Prospettive assistenziali, n. 53, gennaio - marzo 1981

 

 

INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI HANDICAPPATI GRAVI E INTERVENTI PER I GRAVISSIMI

 

 

Organizzato dai Comitato di coordinamento del­le associazioni di handicappati di Venezia, dalla CGIL, CISL, UIL di Venezia e da Prospettive assi­stenziali ha avuto luogo a Jesolo dal 17 al 19 ottobre 1980 un seminario sul problema dell'in­serimento lavorativo degli handicappati gravi.

Da segnalare la folta partecipazione (oltre 300 persone) e la numerosa presenza di handicappati. Pubblichiamo integralmente le conclusioni dei gruppi di lavoro.

 

 

GRUPPO «ASPETTI LEGISLATIVI E ISTITUZIO­NALI»

 

I partecipanti del gruppo «Aspetti legislativi e istituzionali» ritengono che le leggi sia nazio­nali che regionali e la nuova organizzazione isti­tuzionale dei livelli locali di governo debbono assumere come riferimenti basilari:

1) una nuova qualità della vita fondata su ri­sposte conformi alle esigenze dei singoli e della collettività, fatto che richiede che tutti i servizi e gli interventi siano fruibili da tutti i cittadini senza alcuna eccezione o discriminazione. Poi­ché le esigenze della popolazione e in particola­re quelle dei cittadini handicappati hanno sem­pre un carattere di globalità, anche le risposte e cioè i servizi e gli interventi devono essere globali e unitari.

In linea di principio le leggi dovrebbero ri­guardare tutti i cittadini tenendo conto che fan­no parte della realtà sociale (e cioè della nor­malità) anche le fasce più deboli, la cui attuale situazione di emarginazione deve essere combat­tuta e superata. Pertanto il gruppo ritiene che debba essere al più presto approvata dal Parla­mento una legge che elimini tutte le attuali di­scriminazioni presenti nel nostro ordinamento nei riguardi dei cittadini portatori di handicap (accesso ai concorsi, requisiti di sana e robusta costituzione, aspetti ripugnanti ecc.). D'altra parte i cittadini portatori di handicap non devono godere di privilegi ingiustificati, come il conge­do per cure, privilegi che derivano da atteggia­menti pietistici o paternalistici o che partono da una aprioristica valutazione negativa delle lo­ro capacità. Deve invece essere riconosciuta a tutti i cittadini una effettiva e non limitata pos­sibilità di usufruire delle necessarie prestazio­ni sanitarie, senza che ciò sia di pregiudizio alla conservazione del posto di lavoro.

Per quanto riguarda l'inserimento lavorativo dei cittadini portatori di handicap, il gruppo sot­tolinea che vi è la necessità di servizi ed inter­venti che rendano effettivo questo diritto e cioè in particolare:

- deistituzionalizzazione dei minori e degli adulti ricoverati in istituti di assistenza, ol­tre che degli anziani;

- messa a disposizione di strumenti per la pro­secuzione degli studi nelle normali scuole superiori, ivi compresa la formazione profes­sionale;

- attuazione di un sistema di trasporti pubbli­ci (treni, metropolitane, aerei, tram, auto­bus, navi, traghetti, taxi ecc.) che siano effet­tivamente accessibili a tutti;

- il diritto alla casa che consenta l'accesso a questo servizio a tutti. In questo quadro vi è il problema dell'attuazione, finora evasa, del D.P.R. 24 aprile 1978 n. 384 che destina gli alloggi dei piani terreni dell'edilizia econo­mica e popolare agli invalidi che ne faccia­no richiesta.

Devono inoltre essere rivisti i criteri in modo da consentire l'assegnazione di una quota degli alloggi dell'edilizia economica e popolare e convenzionata o sovvenzionata al­le fasce più deboli e in particolare ai cittadi­ni portatori di handicap, qualunque sia la lo­ro collocazione all'interno del nucleo familia­re. Una quota deve essere destinata agli ap­partamenti per comunità alloggio;

- l'eliminazione delle barriere architettoniche in applicazione del citato D.P.R. n. 384 e l'e­stensione di tale obbligo all'edilizia pubblica e privata di qualsiasi natura (abitazioni, uffi­ci, fabbriche ecc.). A tale riguardo di fonda­mentale importanza è la modifica dei regola­menti edilizi comunali.

Inoltre dovranno essere previste norme per l'accessibilità e l'uso dei servizi pubblici da parte dei cittadini portatori di handicap sen­soriali;

- l'istituzione di servizi e la fornitura di ausili per consentire il massimo possibile di auto­nomia personale ai cittadini portatori di han­dicap.

Sul problema specifico della legge 482 sono emerse due posizioni:

1) una parte del gruppo ritiene che debba essere approvata al più presto una legge di modifica della legge 482 che riorganizzi il colloca­mento obbligatorio;

2) un'altra parte del gruppo ritiene che le nor­me sul collocamento obbligatorio debbano esse­re inserite al più presto in una legge di riorganiz­zazione di tutto il collocamento al lavoro.

Tutto il gruppo concorda sull'obiettivo di una regolamentazione unica del collocamento (e cioè per i portatori di handicap e non). Le due posi­zioni nascono da una diversa valutazione sui tempi per il raggiungimento di tale obiettivo.

Il gruppo concorda inoltre:

- sulla definizione unica e non discriminante fra invalidi fisici, psichici, psichiatrici e sen­soriali degli aventi diritto al collocamento ob­bligatorio e sul conseguente superamento delle attuali leggi settoriali e delle relative categorizzazioni;

- sulla ricerca di forme di tutela diverse dal collocamento obbligatorio al lavoro per gli orfani e le vedove, i profughi e le altre cate­gorie protette;

- sulla necessità che l'inserimento lavorativo degli invalidi non debba avere alcun caratte­re assistenziale;

- che gli invalidi che hanno subito un handicap o contratto una malattia invalidante nel cor­so dell'attività lavorativa, devono conservare il posto di lavoro nell'azienda senza essere conteggiati nella percentuale di invalidi che l'azienda stessa è tenuta ad assumere;

- sull'eliminazione della «chiamata numerica» da sostituire con la chiamata riferita alle mansioni lavorative;

- sull'abolizione della chiamata nominativa, causa di clientelismo e fonte di discrimina­zioni;

- sull'individuazione di criteri fondati non sulle percentuali di invalidità, ma sulle capacità lavorative, anche residue, dell'invalido;

- sulla definizione dei criteri per il diritto al collocamento obbligatorio al lavoro, tenendo conto che essi non possono essere gli stessi di quelli necessari per l'accertamento delle prestazioni sanitarie, per l'erogazione delle pensioni di invalidità e inabilità, e per la con­cessione dell'indennità di accompagnamento.

Da qui la necessità di differenziare le Commissioni per l'accertamento dell'invalidi­tà da quelle per l'accertamento del diritto al collocamento obbligatorio al lavoro, assicu­rando tuttavia i necessari collegamenti.

Pertanto le Commissioni per il diritto al collocamento obbligatorio al lavoro devono essere composte non solo da medici ma so­prattutto da esperti del mondo del lavoro de­signati dai Sindacati, dai datori di lavoro, dal­le Regioni ed Enti Locali.

Resta da valutare l'opportunità dell'inseri­mento nelle Commissioni suddette di rap­presentanti degli aventi il diritto al colloca­mento obbligatorio;

- sul riferimento territoriale alle Unità Locali dei Servizi delle Commissioni per l'accerta­mento dell'invalidità, per l'erogazione delle pensioni di invalidità e inabilità, per la con­cessione della indennità di accompagnamen­to e per il diritto al collocamento obbliga­torio;

- sulla attribuzione ai servizi sanitari del ter­ritorio delle istruttorie medico-legali-sociali delle domande per l'accertamento dell'invali­dità in modo che le Commissioni possano de­cidere in base alle documentazioni acquisite;

- sull'ampliamento delle aziende obbligate, in­cludendo anche quelle che abbiano meno di 35 dipendenti, individuando opportuni cri­teri;

- sulla riduzione dell'attuale percentuale del 15 per cento, valutando il nuovo livello sulla base dei criteri obiettivi ed attribuendo alle Regioni il potere di adeguarlo in base alle esigenze della piena occupazione;

- sulla necessità di finanziamenti pubblici, con controllo regionale alle aziende per l'adatta­mento di attrezzature in modo che sia reso possibile il loro utilizzo da parte di lavorato­ri invalidi;

- sulla non concessione di altri finanziamenti di qualsiasi natura e sotto qualsiasi forma alle aziende che assumono invalidi;

- sulla eliminazione del patto di prova;

- sulla previsione di adeguate sanzioni che col­piscono le aziende inadempienti, sanzioni che devono essere collegate all'importo medio dei salari e alle sue variazioni.

Il gruppo inoltre ha affrontato il problema dell'impostazione che dovrebbero avere le leggi na­zionali e regionali, impostazione che avrebbe an­che conseguenze operative sulle deliberazioni degli Enti Locali e sull'organizzazione dei servizi.

Il gruppo ha concordato sulla inopportunità di leggi specifiche riguardanti esclusivamente gli invalidi, leggi che d'altra parte sovente restano disapplicate.

Il gruppo ritiene invece che debbano essere previste leggi che sanciscano la possibilità dell'utilizzo dei normali servizi (esistenti o da isti­tuire) anche da parte dei cittadini portatori di handicap (es. assegnazioni di alloggi dell'edili­zia economica e popolare, uso trasporti e assi­stenza).

In sostanza le esigenze specifiche dei cittadi­ni portatori di handicap dovranno essere consi­derate all'interno delle leggi nazionali e regiona­li cosiddette di settore e cioè riguardanti la casa, i trasporti, l'assistenza, la sanità, il diritto allo studio, il tempo libero, ecc..

Circa la legge 18 del 1980 il gruppo valuta as­surde le norme vigenti che prevedono la con­cessione dell'indennità di accompagnamento so­lo agli invalidi totali. Ciò costituisce anche un attacco all'inserimento sociale e lavorativo de­gli invalidi che per percepire l'assegno di ac­compagnamento devono rinunciare ad ogni pos­sibilità di lavoro.

Il gruppo sottolinea inoltre la pericolosissima tendenza attuale alla monetizzazione dell'handi­cap, di cui la legge 18 del 1980 è un chiaro esem­pio. Le esigenze degli invalidi richiedono invece l'istituzione di servizi che colmino o riducano le carenze di autonomia personale.

A questo riguardo il gruppo sottolinea l'esi­genza che al più presto siano eliminate le attua­li classificazioni degli handicap e degli invalidi e, assumendo come parametro di riferimento la au­tonomia dei soggetti, siano introdotte nuove classificazioni come ad esempio: non in grado di spostarsi autonomamente; in grado di spo­starsi autonomamente con ausili; non in grado di leggere a causa di cecità; in grado di leggere con ausili; non in grado di usare gli arti per la scrittura; in grado di usare gli arti per la scrit­tura con ausili; non in grado di svolgere in tutto o in parte gli atti quotidiani della vita; in grado di svolgere in tutto o in parte gli atti quotidiani della vita con ausili.

Queste classificazioni devono essere utilizza­te per la riabilitazione e per le iniziative di inse­rimento.

 

 

GRUPPO «FORMAZIONE PROFESSIONALE»

 

Il gruppo ritiene di privilegiare l'esercizio della formazione professionale per handicappati gravi assegnato all'Ente locale, nella consapevo­lezza che, nella fase transitoria, ogni intervento è migliore del vuoto, purché sottoposto a control­lo pubblico.

La formazione professionale deve avvenire at­traverso l'integrazione dei portatori di handicap nell'ambito della formazione professionale rivol­ta alla generalità dei cittadini, tendendo al supe­ramento, e alla conseguente abolizione, delle ini­ziative di formazione professionale speciale ri­volte esclusivamente ai portatori di handicap.

Tale integrazione utilizzerà per tutti, prevalen­temente, una metodologia che valorizzi capacità intellettuali più ampie di quelle normalmente sol­lecitate in ambito scolastico (logico-pratiche, an­ziché logico-astrattive).

Punti salienti di quanto detto sono:

a) il basarsi sulle capacità dei soggetti;

b) un utilizzo dei lavoratori interni al C.F.P., finalizzato all'aumento delle capacità latenti dell'allievo e non invece come rappresentazione im­plicitamente inadeguata dell'ambiente lavora­tivo;

c) un utilizzo dell'intero ambiente scolastico­-formativo, come momento favorente la coopera­zione.

Particolare importanza assume la scelta delle qualifiche relative ai corsi di formazione profes­sionale, che devono essere aderenti alla realtà socio-economica del territorio, con lo scopo di ottenere un reale inserimento occupazionale (obiettivo imprescindibile della formazione pro­fessionale), sia per i normodotati, sia, a mag­gior ragione, per gli handicappati.

Ulteriore aderenza alla realtà economica ed alle possibilità di sbocco occupazionale sarà ot­tenuta realizzando la formazione professionale nei reali luoghi di lavoro. Per realizzare ciò, è indispensabile che si agisca con il pieno coinvol­gimento delle organizzazioni sindacali nelle loro articolazioni di base (anche nella loro qualità di sensibilizzatori della base operaia), e dei datori di lavoro, sia pubblici che privati.

Il gruppo ha identificato, come punto nodale, il ruolo che dovrebbero ricoprire gli operatori della formazione professionale. Nel dibattito si sono evidenziate due posizioni.

La prima, sulla scorta di precise esperienze, attribuisce agli istruttori compiti di addestra­mento professionale, di gestione dei rapporti con le realtà lavorative, e capacità di sollecitare gli interventi delle équipe socio-sanitarie terri­toriali di base, per quanto riguarda interventi specialistici rispetto alle famiglie e alle realtà istituzionali.

La seconda posizione ipotizza uno staff che veda compresenti e corresponsabili sia gli istrut­tori sia i tecnici delle équipe territoriali, ciascu­no con l'attribuzione di un compito specifico.

Il gruppo, nella problematicità di quanto so­pra esposto, affida alla prosecuzione delle varie esperienze in atto, alla loro sistemazione e alla loro verifica, l'identificazione della soluzione più idonea, compresa o non, fra quelle sopraddette.

La prassi di formazione professionale coinvol­ge aspetti che non le sono propri, ma che ne co­stituiscono i presupposti e/o gli sbocchi.

Il principale è l'aggancio con gli interventi ri­volti agli handicappati attuati nella scuola dell'obbligo, recependo eventuali indicazioni e do­cumentazioni da essa provenienti e fornendo nel contempo ad essa stimoli, affinché possa realiz­zarsi una continuità operativa efficace.

Pur restando da definire le mansioni degli ope­ratori, si richiede che l'articolazione del loro ora­rio/calendario di lavoro permetta non solo l'at­tuazione dell'intervento formativo, ma prepara­zione, aggiornamento, programmazione adeguate.

Opportuni strumenti legislativi dovranno pre­vedere la possibilità di utilizzo dei reali luoghi di lavoro come sede di specifici interventi forma­tivi.

Al fine di non vanificare tutti gli sforzi per la realizzazione di una formazione professionale effettiva, vi dovrà essere la possibilità istituzio­nale del collocamento lavorativo a tutti gli ef­fetti.

 

 

GRUPPO A «INSERIMENTO LAVORATIVO IN AZIENDE PUBBLICHE E PRIVATE E IN COOPE­RATIVE. STRATEGIE DEL SINDACATO E DEI MOVIMENTI DI BASE»

 

In premessa bisogna dire che erano completa­mente assenti alla riunione persone provenienti dal Centro-Sud d'Italia. Nonostante ciò si è cerca­to comunque di farci carico delle esigenze di questa realtà. Le proposte che ne sono scaturite appariranno insufficienti in rapporto con quelle suggerite dalle zone più sviluppate nella realiz­zazione dell'inserimento lavorativo degli handi­cappati e viceversa utopistiche per le zone che ancora accusano notevoli ritardi.

Abbiamo suddiviso il dibattito per temi parten­do da: chi inserire; come inserire; dove inserire.

Chi inserire: per garantire la libera scelta dell'handicappato non occorre giungere a forzature personali da parte degli operatori; si deve:

- dare vere ed autentiche opportunità di inter­vento lavorativo;

- valorizzare il massimo delle possibilità resi­due per garantire una puntuale collocazione produttiva, fermo restando che l'handicappa­to deve entrare nella logica complessiva del movimento operaio, tenendo conto che il con­cetto di handicap è comunque sempre relati­vo alla collocazione territoriale e che la ga­ranzia del rispetto del singolo avviene so­prattutto tramite una gestione sociale del problema (chi decide non è solo l'operatore né l'handicappato né la famiglia).

Come inserire: l'inserimento lavorativo co­munque positivo, rimane incompleto se sul terri­torio non esiste una completa risposta a tutti i problemi dell'handicappato.

Riteniamo utile una legge all'interno del collo­camento «normale» che obblighi sia i datori di lavoro ma anche l'Ente locale a preparare e so­stenere l'inserimento.

La Commissione provinciale per il riconosci­mento dell'invalidità, che dovrebbe essere de­centrata sul territorio, deve utilizzare nell'esple­tamento delle proprie mansioni tutte quelle strut­ture territoriali utili per fornire adeguate e più precise conoscenze del soggetto. Cioè deve ave­re il curriculum, scolastico, formativo, assisten­ziale e medico dell'handicappato.

L'ufficio provinciale del lavoro deve coinvolge­re l'Ente locale, le OO.SS. e padronali per effet­tuare l'abbinata corretta: il posto giusto per 1'handicappato giusto.

Per un corretto inserimento si devono valu­tare:

1) le reali possibilità dell'handicappato e la situazione della famiglia;

2) i problemi che pone il viaggio per recarsi al lavoro e ritorno;

3) se non è libero il posto di lavoro idoneo bi­sogna renderlo libero contrattando la mobilità orizzontale e verticale e l'organizzazione del la­voro;

4) coinvolgimento e sensibilizzazione dei capi, della direzione aziendale e del sindacato dei la­voratori;

5) il periodo di prova deve essere la verifica che il posto di lavoro è praticamente idoneo all'handicappato e non viceversa;

6) non emarginazione né a livello di mansione né a livello di gruppo;

7) contrattazione di orari articolati, se neces­sario;

8) assistenza e quindi ruolo dell'assistente sociale dell'azienda e/o degli operatori di ap­poggio all'inserimento se previsti;

9) verifiche periodiche per gli handicappati. Sarebbe infatti scorretto parlare di «inserimen­to effettuato» ma sarebbe corretto parlare di «inserimento in atto», perché possono sorgere degli imprevisti.

È necessario, per programmare l'intervento, la conoscenza della vera entità del bisogno. È ne­gativa una indagine fatta tramite questionari o inchieste a tappeto, mentre è positiva la raccol­ta dei dati tramite le risposte effettive dei biso­gni che emergono dal servizio di prevenzione.

Dove inserire: l'Ente pubblico deve essere il primo ad assumere gli handicappati anche per­ché le difficoltà di legge si possono interpretare diversamente. Gli artigiani disponibili ad assu­mere handicappati devono essere incentivati meglio con commesse di lavoro da parte dell'En­te locale.

Incentivi: l'assunzione deve prevedere il pa­gamento contrattuale completo. L'Ente locale, di comune accordo con l'azienda e con il sindacato, può intervenire limitatamente nel tempo alla fi­scalizzazione degli oneri sociali.

Nella fase formativa l'Ente locale, in accordo con l'azienda e con il sindacato, può prevedere contributi per il tirocinio di preparazione (even­tuali borse di lavoro finalizzate all'assunzione).

Cooperative: devono essere integrate e l'Ente locale dovrebbe intervenire specie nella fase ini­ziale con finanziamenti e mutui agevolati; do­vrebbe anche facilitarne l'esistenza tramite com­messe di lavoro. L'obiettivo è che possano esse­re effettivamente autonome finanziariamente.

Strategia del sindacato: deve rivitalizzare la Commissione nazionale intercategoriale di sup­porto alle federazioni per problemi globali (ri­forma al collocamento, sanità...) e alle catego­rie (contrattazione nazionale).

Si deve incentivare la costituzione di Commis­sioni provinciali intercategoriali, organo orizzon­tale del sindacato (che si confrontino con i rap­presentanti delle associazioni) per le contratta­zioni aziendali. Sia a livello nazionale che a livel­lo locale deve effettuarsi un'opera di sensibiliz­zazione soprattutto mediante la socializzazione delle esperienze già operanti. I rappresentanti sindacali nella Commissione provinciale per il collocamento obbligatorio possono fornire i dati relativi soprattutto delle aziende scoperte, ai servizi che operano nel territorio.

Movimenti di base: devono essere momento di pressione, di collaborazione e verifica alla programmazione, mai di gestione diretta. Ponia­mo come problematico il fatto che possano, in caso di estrema necessità, gestire direttamente determinati servizi in quanto ogni struttura tende alla conservazione.

L'Ente locale deve gestire direttamente i vari servizi; in particolari situazioni può anche stipu­lare delle convenzioni con le istituzioni private. È importante che l'Ente locale coordini, control­li e garantisca tutte le risposte ai bisogni emer­genti sul territorio.

 

 

GRUPPO B «INSERIMENTO LAVORATIVO IN AZIENDE PUBBLICHE E PRIVATE E IN COO­PERATIVE. STRATEGIE DEL SINDACATO E DEI MOVIMENTI DI BASE»

 

Il gruppo, prima di entrare nel merito delle te­matiche specifiche, ha ritenuto indispensabile ri­badire che il problema dell'inserimento al lavo­ro dell'handicappato grave non può prescindere dalla acquisizione a priori di tutta una serie di diritti comuni per tutti I cittadini, vedi:

- diritto alla salute;

- diritto alla casa;

- diritto alla cultura;

- diritto al lavoro, ecc.

Per attuare e rendere reali tali diritti si ricor­dano i punti fondamentali.

Nello specifico per il diritto alla salute:

- sensibilizzazione della coppia alla paternità e maternità responsabili;

- educazione sanitaria;

- prevenzione;

- diagnosi precoce;

- interventi pre-post-natali;

- interventi rieducativi strettamente legati ed integrati con l'aspetto sociale.

Per il diritto alla casa: messa in atto degli stru­menti tecnico-legislativo atti a garantire concre­tamente la possibilità di fruire di una abitazione rispondente alle esigenze della persona, costruita a misura d'uomo, senza barriere architetto­niche.

Per il diritto alla cultura: riaffermare il diritto del­l'inserimento dei cittadini portatori di handicap in tutte le realtà scolastiche e culturali di ogni or­dine e grado, riproponendo e migliorando gli strumenti tecnico operativi tesi a concretizzare quanto sopra.

Diventa evidente che per attuare tutto questo occorre inoltre, provvedere a garantire trasporti pubblici accessibili a tutti e stimolare una diver­sa organizzazione del tempo libero e della vita associativa nel territorio.

A) Formazione professionale: unitaria è stata l'affermazione della necessità di una formazione professionale integrata con normodotati, con mo­menti di informazione attuati direttamente nella realtà lavorativa (tirocinii informativi). È stato sottolineata che il tirocinio informativo è comun­que momento di apprendimento ed è quindi parte integrante della realtà scolastica dei C.F.P. In questo senso è indispensabile che l'esperienza di tirocinio informativo veda la presenza dell'o­peratore.

B) Commissioni sanitarie provinciali per l'ac­certamento dell'invalidità: si è riconfermata la inadeguatezza delle attuali modalità operative delle suddette Commissioni e si è valutata posi­tivamente la proposta di attuare una «istruttoria preliminare» al l'accertamento, che tenga conto della documentazione presentata anche dai ser­vizi territoriali sulla storia, sul vissuto, sulle esperienze precedenti e sulla condizione socio­ambientale del soggetto. Inoltre il gruppo propo­ne un ribaltamento della logica attuale secondo la quale il soggetto è valutato in base all'handi­cap e non in base alle sue reali capacità lavo­rative sia per l'attività manuale che intellettuale.

C) Il gruppo, partendo dall'affermazione pre­cedente (valutazione delle reali capacità lavora­tive) ritiene che pur essendovi delle differenti esigenze di interventi in ordine ai diversi tipi di handicap, si debbano condurre gli stessi pa­rallelamente all'interno comunque di una unica normativa:

D) Cooperative: su questo punto il gruppo ha evidenziato posizioni in alcuni aspetti differenti circa la valutazione della positività o meno della costituzione di cooperative. In ogni caso, al di là di valutazioni legate alle singole esperienze, il gruppo si è trovato d'accordo su:

- rifiuto di esperienze pseudo-cooperativistiche in quanto ricalcano il modello dei «laborato­ri protetti»;

- affermazione che le cooperative non devono comunque essere viste né poste come alter­nativa all'inserimento lavorativo e devono avere le seguenti caratteristiche:

1 - attività produttiva, lavorazioni qualifi­canti;

2 - collegamento con il movimento comples­sivo delle cooperative;

3 - chiarezza di finalità e di obiettivi;

4 - realizzazione di progetti sociali concer­nenti anche gli handicappati nell'ottica di un rinnovamento e potenziamento dei suoi caratteri peculiari di mutualità, soli­darismo e politica sociale.

E) Inserimento nelle aziende pubbliche e pri­vate: su questo tema sono nate delle discordan­ze. Una parte del gruppo si è espressa a favore di assunzioni prioritarie da parte dell'Ente pub­blico per motivazioni anche di stimolo politico verso il privato. Il gruppo mette inoltre in evi­denza la necessità di verificare le risorse esi­stenti in ciascun territorio al fine di inserire gli handicappati al lavoro sia in base agli strumen­ti legislativi esistenti, sia in base alle disponibili­tà effettive esistenti nelle aziende siano esse pubbliche che private.

F) In questo processo va coinvolta l'équipe territoriale affinché l'inserimento lavorativo non sia un processo automatico ma guidato e che tenga conto di componenti quali la famiglia, i servizi sanitari, sociali, ricreativi.

Per la migliore messa in opera di questi inter­venti si evidenzia la necessità che gli operatori e i servizi interessati possano disporre di dati aggiornati sia sulla tipologia degli invalidi esi­stenti sui territorio sia sul loro numero.

G) Ruolo del sindacato: si ritiene debba sno­darsi principalmente su tre punti:

1) presa in carico responsabile del problema;

2) proposizione attuativa con modalità concordate;

3) verifica periodica della validità dell'inseri­mento in atto.

H) Si concorda, inoltre, con quanto esposto nella relazione della FLM di Torino presentata da Leone Spiccia su: «Procedura sperimentale per l'inserimento lavorativo degli handicappati». Per un corretto inserimento si debbono valutare:

1)  le reali possibilità dell'handicappato e la si­tuazione di famiglia;

2) i problemi che pone il viaggio per recarsi al lavoro e ritornare;

3) se non è libero il posto di lavoro idoneo bi­sogna renderlo libero e adatto eliminando le bar­riere architettoniche, contrattando la mobilità orizzontale e verticale e l'organizzazione del la­voro;

4) coinvolgimento e sensibilizzazione dei capi da parte dell'azienda, del gruppo omogeneo e dei lavoratori da parte del sindacato;

5) il periodo di prova deve essere la verifica che il posto di lavoro è praticamente idoneo all'handicappato e non viceversa;

6) proporzione di non più di un handicappato per gruppo di lavoro;

7) contrattazione di orari articolati se neces­sari;

8) assistenza e quindi ruolo dei servizi socia­li del territorio in collaborazione con eventuali servizi aziendali per un proficuo appoggio al gruppo omogeneo;

9) verifiche periodiche per gli handicappati: è scorretto dire «inserimento effettuato», è più corretto dire «inserimento in atto» perché sor­gono sempre degli imprevisti;

10) incentivi poco significativi per le grandi aziende;

11) fondi CEE regionali, l'esito positivo per l'inserimento al lavoro è strettamente correlato allo spessore delle persone proposte e al reale impegno degli Enti locali.

I) Inoltre nel gruppo è stata evidenziata l'im­portanza che gli handicappati facciano parte del sindacato per meglio incidere nelle iniziative at­te ad agevolare il loro inserimento lavorativo.

L) Il gruppo durante la discussione ha indivi­duato il ruolo delle forze sociali che si occupano della problematica dell'handicap all'interno di una strategia che veda l'emarginato come prota­gonista di cambiamento, all'interno di un proget­to di trasformazione sociale, progetto che mette in discussione sul piano culturale e istituzionale il modo di concepire e organizzare il lavoro. Ogni singola iniziativa deve diventare un progetto più vasto che tocchi il collocamento, l'organizzazio­ne del lavoro, il controllo del rispetto delle norme da parte della fabbrica, il dibattito culturale per far crescere tra i lavoratori sensibilità su questo problema.

Tali forze sociali privilegiano nel loro lavoro questi punti:

- rapporti con il quartiere e città per la presa di coscienza: facendo un lavoro capillare di informazione ai cittadini col problema dell'handicap, chiedendo la loro partecipazione per la soluzione in termini soprattutto di in­serimento lavorativo;

- dare una dimensione politica nell'azione: in­tervento accanto alle forze storiche di cam­biamento quali, il lavoratore, il sindacato, per fare insieme pressione sulle istituzioni;

- dare solidarietà concreta: gli handicappati, e nel caso degli insufficienti mentali le loro fa­miglie, intervengono da protagonisti sui loro problemi, non sempre delegandoli, e utiliz­zando tali problemi con vere e proprie riven­dicazioni di lotta per una vita migliore.

M) Si è infine sottolineata l'esigenza che gli operatori sociali, nell'ambito del servizio territo­riale in cui operano, si impegnino in risposte con­crete e precise per favorire il processo di inse­rimento lavorativo degli handicappati.

 

 

GRUPPO «INTERVENTI IMMEDIATI CON PARTI­COLARE RIFERIMENTO AI PROGETTI CEE»

Ci si rende conto leggendo questo documento che esso è estremamente insufficiente rispetto al lavoro che il gruppo ha svolto. Infatti si sono analizzate parecchie problematiche le quali sin­golarmente dovrebbero aver trovato, all'interno degli altri gruppi, un approfondimento più com­pleto.

Una prima considerazione emersa è quella re­lativa alla definizione dell'handicappato stesso. Ci si è trovati d'accordo nell'affermare che non deve essere considerato invalido/handicappato la persona portatrice di handicap le cui capacità lavorative non sono compromesse. Pertanto ta­le persona non dovrebbe essere computata agli effetti della legge 482, bensì gli si devono garan­tire tutte le condizioni (ausili, aiuti di vario gene­re) che gli permettono di raggiungere ed espli­care tutte le attività inerenti alla sua profes­sione.

1) Nell'esame delle varie realizzazioni legate al Fondo sociale europeo ed attuate nelle diffe­renti regioni d'Italia, si sono riscontrate notevoli differenze, che oggettivamente rendono difficil­mente comparabili le esperienze stesse e che producono una serie di conseguenze quali ad esempio:

- rapporto con il personale (precariato);

- utenza interessata;

- servizi erogati.

Risulta pertanto opportuno che gli Enti locali prendano in considerazione la possibilità di uti­lizzare ulteriori finanziamenti oltre a quelli pre­visti al capitolo «minorati». Si vedano ad esem­pio i capitoli «giovani», «donne»... al fine di attuare interventi maggiormente articolati.

2) Si sono evidenziati gli aspetti positivi e ne­gativi emersi dalle analisi delle realizzazioni stesse.

Fra quelli negativi risultano:

a) rigidi criteri di erogazione che limitano a certe fasce di «minorati» gli interventi possi­bili, con finanziamenti sempre più finalizzati alla formazione professionale, che escludono pertan­to la possibilità di attuare interventi di riabilita­zione, socializzazione;

b) solo parziale corrispondenza fra progetto generale e attuazione di esso nelle singole real­tà territoriali;

c) in particolare con riferimento al piano Alfa Romeo (finanziamento di 1,5 miliardi di cui ri­sulterebbero beneficiari soltanto 50 persone) si è evidenziato il mancato controllo democratico della base sulla operazione stessa. Infatti il sin­dacato è stato informato dalla azienda a finanzia­mento già richiesto.

Fra quelli positivi risultano:

a) attraverso queste iniziative si è determi­nato un grosso stimolo e provocazione nei con­fronti delle realtà territoriali che vi hanno aderi­to, Comuni, Unità locali, Regioni, che ha permes­so di avviare interventi sulla fascia ultra-quat­tordicenne rimasta sino ad ora abbastanza di­menticata;

b) dati i criteri cui ci si doveva attenere qua­li ad esempio: tempo limitato (3 anni), obiettivi da perseguire,... gli interventi hanno avuto ca­rattere di sperimentalità con conseguenti indi­spensabili verifiche puntuali al termine della sperimentazione stessa;

c) nella misura in cui questi progetti si inte­grano con tutta la restante realtà territoriale diventano effettivamente un grosso arricchimen­to degli interventi che l'Ente locale può attuare nei confronti complessivi dell'handicap.

3) Circa le problematiche emerse non si è potuto fare un discorso organico, ma vengono qui presentati i vari punti sui quali vi è stato un ampio dibattito all'interno del gruppo:

a) si è evidenziata l'esigenza che il territorio abbia gli strumenti per poter esprimere tutti i propri bisogni, individuando nell'organo di gover­no dell'U.L.S. il referente più immediato per la progettazione e la successiva gestione, deman­dando alla Regione il compito di programmare e coordinare la globalità degli interventi. In tutto questo processo è indispensabile che si attui una effettiva partecipazione di tutte le forze sociali interessate al fine di un effettivo controllo de­mocratico, innescando un processo circolare di informazioni, superando la frequente unidirezio­nalità dell'informazione.

In specifico si è evidenziato il ruolo delle as­sociazioni degli utenti come stimolo delle parti interessate evitando sia la gestione che la coge­stione dei fondi e dei servizi;

b) si è evidenziata la necessità di predispor­re una precisa metodologia di lavoro che permet­ta da un lato di predisporre ed attuare precise risposte ai bisogni emersi, dall'altro di attuare precise verifiche sull'efficacia degli interventi realizzati. Un primo aspetto di questa metodolo­gia di lavoro è quello relativo al censimento e cioè la precisa conoscenza del bacino di utenza nei confronti dei quali si attuerà l'intervento. Si è riscontrata infatti una grossa difficoltà nel qualificare i bisogni al fine di predisporre ade­guate risposte di intervento. In particolare, per quanto riguarda la fascia di età scolare, non esi­stono eccessive difficoltà; esse si riscontrano sempre più pressanti per la fascia di età ultra­quattordicenne e ciò in particolare in relazione al­le molteplicità dei bisogni che l'utenza presenta.

Si è riscontrata la necessità di superare gli strumenti sino ad ora utilizzati (vedasi ad esem­pio le cartelle cliniche) e si è sottolineata la ne­cessità di «inventare» nuovi strumenti atti a rilevare non le «deficienze», le mancanze, i «no» di ciò che manca, bensì in grado di rile­vare la positività, le capacità residue, i «sì» che la persona è in grado di esprimere.

Altro punto evidenziato nella metodologia di lavoro è quello relativo alla «formazione dei for­matori» e cioè relativo alla formazione perma­nente degli operatori impegnati in questo lavoro. L'argomento comporta la necessità di un grosso approfondimento. Si è evidenziato che un mo­mento determinante della formazione dell'opera­tore è la creazione di momenti di incontro-con­fronto permanente con tutte le parti interessate: famiglie, gruppi di base presenti sul territorio, forze sociali, sindacati.

Altro aspetto è quello della necessità di crea­re una rigorosa metodologia per quanto riguar­da gli inserimenti lavorativi, affinché tutte le par­ti che a questo inserimento sono interessate sia­no effettivamente coinvolte e messe in grado di lavorare senza intralcio alcuno (vedasi ad esem­pio rapporti con l'ufficio di collocamento, con l'Ispettorato al lavoro,...). Ancora, l'inserimento lavorativo deve passare attraverso il Consiglio di fabbrica ed il gruppo omogeneo affinché le persone stesse che nel futuro saranno accanto al l'handicappato, fin dall'inizio se ne facciano ca­rico nel modo più completo possibile.

Altro punto toccato è quello che riguarda gli incentivi relativi agli inserimenti lavorativi. Si è ritenuto necessario proseguire nella metodologia fin qui adottata della corresponsione di «borse di lavoro» al soggetto inserito all'interno dell'a­zienda in situazione formativa.

Mentre si è individuato nella fiscalizzazione degli oneri sociali un altro mezzo di incentivo; questo però solo in modo temporaneo e solo per le aziende al di sotto dei 35 addetti (che come tali sono escluse dall'applicazione della 482).

 

 

GRUPPO «ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E PRODUTTIVITÀ - RUOLO DELLE STRUTTURE SINDACALI DI BASE»

 

La 5ª Commissione, con oggetto «Organizza­zione del lavoro e produttività - Ruolo delle strut­ture sindacali di base», nel rilevare l'eterogenei­tà delle esperienze esistenti sul territorio nazio­nale per quanto riguarda le diverse situazioni di handicaps e le conseguenti risposte che si do­vrebbero dare per un positivo inserimento lavo­rativo, accanto ad un diverso intervento dell'or­ganizzazione sindacale e dei consigli di fabbri­ca in particolare, ha constatato la difficoltà di individuare una risposta omogenea per tutte le diverse situazioni emerse, arrivando tuttavia a tracciare una linea di intervento tale da costrui­re lo strumento per giungere ad esperienze sem­pre più generalizzate di inserimento lavorativo dei portatori di handicaps gravi.

La commissione, pur avendo come tema prio­ritario per la discussione il ruolo dei consigli dei delegati, ha espresso un parere profondamente critico sulla proposta di mera monetizzazione a favore dei cosiddetti gravi, perché questa intro­duce un meccanismo di emarginazione istituzio­nale, bloccando un processo dinamico che ha vi­sto e vedrà un inserimento lavorativo e sociale di handicappati, anche gravi, che deve rimane­re l'obiettivo prioritario di qualsiasi intervento pubblico.

Quindi, dal confronto avuto, si ritiene inade­guato e limitativo definire dei criteri rigidi sul concetto di gravità, in quanto le diverse espe­rienze emerse nel dibattito hanno evidenziato come l'inserimento lavorativo e sociale dell'han­dicappato pluriminorato sia strettamente legato a fattori culturali ed economici della specifica situazione presente, ovvero: zone industrializza­te o non, grandi medie o piccole aziende, presen­za di servizi sul territorio e qualità del tessuto sociale e politico.

La commissione ha evidenziato come ruolo fondamentale per un intervento positivo e non emarginante del portatore di handicap, quello del consiglio dei delegati come soggetto di ra­tifica-contrattazione e di stimolo, accanto ad una presenza attiva del gruppo omogeneo laddove è inserito l'handicappato. Proprio in questa dimen­sione di gestione operaia dell'inserimento, che va sollecitata a tutti i livelli, deve essere rifiu­tata qualsiasi ghettizzazione della presenza la­vorativa degli handicappati in azienda.

Organizzazione del lavoro: la commissione ha ribadito la modificabilità dell'organizzazione del lavoro che, attraverso più precise lotte del movimento sindacale, deve essere umanizzata per tutti: questa progettualità deve considerare pos­sibile il collocamento idoneo all'handicappato.

Anche a questo fine va ricercata, in un rap­porto diretto tra consiglio di fabbrica, operatori, genitori e forze sociali, la mansione idonea nell'azienda.

È essenziale inoltre la verifica-confronto con il gruppo omogeneo individuato che, si ritiene, do­vrà continuare a seguire il soggetto. Operativa­mente è importante una precisa contrattazione con l'azienda per introdurre come prima istanza il tirocinio sperimentale finalizzato ad un inseri­mento definitivo.

È altresì ipotizzabile, sia nel tirocinio che nel successivo inserimento definitivo, l'individuazio­ne di una gestione dinamica dell'orario di lavoro.

Servizi: è evidente che il processo di inseri­mento lavorativo del portatore di handicap deve essere sostenuto da adeguati servizi quali: tra­sporti e superamento delle attuali barriere ar­chitettoniche e sensoriali esistenti all'interno ed all'esterno dell'azienda.

La commissione ha inoltre evidenziato la ne­cessità di incentivare la ricerca con opportuni interventi economici anche a livello statale, uti­lizzando elaborazioni ed esperienze di gruppi or­ganizzati di handicappati stessi.

Ruolo del sindacato: è emersa l'importanza di un ruolo più preciso dell'insieme dell'organizza­zione sindacale su tali tematiche, sia favorendo una maggiore partecipazione di handicappati nei propri organismi in quanto lavoratori, sia attra­verso processi di socializzazione di esperienze e di stimolo nelle situazioni più arretrate anche con l'utilizzo della mappa sindacale. Questo per promuovere processi culturali nuovi e di impe­gno politico concreto atto a garantire al portato­re di handicap piena partecipazione alle lotte contro l'emarginazione in tutti i suoi aspetti.

 

 

GRUPPO A «PROBLEMA DEI GRAVISSIMI»

 

Il gruppo di lavoro sul problema dei gravissimi (nella convinzione che nell'ambito del lavoro svolto dai restanti cinque gruppi sia stato ap­profondito quanto occorre predisporre per pro­muovere e realizzare al massimo l'inserimento dei portatori di handicap nei corsi di formazione professionale e nell'organizzazione del mondo del lavoro) ha concordato di esaminare più spe­cificamente i bisogni e le prospettive di parteci­pazione sociale di quella fascia di persone su­periore all'età della scuola dell'obbligo che, pur avendo qualche capacità di provvedere ai propri bisogni, non possiedono tuttavia capacità di au­tonomia sufficienti a consentire un inserimento nell'attuale organizzazione del mondo del lavoro.

Per tutti i minori in età di obbligo scolastico si ritiene che il problema debba essere risolto nell'ambito delle strutture scolastiche normali.

Infatti, mentre si considera demagogico, allo stato attuale delle cose, proporre indiscrimina­tamente per ogni handicappato l'inserimento nel mondo del lavoro, d'altra parte si rileva sulla base delle nostre esperienze che gli handicappa­ti gravissimi:

a) in molti casi possiedono, seppur in modo li­mitato, capacità, interessi e bisogni che devono trovare risposte e sbocchi nella comunità sociale ampiamente intesa;

b) spesso sono tali per antecedenti carenze di interventi capaci di sviluppare le loro residue potenzialità;

c) in ogni caso non debbono essere emargi­nati né in istituzioni totalizzanti, né all'interno della loro famiglia (perché non finisca anch'essa nell'isolamento sociale).

Sulla base di questa considerazione si propone di istituire, nell'ambito di ogni realtà locale, (dimensione territoriale massima quella della U.S.L.) e secondo i bisogni reali esistenti, ser­vizi finalizzati a:

- sviluppare le residue potenzialità di autono­mia personale e sociale;

- individuare e realizzare per gli utenti ambiti di partecipazione alla vita della collettività, con la promozione e l'organizzazione di atti­vità nel contesto del loro territorio di appar­tenenza.

Al fine di garantire un'effettiva possibilità di partecipazione sociale si sollecita l'eliminazione delle barriere architettoniche non solo nel ser­vizio specifico, ma in tutti i servizi (ricreativi, culturali, sociali, sportivi, di trasporto, abitativi, ecc.) e nell'arredo urbano.

Nella realizzazione delle attività si dovrà evi­tare di riproporre il concetto di lavoro protetto inteso come ripetitività o appalto di lavoro, ma non si deve escludere la realizzazione di attivi­tà lavorative creative proponibili alla collettivi­tà nella quale sono inseriti.

Il punto di riferimento logistico del servizio dovranno essere locali non isolati, ma (ogni volta che sia materialmente possibile) collocati all'interno di strutture ricreative, culturali, o comunque di aggregazione sociale, rivolte a tut­ta la popolazione.

Si concorda sulla necessità che questo servi­zio sia gestito dallo stesso organo di governo che gestisce i servizi socio-assistenziali e sa­nitari (nella logica dell'unità locale dei servizi).

Gli operatori del servizio assicureranno il rag­giungimento delle finalità sopraindicate, mentre per l'intervento specialistico a supporto delle lo­ro prestazioni si dovrà fare riferimento ai servizi sanitari e riabilitativi. Nella programmazione del servizio e nella verifica del funzionamento do­vranno essere coinvolte tutte le forze sociali di base.

Per l'accoglimento delle persone in questi ser­vizi non devono essere fatte discriminazioni ba­sate sulla gravità dell'handicap per quei sogget­ti anche gravissimi che non abbiano altre solu­zioni idonee sul territorio di appartenenza.

Si richiede la predisposizione da parte dell'U.S.L., accanto al servizio per gravissimi, di con­crete alternative al ricovero (affidi, gruppi di fa­miglie, comunità alloggio) per quelle persone (compresi i portatori di handicap gravi) che si trovino temporaneamente privi di famiglia d'o­rigine.

Nel corso dei lavori di gruppo è stato rilevato che:

- esiste un'ulteriore fascia di soggetti ancor più gravemente handicappati in quanto privi di ogni autosufficienza nel provvedere anche ai bisogni primari di sopravvivenza;

- che nella quasi generalità dei casi ad essi provvedono attualmente istituti pubblici e privati privi di riferimenti territoriali signi­ficativi.

Anche per questi soggetti si sollecita la pre­disposizione di servizi residenziali di ridotte di­mensioni o di aiuto domiciliare nell'ambito dell'U.S.L. onde favorire la permanenza nel terri­torio di appartenenza.

 

 

GRUPPO B «PROBLEMA DEI GRAVISSIMI»

 

Premettendo che l'handicap «gravissimo» è in gran parte prodotto dalla mancanza di una ca­pillare rete di servizi di diagnosi precoce e ria­bilitativi, il gruppo auspica un più adeguato in­tervento territoriale per la prevenzione primaria e secondaria.

Il gruppo dopo ampia discussione rinuncia alla definizione precisa del termine «gravissimo». Tale rinuncia è motivata in special modo dalla evidente mancanza di una univocità del termine, anche se non sono mancate precise richieste di una definizione se non inclusiva almeno esclu­siva del termine, specie per quei soggetti la cui diagnosi risulta purtroppo evidente.

Allo scopo di evitare uno sradicamento dell’handicappato dalla famiglia, l'intervento delle strutture pubbliche deve essere inteso anche co­me supporto alla famiglia stessa per la socializ­zazione dell'handicap.

Sono emerse di conseguenza le seguenti pro­poste operative:

- costituzione di strutture di pronto intervento (centri sociali o altro) inseriti nella vita del territorio e legate a strutture sociali presenti (quartiere, circoli culturali, ricreativi, ecc.) con possibilità di ospitare anche la natte e per brevi periodi, con motivate necessità fa­miliari, persone affette da minorazioni gra­vissime. Ad esempio in caso di impossibilità improvvisa di assistenza da parte dei familia­ri o di necessità da parte della coppia di aver spazi autonomi;

- tali strutture devono anche provvedere ad un idoneo servizio domiciliare su richiesta della famiglia;

- da prevedere una adeguata preparazione de­gli operatori per il loro delicato compito; - tali strutture di base devono essere gestite dalle Unità locali con il controllo dell'utente. Sono stati oggetto di discussione i problemi economici della famiglia e ne sono emerse le seguenti indicazioni:

1) che la quantificazione dell'invalidità ha va­lore solo ai fini dell'assegno di accompagnamen­to (vedi legge n. 18/80) e non deve compromet­tere le possibilità successive di inserimento;

2) che l'handicappato effettivamente non in­seribile al lavoro deve poter godere di una pen­sione adeguata allo stipendio medio e legata al costo della vita;

3) che le possibilità di eventuali sgravi fisca­li per la famiglia si calcolino in percentuale da misurarsi in base al reddito della famiglia stessa.

Si chiede inoltre che siano previste particolari agevolazioni nell'assegnazione di alloggi dell'e­dilizia pubblica e che si giunga ad una soluzione del problema dei trasporti per facilitare la com­pleta socializzazione.

Il gruppo ha inoltre evidenziato la necessità di un coordinamento a tutti i livelli, e in specie quello nazionale, delle varie associazioni che si occupano di handicappati per una effettiva de­settorializzazione degli interventi.

 

 

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