento e di adozione di un gruppo di persone residenti
nella città e nella provincia di Torino.
Affidamento familiare
Età dei bambini
Le esperienze confrontate sono molto diverse: i
bambini al momento dell'entrata nella famiglia affidataria
avevano un'età variabile dai 2-3 ai 14-15 anni.
I bambini affidati avevano spesso alle spalle anni di
ricovero in istituto e avevano subito le conseguenze negative e spesso
irreversibili che purtroppo questo determina.
Segnalazioni del bambino
La segnalazione del bambino «da affidare» è avvenuta
attraverso gli operatori dei servizi sociali, oppure
direttamente dai genitori d'origine del bambino o, più spesso, da istituti,
associazioni o gruppi che operano nel settore assistenziale.
I motivi
La maggioranza degli affidamenti in atto sono determinati da:
- carenze educative gravi
della famiglia d'origine, che hanno a volte determinato successivamente
l'intervento del Tribunale per i minorenni in casi di maltrattamenti e
violenze;
- affidamenti del Tribunale per í minorenni all'Ente
locale, provvedimento preso a chiusura di una procedura per l'adottabilità o
comunque a seguito di una richiesta d'intervento di servizi sociali con
disposizioni precise spesso per quanto riguarda i rapporti con i genitori o
parenti del minore;
- lavoro del genitore (quando il genitore
è solo), accompagnati in alcuni casi dalle carenze di cui sopra.
Motivazioni all'affidamento
Pur essendo difficile analizzare per gli stessi
affidatari i motivi che hanno portato a questa scelta, nella discussione sono
state evidenziate alcune componenti che, a seconda dei
casi, hanno «giocato» in misura diversa:
- coinvolgimento emotivo sulla situazione del bambino
che ha urgente bisogno di inserimento in un altro
ambiente familiare;
- condivisione e disponibilità
verso queste situazioni quale «impegno» a livello di coppia
- scelta maturata come impegno cristiano
diretto verso chi ha bisogno (moltissimi affidatari sono stati o sono
impegnati in gruppi o comunità di base).
Per alcuni alla base della scelta dell'affidamento c'era anche il convincimento che, essendo
transitorio, fosse meno vincolante.
A queste motivazioni iniziali va aggiunto per molti
un successivo impegno nel settore sociale, maturato
attraverso la diretta presa di coscienza del funzionamento dei servizi
sociali.
Preparazione e selezione degli
affidatari
«L'urgenza del caso», la necessità di una «sistemazione» urgente del minore sono le motivazioni
ricorrenti per cui gli operatori hanno «saltato» la preparazione e la
selezione degli affidatari.
È bastato per alcuni «essersi dichiarati disponibili
all'affidamento» per vedersi arrivare a casa un bambino dopo una telefonata
dell'assistente sociale; per altri l'essere amici di affidatari
è stato ritenuto sufficiente perché gli operatori affidassero loro un bambino
senza neanche averli visti prima.
Nel migliore dei casi c'è stato un rapidissimo
colloquio con l'assistente sociale o lo psicologo (solo in un caso una visita
domiciliare) prima dell'inserimento del bambino, colloquio che spesso venne sollecitato dagli stessi affidatari.
Questo avviene anche per i «nuclei parafamiliari»
composti da 2 o più volontari quali quelli del gruppo
Abele: «il nome del gruppo per gli operatori è già garanzia di preparazione e
idoneità degli educatori» ci ha detto un loro rappresentante... «Così basta
aver accertato che abbiamo un posto libero in una comunità per procedere
all'inserimento, senza neanche magari averci visto in faccia». Proprio come succede per i ricoveri in istituto.
A Torino i gruppi di discussione previsti dalla
delibera istitutiva dell'affidamento sono stati attivati, come momento
«preparatorio» all'affidamento, solo in tre
quartieri, e ora pare ne resti solo uno. Questo è gravissimo perché le persone
cui vengono poi affidati i bambini non sanno a che
cosa vanno incontro, non hanno mai le idee chiare, magari, non hanno mai conosciuto
un'altra famiglia che abbia portato avanti un'esperienza simile.
Conoscenza e rapporti degli affidatari
con il bambino e la sua famiglia prima dell'inserimento
Anche in base a quanto
precedentemente esposto non c'è stata, tranne nei pochi casi in cui gli
affidatari conoscevano la famiglia d'origine, da parte degli operatori una
scelta di trovare o inventare un momento di «aperta conoscenza» fra i futuri
affidatari e i genitori o il genitore dei bambini motivandolo spesso con la
impossibilità di «comunicazione» fra i due nuclei.
Possiamo dire, sulla base delle esperienze fatte, che
gli affidatari hanno visto i genitori o il genitore del bambino, ma niente di
più, senza spesso sapere come la situazione della famiglia di
origine era stata presentata agli affidatari e viceversa.
La conoscenza del bambino, se ricoverato in istituto,
è avvenuta con la presentazione del bambino agli affidatari
da parte dell'assistente sociale o del personale dell'istituto e con
successive visite di fine settimana nella famiglia. Se il bambino viveva in
famiglia, il «passaggio» è stato molto più rapido, perché sussistevano sempre
motivi di urgenza, anche se in pachi casi accompagnati
da provvedimenti del Tribunale per i minorenni.
Conoscenza del bambino prima dell'inserimento
Le esperienze hanno confermato come sia importante conoscere la situazione personale e familiare
del minore prima del suo inserimento nella famiglia affidataria:
i motivi che hanno determinato l'affidamento devono essere chiariti e discussi
con gli operatori anche per poter meglio impostare e poi gestire insieme il
rapporto con il bambino e la sua famiglia.
In alcuni casi invece gli operatori hanno detto
pochissimo, omettendo informazioni anche significative o fondamentali (es.
carcerazione del genitore, affidamenti precedenti del minore
falliti, per non «violare» il segreto professionale).
Queste informazioni, se conosciute, potrebbero
evitare invece comportamenti sbagliati negli affidatari.
Difficoltà al momento dell'inserimento
dei bambini affidati
L'inserimento nella famiglia affidataria
è certamente problematico per il bambino, che spesso
non riesce a spiegarsi i motivi che hanno determinato il suo allontanamento
dalla famiglia d'origine. Le versioni date sono molte e spesso contraddittorie:
quella dei genitori, quella dei fratelli maggiori, quella degli operatori e del personale dell'istituto in cui era ricoverato...
Il nuovo ambiente familiare è profondamente
differente in molti casi dal suo: sono diversi i rapporti fra marito e moglie,
fra i genitori e figli; le scelte e le abitudini di vita fra le due famiglie,
sono diverse.
Deve confrontarsi con gli altri bambini e ragazzi
della famiglia. Normali sono le reazioni iniziali di «gelosia» da parte
dell'affidato nei confronti dei figli «biologici» degli affidatari e da parte
di questi ultimi nei confronti dell'affidato. I rapporti si normalizzano
rapidamente e diventano presto importanti e positivi
per entrambi per una crescita comune e «alla pari».
L'atteggiamento e le reazioni del bambino
affidato
Il bambino dopo pochi giorni interroga gli affidatari
sui motivi che hanno determinato il suo affidamento per rassicurare se stesso e
accertare la disponibilità degli affidatari nei suoi confronti, anche perché si
rende conto che il rientro nella propria famiglia d'origine, anche se spesso
desiderato e temuto, è rinviato di mesi e molto più sovente di
anni.
Il bambino affidato non può cancellare il suo passato
e deve confrontarsi con figure parentali diverse (í genitori-gli affidatari),
per lui è importante che queste figure non arrivino a
contrapporsi (la famiglia buona-affidataria contro
la famiglia cattiva-d'origine) ma coesistano, pur
giocando ovviamente un ruolo diverso nel processo educativo, anche quando non
è prevedibile a tempi brevi il rientro in famiglia.
Difficoltà degli affidatari al momento
dell'inserimento
La presentazione della situazione del bambino da
parte dell'équipe non è mai reale: il bambino io si incomincia
a conoscere con l'inserimento nella famiglia.
Per gli affidatari il momento di «crisi» che si verifica coll'inserimento del
bambino affidato può essere paragonato al momento della nascita di un figlio,
ma mentre in genere si accettano i propri figli, c'è nell'affidamento una
iniziale difficoltà ad accettare il passato del bambino, passato che si
conosce poco, e che ha determinato in diversi casi sofferenza nel bambino
stesso.
Inserimento nell'ambiente familiare
Non sempre i genitori degli affidatari accettano le
scelte dei propri figli di «prendere in casa un bambino che non diventa un
figlio, che ha dei genitori», genitori a cui danno
spesso giudizi morali negativi che ovviamente condizionano anche il rapporto
con il bambino.
Queste iniziali resistenze (le ritroviamo simili per
l'adozione) vengono talvolta superate dopo
l'inserimento e la conoscenza diretta del bambino affidato che spesso riesce
ad «accattivarsi» le simpatie dei «nonni» affidatari.
Diversa é l'accettazione da parte degli amici degli
affidatari che condividendo in molti casi le loro scelte di vita diventano un
importante punto di riferimento e di scambio non solo per gli affidatari, ma
per gli stessi bambini affidati.
Inserimento nell'ambiente scolastico e sociale
Le difficoltà incontrate nell'inserimento scolastico
riguardano soprattutto i bambini che presentavano disturbi o handicap
specifici e sono le stesse che incontrano i genitori di bambini handicappati.
Per gli affidati c'è da aggiungere solo che è stato
importante presentare agli insegnanti la situazione del bambino, scoraggiando
sul nascere certi atteggiamenti pietosi (... povero
bambino).
Un grosso contributo alla crescita e sicurezza del
bambino si è per molti rivelato I'inserimento in
gruppi di tipo ricreativo-sportivo, quali scout, ecc.
Rapporti tra la famiglia affidataria e gli operatori
L'intervento degli operatori dopo l'inserimento del
bambino nella famiglia affidataria è stato in molti
casi (ci riferiamo a esperienze avviate anni or sono)
scarso o assente anche quando l'affidamento è stato disposto dagli stessi operatori;
in altri casi l'intervento - a livello individuale - c'è stato dietro richiesta
anche pressante, degli affidatari (interventi specialistici sul minore,
impostazione dei rapporti con la famiglia d'origine, ecc.).
Malgrado i diversi tentativi fatti sono state pochissime le
esperienze di gruppi di preparazione e di sostegno per affidatari con la
presenza di tecnici che hanno rappresentato il momento più significativo e
costruttivo per una corretta gestione degli affidamenti (su questo tema torneremo
nell'intervento specifico sugli affidamenti di adolescenti). La discussione e
il confronto delle varie esperienze coi tecnici hanno
consentito l'approfondimento delle problematiche comuni, la verifica dei
comportamenti nei confronti del minore, l'impostazione dei rapporti con le
famiglie d'origine, attraverso uno scambio costruttivo tecnici-affidatari e
fra gli stessi affidatari.
Rapporti tra la famiglia affidataria e la famiglia d'origine
Ancora troppe volte dopo una sommaria informazione
sulla situazione del bambino o una sommaria presentazione al momento
dell'affidamento, gli affidatari e i genitori e/o i fratelli maggiori
dell'affidato si sono trovati a doversi «gestire» da soli i loro rapporti.
Alcuni operatori sono anche portati a teorizzare che il loro intervento sarebbe
stato superfluo se non negativo perché «l'intervento tecnico avrebbe potuto
alterare i rapporti solidaristici che si sarebbero
creati fra la famiglia affidataria e quella d'origine».
In alcuni casi invece questo ha determinato un irrigidimento
dei rapporti (da una parte i genitori che rivendicavano di poter continuamente
vedere, sempre comunque, il proprio figlio e dall'altra
la preoccupazione degli affidatari per le conseguenze anche negative che questi
interventi, vissuti come interferenze, producevano sul menage familiare). In
altri casi ha portato alla interruzione
dell'affidamento e al ricovero in istituto del minore.
Rientri in famiglia degli affidati
Sono quantitativamente poche le esperienze che si
sono concluse con il rientro in famiglia del bambino.
In questi casi l'impressione avuta dagli affidatari è che si sarebbe
potuto evitare lo stesso affidamento se si fosse intervenuti in maniera
più incisiva sulla famiglia d'origine sia aiutandola a risolvere gravi problemi
abitativi o lavorativi, sia intervenendo con aiuti economici o di assistenza
domiciliare.
I genitori d'origine, a conclusione dell'esperienza,
hanno agli ex affidatari manifestato grosse perplessità sull'affidamento per il quale si erano dichiarati favorevoli soltanto perché era
stato l'unico aiuto prospettato e realizzato.
Con il rientro in famiglia in questi casi si è concluso anche l'intervento dei servizi.
Rapporto affidamento-adozione
Alcune situazioni di minori, per i quali l'affidamento
era stato deciso dagli operatori come momento di «verifica» dei rapporti
esistenti fra genitori e figli, si sono poi concluse
con la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori. Le condizioni
familiari e personali dei genitori erano molto
preoccupanti e negative già al momento dell'affidamento (nella maggioranza dei
casi gravi situazioni di emarginazione e violenza sui figli). L'intervento del
Tribunale non ha fatto che sancire una situazione di abbandono
maturata negli anni.
Il passaggio in genere non è stato però indolore
poiché si era formalizzato un rapporto negativo con la famiglia naturale.
Il passaggio dall'affidamento all'adozione è uno dei
temi che richiedono un approfondimento e una unitarietà
di scelta a livello di Enti locali e Tribunali per i minorenni, tenendo conto
in via prioritaria dei legami affettivi stabiliti nella famiglia affidataria anche nei casi in cui non sia possibile
l'adozione speciale e ordinaria da parte del o degli affidatari. Inoltre,
partendo dal preminente interesse dei minori, è anche sconsigliabile il
trasferimento del minore dalla famiglia affidataria
in un istituto, trasferimento che viene motivato dalla
necessità, spesso non comprovata, di preparare il minore («decongestionamento»)
al nuovo inserimento nella famiglia adottiva.
Partendo dalle esigenze dei minori, in un documento della Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie,
si era anche rilevata la «necessità», riconosciuta per altro anche dalla legge
sull'adozione speciale, che la differenza di età fra minori e affidatari non
deve essere troppo elevata al fine di garantire, anche sotto questo aspetto, la
massima similitudine possibile con le differenze di età esistenti nelle normali
famiglie fra genitori e figli.
L'attuazione di questo principio consentirebbe
inoltre, ovviamente quando si verificano le condizioni
di abbandono e sempre nell'interesse del minore, l'adozione speciale da parte
degli affidatari.
Resta ferma la posizione dell'Associazione sulle misure per combattere il mercato dei bambini: ciò
non toglie che, quando è in corso un regolare affidamento familiare, sia
necessario assicurare la continuità dei rapporti affettivi col minore, sempre
che non vi siano comprovate ragioni che richiedono il suo allontanamento.
Potrà sembrare pessimistico questo breve resoconto
delle nostre esperienze: è stato invece un tentativo di evidenziare agli
operatori ed agli amministratori i problemi reali incontrati per passare dagli
«affibiamenti» agli «affidamenti» per fare gli
affidamenti, quando sono necessari, nelle condizioni migliori (e speriamo in questo seminario di dare alcuni suggerimenti), per
evitare le conseguenze negative e sofferte che il ricovero in istituto continua
a provocare nei bambini.
Prima di concludere dobbiamo
però mettere in evidenza come, dopo le difficoltà iniziali, i bambini che
abbiamo avuto e abbiamo ancora in affidamento, abbiano recuperato una loro
«dimensione» riuscendo a stabilire, pur con difficoltà, un buon rapporto con
la realtà che li circonda. Ancora una volta la nostra esperienza ci dice come
la stabilità e la continuità affettive siano
fondamentali per la crescita dei minori.
Adozione
Queste note non derivano da un organico lavoro di
gruppo essendo stata saltuaria la presenza di famiglie adottive.
Tengono però conto delle esperienze acquisite
dall'ANFAA in 18 anni di attività.
A differenza degli affidamenti a scopo educativo, la preparazione-selezione dei coniugi che hanno
presentato domanda di adozione ha, come è noto, il seguente svolgimento:
colloqui con assistenti sociali e psicologi e visite domiciliari, accertamenti
delle condizioni sanitarie. La procedura avviata tanti anni fa non è mai stata
modificata. Preposto a tale attività per il Piemonte e Valle d'Aosta è
l'Ufficio unico adozioni, senza alcun intervento
delle Amministrazioni locali e degli operatori del territorio.
Altra differenza procedurale rispetto agli affidamenti
riguarda la conoscenza ed i rapporti degli aspiranti
adottanti con il bambino prima dell'inserimento in famiglia. I genitori
adottivi hanno sempre conosciuto i bambini dichiarati
adottabili negli istituti seguendo, anche in questa fase, la solita procedura:
presentazione da parte dell'assistente sociale del bambino ai coniugi che del
passato del bambino avevano avuto una generica informazione anche di momenti
fondamentali della loro vita (es. vita con i genitori, precedenti ricoveri o
precedenti - falliti - inserimenti in famiglie, ecc.), anche perché, spesso,
gli stessi operatori degli uffici unici, hanno scarse informazioni loro
stessi, non avendo seguito direttamente la procedura che aveva portato alla
dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.
Un'altra differenza consiste, com'è noto, nel lungo
periodo intercorrente fra la presentazione della domanda, la fase degli
accertamenti e l'inserimento familiare del bambino.
Ciò comporta per gli aspiranti adottanti mesi e
spesso anni di incertezza a cui seguono gravi
frustrazioni alle numerose coppie alle quali non sono affidati minori a scopo
di adozione o per inidoneità o per mancanza di bambini adottabili.
Un problema di primaria importanza riguarda la
diminuzione avvenuta in questi ultimi anni del numero di bambini adottabili in
tenera età e l'aumento del numero di minori dichiarati adottabili dopo aver
subito per anni ricoveri in istituti o situazioni familiari estremamente
negative.
La diminuzione è certamente dovuta
alla riduzione delle nascite, alla legalizzazione dell'aborto ma anche al
fatto che spesso si tende a rinviare ogni decisione sul futuro del bambino,
usando a volte anche l'affidamento familiare a scopo educativo per situazioni
che richiederebbero invece una sollecita adozione.
Da una ricerca condotta dall'ANFAA su 102 minori
segnalati dal 1968 al 1978 e per i quali il Tribunale
per i minorenni di Torino aveva deciso la non dichiarazione di adottabilità e
la conseguente archiviazione della pratica, è risultato che molti minori hanno
continuato a vivere una situazione di abbandono.
Non è nemmeno da escludere che una parte delle
dichiarazioni tardive di adottabilità sia dovuta alla
mancata tempestiva segnalazione della situazione d'abbandono o all'omesso invio
degli elenchi trimestrali o ancora all'assenza di segnalazioni da parte dei
giudici tutelari.
Sia direttamente, sia da altre fonti si è venuti a
conoscenza di casi di adozioni fallite.
Dagli incontri avuti con alcuni adottanti è emerso
che il fallimento è riconducibile ad una selezione e preparazione delle coppie
fatta male o con molta superficialità nelle quali non sono stati affrontati
spesso problemi di fondo dell'adozione, quali la
convinzione che determinati comportamenti del minore siano dovuti a fattori
ereditari negativi («tare morali») e l'informazione al bambino della sua
situazione di figlio adottivo.
ALCUNE OSSERVAZIONI
PSICOLOGICHE SULLE MOTIVAZIONI ALL'ADOZIONE E SUGLI ADOLESCENTI
Le motivazioni all'adozione
Le motivazioni della coppia ad
adottare hanno aspetti complessi che solo una accurata indagine può in parte
evidenziare.
Riteniamo comunque che
qualsiasi coppia sia spinta ad adottare da due tipi di motivazioni opposte: le
prime che hanno come direzione il rapporto con l'altro (in questo caso il
bambino) e che sono rivolte alla ricerca di un investimento oggettuale, le
seconde che vanno in direzione della coppia e che sono invece rivolte alla
ricerca del soddisfacimento di bisogni narcisistici.
Nel primo gruppo rientrano tutte
quelle motivazioni che evidenziano il bisogno ed il diritto del bambino
ad essere inserito nella comunità familiare, mentre al secondo gruppo appartengono
tutte quelle motivazioni che pongono l'accento sul bisogno dell'adulto di
formare una famiglia con figli quale fonte di appoggio e di sicurezza. Questi
due tipi di motivazione coesistono spesso nelle singole coppie ed un loro
equilibrio è alla base della buona riuscita del rapporto adottivo.
Infatti mentre le motivazioni prevalentemente di tipo
narcisistico non sarebbero sufficientemente gratificanti per il bambino,
lasciandolo in una situazione di carenza affettiva non molto dissimile da
quella vissuta in istituto, per contro motivazioni rivolte verso l'amore per
l'altro quando, come spesso capita, nascondono un prevalente aspetto compensatorio, rischierebbero di non reggere all'impatto
con le frustrazioni che la coppia parentale deve
inevitabilmente subire, specialmente quando si trova di fronte ad adozioni di
bambini con problemi.
L'adolescenza dei figli adottivi
L'adolescenza è caratterizzata, come tappa evolutiva,
dal riattivarsi della conflittualità edipica del
tutto o in parte neutralizzata nella fase di latenza.
In genere l'adolescente vive la contrapposizione generazionale tra tensioni di fuga e di indipendenza
(spesso fantasmizzate, più raramente agite) e sensi
di impotenza per la propria situazione di dipendenza.
Se il figlio naturale adolescente spesso ricorre a
fantasmi di adozione (essere adottato o vivere con
altri genitori più bravi e più comprensivi) per fuggire alle tensioni con i
propri genitori reali, come vive il figlio adottivo, che di fatto si trova in
una situazione capovolta, trovandosi a vivere le proprie problematiche
adolescenziali con i genitori adottivi?
Anche se non è corretto generalizzare i problemi che
dipendono dall'esperienza di vita individuale, crediamo che le risposte
adolescenziali possano essere molto diverse a seconda del
legame affettivo che l'adolescente ha instaurato con i propri genitori
adottivi. Se il legame affettivo è stato troppo
soffocato, tendente per lo più a negare ogni tentativo di separazione e di
individuazione del bambino, crediamo che l'adolescente risponderà con una
forte rimozione ai conflitti messi in atto dalla fase evolutiva. Cercherà
allora di conformarsi alle regole dei genitori e vivrà i propri conflitti con
i genitori negando e rimuovendo ogni tentativo di fuga e di separazione. Dal
lato opposto, l'adolescente che non è riuscito ad instaurare dei legami stabili
o per carenza ambientale o perché l'adozione è
iniziata tardi dopo diversi legami affettivi interrotti, accentuerà
nell'adolescenza i tentativi di fuga da una situazione affettiva che non gli ha
permesso di introiettare una sufficiente fiducia di
base.
La ricerca dei genitori naturali idealizzati e le
inevitabili frustrazioni che questo comporta, permetteranno all'adolescente di
agire un fantasma di separazione senza peraltro permettergli di conquistare
l'indipendenza e la sicurezza desiderata.
Solo quegli adolescenti che hanno vissuto nella primissima infanzia legami
affettivi sufficientemente validi con un giusto equilibrio di gratificazione
e di frustrazioni potranno vivere in modo adeguato i conflitti adolescenziali
utilizzando la contrapposizione ai genitori come mezzo di crescita e non di
fuga.
L'AFFIDAMENTO
FAMILIARE DEGLI ADOLESCENTI
Questa relazione è stata formulata da un gruppo di famiglie affidatarie che da circa 9 anni si ritrova
per affrontare questi problemi.
Le esperienze da noi vissute hanno appunto dimostrato
che i casi di affidamenti familiari di adolescenti
che si sono risolti in modo positivo, con il loro inserimento nella vita sociale,
sono legati anche alla vita di gruppo che le famiglie affidatarie hanno sempre
portato avanti, ritrovandosi a volte anche settimanalmente, per discutere, affrontare,
cercare di risolvere i problemi che si avvicendavano di volta in volta.
* * *
L'affidamento familiare non può e non deve essere
utilizzato come alternativa all'istituzionalizzazione solamente per i bambini
piccoli o grandicelli.
Nell'ambito di un concreto programma di intervento occorrerà prevedere anche affidamenti di
adolescenti, affidamenti che comunque comportano problemi diversi rispetto a
quelli finora proposti.
Quando si decide di prendere
in casa un adolescente, si pensa che questo certamente creerà molti meno
problemi rispetto ai bimbi piccoli: è grande, giudizioso, sa cosa vuole dire
ubbidire, si sa guardare, ecc.
Quali sono invece i problemi veri che la famiglia affidataria dovrà
affrontare? Quale rapporto gli operatori sociali dovranno avere con l'adolescente,
con la famiglia affidataria, con la
famiglia d'origine? Sono questi i giusti interrogativi che ci dobbiamo
porre e che in relazione alla nostra esperienza,
cercheremo di affrontare.
Nella maggior parte dei casi, l'adolescente ha alle
proprie spalle una assai più lunga esperienza di
istituti vari, con tutti i problemi che questa logicamente ha creato sia nei
confronti della propria personalità, sia in rapporto con la realtà sociale
esterna.
Qualora l'adolescente non provenga da un istituto, oltre a
quanto detto, si potrebbero elencare tutta una serie di problematiche riferite:
alla vita vissuta in una famiglia disgregata, alfa solitudine, al disordine,
alle esperienze delinquenziali, e in casi più complessi, ma ormai molto vicini
alla nostra realtà, alla droga, alla prostituzione.
A questo punto, agli operatori si chiede di saper
affrontare ed analizzare il soggetto in modo completo e il più possibile in
profondità, concordando con lo stesso la soluzione proposta, sapendo ascoltare
e capire tutte le paure e i problemi che questa certamente creerà
nell'adolescente sia sull'immediato che in futuro.
Con la famiglia d'origine deve essere condotto un
discorso molto chiaro, evitando logicamente di fare apparire questa come la
«famiglia cattiva», definendo però quali devono
essere i rapporti con la famiglia affidataria e con
il figlio.
Quando l'adolescente proviene da un'esperienza
familiare che é stata causa del sua disadattamento, delle
sue insicurezze, è molto difficoltoso proporgli l'inserimento in
un'altra famiglia perché rivivrebbe tutte le cause che lo hanno portato al
l'allontanamento e quindi si creerebbe una situazione talmente pericolosa e
difficile che renderebbe l'esperienza dell'affidamento decisamente negativa.
Vi sono poi altre situazioni da evidenziare, ad
esempio casi di adolescenti che vivrebbero l'inserimento
in un'altra famiglia come un tradimento verso la propria, dovendo accettare le
non capacità educative dei propri genitori, tutti casi che devono essere
analizzati con un'attenzione particolare. In queste situazioni è opportuno inserire
l'adolescente in una comunità alloggio con altri
ragazzi della sua età prospettando eventualmente più tardi l'inserimento in
una famiglia.
La famiglia affidataria
deve essere scelta con una attenzione particolare,
attraverso gruppi di autoselezione composti da nuove
famiglie interessate all'esperienza, famiglie con esperienze già in atto e i
tecnici dell'équipe.
La famiglia scelta deve essere in grado di saper
affrontare i vari problemi citati, cosciente di aver a che fare con un
adolescente che nella maggior parte dei casi non ritornerà in famiglia, ma
dovrà essere aiutato ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro. Un adolescente con i1 quale si dovrà lavorare moltissimo, passando
da successi a regressioni continui sia sul piano del recupero della propria
personalità, sia per un recupero e accettazione del proprio vissuto, della sua
origine, della propria famiglia.
La posizione della famiglia affidataria
deve essere molto chiara nei confronti dell'adolescente; le norme devono
essere precise e il più possibile giuste, ma devono comunque
tenere anche conto delle esperienze, delle necessità, della struttura della
personalità dell'adolescente.
La famiglia affidataria
deve porsi più come «educatore» che come «genitore», pur se viene
richiesta ai componenti una disponibilità affettiva a volte più grande che per
un bimbo piccolo. Si hanno di fronte, infatti, ragazzi o ragazze che anagraficamente hanno un'età adolescenziale per cui devono e vogliono essere trattati come tali, ma a
livello di personalità molte volte la loro età affettiva è molto più bassa, per
cui è necessario avere con loro un rapporto molto personale e di contatto
fisico.
La grossa difficoltà è appunto quella di saper
riconoscere in modo differente questi momenti in cui vengono
richiesti interventi di carattere affettivo da quelli in cui non si devono
assolutamente adottare sistemi o manifestazioni esterne che non verrebbero
assolutamente accettati.
Il rapporto con la scuola in molti casi è negativo:
le esperienze precedenti hanno lasciato tracce molto pesanti e difficili da
cancellare. A volte la frequenza scolastica viene
ripresa dopo un certo tempo di permanenza in famiglia, con esiti discreti. Viene richiesto un grosso impegno alle famiglie affidatarie
in questo periodo: l'adolescente ricomincia a vivere momenti di socializzazione
ordinata, deve però sottostare a regole e norme che possono creare momenti di
sbandamento e di regressione, non solamente sul piano del rendimento
scolastico ma anche a livello di personalità, di carattere.
La scelta va rifatta quasi quotidianamente con lui,
l'appoggio deve essere incondizionato e produttivo.
Altro momento molto importante da non tralasciare, è
l'inserimento in gruppi giovanili che accettino il
ragazzo non in termini logicamente assistenziali, ma alla pari con loro.
La possibilità di discutere, di vivere con altri
coetanei i propri problemi, le proprie difficoltà, le
proprie ansie, non in termini di dovere o di paura, aiuta l'adolescente a
ritrovare un mondo che in molti casi è sconosciuto, gli permette di potersi
reinserire nella vita di tutti i giorni a parità con gli altri.
Il mondo del lavoro, l'inserimento lavorativo è
sempre difficoltoso: la paura della realtà, l'insicurezza, l'instabilità di
cui sono in genere portatori tutti gli adolescenti,
con gli affidati emergono con maggiore evidenza.
L'esperienza dimostra che è meno problematico
l'inserimento in piccoli posti di lavoro, dove il rapporto con il padrone
(autorità) sia molto evidente, dove sia facile vedere, contare a fine giornata il lavoro assegnato, come necessario
appagamento dell'attività svolta.
Comunque sia nei confronti della scuola che del mondo
lavorativo; la famiglia affidataria deve porsi, in
molti casi, come educatrice anche nei riguardi dei responsabili, dei gestori di
queste esperienze, per evitare atteggiamenti assistenziali nei confronti
dell'affidato.
Sia l'affidamento familiare che l'inserimento in una
comunità non sempre sono destinati ad avere successo.
In qualche caso, per alcuni adolescenti, queste soluzioni non sono servite per
risolvere i loro problemi.
Concludendo, è assolutamente necessario che la famiglia affidataria che accetta di gestire un affidamento di un
adolescente non si trovi o venga lasciata sola ad affrontare le realtà, le difficoltà
che da questa scelta emergeranno.
La presenza di un tecnico (psicologo) si è dimostrata
indispensabile. La forza della famiglia era la forza del
gruppo, i problemi della famiglia, erano i problemi del gruppo.
Possiamo certamente dire che
siamo cresciuti con i nostri ragazzi e che se per loro può essere stata
un'esperienza positiva, che li ha aiutati a ritrovare loro stessi, per noi
l'esperienza è certamente servita per capire meglio non solo i giovani di
oggi, ma in special modo noi stessi, la nostra fragilità, le nostre
insicurezze.
Tra le cause dell'insuccesso possiamo elencare: il
tardivo intervento nei confronti del minore da parte degli enti preposti,
scelta della famiglia affidataria con incompetenza o
leggerezza, abbandono delle famiglie affidatarie da parte degli operatori o
dei tecnici nella gestione dell'affidamento, mancanza di gruppi di riferimento
e di sostegno per le famiglie affidatarie, insorgere di problemi di carattere
psicologico o di salute da parte sia degli adolescenti che
della stessa famiglia affidataria, ecc.
La conclusione dell'esperienza affidataria
comporta a volte problemi di accettazione da parte
delle famiglie delle scelte realizzate dagli affidati per inserirsi in una
vita autonoma.
Dopo anni di vita familiare è difficile staccarsi da
un ambiente di sicurezza e di protezione, trovato dopo esperienze negative
(istituto, ecc.). Vengono decise a questo scopo da
parte dei giovani ormai ventenni, delle forzature a volte inconsce, per
riuscire a comunicare alle famiglie affidatarie e a se stessi la propria scelta
di autonomia. Tra queste soluzioni ritroviamo molto spesso la formazione di
una nuova famiglia legata alla nascita, voluta, di un
bimbo.
In altro casi il distacco è graduale, passando a volte attraverso
anche soluzioni di «mezza pensione» con la stessa famiglia affidataria.
(Lo stesso problema si ritrova d'altra parte anche con
i propri figli naturali).
PROPOSTE
PER L'AFFIDAMENTO E L'ADOZIONE
Sottoponiamo all'attenzione dei partecipanti al
seminario le seguenti proposte in materia di affidamento
e di adozione.
Proposte per l'affidamento
Secondo i dati del censimento della Regione, anche se
sulla loro attendibilità si possono avanzare dei dubbi, risulta
che i minori ricoverati in Piemonte al 31.3.1979 sono 5626, di cui residenti in
Regione 5031.
Di questi: 485 da 0 a 5 anni; 3794
da 6 a 14 anni; 752 da 15 a 18 anni.
Risulta evidente che allo stato attuale dei servizi,
purtroppo ancora molto carenti, non è possibile intervenire nei confronti di
tutti i 5500 bambini.
Occorre dunque fare delle scelte.
L'ANFAA propone che la priorità degli interventi sia
rivolta ai minori di età inferiore ai 6 anni, con lo
scopo di giungere nel più breve tempo possibile alla eliminazione di tutti i
ricoveri di bambini dell'età suddetta, indipendentemente dal fatto che il ricovero
sia stato disposto dall'ente locale, dalla famiglia o da qualsiasi persona o
gruppo.
La priorità della età dei
bambini da 0 a 6 anni è dovuta ai seguenti motivi:
- suo carattere preventivo, in
considerazione delle esigenze dello sviluppo del bambino e delle conseguenze
particolarmente negative del ricovero
in istituto;
- maggior rispondenza dell'opinione pubblica ai
problemi dei bambini piccoli;
- minori difficoltà di realizzazione sia per quanto
riguarda la messa a disposizione dei servizi primari non assistenziali
(asili nido, scuole materne, alloggi per le famiglie di nuova formazione,
ecc.), sia per quanto concerne le alternative al ricovero (assistenza economica,
aiuto domestico, assistenza educativa, comunità alloggio),
- minori difficoltà a reperire
famiglie affidatarie.
Nell'ambito di questo progetto si pongono tutti i
problemi specifici dell'affidamento e cioè:
- sua collocazione
nell'ambito delle alternative al ricovero;
- piano di intervento per
ciascun minore, costantemente verificato e aggiornato;
- reperimento, selezione, preparazione delle famiglie
affidatarie;
- conoscenza e rapporti con il bambino e la famiglia d'origine prima dell'affidamento;
- predisposizione di comunità alloggio
anche per il pronto intervento, essendo assurdo pensare ad una lista di
famiglie alle quali le amministrazioni locali possono ricorrere meccanicamente
anche nei casi «urgenti»;
- interventi individuali di appoggio
al bambino, alle famiglie d'origine e affidatarie;
- interventi di appoggio a
livello di gruppo;
- problemi relativi al
ritorno del minore nella famiglia d'origine e al suo autonomo inserimento
lavorativo e sociale;
- problemi connessi alle dichiarazioni di adottabilità e eventuale
adozione di minori in affidamento;
- affidamenti a parenti;
- aspetti previdenziali, anagrafici e relativi alla
scelta del medico dell'affidato;
- rapporti dell'ente locale
(amministrazione e operatori) con il Tribunale per i minorenni.
Proposte per l'adozione
Per quanto riguarda l'adozione ci sembra in primo
luogo necessario che Tribunali per i minorenni,
Amministrazioni locali, operatori e tutte le altre componenti interessate
compiano una scelta, ma fino in fondo e con tutte le conseguenze circa il suo
significato.
Purtroppo ancora oggi a distanza di
13 anni dall'entrata in vigore della legge 5.6.1967 n. 431 continuano ad intersecarsi due concezioni della
adozione:
- quella che ne vede al centro il bambino in
situazione di abbandono materiale e morale;
- quell'altra
che dà priorità alle richieste degli adulti (famiglia d'origine, aspiranti
adottanti).
Tanto per fare un esempio basti pensare che il
Tribunale per i minorenni di Torino afferma di porre al centro della sua
attenzione il bambino mentre poi, di fatto, esclude
dall'adozione speciale (salvo che si tratti di bambini handicappati) le
famiglie con propri figli legittimi o adottivi, senza essersi mai posto il
problema se, per il bambino adottabile, la situazione preferibile in linea di
principio sia la famiglia con o senza prole.
Per una corretta attuazione della legge sulla adozione speciale è necessario in primo luogo che
siano finalmente censiti tutti gli istituti esistenti in Piemonte e Valle
d'Aosta, compresi quelli che si camuffano come istituti di istruzione
(collegi, educandati, ecc.).
In secondo luogo è necessario che sia tenuta
aggiornata dalla Regione l'anagrafe dei minori (da estendere anche ai bambini
piemontesi ricoverati fuori regione) stabilendo un rapporto di
andata e ritorno dell'informazione fra Unità locale e Regione.
In terzo luogo è necessaria una corretta azione di vigilanza, competenza che recentemente è stata
trasferita dalla Regione alle Unità locali.
Inoltre è necessario che la Regione provveda ad esercitare tutte le funzioni attribuite dalla
legge in materia di controllo sulla assistenza pubblica e privata.
Dati i collegamenti fra l'adozione e gli altri
interventi sociali e assistenziali, riteniamo che uno
degli obiettivi debba riguardare il graduale coinvolgimento degli operatori di
zona in tutte le problematiche dell'adozione, anche al fine di giungere alla
liquidazione degli uffici unici adozione, fermo restando che già oggi se gli
enti locali non provvedono alle segnalazioni e all'invio degli elenchi
trimestrali dei minori a loro carico e al controllo dell'invio degli elenchi da
parte degli istituti pubblici e privati e della esattezza delle informazioni
ivi contenute, nessun altro svolge o svolgerà queste funzioni.
Per quanto riguarda le relazioni delle situazioni
dei minori segnalati per la dichiarazione di adottabilità,
l'ANFAA ritiene che:
- debbano essere sottoscritte dal responsabile
politico dell'Amministrazione (Sindaco, Presidente dell'Associazione
intercomunale, Assessore) e non dagli operatori;
- debbano contenere dati oggettivi per quanto
riguarda gli interventi richiesti dalla famiglia d'origine, quelli proposti
dagli Enti competenti, di modo che il Tribunale per i minorenni possa avere
elementi di fatto per la dichiarazione o meno
dell'adottabilità.
A questo proposito, l'ANFAA propone lo schema di
relazione di cui all'allegato A.
Vi è a nostro avviso la necessità di ridurre il
periodo di attesa oggi esistente per conoscere l'esito
della domanda di adozione speciale.
Vi è anche il dovere civile, crediamo, da parte di
tutti di ridurre le ansie di chi ha presentato domanda e di ridurre anche le
frustrazioni di chi ne è escluso.
Partendo da questo principio l'ANFAA aveva concordato
con il Tribunale per i minorenni di Torino che le coppie aventi anche un solo
componente di età superiore ai 37 anni venissero
informate preventivamente che a loro non sarebbe stato affidato nessun
bambino.
Questa scelta era motivata dalle maggiori garanzie
di sopravvivenza degli adottanti al momento dell'autonomo inserimento sociale
e lavorativo dell'adottato e dalla constatazione dei
vantaggi per l'adottato di avere dei genitori giovani (ad esempio maggior
flessibilità alle problematiche via via emergenti e
maggiore disponibilità a modificare le proprie abitudini di vita derivanti
dall'inserimento del minore).
Secondo l'ANFAA sarebbe necessario che questa età venisse ulteriormente ridotta, anche in relazione al
diminuito numero dei minori dichiarati adottabili.
In questo modo si ridurrebbero il periodo di attesa delle coppie e il numero delle domande archiviate,
e si ridurrebbe anche il carico di lavoro della cancelleria del Tribunale e
dei servizi sociali con la possibilità per questi ultimi di meglio approfondire
le singole situazioni.
Va invece detto che l'ANFA è sempre
stata contraria alla prassi secondo cui alle coppie con più di
trentasette anni e a quelle con propri figli legittimi o adottivi, viene
proposta, pena l'archiviazione della domanda, l'adozione di minori difficili
o handicappati.
A questo riguardo l'ANFAA
ritiene invece che un serio lavoro di preparazione e selezione, anche di
gruppo, possa in alcuni casi orientare gli aspiranti adottanti verso l'adozione
di bambini handicappati o difficili che hanno bisogno di una famiglia con
capacità educative maggiori degli altri bambini.
Nel campo della selezione e della preparazione, i
problemi che richiedono maggiore approfondimento, e meno che mai delle
istruzioni e delle ricette, sono quelli relativi ai
motivi che in genere determinano gli abbandoni, al concetto che gli aspiranti
adottanti hanno dell'ereditarietà, con particolare riguardo alle «tare morali»
e al problema dell'informazione del bambino della situazione di figlio
adottivo.
Un'adeguata selezione e preparazione oltre ad evitare
molte adozioni fallite consente anche una più corretta
impostazione delle attività di appoggio e controllo durante il periodo di
affidamento preadottivo e un giudizio non formale
sull'inserimento del minore nella nuova famiglia, giudizio richiesto dal
Tribunale per i minorenni prima della pronuncia dell'adozione speciale.
Allegato A
SCHEMA
D'INCHIESTA PER L'ACCERTAMENTO DELLO STATO DI ABBANDONO
1ª PARTE
MINORE
-
Data di nascita
-
Nato da matrimonio, fuori matrimonio, riconosciuto da entrambi i genitori o da
uno solo, quando
-
Eventuali malformazioni fisiche e psichiche
Notizie sulla vita del bambino
1)
Ricoveri in ospedale
-
dove, per quali motivi sanitari
-
durata
-
rapporti con genitori e parenti
-
visite e corrispondenza di genitori e di parenti (periodicità, durata,
caratteristiche)
-
reperibilità dei genitori durante il ricovero ospedaliero
-
eventuali ritardi nelle dimissioni: motivi
-
fonte delle informazioni
2)
Ricoveri in istitut
- come sopra
-
causa del ricovero: malattia genitori e parenti, eventuali ricoveri
ospedalieri, separazione o divorzio dei genitori, mancanza o lontananza dal
lavoro o problemi di orario, emigrazione,
allontanamento volontario dei genitori e parenti, loro reperibilità o meno
-
difficoltà di rapporti in famiglia
-
rifiuto del bambino da parte dei genitori o di altri
membri della famiglia
-
nascita o ingresso di altri figli
-
denunce per maltrattamento
-
allontanamento del minore disposto dalla autorità
giudiziaria
-
detenzione o arresti
-
carenze alloggiative
-
carenze di servizi con precisazione dei servizi
esistenti in zona e utilizzabili in rapporto all'età del bambino
- ritorno del minore in famiglia (vacanze, nei giorni
festivi, nei lunghi periodi e loro periodicità).
3)
Affidamento del bambino a parenti o terzi
idem
come sopra.
4) Eventuali
notizie fornite ed eventuali richieste avanzate dal bambino, dai parenti o
dagli addetti ai servizi frequentati dal minore (es. insegnanti)
5)
Situazione degli altri minori
appartenenti allo stesso nucleo familiare (ricoveri o affidamenti,
provvedimenti dell'autorità giudiziaria)
2ª PARTE
GENITORI
DEL MINORE (padre e madre)
Dati personali
-
data e luogo di nascita (coniugato, celibe, separato, divorziato, vedovo,
nubile)
-
indirizzo
-
grado di istruzione
-
qualifica professionale
-
numero figli (sia il padre che la madre, legittimi,
naturali, riconosciuti)
-
condizioni fisiche (infermità, ricoveri) e psichiche (alcoolismo, droga, ecc.)
-
eventuali misure di prevenzione
-
eventuale prostituzione (precisare le fonti dell'informazione)
-
eventuale data di morte
Famiglia d'origine del genitore
-
composizione familiare, membri conviventi e non conviventi (ci si riferisce
alla famiglia d'origine del padre e della madre)
-
situazione economica e lavorativa dei nonni
-
quali rapporti aveva il genitore in oggetto con la
famiglia d'origine al momento della gravidanza e del parto ed al momento
dell'accertamento dello stato di abbandono
-
accettazione del bambino da parte della famiglia
d'origine e sua eventuale disponibilità ad accoglierlo
-
altri parenti validi e disposti ad occuparsi del bambino
Storia personale del genitore
Il
genitore è vissuto in famiglia, con chi, ha soggiornato in istituti, quali e
per quanto tempo; è stato in precedenza oggetto di indagini
sociali (indicare la fonte da cui si sono avute le informazioni)
Lavoro
Ha
un'occupazione stabile? quale, dove e da quanto tempo.
-
quanto guadagna
- quante volte ha cambiato lavoro
-
quale lavoro vorrebbe fare, ha provato a farlo
-
è stato aiutato in questa ricerca: da chi
Convivenza
-
con chi convive (familiari, estranei, more uxorio: se convive more uxorio precisare da quanto tempo e quali precedenti
convivenze ha avuto)
-
si tratta di persone disposte ed idonee alla convivenza con un minore? Sono
stati interpellati, quando, quali le precise risposte. Se c'è convivenza more
uxorio fornire informazioni sul convivente.
Abitazione
-
dove abita, da quanto tempo
-
eventuale descrizione dell'alloggio
-
se ospite gratuita o pagante
-
chi è che lo paga
3ª PARTE
Rapporto dei genitori con l'Ente assistenziale
a)
il caso si è presentato all'Ente il giorno .....
b)
richieste avanzate dal genitore o dall'eventuale tutore
c)
l'ente ha proposto i seguenti interventi .....
d)
risposte del genitore alle proposte
Conclusioni dell'Ente
www.fondazionepromozionesociale.it