Prospettive assistenziali, n. 53, gennaio - marzo 1981

 

 

LINEE GENERALI DI UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE

 

 

SOMMARIO

 

1. La condizione minorile e la protezione giudi­ziale

1) Il problema di fondo: la protezione dei minori secondo l'articolo 31 Cost. e la peculiarità della condizione del minore (articolo 3 Cost.). Il «child abuse».

2) I differenti livelli di possibili rimedi.

3) Delimitazione generale delle condizioni di pe­ricolo legittimanti interventi civilistici di pro­tezione.

4) La condizione di pericolo e la protezione nel giudizio penale.

5) Le necessarie peculiarità del sistema giudi­ziario minorile e delle procedure.

6) Quale giudice, quali requisiti.

 

2. La riforma della giustizia minorile e il diritto di famiglia

7) La famiglia di oggi di fronte ai suoi compiti istituzionali.

8) Incapacità dei genitori e curatela personale del minore.

9) Difficoltà della famiglia e assistenza educa­tiva.

10) La sistematica. Adozioni.

11) La rieducazione.

 

3. La riforma minorile e il territorio

12) La rilevanza attuale del territorio per i biso­gni della popolazione.

13) La rilevanza per i minori.

14) L'esigenza di un organo giudiziario nuovo.

15) Condizioni per il suo buon collegamento col territorio.

16) L'ufficio comunale di tutela dei minori.

 

 

I. LA CONDIZIONE MINORILE E LA «PROTEZIONE» GIUDIZIARIA

 

1) Il problema di fondo: la protezione dei minori secondo l'art. 31 Cost. e la peculiarità della condizione del minore (art. 3 Cost.). Il «child abuse».

La Commissione per la Riforma della Giustizia Minorile, istituita in seno al Ministero di Grazia e Giustizia e insediata dal Guardasigilli il 15 gen­naio 1979, si è resa conto fin dall'inizio che il suo mandato superava i limiti di un semplice aggior­namento o ammodernamento della legge del 1934 istitutiva del tribunale per i minorenni.

Il problema di fondo da affrontare è subito ap­parso piuttosto quello di rispondere con strumen­ti, poteri e procedure appositi al precetto dell'ar­ticolo 31 capov. della Costituzione che, nello sta­bilire che la Repubblica «protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù», intende che siano «fa­voriti gli istituti necessari a tale scopo»; precet­to che non può essere applicato correttamente alla giustizia minorile, senza tenere costante­mente presenti le peculiarità che caratterizzano e contraddistinguono inconfondibilmente l'età minore, detta «evolutiva», dalla maggiore età.

Ed invero, le condizioni che rendono possibile «il pieno sviluppo della persona umana» voluto per tutti i cittadini dall'art. 3 della Costituzione, nell'età minore, a differenza di quella adulta, so­no in gran parte condizioni tipiche e connaturali, che più tardi si riscontrano solo in soggetti che si considerano malati; condizioni molteplici, che l'esperienza e le scienze hanno ormai individua­to in misura cospicua. La giustizia minorile è chia­mata proprio perciò a tutelarle come specifici «diritti inviolabili dell'uomo» - ci si richiama all'articolo 2 della Costituzione -, diritti del mi­nore sia verso la famiglia che verso la società, ed oggi in modo del tutto particolare verso il «ter­ritorio».

L'esigenza di una più sistematica protezione anche giudiziale di tali diritti nasce dalla consta­tazione delle concrete situazioni di pericolo per la personalità, cui il minore si trova esposto sem­pre più frequentemente.

Nel mondo occidentale - recentemente anche in seno al Consiglio d'Europa - i diritti dei mino­ri, già definiti in termini generali dalla Dichiara­zione proclamata il 20 novembre 1959 dalle Na­zioni Unite, vengono considerati oggi con riferi­mento al loro rovescio: si parla molto del «child­ abuse and neglect», ora con più ristretto riferi­mento a situazioni familiari gravemente negati­ve, ora con riguardo altresì ai pregiudizi arrecati a minori da istituzioni e servizi in seno alla so­cietà tutta.

 

2) I differenti livelli di possibili rimedi.

Sarebbe manifestamente errato in proposito supporre che una riforma della giustizia minori­le debba sovvenire a qualsiasi condizione di abuso, violenza, trascuratezza od abbandono a carico di minori, essendo molte esigenze di intervento al limite fra la soluzione da adottare su un piano giuridico e giudiziario e quella di (sola) assisten­za sociale, come è spesso per i figli di famiglie ai margini della vita locale; od al limite fra il bi­sogno individuale e quello, piuttosto, dì leggi e programmi dì carattere generale, come avviene, ad esempio, per i minori sottoposti a grave sfrut­tamento lavorativo. Altre esigenze di intervento ancora si pongono a cavallo fra le situazioni in cui un provvedimento determinato dal giudice o una misura possono essere risolutivi, e quelle che presuppongono invece estesi e lenti muta­menti culturali, nella mentalità stessa della gen­te: così per gli abusi di autorità paterna, per dif­fuse forme di possessività o per l'assai frequen­te isolamento e la solitudine in cui è praticamen­te lasciata la vita familiare dei figli nelle grandi città.

Altri rimedi a protezione dei minori dovrebbe­ro essere studiati in materia penale, in relazione a fatti commessi a loro danno.

 

3) Delimitazione generale delle condizioni di pe­ricolo legittimanti interventi civilistici di pro­tezione.

Queste premesse spiegano una prospettiva sensibilmente innovatrice che la Commissione ha inteso adottare nella materia civile.

Nell'ordinamento attuale sono già numerosi i casi in cui il tribunale per i minorenni è compe­tente ad intervenire a protezione del minore e nel suo interesse: assunzione del cognome del genitore naturale, autorizzazione al matrimonio, provvedimenti occasionali concernenti l'educa­zione o la potestà.

A fronte di tali casi, isolati e sparsi nel codice civile ed enumerati nell'art. 38 delle disposizioni dì attuazione, sono destinati ad assumere rilievo preminente e qualificante della nuova giustizia minorile gli interventi e i provvedimenti civili che la Commissione prevede in generale per i ca­si di pericolo, quando cioè il pieno ed armonico sviluppo del minore sia messo in pericolo dalle condizioni in cui si attua la sua educazione, dal grave perturbamento dell'ambiente extra-fami­liare in cui vive, dalla condotta stessa cui egli è dedito.

 

4) La condizione di pericolo e la protezione nel giudizio penale.

In sede penale, la condizione di pericolo del minore è già implicitamente supposta nella con­dizione stessa di imputato o indiziato e lo è al contempo anche il bisogno più accentuato di pro­tezione giudiziale.

La rilevata peculiarità assoluta della condizio­ne minorile rispetto a quella dell'età adulta è sta­ta considerata di tale portata - e ciò in partico­lare dal punto di vista della psicologia dell'adole­scente - da richiedere in sede penale, non me­no che nella materia civile, una profonda revi­sione di istituti di diritto sostanziale e proces­suale; ma in primo luogo una ben definita possi­bilità di adottare misure civili di protezione an­che in occasione di procedimento penale, soprat­tutto nell'immediatezza del fatto commesso (udienza preliminare) e, s'intende, in relazione a reati non particolarmente gravi.

Ridefinita la condizione perché il minore tra i 14 e i 18 anni possa essere ritenuta imputabile, con un più pertinente riferimento alla nozione di maturità e di maturazione, non si pongono que­stioni di «indulgenza» a suo riguardo; le profon­de peculiarità della minore età inducono piutto­sto a stabilire dei limiti insuperabili del potere punitivo, pena l'annientamento psicologico e mo­rale del soggetto, che nell'età adolescente av­verte talvolta la pena detentiva come se fosse una vita intera, senza più speranza.

Neppure la rinunzia alla condanna o al giudizio è più considerata come atto di indulgenza, quale è attualmente il perdono giudiziale, versandosi spesso in situazioni che richiedono piuttosto di soprassedere, in attesa di una favorevole evolu­zione del soggetto ancora adolescente, o di de­sistere senz'altro dal giudizio o dalla condanna, entro certi limiti di pena edittale.

La condizione propria dei minori ha indotto al­tresì a sopprimere ognì possibilità di considerar­li socialmente pericolosi, sia durante il giudizio che nella sentenza che lo definisce, e, a maggio­re ragione, se commettono fatti penali prima dei 14 anni. Si è tuttavia tenuta presente l'esigenza eventuale di adottare misure adeguate ai loro bi­sogni, piuttosto che di provvedere in primo luo­go a difendere la società con misure custodiali­stiche; si è trattato cioè di accentuare le carat­teristiche più corrispondenti a una diversa con­dizione soggettiva giuridicamente rilevante: il minore in stato di pericolo per il suo avvenire, più che la sua pericolosità.

 

5) Le necessarie peculiarità del sistema giudi­ziario minorile e delle procedure.

Il carattere del tutto specifico e necessaria­mente differenziato degli interventi giudiziali ri­guardanti i minori ha dovuto essere tenuto poi presente dalla Commissione nel concepire il nuovo sistema giudiziario minorile come nel prevedere le procedure, e ciò sia nella materia penale che in quella civile.

In sede penale è apparso evidente che l'inte­resse punitivo della legge e della società è da considerare preminente solo in certi casi, di fatto piuttosto rari, mentre esso per lo più diventa secondario, per ciò che sì è già detto, rispetto all'esigenza di offrire al minore una situazione favorevole alla sua crescita moralmente e social­mente corretta.

Nella materia civile l'interesse del minore - un interesse superiore di ordine morale - è per lo più considerato dalle norme vigenti come «prevalente» od «esclusivo», o è il solo in vi­sta del quale un intervento è preordinato dalla legge.

Di conseguenza, nei giudizi minorili la conflit­tualità è affievolita, ancorché l'interesse degno di tutela possa contrastare con quelli presenti nella realtà e nel giudizio, e le esigenze del contrad­dittorio, paragonate con quelle proprie degli or­dinari giudizi civili e penali, sono attenuate dalla natura stessa e dalla gerarchia che l'ordinamen­to stabilisce per lo più fra gli interessi in causa.

La dinamica garantista solitamente insita nella pluralità di organi e di funzioni cede perciò alla dominante esigenza di un sola organo principale, il tribunale per i minorenni, che sia di per sé in grado di far emergere correttamente l'interesse prioritario meritevole di tutela e le modalità per attuarla. Di qui una ridotta presenza del pubbli­co ministero; una configurazione dell'impugna­zione che eviti contrapposizione di decisioni, pur senza eliminare una verifica ed una eventuale correzione. Il binomio giudice tutelare e tribuna­le per i minorenni non ha più ragion d'essere ed il secondo assume molte caratteristiche e fun­zioni del primo, che viene soppresso.

Quanto alle procedure, sì spiega la tendenza alla concentrazione ed alla celerità: ogni bisogno di protezione e di provvedimenti ha per il minore un'esigenza di immediatezza e non tollera disper­sione di tempo. Il procedimento camerale perciò è sempre il più idoneo e non impedisce la difesa di legittimi interessi.

Anche nel giudizio penale le peculiarità della condizione adolescenziale hanno indotto la Com­missione, da un canto, a non accedere ad alcuni fra i canoni principali del procedimento accusa­torio, e ciò soprattutto perché il minore non è in grado di assumere nella realtà di un giudizio il ruolo di «parte», ma, ad un tempo, a non mante­nere neppure in vita taluni istituti e criteri ispi­ratori del sistema vigente; si è eliminata in par­ticolare la fase distinta dell'istruzione - che per l'art. 13 della legge minorile è unicamente quella sommaria - perché al minore non è dato di ren­dersi conto di tutti i ruoli che si succedono l'uno dopo l'altro o che l'uno accanto all'altro agisco­no davanti all'imputato nel giudizio penale: egli riesce a comprendere la presenza e il ruolo di chi lo dovrà giudicare e che la società che lo ac­cusa sia da lui o da costoro rappresentata.

Le applicazioni conseguenti a tutto ciò sono esposte in altra parte.

 

6) Quale giudice, quali requisiti.

La Commissione si è preoccupata vivamente di quale giudice, quali requisiti siano necessari per instaurare rapporti e adottare decisioni a pro­tezione dei minori, rendendosi conto che la fun­zione del giudice minorile eccede ogni schema consueto di indagine giudiziaria ed ogni prassi giurisprudenziale, dovendo penetrare col rappor­to processuale e con la decisione in una delicata situazione esistenziale.

Non si tratta di pretendere dal giudice, profes­sionale o laico, requisiti ottimali, ma di garantire la presenza nella generalità di un minimo comu­ne di attitudine, di equilibrio e di sensibilità spe­cifica nonché di conoscenze in materia.

Le proposte della Commissione in proposito sono un tentativo di soluzione a tali problemi, ma un ampio dibattito in tutte le sedi opportune sarà necessario per rispondere ad esigenze di fondo, che in grandissima parte condizioneranno la riuscita della riforma.

È certo che la normativa vigente non offre le garanzie minime perché la giustizia minorile sia posta efficacemente - e non solo formalmente - al centro della protezione dei minori.

 

 

II. LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE E IL DIRITTO DI FAMIGLIA

 

7) La famiglia di oggi di fronte ai suoi compiti istituzionali.

Il nuovo diritto di famiglia, forte soprattutto di una marcata spinta in senso democratico, cui particolarmente mirava, ha trovato tuttavia l'isti­tuto familiare in una grave e generale crisi; che sempre più incide sulla capacità della famiglia di adempiere ai suoi pur insopprimibili compiti, in particolare a quelli verso i figli.

Per l'articolo 30 della Costituzione il triplice dovere dei genitori costituisce altresì un loro di­ritto (lo si potrebbe dire: il diritto di poter man­tenere, istruire ed educare i figli), riconosciuto come tale più nei confronti dell'intera generalità che non soltanto all'interno dei rapporti familiari; la prima parte dell'articolo 31 poi stabilisce l'ob­bligo costituzionale della Repubblica di agevola­re la famiglia nell'adempimento dei suoi compiti.

La Commissione ha dovuto perciò tener pre­sente la profonda e sempre più diffusa crisi di rapporto fra adulti e bambini o adolescenti in se­no alla famiglia, che in un salto generazionale sempre più accelerato ed approfondito si riflet­te soprattutto sull'esercizio della potestà dei ge­nitori e sull'educazione dei figli minori: una crisi ripetutamente constatata ed analizzata negli ulti­mi anni in varie sedi.

Sono molti i genitori che si sentono impari o troppo soli nell'assolvimento del loro compito educativo; si è constatato che da molti decenni, ormai, lungo il secolo, almeno nei centri più evo­luti, non li sorregge più, come avveniva un tem­po, né il gruppo di appartenenza o la comunità locale, né il clan familiare od almeno gli avi; tan­to meno la scuola, che risente di uguali difficoltà di rapporto, o la parrocchia.

Vanno fatte salve peraltro non rare forme di riaggregazione di famiglie o di giovani, che dif­fusamente emergono al presente, sollecitate da interessi ora culturali, ora religiosi, ora sociali. Tale tendenza la Commissione ha inteso coglie­re e valorizzare, come si vedrà, in una prospet­tiva profondamente innovativa che costituirà una notevole occasione di incontro fra il pubblico e il privato, per interessi di rilevanza generale non meno che intrafamiliare, e ad un tempo un modo per arginare deleghe, supplenze e deresponsa­bilizzazione della famiglia.

 

8) Incapacità dei genitori e curatela personale del minore.

Si è constatato infatti che è diventato troppo riduttivo e, soprattutto, spesso irreale ricondur­re le condizioni di pericolo del minore solo alla violazione di doveri e ad abusi della potestà dei genitori, e la Commissione ha considerato spes­so improduttivo, anche in casi di pregiudizio gra­ve o di presunto stato di abbandono, che il giudi­zio instaurato punti solo verso l'adozione di prov­vedimenti or più or meno marcatamente sanzio­natori, come la dichiarazione di adottabilità, le limitazioni della potestà parentale o la decaden­za da essa.

L'incapacità dei genitori, cui fa riferimento l'articolo 30 della Costituzione, più che una loro inadempienza, in senso assoluto, cui riparare privandoli di poteri o della loro stessa qualità, va per lo più considerata come impotenza o ina­deguatezza di fronte ai loro compiti, all'interno come all'esterno della famiglia, nelle molte con­dizioni difficili in cui la crescita del minore spes­so avviene.

Ciò ha indotto la Commissione, cogliendo qual­che spunto offerto da altri ordinamenti europei - si citano il Belgio, l'Olanda e la Svizzera - a prevedere una «tutela allargata» o - come qual­cuno dei componenti preferisce denominarla, senz'altra aggiunta, estrapolando il nuovo istitu­to dall'art. 321 ed altri del codice civile - una curatela alla persona del minore: la nomina giu­diziale cioè di una persona, famiglia o gruppo associativo, investiti di uno specifico compito tutorio ed incaricati di rappresentare ed assiste­re con la loro azione il minore, con poteri parzia­li, ora nei suoi rapporti con un ambiente determi­nato o con istituzioni - ad esempio con un ser­vizio assistenziale o sanitario, con la scuola o sul lavoro - ora nei confronti dei genitori stes­si, e ciò anche in certi casi predeterminati di controversia e di giudizio - separazione, divor­zio, status di figlio, riconoscimento del figlio adulterino nella famiglia legittima, ecc. - cui il minore sia specificamente interessato (si è par­lato in questa ipotesi di «curatore proces­suale»).

Di tale ufficio dì curatela si è sottolineato il suo connaturale inerire alla semplice qualità umana, di cittadino e di concittadino, di coloro che ne sono investiti, ed altresì il suo realizzarsi necessariamente in rapporti assidui e personali con gli interessati. Peraltro, singole professio­ni - legale, sanitaria o di servizio sociale pos­sono essere chiamate ad intervenire volta per volta in aiuto al curatore in un loro specifico ruo­lo ausiliario di assistenza tecnica o di consulta­zione.

Il possibile conferimento della curatela ad un gruppo associativo - fatti salvi particolari cri­teri di esercizio personalizzato, di rappresentan­za e di responsabilità - a giudizio concorde del­la Commissione risponde a più esigenze reali: conferire ai singoli una forza e un sostegno in compiti spesso ardui, stimolare l'espansione a livello locale di formazioni sociali ad hoc, con particolare partecipazione dei giovani; favorire la già rilevata tendenza ad una riaggregazione nel quartiere, nella parrocchia, fra «vicini», con la possibile presenza di anziani ancora validi, e con l'utilizzazione oculata di energie umane tra­dizionalmente assai valide, tuttora presenti nel­la società italiana.

Ci si rende ben conto che l'istituto della cura­tela personale al minore nella nuova prospettiva presenta non pochi né semplici problemi applica­tivi, quanto ai contenuti, alla rappresentanza, al­la responsabilità, problemi che dovranno essere affrontati in sede redazionale.

 

9) Difficoltà della famiglia e assistenza edu­cativa.

Accanto alla nuova curatela la Commissione ha individuato altresì una situazione che in qual­che altro ordinamento europeo - così il codice civile francese - viene chiamata di «assisten­za educativa»; in altri - es. Olanda - «tutela familiare» oppure - così in Belgio - «protu­tela»: più che di deferire a terzi un potere par­ziale e una rappresentanza di interessi, come nella curatela, si tratta di affiancare alla famiglia in difficoltà delle persone umanamente qualifi­cate che sostengano i genitori - di cui si richie­de il consenso preventivo - nell'esercizio del loro triplice compito verso i figli.

L'assistenza educativa - se così la si chia­merà - è multiforme e difficile da descrivere o precisare nei suoi contenuti. Nelle differenti età del minore può investire molteplici interessi e bisogni dello stesso. Il conferimento di essa mi­ra a prevenire e sostituire misure limitative a carico dei genitori, e chi ne è incaricato, oltre che stabilire rapporti umani con essi e col figlio, li sostiene e li completa, ricorrendo anche alle varie risorse che la comunità può offrire e l'ente locale promuovere: risorse culturali, ricreative, sportive e così via.

In qualche sede i giudici minorili hanno già sperimentato e collaudato il conferimento di si­mili incarichi, sia pure in misura e in forme limi­tate, non essendo di loro pertinenza i complessi compiti organizzativi connessi, bensì dell'auto­rità locale.

 

10) La sistematica - Adozioni.

La Commissione ha ritenuto - secondo la pro­posta di qualche suo componente - che la nuo­va curatela e l'assistenza educativa debbano fare corpo con l'affidamento di minori ed essere disci­plinate in seno al codice civile, dopo la tutela, in un Titolo XI - che attualmente disciplina l'af­filiazione e !'affidamento - rinnovato con l'inte­grale sostituzione almeno degli attuali artt. 402 e 403 (e delle norme connesse contenute in va­rie leggi) : l'uno sui poteri tutelari spettanti agli istituti di assistenza, nei confronti dei quali, piut­tosto, il minore deve sempre essere effettiva­mente ed efficacemente protetto dai genitori o dal curatore; l'altro sull'intervento della pubbli­ca autorità a favore di minori in pericolo, un in­tervento che oggi, quando avviene, è svolto in­discriminatamente, a fini prevalentemente assi­stenziali, in modo espropriativo e con sistemati­ca dissoluzione di vincoli familiari, ora da autori­tà regionali e locali, ora da quelle sanitarie o di pubblica sicurezza, senza alcuna considerazione effettiva dei bisogni del minore.

Anche nel Titolo X, in seno alla tradizionale tu­tela, è prevista qualche modifica, al fine di assi­curarne una costante personalizzazione nonché la rispondenza ai bisogni di vita del minore.

Dell'affidamento e dell'affiliazione la Commis­sione non ha inteso occuparsi, formando ogget­to di proposte in discussione al Parlamento con­giuntamente alla riforma delle adozioni. A tale proposito sia consentito osservare, secondo il rilievo di uno dei componenti della Commissio­ne, che le situazioni familiari di pericolo del fi­glio minore - dalla trascuratezza e dall'abban­dono all'abuso, dalla disgregazione del nucleo fa­miliare alla conflittualità - si presentano in una gamma che spesso non ha sensibili e nette solu­zioni di continuità, così che i meccanismi relativi devono avere una necessaria duttilità, pur nel ri­spetto delle dovute garanzie.

 

11) La rieducazione.

L'allargamento degli interventi di protezione in una direzione che si può considerare larga­mente preventiva, la loro stessa riconduzione nell'ambito del diritto di famiglia, portano spes­so a considerare ormai superati i provvedimenti attinenti alla rieducazione, quelli che la legge istitutiva del tribunale per i minorenni designa­va come materia di «competenza ammini­strativa».

Merita qui menzione particolare il ricovero in una casa di rieducazione, visto dai più con sfa­vore, e ben comprensibile quando il ricovero sia riferito ad istituti di indirizzo tradizionale e con tipiche caratteristiche emarginanti; forse non del tutto giustificato se invece si guardi a talune recenti istituzioni modernamente concepite.

Ma c'è da chiedersi soprattutto se la previsio­ne legislativa di interventi più decisamente pre­ventivi sia sufficiente ad eliminare il problema di quei minori di cui fino al presente si è ritenuto indispensabile il ricovero in istituto a causa di una irrefrenabile condotta irregolare, ancorché non delinquenziale.

Il problema non può sicuramente essere ri­messo alla semplice iniziativa dei comuni né re­golato solo con legislazione regionale; esso ri­mane pertanto aperto in questo stesso contesto di riforma della giustizia minorile e dovrà essere affrontato secondo precise indicazioni.

 

 

III - LA RIFORMA MINORILE E IL TERRITORIO

 

12) La rilevanza attuale del territorio per i biso­gni della popolazione.

Alla Commissione è stato assegnato il compi­to di dare nuovo assetto alla giustizia minorile in relazione, oltre che al nuovo diritto di famiglia, alle statuizioni del D.P.R. 616 del 1977 in materia.

Anche a questo proposito si è trattato di ben altro che di un semplice coordinamento fra nor­mative vecchie e nuove; il decreto 616, in que­sta sede dì riforma minorile, non contava certa­mente solo per aver trasferito ai comuni servizi e funzioni riguardo ai minori, già spettanti al Mi­nistero di Grazia e Giustizia e ad enti. Esso ha loro attribuito una imponente somma di funzioni diverse, scorporate da amministrazioni centrali, da enti nazionali e locali e riunite nel «territo­rio», con richiamo esplicito all'art. 118, 1° com­ma, della Costituzione, cioè al loro «interesse esclusivamente locale».

Il territorio, secondo un significato che è an­dato delineandosi nella legislazione propria degli Anni '70, è divenuto così, coi suoi servizi e, a certe condizioni, con le risorse stesse della popo­lazione locale, la risposta globale ai bisogni del­la vita quotidiana dei cittadini. Ancorché in mol­te regioni esso sia in realtà assai povero di servi­zi e di risorse, tuttavia mai come oggi ha potuto essere considerato come una realtà in divenire, dotata almeno potenzialmente di una rilevanza primaria nella vita di coloro che vi sono insedia­ti; e ciò giustifica l'attenzione che la Commissio­ne ha prestato ad esso, in tale sua accezione.

 

13) La rilevanza per i minori.

Per quanto interessa i minori in difficoltà, è ammessa da tutti coloro che se ne occupano l'in­fluenza condizionante di ogni singolo insedia­mento - si tratti di area metropolitana o meno, di quartiere o di borgata, di zona rurale o indu­striale, e così via - sulla crescita della sua po­polazione minorile, sulla produzione di devianze, sulla messa in opera dei rimedi, sulle possibilità di recupero in seno all'ambiente.

La riforma dell'originaria legge minorile attua­ta con la novella 888 del 1956 e già prima avviata col decreto presidenziale di decentramento 28 giugno 1955 n. 1538 aveva esplicitamente, ben­ché isolatamente, intuito ciò ed aveva affrontato il problema, promuovendo la pur difficile regio­nalizzazione dei servizi minorili del Ministero di Grazia e Giustizia. Oggi il decreto n. 616 e poi la riforma sanitaria hanno attribuito tutti i servizi pubblici sociali e sanitari alla competenza ammi­nistrativa e funzionale dei comuni.

Tuttavia è diffusa la convinzione che tale tra­sferimento sia tutto, per rispondere ai bisogni dei minori, o che tutto si possa attendere dalla im­prorogabile riforma dell'assistenza: i servizi so­cio-sanitari debbono offrire la risposta ad ogni difficoltà della popolazione in genere.

Ma la ricorrente riduzione del «territorio» ai suoi servizi sociali e sanitari, i soli che sarebbe­ro chiamati a rispondere ad ogni bisogno umano emergente della popolazione locale, costituireb­be, anche nel campo minorile. una versione ita­liana tardiva del welfare-state, che nelle moder­ne socialdemocrazie, in cui ha avuto compiuta realizzazione, sta tramontando a causa sia delle sue fatali esasperazioni che delle sue incolma­bili lacune.

Qualunque sia in proposito l'opinione dei sin­goli componenti della Commissione, tutti o qua­si, però, hanno concordato nel ricondurre le con­dizioni di pericolo o le devianze dei più giovani, così come i rimedi ad esse, per la loro gran parte, alla realtà del territorio di appartenenza global­mente considerato e la Commissione ne ha trat­to conseguenze che ritiene inderogabili nella pre­sente realtà del Paese. Se essa quanto alla giusti­zia minorile avesse inteso invece prescinderne, come qualche voce già vorrebbe, e rimanere an­corata agli schemi comuni e generali della giuri­sdizione, ai fini di una effettiva protezione dei mi­nori in difficoltà si sarebbe dovuto optare per una soluzione più radicata dal punto di vista del territorio, diffusa ormai in più Paesi d'Europa e d'America: quella di istituire cioè commissioni o comitati locali dì protezione, non giurisdizionali, con poteri autonomi di intervento e di decisione. Tale eventualità è stata però ritenuta per un ver­so non priva di rischi, altrove già sperimentati ne­gativamente, e per altro verso non confacente con la nostra tradizione; essa è stata perciò deci­samente evitata.

Si è ugualmente scartata, d'altra parte, l'ipote­si di una protezione demandata unicamente a de­cisioni dei servizi sociali che incidano su diritti dei singoli.

Tutti peraltro concordano nel ritenere che ad essi spetti un compito di intervento professiona­le quando questo sia richiesto dall'autorità o di­rettamente dagli interessati.

 

14) L'esigenza di un organo giudiziario nuovo.

Dalle considerazioni che precedono è emersa anche per quest'altro verso l'esigenza di un orga­no giudiziario nuovo, da cui il minore in pericolo possa essere protetto nel suo stesso territorio di appartenenza; un organo fornito di una attitudine, inerente alla sua stessa composizione ed estra­zione, a conoscere la concreta problematica lo­cale, nonché, per la sua collocazione ed il suo am­bito territoriale, a stabilire rapporti continuativi coi servizi del territorio, con le amministrazioni e gli enti, con la cittadinanza e le risorse che potrà offrire: non un momento separato ed a sé stante, ma concorrente ed integrativo di un sistema isti­tuzionale locale.

Ci si riferisce con tutto ciò:

1) alla delimitazione spaziale della sua giurisdi­zione, che viene riferita all'ambito di due-tre unità socio-sanitarie locali;

2) alla sua competenza territoriale, che in mate­ria sia civile che penale investe, tendenzial­mente, i minori aventi la loro abituale dimora nell'ambito territoriale del tribunale;

3) alla presenza nella composizione del tribuna­le di laici che siano in grado di portare in se­no ad esso una adeguata conoscenza del ter­ritorio;

4) allo strumento atto a coinvolgere la popolazio­ne locale nella protezione dei minori in pe­ricolo.

 

15) Condizioni per il suo buon collegamento col territorio.

Si ritiene che i punti anzidetti, pur rispondendo ad esigenze reali e primarie di una concezione ag­giornata della protezione dei minori, richiedano un ampio dibattito, da sviluppare nei prossimi mesi. Le soluzioni proposte dalla Commissione e che in altra parte del rapporto vengono esposte hanno ovviamente un carattere provvisorio.

Ci si limita qui a precisare, quanto al 1° punto che nelle previsioni già recepite dal D.P.R. 615 (art 25) dovrà esservi coincidenza fra le già isti­tuite unità sanitarie locali e l'ambito territoriale dei servizi sociali; quanto al 2° punto, che sono state presenti le difficoltà che sorgono in certi casi in ordine alla determinazione della compe­tenza territoriale, e che la loro soluzione è stata riservata alla fase redazionale; quanto al 3°, che la Commissione ha ritenuto potersi dare al pro­blema posto sul tappeto soluzioni da studiare, che conferiscano al tribunale la necessaria fisio­nomia ed attitudine, pur senza assoggettarlo a condizionamenti e ad interessi di parte; quanto all'ultimo punto, si tratta di predisporre - e, si aggiunge qui, a sperimentare in poche sedi esem­plari, per un numero limitato di anni - un ufficio comunale (o intercomunale) di pubblica tutela, che costituisce forse, assieme alla previsione della curatela e dell'assistenza educativa, una delle più rilevanti innovazioni che la Commissio­ne propone - si è detto prima: un'occasione di incontro fra il pubblico e il privato - che supe­ra o potrà superare ripetute istanze pur in qual­che misura somiglianti: la creazione di un «ombu­dsman» per i minori, di un difensore civico, o di un ufficio per la c.d. «diversion».

 

16) L'ufficio comunale di tutela dei minori.

Non si è ritenuto che in linea generale la scel­ta del tutore non familiare, del curatore o dell'in­caricato di assistenza educativa possa essere la­sciato al giudice. Spetta infatti piuttosto al comu­ne, e perciò all'ufficio anzidetto, di sollecitare la popolazione locale, informarla dei problemi ine­renti ai minori in difficoltà, suscitare e censire le candidature; promuovere la preparazione ad assumere compiti specifici; designare volta per volta le persone singole, a richiesta del tribuna­le; sostenerle poi nel corso dell'espletamento del loro compito, ricorrendo, ove sia il caso, all'aiuto professionale dei servizi sociali e di esperti.

Un tale ufficio (a carattere elettivo) opportuna­mente concepito, da una parte, e dall'altra il pre­vedibile diffondersi di organizzazioni stabili a ca­rattere volontario, col tempo, potranno consenti­re una larga generalizzazione di questa forma di partecipazione del popolo a compiti strettamen­te attinenti alla giustizia minorile, che, se sarà opportunamente disciplinata, potrà recare dovun­que, in concorso con le autorità locali. un contri­buto di rilevanza imprevedibile alla crescita uma­na e alle capacità educative di una quantità di fa­miglie, in particolare di quelle appartenenti a quartieri ed aree di sottosviluppo; ma non ad es­se sole.

 

 

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